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Autore: Liz_Salander    05/09/2019    1 recensioni
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo un ennesimo lunedì, Ermione varcò la porta di casa a passi lenti, come se la stanchezza le fosse penetrata nelle ossa.
Scaraventò rovinosamente le sue borse a terra. Ad accoglierla solo due miagolii affamati e un lungo corridoio vuoto in penombra.
Ermione si svesti e le sembrò finalmente di poter essere se stessa. Si liberò dalla morsa del reggiseno che le fasciava un petto quasi inesistente.
Si sfregò gli occhi assonnati e incespicò appena, quasi inciampando sui suoi piedi. Nel fare ciò catturò la sua immagine nello specchio. Osservò i suoi capelli cortissimi e quel corpo troppo minuto, colmo di cicatrici di forma ovale su tutte le spalle. Ogni volta che sua madre le comprava una nuova crema cicatrizante, Ermione la gettava nello scarico.
Quei segni le piacevano. Era per questo che fin dal primo istante aveva dedicato un'attenzione maniacale alla loro simmetria, come se anche quel momento non dovesse sfuggire alle sue manie di controllo.
Ermione amava stare senza vestiti, quand'era nuda si sentiva nel suo elemento. Le piaceva che quel corpo tradisse una femminilità nascosta. Le piaceva che solo i suoi occhi potessero conservare quel segreto come un'arma.
S'infilò in doccia e lasciò che l'acqua tiepida le sciacquasse via di dosso lo smog torinese. Si asciugò a tastoni e s'infilò un jeans strappato, lasciando il petto scoperto. Così com'era, aprì la finestra e si sedette sul davanzale. 
Al diavolo i vicini.
Non le importava niente che qualcuno potesse vederla così. Da lontano, ogni suo segreto era al sicuro. E poi non era mai riuscita a capire perché il suo seno appena accennato potesse creare così tanti problemi. 
Con l'agilità di un pianista, le sottili dita di Ermione fabbricarono una sigaretta. Il rosso della fiamma le colorò momentaneamente il viso e piccole nuvole di fumo offuscarono l'aria circostante. 
Lasciò che il suo sguardo si perdesse. Da lì si potevano vedere le Alpi tingersi di arancione. Un fotografo avrebbe definito quel momento del vespro la golden hour , l'ora d'oro, l'istante in cui la luce permette di realizzare scatti meravigliosi. 
Si lasciò avvolgere dall'atmosfera fiabesca. In quello scenario quasi surreale, Ermione si sentì rimpicciolire, le sembrava di essere diventata piccola, minuscola, come se tutto intorno a lei improvvisamente si fosse ingigantito. Le parve di poter toccare l'infinito con le sue dita sottili, con le sue unghie corte e mangiate. 
Fu investita da una tristezza che sembrava tirarla sempre più a fondo, tanto che per un secondo ebbe paura a guardare giù. 
Alle volte, Ermione si sentiva dentro le cose. Guardava fuori dal finestrino in treno e si sentiva come se da un momento all'altro si fosse potuta tuffare nella prateria che stava osservando, come se la pioggia che rigava i finestrini fosse la stessa che le rigava il viso. 
Ermione odiava sentirsi così. Le sembrava di essere in balia di qualcosa che non sapeva definire, qualcosa al di fuori del suo corpo. Come se la natura chiamasse continuamente il suo nome. 
Ermione, Ermione, Ermione, Ermione. 
In classe si era lasciata cullare dalla voce del suo professore che recitava La pioggia nel pineto e si era sentita legata a quelle parole come da un cordone ombelicale. 
Anche lei, come gli amanti della poesia, non poteva cessare di sentirsi parte della natura che la circondava, non poteva cessare di vedere oltre le apparenze. 
Una goccia d'acqua le bagnò il polso. Incredula, Ermione rivolse gli occhi al cielo che non aveva mutato colore. Un'altra goccia di pioggia le bagnò la spalla e poi un'altra e un'altra ancora, con la prepotenza di un temporale estivo imminente. Nonostante la pioggia, il cielo era rimasto della stessa sfumatura di arancione e per un secondo a Ermione sembrò di trovarsi in una favola. 
Si portò per l'ultima volta la sigaretta alle labbra, strinse i denti e con un gesto quasi automatico spense il mozzicone sulla sua spalla sinistra, a una distanza perfetta dalla cicatrice più recente. 
Lasciò cadere il capo all'indietro. 
Mentre la pioggia insistente le ricopriva il torace nudo, le riecheggiarono in testa le parole di quella poesia. 
 
 E piove su i nostri volti silvani,
 piove su le nostre mani ignude, 
 su i nostri vestimenti leggieri, 
 su i freschi pensieri 
 che l'anima schiude 
 novella, 
 su la favola bella
 che ieri 
 m'illuse, che oggi t'illude,
 o Ermione.
 
 

 
 
   
   
 
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