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Autore: _EverAfter_    06/09/2019    0 recensioni
Otto anni prima.
Iwatobi Swimming Club.
Haruka e Makoto frequentano le elementari. Nagisa è il solito demente. Rin è ancora incastrato alla Sano.
Nel club c'è una bizzarra bambina che nuota a stile libero.
E' distratta. Imbranata. Ha due occhi diversi l'uno dall'altro. Insomma, sembra uscita da uno di quei racconti sugli yokai.
Haruka, tra tutti, non la sopporta; è chiassosa, invadente e priva di tatto. Così diversa da lui.
Ma la vita cambia sempre, e quando la sua antitesi si trasferisce, tutto sembra tornare alla normalità.
Tutto, tranne lui.
Otto anni dopo.
Rin, di ritorno dall'Australia, non è più lo stesso.
Haruka e Makoto frequentano le superiori. Nagisa anche, ma rimane comunque il solito demente.
Un nuovo sogno. Una nuova avventura. Un nuovo club. Un componente che invece di fare atletica si da al nuoto senza sapere come rimanere sul pel d'acqua...
... E due occhi dai differenti pigmenti che si posano sull'insegna dell'Iwatobi High School.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nuovo personaggio, Rin Matsuoka
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo sclero di ver

Ciao a tutte/i!
Sono tornata anche con questa storia, che per qualche motivo era finita nel dimenticatoio. Non che motivi non ce ne siano stati, ma avevo - ed ho tutt'ora - molti dubbi sulla sua continuazione, perché ad essere onesta non sono molto convinta di come proseguirla. Però non preoccupatevi, troverò il modo di farla continuare in qualche modo.
A presto!


_EverAfter_










CAPITOLO III
I ricordi che ho di te





    È Makoto a dare il via a quella competizione. Una competizione che, agli occhi di chi guarda, sembra una sfida destinata a rimanere aperta; sebbene la gambata del rosso sia più potente, le bracciate che spingono il corvino a stargli dietro sono decisamente più poderose.
    Mizuko sa che, nonostante siano solo cento metri, quella è a tutti gli effetti una gara di resistenza: il primo che rinuncia alla bracciata decisiva, perde.
    Rimane con gli occhi sbarrati a fissare la curva longilinea dello squalo, colpita dal suo modo violento di nuotare. Le sembra subito che l’acqua attorno a lui si sposti da sola, per paura d’essere picchiata. Non riesce ad essere sorpresa come i due compagni che le stanno a fianco; lei può vederla, l’acqua, può sentire cosa prova: Haruka l’accarezza dolcemente, perfino a quella velocità non vuole arrecarle nessun tipo di danno; è accorto, attento e magnificamente in armonia con il suo elemento.
    «Incredibile, Haru è davvero bravissimo!» esclama Makoto, mentre una goccia di sudore gli scivola lungo la tempia.
    «È vero.» Nagisa si sporge in avanti per osservare meglio i due rivali. «Ha perso terreno ad ogni virata, ma l’ha quasi raggiunto!»
    Lei rimane zitta, rapita dall’espressione decisa del libero; per qualche istante si sente mancare l’aria nei polmoni, desiderando anche lei di tuffarsi in quella vastità e dimenticare tutto, la sua paura di non essere all’altezza, le selezioni, le mezze verità dette a chi di lei si fida ciecamente, l’incapacità di ricordarsi la gaiezza che le procura l’acqua, ogni volta accogliendola con ciò che ha sempre ritenuto essere due confortanti braccia.
    «Vai, Nanase-kun!» grida, facendo sobbalzare gli altri due.
    Non le importa. Non le importa se appare strana, non le importa se gli reca fastidio incitandolo. Vuole trovare anche lei quell’inconscia forza di superare il grande muro che le sormonta l’anima, perché è troppo alto e da lì non riesce a vederlo, il grande oceano delle sue emozioni.
    Rin stringe i denti, infastidito da quell’incitamento non richiesto. Si domanda ancora chi diavolo sia quella ragazzina tutta pelle e ossa, mentre la virata lo porta nuovamente in vantaggio rispetto al delfino. Si dice che questa volta potrebbe davvero vincere, se rimane concentrato. Eppure…
    «Vai, vai!»
    Che cazzo ha da strillare!? Sente il sangue pulsargli più del dovuto lungo la tempia sinistra; comprende subito come non sia dovuto allo sforzo fisico, ma alla voce della ragazza, divenuta quasi isterica per l’entusiasmo. Tappati quella bocca, mocciosa.
    S’accorge che il rivale ha perso un po’ di velocità, ma non se ne spiega il motivo. Di colpo, la sua potenziale vittoria gli sembra inutile con il suo avversario in quelle condizioni.
    Haruka è lontano da tutti quei pensieri. Mentre nuota, sente improvvisamente giungere all’orecchio la voce di lei, come l’eco di un ricordo lontano e che risorge dal fondo della piscina.


    ˪ È lei. La sente, lo sta chiamando. «Nanase-kun! Nanase-kun!»
    Si sente un attimo imbarazzato, mentre con l’ennesima bracciata sorpassa l’ultimo bambino accanto alla sua corsia, toccando per primo la parete della vasca. La ragazza grida di gioia e lo raggiunge al suo blocco, spintonando per sbaglio l’amico ch’è solito afferrargli la mano.
    «Mizuko» la rimprovera docilmente Makoto, afferrandola per un braccio per evitare che cada in piscina. «Stai attenta, quando cammini. Qui si scivola.»
    Haru sposta di lato lo sguardo, indispettito dal contatto tra i due.
    «Ohi» chiama infine, puntando gli occhi sulla figura gracilina della bambina. «Non gridare in questo modo. È solo un allenamento.»
    Lei si sporge dal bordo vasca, avvicinando il volto al suo. Il giovane delfino si allontana di qualche centimetro, mentre le guance gli si colorano di rosso. «C-che fai?»
    Gli sorride, chiudendo gli occhi. «È che quando nuoti sei davvero bellissimo, Nanase-kun.»
    Per un brevissimo istante, le iridi azzurre del corvino tremano al sentirle pronunciare quelle parole; sente le orecchie ancora tappate dall’intermittente apnea della gara, ma la voce squillante di Mizuko non ha bisogno di un udito che senta, ma di un cuore che l’ascolti.
    Fatto savio di questa verità, Haruka la fissa per la prima volta, rendendosi conto di quanto gli piaccia che lei lo inciti a quel modo, che lo sostenga e sia sempre lì ad attenderlo ai blocchi di partenza.
    Guardami, vorrebbe dirle. Non smettere mai di guardarmi, Mizuko. ˥


    Adesso la ricorda, quella sensazione. Capisce quello che stava cercando, perché gli torna tutto alla mente: non ha bisogno delle altre persone, fino a quando riesce a stare da solo con l’acqua. Però, quella voce… quella voce non avrebbe mai potuto dimenticarla.
    Era lei, nei suoi ricordi. Lo è sempre stata.
    Tocca per secondo la parete della piscina; quando si toglie la cuffia e gli occhialini, una strana felicità prende possesso di ogni suo muscolo, mentre la vede correre verso di lui, seguita dagli altri. Rimane fermo, con la testa tutta gocciolante, speranzoso che lei gli dica qualcosa. Quando la vede accovacciarsi accanto a lui, il delfino sta ancora ansimando per il colossale sforzo di raggiungere il rivale.
    «Ne, Nanase-kun» lo chiama, con il sorriso più bello che le abbia mai visto dipinto addosso. «Sei ancora bellissimo quando nuoti, lo sai?»
    Rin rimane impietrito a fissare l’avversario che le sorride. Per un istante, tutta la grinta che sente straripargli addosso per la vittoria si placa. Haru non sembra affatto dispiaciuto di aver perso, al contrario: s’è accorto di come la guarda. Eppure, non ricorda di aver mai sentito parlare di quella ragazza. Mai. Neanche una volta.
    Fissa cogitabondo la giovane, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Si sorprende di come uno dei due assomigli tanto ai suoi; è rosso, ma di quel corallo delicato e dai tratti leggeri. Si sente smarrito al solo guardarla ed una rabbia cieca prende possesso di ogni suo nervo quando vede il vecchio compagno voltarsi verso di lui; reca sul volto un insolito sorriso.
    «Hai vinto» gli dice solamente. «Bravo, Rin.»
    «Bravo?» ripete, sputando via tutto il rancore che nutre per il delfino. Lo afferra per gli occhialini che gli cingono il collo, avvicinandolo a sé. Se potesse, gli tirerebbe volentieri un pugno.
    «Ehi, tu!» sente infine sbraitare dalla stessa voce isterica che ha sentito prima. «Lascialo in pace, che diavolo vuoi?»
    Si volta indispettito a cercare lo sguardo di lei. È chiaro che non capisca cosa significhi rimanere al proprio posto in momenti come questo.
    «Chiunque tu sia, mocciosa…» sta per replicare, ma le parole gli muoiono in gola.
    Qualcuno ha appena aperto la porta della piscina.
    «Perfetto» la sente mormorare. «Ora sì che siamo fregati.»





    Sente il telefono vibrare per l’ennesima volta; è inutile cercare di dormire, quando sua sorella si ostina a mandargli messaggi. Sbuffa incazzato, afferrandolo di malavoglia e leggendo accigliato il contenuto dell’ultima mail.

Da: Gou Matsuoka
A: Rin Matsuoka
Sei andato da Nanase e gli altri?

    «’Fanculo» sbraita, lanciando via il dispositivo elettronico.
    Poggia la testa sulle braccia muscolose, socchiudendo lo sguardo; è stanco e arrabbiato, ma non per il messaggio. È incapace di pensare ad altro che non sia la vittoria rubata di quella sera, lo sguardo luminoso del rivale mentre raggiungeva il blocco di partenza. Perché non era arrabbiato, perché gli ha sorriso?
    I pensieri confusi lo spingono a cercare una risposta che forse non riesce ancora a darsi, fino a quando distrattamente focalizza l’attenzione sul nitido ricordo dello sguardo più insolito che ha visto quella sera: è certo di non averla mai incontrata prima, eppure sembrava intima con il resto dei suoi vecchi compagni. Ripensa confuso allo sguardo dell’avversario quando l’ha vista correre verso i blocchi di partenza.
    Non ricorda di averlo mai visto sorridere a quel modo, prima. Non avrebbe mai creduto, in passato, che una mocciosa del genere potesse scuotere l’animo imperturbabile di uno come Haruka. Se ben presta attenzione a ciò che ha osservato, ricorda perfettamente di averli visti vicini quando ha aperto la porta.
    È impossibile, si dice, sfociando in pensieri totalmente incompatibili con ciò che conosce dell’ex compagno. Non è proprio il suo tipo.
    Vinto dalla curiosità e dalla rabbia per non essere riuscito ad andare avanti, afferra lo smartphone. Prende un profondo respiro, mentre pigia coi pollici sulla tastiera del touchscreen.

Da: Rin Matsuoka
A: Gou Matsuoka
Chi diavolo è quella ragazzina?

    Non vuole rispondere alla precedente domanda postagli dalla consanguinea, ma sa per certo che lei risponderà alla sua. In fondo, è solo una sorella che ricerca l’affetto del fratello maggiore, troppo cambiato per essere ancora un buon esempio da seguire.
    Rimane in attesa di un chiarimento, mentre la sua mente si rifiuta di lasciar andare lo sguardo conosciuto quella sera, la voce squillante e quell’aria trasognante che sembravano esser frutto della sua immaginazione, se non fosse che quella ragazza lui l'ha vista davvero. E, con lei, ha visto Haru cambiare, divenendo una persona a lui del tutto sconosciuta.
    Il telefono vibra, risvegliandolo dai pensieri; s’affretta ad afferrarlo, mentre cerca di concentrarsi.

Da: Gou Matsuoka
A: Rin Matsuoka
Non so di chi tu stia parlando, ma credo si tratti di una ragazza che andava con loro all’Iwatobi Swimming Club prima del tuo arrivo.
Credo si chiamasse Mizuko o qualcosa del genere, non ricordo bene.

    Ricorda che Makoto l’ha chiamata proprio con quel nome, per cui è certo che debba essere lei.
    Una ragazza dell’Iwatobi SC? Si ritrova a pensare, non riuscendo a focalizzare il suo viso in nessun ricordo tangibile. Lo innervosisce il pensiero che gli altri potessero aver avuto una vita prima del suo arrivo e non si spiega la strana sensazione che gli stringe il petto, mentre con lo sguardo vaga lungo le doghe del letto a castello, ingelosito dal fatto che l’ignaro compagno di stanza riesca a trovare il sonno molto più facilmente di quanto non faccia lui.
    Un’improvvisa curiosità l’assale: se è andata via dal circolo, vuol dire che è partita da qualche parte. E dove? E, soprattutto, perché è tornata?
    Sa perfettamente che non ha il diritto di farsi simili domande; in fondo, la vita privata di una ragazza che ha visto di sfuggita non è certo materia che possa interessargli, ma non riesce a togliersi dalla testa lo sguardo di Haruka mentre la guarda.
    Si convince che persino la sua immeritata vittoria abbia a che fare con lei e non ha alcuna intenzione di continuare a tormentarsi con domande a cui non può trovare una risposta. Si alza, facendo attenzione a non svegliare il compagno: a volte, su un letto a castello, dormire sotto non è poi così male.
    S’avvia circospetto lungo il perimetro della Samezuka, con le mani nelle tasche della felpa e lo sguardo fisso dinnanzi a sé, preda della voglia di sapere chi diavolo sia quella mocciosa e il perché stava con loro.
    Magari l’hanno vista di sfuggita. Certo, Rin, come no.
    Si dà mentalmente dello stupido, crollando sfinito su di una panchina lì vicino. Lascia andare la testa all’indietro, venendo colpito dal bel cielo stellato di quella notte. Si chiede come mai tutti siano riusciti ad andare avanti tranne lui.
    Quel malessere che sente montargli addosso gli fa rabbia, perché è la prova di quanto lui sia infinitamente più debole rispetto agli altri. Rispetto ad Haruka, che sembrava completamente diverso dal ragazzino apatico conosciuto cinque anni prima.
    Scatta a sedersi composto, come scottato dal pensiero appena avuto: se era nel club di nuoto, allora anche lei nuota.
    Allora, forse…


    ˪ Il rosso scruta attentamente l’armadietto accanto all’amico. Incuriosito, sfiora con la punta delle dita la piccola antina in acciaio, ma quando cerca di aprirla, la rigida manata del corvino richiude il piccolo spiraglio che Rin era riuscito ad aprire.
    Sbuffa, innervosito. «Ohi, Haru!»
    Il giovane delfino non ha voglia di rispondergli, gliel’ha già ribadito molte volte: quell’armadietto non deve essere toccato.
    «Haru!» insiste a chiamarlo il rosso, gonfiando le guance per il disappunto. «Ma perché non posso aprirlo?»
    «Perché non è il tuo.» Lo sguardo blu minaccia di divenire presto un mare in tempesta.
    Il piccolo squalo si sorprende ogni volta; non vi è cosa che faccia infuriare quell’apatico bambino, ma quando qualcuno sfiora – anche solo per sbaglio – quell’armadietto, i suoi occhi s’incupiscono al punto tale da far desistere chiunque dall’intento di aprirlo.
    Rin osserva di sbieco le iniziali sbiadite sul piccolo cartello dell’antina: M. H.
    Si volta verso il bambino. «Non ho mai visto nessuno aprirlo, da quando sono qui. Dì un po’, non è che lo conosci, questo M.H.?»
    Vede quello sguardo blu tremare leggermente al suono di quella domanda. Si chiede se non abbia esagerato con la sua continua invadenza, ma l’intervento repentino di Makoto distoglie entrambi dalla conversazione.
    «Rin» lo chiama, col suo solito sorriso. «È una storia vecchia, non dovresti…»
    «Non è una storia vecchia.» La voce del bruno è incrinata, ma non per il pianto. Quella è rabbia. «Non ha mai detto che non sarebbe tornata.»
    «Haru» cerca di consolarlo l’amico più caro, ma il rosso si stupisce di come il delfino respinga il suo aiuto.
    «Non ti riguarda!» sbraita, prima di correre via dalla stanza.
    Rin fissa Makoto, spaesato. L’orca non ha voglia d’incrociare altri sguardi, per quella giornata.
    «Perché Haru è così affezionato a quell’armadietto?» chiede infine, sulla strada per tornare a casa.
    «Apparteneva ad una persona speciale.» Non ha voglia di aggiungere altro, questo Rin lo comprende facilmente, ma non riesce proprio a trattenersi.
    «A chi?»
    «Una bambina.»
    «EH?!»
    Vede comparire sul viso dell’amico l’impronta di un nostalgico sorriso. «Voleva avere l’armadietto accanto a quello di Haru.»
    «U-una femmina?!» domanda Rin, in preda al panico. «Nello spogliatoio maschile?»
    Makoto fa spallucce. «Lei ed Haru erano sempre gli ultimi ad uscire dalla piscina. Il coach Sasabe ha pensato che non vi fosse nulla di male, dopotutto.»
    Il castano ha compreso male, non è per quello che il rosso è così sconvolto. È semplicemente l’idea d’immaginare Haruka, che già di suo non esterna alcun tipo di emozione, affezionato ad una bambina. Congettura subito su come possa essere: bionda, castana, bruna? Alta, bassa? Robusta, gracile?
    Fatica a immaginarla. E chissà che occhi deve avere, magari azzurri oppure verdi. Gli piacerebbe che fosse bruna con gli occhi di smeraldo, come il suo amico Sosuke. Però non riesce proprio a fantasticarla robusta, immagina possa trattarsi di quelle graziose bimbe che però non hanno un filo di muscolo oltre ai tendini.
    Il suo entusiasmo straripa facilmente a sorprendere l’amico che gli sta accanto. Non vede l’ora di vederla. «Quando torna?»
    Lo sguardo smeraldino si rabbuia, distogliendosi dagli occhi cremisi pieni d’energia dello squalo.
    «Non credo tornerà mai» mormora, rivolto al mare. Se potesse andrebbe lui stesso a cercarla, sperando di ritrovare quella parte di Haru che è partita con lei.
    Rin se ne sta zitto, mentre osserva le iridi spente di Makoto illuminarsi debolmente di una pallida luce.
    «È un peccato che tu non possa conoscerla» dice infine l’orca, tornando a sorridere. «Lei era davvero speciale.»
    «Ah?» Il rosso è confuso, ma non ha voglia d’interrompere l’amico. Per qualche motivo, gli sembra che non sia Haru il solo ad essere rimasto ferito.
    «Makoto» lo chiama infine, arrestando il passo. «Non è che…»
    «Come ho detto prima» lo interrompe l’orca, dandogli le spalle. «È una storia chiusa, ormai.»
    Il rosso rimane a fissare inebetito la schiena del dorsista, pensando a quanto dolore debba ancora celarsi in quella faccenda per ferire così i suoi amici. Per un istante sente di odiarla, quella bambina. Anche se non la conosce. Anche se non l’ha mai vista.
    E nonostante tutto, Haru la sta ancora aspettando, non comprendendo il perché l’abbia abbandonato.
    Lui si dice che non l’avrebbe mai fatto.
    Non li avrebbe mai abbandonati. ˥


    La sorte è davvero ironica, o almeno è quello che pensa ora, mentre la sua colpa sfocia a lacerargli il cuore: lui ha fatto peggio, perché non solo li ha lasciati, ma adesso è anche il rivale peggiore che Haru potesse trovare.
    È arrabbiato, incattivito dalla sua incapacità di superare un muro per lui troppo alto, e tuttavia gli fa ridere l’idea che se lo sia costruito da solo, mattone dopo mattone, ostacolo dopo ostacolo, senza più essere in grado di capire perché l’ha fatto. Ha davvero il diritto di giudicare qualcun altro, proprio lui che ha deciso di andarsene per realizzare il suo sogno senza curarsi di ciò che si lasciava alle spalle? Una domanda del genere non se la sarebbe mai posta prima, ma ora è diverso. Lui è tornato.
    E forse ha davvero sperato di vedere il fallimento anche negli altri, per convincersi di non essere stato il solo a non aver raggiunto il suo sogno. Si sarebbe sentito meglio, se avesse visto Haruka ridotto alla sua stessa maniera; sa di essere un egoista, ma non può fare a meno di pensare che, se lei non ci fosse stata, magari il rivale si sarebbe davvero sentito come lui adesso.
    «Dannazione!» sbraita, sbattendo violentemente un pugno contro un tronco lì vicino. Si lascia cadere in ginocchio accanto all’albero, affaticato dai troppi pensieri e dalle poche ore di sonno.
    Tra qualche ora sarebbe sorta l’alba. Peccato che lui non sarebbe stato lì per poterla vedere.






    «Razza d’idioti!»
    Beh certo, se lo meritano dopotutto. Rimane in disparte, mentre il sensei sbraita contro i compagni. «Almeno mostratevi pentiti per quello che avete fatto!»
    «Ci dispiace» rispondono in coro, Nagisa e Makoto chinando lo sguardo, Haruka con gli occhi ben piantati sulle lenti inspessite del docente.
    «Prima vi intrufolate in un edificio abbandonato, ora nella piscina di un altro istituto!» continua l’uomo di mezza età, ignorando le loro scuse. «Diamine. Per fortuna che hanno deciso di minimizzare l’accaduto e di non sporgere denuncia.»
    Rimane zitta, pensando al perché i suoi amici siano stati beccati in un edificio abbandonato. Allora forse è divenuta un’abitudine, trovarsi dove non devono.
    È in piedi accanto ad Amakata-sensei; vorrebbe intervenire nella conversazione, spiegando il tutto e scusandosi anche lei – in fondo, era lì con loro. Dà qualche colpetto di tosse per attirare l’attenzione ed evitare così che il professore possa inveire ancora contro i suoi amici.
    «Sensei.» Sorride imbarazzata, consapevole di essere dalla parte del torto, ma comunque ostinata nel cercare di mettere una pezza a colori. «Non deve prendersela solo con loro. La colpa è anche mia.»
    L’uomo la fissa sbalordito, mentre si alza in piedi e le va incontro, afferrandole le mani con fare protettivo. «Hoshino-san, la colpa non è tua. Sono loro che ti hanno sicuramente trascinata in questa situazione. Una ragazza a modo come te, che viene da un istituto di prestigio come…»
    «V-va bene così professore, è davvero anche colpa mia!» interviene, senza dargli il tempo di finire il discorso. Non vuole certo parlarne adesso, di quanto sia una brava ragazza ed una studentessa diligente.
    Alle orecchie dei presenti, tuttavia, risulta evidente come lei tenti di sviare il discorso. La cosa non va affatto bene, si dice, mentre una frase fuori luogo di Amakata-sensei riesce in qualche modo a confondere il docente, che li lascia andare senza ulteriori prediche.
    S’incamminano silenziosi lungo i corridoi; spera davvero che nessuno di loro faccia domande su quanto hanno sentito. Si ricorda di averne parlato con Nagisa, ma è convinta di non aver rivelato nulla di compromettente che possa in qualche modo insospettirlo. Ma, come ben sa, Haruka e Makoto sono un’altra storia.
    Mentre cammina non si accorge di aver distanziato gli altri di qualche metro; rimane in attesa ad aspettarli. Haruka è il primo a raggiungerla, mentre gli altri due sono rimasti indietro, catturati dalla parlantina frenetica di quella ragazzina incontrata qualche giorno prima sulla collina.
    «Andiamo» lo sente dire, mentre l’afferra per un polso e la invita a camminare insieme a lui.
    «Ai» si limita a rispondere, assecondando la sua andatura svogliata.
    Rimangono in silenzio per un po’ di tempo. Per strada, a quell’ora del pomeriggio, non c’è mai nessuno. La tranquillità di quel momento della giornata l’è sempre piaciuta, ma godere di quella pace insieme al corvino è tutta un’altra storia.
    Ora che sono soli vorrebbe fargli tante di quelle domande da stordirlo, eppure quando finalmente trova la forza per iniziare a parlare, sente la voce di lui giungerle all’orecchio. «Dove sei stata?»
    È una domanda semplice e precisa, esattamente come quelle che è solito fare. Ammette d’essersi trovata spiazzata più di una volta, in passato.
    «In Francia.» A domanda diretta, risposta diretta.
    «Per fare cosa?»
    La brezza fredda le attacca il viso, obbligandola a chiudere gli occhi per qualche istante. Quando li riapre, Haruka la sta fissando.
    «Che c’è? Ho qualcosa in faccia?»

    Il corvino sospira, distogliendo lo sguardo. «Rispondi e basta.»
    «Non che dovessi proprio fare qualcosa» borbotta, mentre i suoi occhi si puntano a fissare il rosso di un semaforo che sembra non volerli far passare. «È stata mia madre. Ha deciso così.»
    «E allora perché non mi hai detto che te ne andavi?» Giurerebbe di vedere un leggero rossore proprio sotto i suoi occhi mentre le pone quella domanda.
    Si sente un po’ a disagio, al pensiero di non riuscire ancora a dirgli tutto. Però in fondo lui è Haruka… magari a lui potrebbe dirla, la verità. Si blocca, puntando i piedi e con la mano ben stretta attorno alla tracolla che porta ciondolante sulla spalla. «Perché non lo sapevo.»
    Sa che è giusto così, sa che tra tutti lui sia l’unico che non potrebbe mai giudicarla. Il delfino è fatto così, quando è con lui sente di non dover mai dare spiegazioni, nonostante adesso le pretenda. Si chiede se non abbia sofferto, per non averla più vista.
    «Ne, Nanase-kun.» Gli afferra maldestramente un lembo della giacca, costringendolo a fermarsi. «Hai smesso di nuotare davvero?»
    La terrorizza l’idea che quella voce possa essere fondata. Il panico che prova all’idea di non poterlo più vedere nuotare le riempie il cuore di angoscia. Ha lo sguardo chino e non accenna minimamente a guardarlo: ha improvvisamente paura che quel silenzio sia un monito per ricordarle di non immischiarsi in affari che non le riguardano.
    Vorrebbe dirgli che va tutto bene, che anche se ha smesso c’è sempre un buon motivo per ricominciare – ma certo, lo dice proprio lei che neanche ricorda perché nuota.
    «Io» continua, sapendo che il corvino non le risponderà. «Io adoro il modo in cui nuoti. Non sopporterei l’idea che tu… che tu…»
    È così stupida che le viene da piangere. Vorrebbe continuare a parlargli, ma il groppo in gola non riesce più a sciogliersi. Sente le labbra tremare ed il cuore mancare il battito man mano che ripensa a tutto ciò che ha visto la sera precedente. Non può aver smesso di nuotare. Non lui. Non Haruka.
    Si preme una mano contro la bocca, per evitare che possa sentirla singhiozzare. Cerca di togliersi una lacrima che le scende lungo la guancia con la manica della divisa scolastica, ma prima che il tessuto possa dissipare via quell’improvvisa tristezza, la mano del delfino è già lì, e con il pollice asciuga via il piccolo rivoletto che le solca lo zigomo.
    Quando alza lo sguardo, le due iridi blu la stanno già aspettando. Si tuffa sconvolta tra le sue braccia, certa che lui non sbaglierà la presa.
    «Scusa!» strepita infine, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio. «Io non voglio che smetti di nuotare! Non voglio che lo fai, voglio continuare a vederti, voglio continuare a gridare il tuo nome, Nanase-kun!»
    Haruka rimane assorto ad ascoltare il piagnisteo della ragazza; è appagato nel vederla finalmente così vicina a sé, spaventata e tremante, mentre gli sputa addosso tutta la paura che prova, e l’ansia, e il dolore. Sorride impercettibilmente, serrando la presa attorno alla sua piccola vita e posando la testa sulla sua bella chioma bionda.
    «Ohi, baka» le sussurra infine, interrompendo di colpo il fiume in piena dei suoi discorsi senza senso. «Se continui così, farai girare tutta Iwatobi.»
    Con il volto immerso nel calore del suo petto, Mizuko si guarda intorno circospetta, poi torna con lo sguardo gonfio e ancora lucido a fissare quello divertito del delfino. «Bugiardo! Qui non c’è nessuno!»
    Gli occhi di Haruka brillano di un’insolita luce; è qualcosa che va ben oltre il vacuo senso di felicità che prova quando è in acqua. È più profondo e terribilmente più dolce: è la serenità della normalità, il sapere che lei è di nuovo lì con lui e che si comporta esattamente come ha sempre fatto, come la bambina che è stata, che è ancora.
    S’inebria del dolce profumo dei suoi capelli, tranquillizzandosi all’idea che lei non riesca a vedere quanto il suo sguardo sia rilassato. «Mizuko.»
    «Ai.»
    Sorride, con le labbra premute contro la sua pelle morbida. «Rimani.»
    Non gli importa di altro, al momento. Vuole strapparle l’insana promessa di non andarsene più, perché gli si squarcia il petto al solo pensiero di perderla nuovamente. Non vuole, è una cosa a cui non può sopravvivere.
    Rimani con me, vorrebbe dirle, se ne avesse il coraggio. Rimani per me.
    La sente aggrapparsi alla sua camicia, affondando il volto nell’incavo del suo petto, mentre parte dei capelli dorati s’intreccia all’ebano dei suoi.
    «Non mi lasciare più.» Lo dice con una tale spontaneità da non riuscire neppure a sorprenderlo. Da lei se l’aspettava una richiesta assurda come quella.
    Trattiene a stento una risata. È inutile. Con lei proprio non riesce ad essere l’indifferente di sempre. Dipenderà dal fatto che puntualmente, ogni volta che prova a trattarla come se fosse una persona qualsiasi, Mizuko se ne esce con qualche frase assurda e senza senso. Le stesse frasi di tutte le volte, quelle che l’hanno indissolubilmente legato a lei fin da quando l’ha vista cadere dal blocco di partenza il primo giorno che l’ha incontrata.
    Lo sa; resistere a quell’emozione, per quanto assurda sia, è del tutto inutile. Il suo cuore, quando è con lei, batte più velocemente. Chissà se riesce a sentirlo in questo momento.
    «Perché?» domanda infine, immergendo il volto nel fitto dei suoi capelli e inspirando tutta l’aria che riesce a far entrare nei polmoni. «Perché devi essere così?»
    La vede alzare il capo, confusa. «Così come?»
    Haruka sorride, mentre il suo sguardo inizia a tremare, riflesso nelle iridi cangianti della piccola ragazza che stringe in un abbraccio di quelli che non vengono definiti tali, ma che celano l’essenza stessa di un sentimento troppo forte per poterlo esprimere a parole.
    Già, così come? Vi sarebbero una marea di aggettivi che potrebbe attribuirle, ma in quel momento non gliene viene in mente neanche uno per poter descrivere ciò che prova.
    Forse un giorno la troverà, quella parola che vorrebbe tanto dirle. Quella parola che la rappresenta, che appena la pronuncia le viene in mente lei. Chissà se esiste davvero, una parola simile.
    «Vieni a casa mia» le dice infine, privo di malizia.
    Gli occhi ancora umidi della giovane sembrano sorridergli e sente il calore delle sue mani proteggergli il petto dal freddo sempre più aggressivo. Se potesse concedersi ancora del tempo, rimarrebbe in quella posizione ancora per un po’, ma a giudicare dal nasino arrossato di lei il vento è diventato decisamente troppo turbolento.
    «Andiamo?» chiede la compagna, asciugandosi le ciglia umettate. «Prometto di non piangere più.»
    Haruka le accarezza i capelli, stropicciandoglieli delicatamente. «T’inventerai un’altra sciocchezza per potermi abbracciare.»
    Mizuko arrossisce di colpo, portandosi una mano a coprirsi le guance.
    «N-no, non lo farò! Brutto cattivo!» sbotta, incalzando il passo e portandosi un po’ distante da lui.
    Il delfino la osserva da lontano, contemplando il bel quadro che vede dipingersi in ogni istante da quando è tornata. Si sente bene, nonostante l’ombra di Rin continui a perseguitarlo.
    Se sarà brava, forse lei riuscirà a farlo smettere di scappare.





    Non è felice, Mizuko. Per niente.
    O almeno è quello che si dice quando vede apparire sull’uscio della porta di casa Nanase gli sguardi curiosi dei compagni, più un paio di occhi cremisi che tanto ricordano il ragazzo sfacciato della sera precedente.
    «Mizu-chan! Ci sei anche tu!» strilla Nagisa entusiasta, buttandosi tra le sue braccia. Dovrebbe capire di essere ormai troppo grande per credere che il corpo gracilino della giovane sia in grado di sostenerlo. «Pensavamo fossi tornata a casa.»
    L’idea era quella, vorrebbe rispondere, ma si limita a sorridere. «Sì, beh… Haru mi ha chiesto di venire.»
    Si blocca di colpo; da quando lo chiama Haru? Scuote la testa, tirandosi tanti piccoli schiaffi sulle guance; mentre Nagisa la fissa sbigottito, Makoto le si affianca, sfiorandole la testa con la mano. Conosce la ragazza abbastanza da sapere che non si perdonerebbe mai se le scappasse un’altra volta di chiamarlo per nome. A volte il suo essere così rispettosa è quasi troppo formale.
    «Dov’è Haru?» le chiede, ignorando la sua piccola sceneggiata. «Dobbiamo parlargli di una cosa molto importante.»
    Mizuko fa un cenno con la mano. «È a farsi un bagno.»
    E adesso si ritrova incastrata in una situazione terribile, nella quale i suoi tre amici stanno discutendo animatamente al piano superiore, mentre lei è vittima del sorrisetto falso della ragazza che le sta di fronte. No, decisamente non riesce a sopportarla, neppure quando non parla. È ovvio che sia un’antipatia di pelle, nonostante ammette di non capire il motivo preciso per cui non riesce a farsela andare a genio – anche se, ad essere onesta con se stessa, non ricorda di aver mai avuto delle amiche vere.
    Vorrebbe chiederle alcune cose su suo fratello; per esempio, perché diavolo sia così incazzoso. Si rende conto che potrebbe tranquillamente mandarla al diavolo, se ponesse la sua domanda in maniera sbagliata. Non trova una scappatoia e si sente un po’ in trappola, almeno fino a quando gli altri ragazzi non fanno capolino dalla porta del corridoio.
    Tira un sospiro di sollievo; non dovrà confrontarsi con una ragazza di cui non vuole sapere niente, e questa è davvero una cosa fantastica, si dice, mentre continua a fissarla. Lei non sembra guardarla, ma sembra aver posto l’attenzione su altro. Si volta a fissare i ragazzi e le parole le muoiono in gola.
    «N-Nanase-kun!» sbraita, mentre arrossisce lievemente. «Ma p-perché sei nudo?»
    Il delfino non fa in tempo a rispondere; vede l’attenzione della ragazza rivolta alla figura che si è voltata di spalle non appena l’ha visto. Sembra una ragazza della stessa età di Mizuko, con lunghi capelli rossi avvolti in una folta coda.
    La giovane nuotatrice si chiede subito il perché di tanta vergogna. In fondo è solo un ragazzo nudo, una cosa normale da guardare. Per certi aspetti, l’atteggiamento imbarazzato della ragazza che le sta accanto la indispettisce, cosa che sembra peggiorare nell’esatto momento in cui la vede portarsi un indice alla bocca, vittima della perfezione anatomica del corvino che, incurante di tutto, si sta togliendo l’acqua in eccesso sulle braccia con un asciugamano.
    Potrebbe ammazzarla, si dice. In fondo, è una ragazzina come tante altre nel mondo. Non importerebbe a nessuno, o almeno si convince che sia così.
    Il suo sguardo oscuro viene colto dal placido Makoto, che le afferra un braccio, trascinandola al suo fianco.
    «Cerca di non ucciderla» le sussurra, facendosi scappare una risata. «A quanto pare è l’unico modo che abbiamo per avvicinarci a Rin.»
    Perché dovremmo avvicinarci ancora a Rin? Vorrebbe domandare, ma si rende conto di trovarsi nel contesto sbagliato. Non c’è tempo, adesso, per discutere di una cosa tanto futile come quella.
    «Ah, già» interviene Nagisa, salvandoli da un certo imbarazzo. «Haru non era con noi l’altra volta.» Il biondino fa un cenno con la mano verso l’ospite. «Lei è la sorella minore di Rin.»
    «C-ciao» risponde Gou, con la vocina sottile. «Da quanto tempo.»
    «Matsuoka…» fa Haruka, ignorando il rossore sulle guance della giovane. Cerca di ricordarsi la pronuncia esatta del suo nome. «… Kou.»
    «Sì!» risponde la ragazza, entusiasta che qualcuno l’abbia denominata col nome con il quale preferisce sentirsi chiamare. «Mi scuso per il comportamento di mio fratello.»
    Scusati per il tuo, di comportamento, vorrebbe gridarle addosso la bionda, fulminando di sottecchi gli occhi trasognanti della giovane che le sta seduta accanto.
    «Tranquilla» le risponde il ragazzo, indossando una felpa. Non sembra troppo coinvolto dal discorso accorato della piccola Matsuoka, mentre s’annoda un grembiule da cucina attorno alla vita per avviarsi ai fornelli col suo solito atteggiamento svogliato.
    «Ah, se prepari il thè, ho anche dei calamari da mangiarci insieme» gli dice Makoto, alzando la voce affinché possa sentirlo.
    Nagisa non sembra entusiasta all’idea. «EH!? Ma il cioccolato è decisamente meglio!»
    «Allora faccio lo sgombro e vi accontento entrambi» asserisce infine il ragazzo ai fornelli, afferrando una padella da sotto il piano cottura.
    «Beh, “accontento” mica tanto!» si lagna il biondino, buttandosi sulla spalla dell’amica. «Mizu-chan! Diglielo tu!»
    Haruka si blocca, voltandosi a fissarla. È chiaro che stia aspettando una sua conferma e la cosa, sotto certi aspetti, la gratifica più di quanto si aspettasse. Si è detta che avrebbe dovuto sembrare più normale nei confronti del corvino quando ci sono anche gli altri, ma quel blu che la guarda è come un fiume in piena per il suo cuore, che non riesce affatto a controllare.
    «E-ehm…» cerca di dire, schiarendosi la voce. «Effettivamente a me piacciono i calamari.»
    Ma che cazzo dico!? I calamari, con il thè!? Pensa, mentre l’ombra di un sorriso appare sul volto rilassato del delfino, che si volta non concedendo a nessuno quella rara visione.
    «Meglio che ti aiuti!» sbotta infine Nagisa, avvicinandosi ai fornelli.
    Mizuko tira un sospiro di sollievo, mentre Gou sofferma lo sguardo su quello che ha tutta l’aria di essere un trofeo datato, posto accanto al chabudai[1]. «Ma questo…»
    La rossa non riesce neppure a concludere la frase che il dorsista le sorride, portandosi una mano a grattarsi la nuca. «È il trofeo che abbiamo vinto tempo fa. Rin ci ha detto che non gli serve più.»
    La giovane Matsuoka avvicina la mano ad una fotografia lasciata lì vicino, afferrandola con le dita sottili.
    Non sono affari miei, pensa distrattamente la nuotatrice che le sta accanto, ma ignorando completamente il flusso dei suoi pensieri butta un occhio, convincendosi che non stia facendo nulla di male. Quando assottiglia lo sguardo, riesce a vedere distintamente i tre amici e un bambino che ricorda in tutto e per tutto il ragazzo scontroso della sera prima; si stringono in un abbraccio vittorioso, con le medaglie al collo e Rin che stringe tra le mani il trofeo del primo posto.
    «State tutti ridendo…» sussurra triste la giovane sorella dello squalo, ricordando i bei tempi in cui il fratello ancora ricordava come si sorride.
    «Beh, tranne Haru, in realtà» fa notare l’orca, sorridendo gentile.
    Mizuko sofferma lo sguardo sul bel bambino che ricorda con tanto affetto, rimanendo colpita dal suo viso. Non è affatto come dice Makoto, si dice. Solo guardando quella foto riesce a sentirlo, quanto sia stato felice quel giorno. Le sue guance arrossiscono, mentre i ricordi della piscina Iwatobi le tornano alla mente freschi e pieni di dolci sentimenti.
    «Ma lui in cuor suo sorride sempre.» La frase esce sbadatamente dalla bocca del biondino che ha portato loro le tazze colme di thè. Mizuko pensa per la prima volta che Nagisa abbia fatto davvero centro: non avrebbe saputo descrivere meglio Haruka di come non abbia fatto lui con quell’asserzione.
    Gou ride, dimenticandosi per un istante della malinconia che si porta addosso. «Così lo fai sembrare una persona brutta e cattiva!»
    Al contrario, vorrebbe rispondere, ma qualcosa nello sguardo cremisi che le sta accanto la fa desistere dall’intento di screditarla ulteriormente. S’accorge di non riuscire affatto a provare empatia per quella ragazza e la cosa sembra destabilizzarla più di quanto non dia a vedere; è sempre stata molto fiera della facilità con cui riesce a leggere le persone, ma lei – così come il fratello – le appare molto più distante di quanto non abbia creduto la prima volta che l’ha vista. Forse è per questo che crede di non sopportarla; è frustrante pensare di non riuscire a leggerle addosso la storia della sua vita.
    Si alza impensierita, avvicinandosi ai fornelli. «Serve una mano?»
    «Sì, passami i calamari» le risponde Haruka, poi s’avvicina al suo orecchio, abbassando il tono della voce. «Visto che gli sgombri non ti piacciono.»
    Gli tira una gomitata amichevole, trattenendo una risata, mentre nel piccolo salottino Nagisa, Makoto e la Matsuoka intraprendono una conversazione su Rin dai toni decisamente alti.
    «Allora, è la prima volta che Rin torna in Giappone?» chiede l’orca, cercando di fare conversazione.
    «Eh? Veramente è tornato ad ogni Capodanno.» La confessione di Gou sembra turbarli, come dimostra lo sguardo agitato del giovane nuotatore a rana.
    «Perché non ce l’ha mai detto?» domanda, sconvolto.
    La nuotatrice non riesce affatto a capire come mai quella risposta li inquieti in quel modo; avverte l’improvvisa tensione del corpo che le sta a fianco: è tranquillo come al solito, ma se posa l’attenzione sul suo sguardo, le sembra subito che stia tremando. Nonostante la penombra non le permetta di focalizzare il suo viso, Mizuko è certa d’averlo sentito trattenere il respiro per qualche istante.
    Si è sempre sentita inutile, quando anche in passato lo vedeva in quello stato: solo, indifferente e completamente senza difese. Si rimprovera per non essere in grado d’intervenire neppure adesso, mentre il ricordo del vecchio amico lo ferisce, ma cosa può farci lei, se neanche conosce la radice di quel male? Vorrebbe gridargli di smetterla d’essere così impassibile e di concedersi d’essere un po’ più umano almeno sotto quel punto di vista. Lo vorrebbe tanto.
    Si volta a guardare Makoto, certa che abbia sussurrato il nome dell’amico. Quando incrocia il suo sguardo, capisce quanto anche lui sia preoccupato per quella faccenda.
    È come vedersi riflessa in uno specchio.
    Un grande, immenso specchio che riflette nel castano tutte le preoccupazioni che assillano anche lei, senza però la certezza di poterle risolvere.





    «Visto che siamo tutti d’accordo, ho preso il modulo per la formazione del club!»
    Mizuko rimane imbambolata, con il boccone a mezz’aria che le cade distrattamente dalle bacchette. È certa di aver sentito male. «Co-come?»
    I tre amici la fissano, sorridendo tra di loro; per qualche motivo, è convinta che di lì a poco possa scoprire qualcosa di scioccante.
    «Ragazzi» continua, riacquistando il controllo di sé. «Spero vivamente che non stiate combinando nulla di stupido.»
    «È solo un club» sbotta Nagisa, buttandosi sulle sue spalle. «Non fare la bacchettona!»
    Haruka lo strattona via, irritato. È inutile, da quando Mizuko è tornata il biondino non riesce a staccarsi da lei; deve ammettere che la cosa lo indispettisce un po’, specie perché lui ha tanto tempo da poter passare con lei, comprese le lezioni e l’ora di educazione fisica. «Ohi, Nagisa. Cerca di spiegarle meglio.»
    «Ai!» risponde entusiasta il giovane nuotatore, ricomponendosi. «Dunque… Abbiamo deciso di aprire un club di nuoto.»
    «Eh?!» Il suo stupore è del tutto lecito, ma sembra non sorprendere affatto gli altri due ragazzi, che continuano a consumare tranquillamente il loro pasto.
    Nagisa continua, ignorando la sua incredulità. «Dunque, vediamo…» Osserva il foglio che stringe tra le mani. «Lo scopo di questo club è di allenare mente e corpo tramite il nuoto e migliorare la nostra esperienza scolastica.»
    Mizuko sospira, ormai consapevole di non essere in grado di fermare in alcun modo l’entusiasmo senza freni dell’amico. Lo fissa di sbieco, schiaffeggiandosi il viso per non essere stata in grado d’accorgersi prima del suo progetto senza speranze. «Nagisa.»
    «Sì, Mizu-chan?»
    «Credi che basti questo per approvare un club?» gli chiede, strappandogli di mano il foglio ed osservando minuziosamente le diciture.
    «Devo aggiungere altro?»
    La ragazza si volta verso Haruka, che fissa quella scenetta senza dire una parola, poi verso Makoto, che mastica tranquillamente un boccone di riso bollito. «Non avete da dirgli niente, voi due?»
    «Cosa dovremmo dirgli?» Makoto sorride, pulendosi il contorno delle labbra dai chicchi bianchi. «Nagisa è quello più informato.»
    Haruka si limita a fare spallucce. Perfetto. È ovvio che debba aiutarlo lei, nonostante non le abbia chiesto ancora niente.
    Sospira, sconfitta. «Per prima cosa devi specificare la motivazione principale per la quale vuoi aprire il club. Hai qualche idea migliore di quella di prima?»
    Nagisa la fissa, senza capire.
    «Non saprei» continua Mizuko, cercando di spronarlo. «Avete intenzione di partecipare a delle gare?»
    «È un po’ presto per dirlo, no?» domanda il castano, improvvisamente incuriosito dalla piega che quella conversazione sta prendendo.
    Mizuko sbuffa, infastidita. «Certo che no. Se scriviamo che lo scopo del club è quello di competere a livello agonistico, i risultati potrebbero portarci ad ottenere più fondi, i quali potrebbero essere impiegati per i più svariati motivi – attrezzature, costumi, persino per le trasferte fuori porta.»
    «Potrebbero portarci?» Nagisa la fissa con sguardo malizioso. «Ti unirai anche tu al club, vero Mizu-chan?»
    È certa di riuscire subito a replicare dandogli picche, ma prima di rispondere il suo sguardo cerca quello blu di Haruka, già in attesa d’incrociare i suoi occhi. Il corvino la fissa intensamente, con uno strano luccichio che gli riempie le iridi cerulee. «Dovresti farlo.»
    Chissà perché, ma non riesce a pensare di contraddirlo. È la stessa sensazione di sempre, quella che pone il delfino su un piano più alto rispetto agli altri e che la rende incredibilmente fragile in sua presenza. China lo sguardo, cercando di non apparire troppo imbarazzata. «M-ma non vedo come potervi aiutare, pur iscrivendomi.»
    «È facile!» sbotta Nagisa, che vede nell’intervento di Haruka la possibilità di coinvolgere l’amica. «All’inizio ci saranno quattro membri: Mako-chan sarà il capitano.»
    «Aspetta» lo ferma il castano, confuso. «Non dovrebbe essere Haru, il capitano? È il più veloce tra noi, in piscina.»
    «Sì, ma qui la velocità non c’entra. Ogni persona è portata per qualcosa» spiega il biondino, mentre l’orca immagina la scena esilarante del corvino che sbraita ordini ai suoi sottoposti. Decisamente poco credibile.
    «Haru-chan sarà il vicecapitano!» continua imperterrito Nagisa.
    «Ohi» lo interrompe il prodigio, irritato. «Non decidere per me.»
    «Dai! Il titolo di vicecapitano in realtà non implica alcuna responsabilità, perciò non preoccuparti» cerca di consolarlo Nagisa, poi, voltandosi verso la ragazza: «Io sarò il tesoriere e tu, Mizuko, sarai la nostra coordinatrice.»
    «Coordinatrice?» ripete la ragazza, non capendo cosa le voglia dire l’amico.
   «Assolutamente.» Nagisa le afferra un braccio con entrambe le mani, scuotendola entusiasta. «Sarai impegnata in molte cose: dalla scelta degli orari per gli allenamenti, all’agenda, al rendimento settimanale di ogni esercizio, sarà divertente!»
    «Per te, forse!» sbraita la bionda, in preda ad una crisi di nervi. «Ti rendi conto che razza di lavoro mi stai affibbiando?»
    Il compagno s’imbroncia, guardandola di sottecchi. «Sei tu quella brava in queste cose, Mizu-chan. Immagina uno di noi tre a ricoprire un tale ruolo. Come pensi che possa concludersi?»
    Lei sospira, convinta che anche se provasse a rinunciare ad un incarico simile, Nagisa gliela farebbe pagare per il resto della sua misera vita. China il capo, alzando le mani in segno di resa, mentre il giovane nuotatore si sporge per saltarle al collo dalla gioia.
    Haruka rimane a fissare quella scena, chiedendosi per quale motivo sia così innervosito dal fatto che il pinguino sia sempre appiccicato a lei. Non è da lui irritarsi senza un vero motivo, eppure si sente male ogni volta che la vede anche solo sorridere a qualcun altro che non sia lui. Perché mai? In fondo, anche Makoto e Nagisa sono suoi amici.
    Non dovrebbe importargli, si dice, mentre la parte più inconscia di lui vorrebbe che il ragazzo dagli occhi rosei s’allontanasse da lei in quel preciso istante. Quel desiderio che ha di poterla avere per sé diviene ben presto più urgente, e con sguardo accigliato si ritrova a fissare il suo cestino da pranzo ormai vuoto.
    Un’idea, seppur piccola, gli balena nella testa.
    Potrei invitarla a mangiare da me, pensa, ignorando completamente il brusio di sottofondo che sente provenire dalle voci del piccolo gruppo. Sorride, mentre immagina quali piatti poterle preparare, dopo tanto tempo che è stata lontana da casa.
    Sì, una cena. Soltanto io e lei.




NOTE:

[1] Tavolo a gambe corte, usato nelle case giapponesi tradizionali.
  
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