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Autore: Angel TR    09/09/2019    2 recensioni
Storia di una sottomessa ribelle.
Loro ti vogliono forte ma sottomessa, al loro servizio. Io ti voglio libera e potente, Kazumi.
Meglio Eva o Lilith?
Chi vuole essere Kazumi Hachijo? Il problema è che non sarà lei a scegliere.
{Storia partecipante alla Challenge "Pagine di una storia infinita" indetta da Molang su efp}
{Partecipa anche alla Sfida delle Parole Quasi Intraducibili indetta da Soly Dea su EFP}
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altro Personaggio, Heihachi Mishima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ultraviolence'
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Partecipa anche alla Challenge indetta da Soly_Dea con la parola Jijivisha: il forte ed eterno desiderio di vivere e continuare a vivere.

8. Han'nya

Tre anni erano passati dalla visita del demone Akuma.
Tre anni erano passati e, ogni capodanno, ogni anniversario del matrimonio di Kazumi, ogni evento era scandito da visite o biglietti eloquenti che minavano la sua serenità.
Tre anni erano passati ed Heihachi Mishima era cambiato.
Tre anni erano passati e suo figlio Kazuya già mostrava i segni di una forza sovrumana persino superiore a quella del padre.
Tre anni erano passati e Kazumi aveva segretamente ripreso a comunicare con la demonessa dentro di lei.

Tre anni erano passati e Kazumi ormai credeva ciecamente alla profezia del clan Hachijo.

Quella sera, Heihachi Mishima rincasò più tardi del solito, il puzzo dell'alcol che annunciava il suo ingresso. «Kazumi! Luce dei miei occhi! Da oggi siamo la famiglia più potente del Giappone! Dammi qualche anno e diverremo la più potente sulla faccia della Terra, te lo giuro» affermò prima di scoppiare in una risata.

Kazumi sollevò lo sguardo da suo figlio che giocava insieme a Katei e rabbrividì. Gli occhi neri di Heihachi brillavano di una luce folle, la sua bocca era aperta in un ghigno malefico e la sua figura sembrava come cresciuta da un'aura di potere che, se non fosse stato per la fiducia ritrovata nel Gene Devil, avrebbe atterrito Kazumi.
Negli ultimi anni, il possesso della Mishima Zaibatsu, l'azienda dell'omonimo clan, era diventato il pallino fisso di Heihachi, tramutandosi in un'ossessione che l'aveva lentamente incattivito. Kazumi lo sorprendeva spesso a blaterare e organizzare piani volti a liberarsi del padre, Jinpachi Mishima, un signore saggio che Kazumi apprezzava e stimava sinceramente.

Le parole di Heihachi potevano voler dire una sola cosa.

«Cosa vuoi dire, marito? Tuo padre ti ha lasciato l'azienda?» iniziò a indagare cautamente Kazumi, alzandosi per apparecchiare la tavola, un gradito contrattempo che le permetteva di evitare lo sguardo folle di Heihachi oltre che a metabolizzare con calma le informazioni.
Voltò le spalle all'uomo per afferrare un paio di piatti dalla mensola.

Un'altra risata profonda. «Il vecchio non sarà più un problema» rivelò, sedendosi.

Kazumi lasciò cadere un piatto eppure quello non si ruppe mai.

Sono qui, Kazumi, sussurrò una voce ormai amica.

Kazumi trasse un respiro prima di ringraziarla mentalmente.
Fece un paio di smorfie per rilassare il volto prima di girarsi per fronteggiare suo marito. «In che senso?» chiese mentre sistemava piatti e bicchieri, fingendosi poco interessata alla sorte del signor Mishima.

Heihachi afferrò un bicchiere, facendo scorrere un pollice sul bordo. «L'ho rinchiuso dove non potrà mai più uscire» affermò in un sussurro soddisfatto. Il tono della sua voce era così inquietante che lo spirito in Kazumi sibilò.
In quel momento, il piccolo Kazuya sollevò gli occhi verso il padre, come per approvare il suo piano, e lei trattenne il fiato.

Avevano la stessa, identica espressione.

*

Per la prima volta, quella notte, Kazumi avrebbe voluto rifiutare le attenzioni di Heihachi. Era ben cosciente di essere stata fredda e assente ma il pensiero della veridicità della profezia degli Hachijo era un peso opprimente che non le permetteva di amare suo marito.
Scivolò fuori dalle lenzuola con discrezione e, in punta di piedi, si diresse verso la porta di casa. Katei sollevò la testa, osservandola incuriosita, e, al suo gesto di seguirla, si alzò immediatamente.
Con passo felpato, donna e tigre uscirono nella gelida notte invernale.
Katei sembrava avvertire la sua inquietudine e strofinava la grossa testa sulla sua coscia per attirare la sua attenzione. Kazumi le rivolse un sorriso nervoso e le grattò dietro l'orecchio.

«Pensi che sia pazza, Katei? Devo provarci. Non so nemmeno se ha un senso quello che sto facendo ma devo provarci. È per il futuro dell'umanità» bofonchiò, inoltrandosi nella foresta alle spalle della residenza.

Quando giunse in un punto che ritenne abbastanza lontano da casa, trasse un profondo respiro e chiamò a raccolta la demonessa.
La trasformazione la travolse e Katei le saltò addosso, una grossa zampa sulla bocca per attutire le sue grida.
Le fece le fusa quando la sua pelle virò al bianco cera e le corna sbucarono ai lati della testa. Fu il suo sostegno mentre Kazumi cercava di rimettersi in piedi. Non era un buon segno, quello: significava che aveva ancora bisogno di tempo.

Purtroppo, il tempo mancava.

Tese le braccia e strinse i denti. Dalla sua bocca uscì un getto caldo di fiamme luminose che avvolsero il tronco di un albero. Le sfuggì un ansito, quasi stesse lottando contro un avversario particolarmente pesante, e il puzzo di fumo si fece più forte, più opprimente. Rivoli di fumo le sfuggirono dal naso e un spruzzo di scintille si riversò dalla sua bocca quando, a denti stretti, sibilò un nome.
«Akuma».

Si infilò nuovamente nel letto verso le quattro e mezza del mattino. Heihachi ronfava ancora sereno e Kazumi non poté evitare al proprio sguardo di soffermarsi su di lui. Persino mentre dormiva, Heihachi metteva soggezione.

E noi faremo in modo che dorma per sempre.
Kazumi sollevò la testa per incontrare i suoi occhi, rossi come il sangue degli uomini, allo specchio. Le rivolse un sorriso.
Certamente, rispose. Abbiamo un valido alleato, aggiunse, soddisfatta, prima di concedersi un meritato riposo.

*

Il piccolo Kazuya applaudiva mentre ammirava i suoi genitori allenarsi insieme. Ogni tanto scattava e imitava le loro mosse con una naturalezza tale da lasciar intravedere il lottatore prodigio che sarebbe diventato.
Kazumi evitava di guardarlo: il pensiero di quello che sarebbe dovuto succedere di lì a poco era insopportabile e lei non poteva lasciare che suo figlio – o, peggio, suo marito – la vedesse piangere.
Come posso fare questo alla mia famiglia?, si chiese, terrorizzata da se stessa e dalle azioni dei giorni passati. Come ho potuto assumere un demone come assassino nel caso io fallissi?
La demonessa in lei parve carezzarle il viso in un tentativo di consolarla.
Negli ultimi tempi era tornata a rivolgerle la parola e sembrava quasi operare sulla sua mente per rilassarla, distrarla, ricordarle quanto fossero vicine a compiere la loro missione, a essere completamente libere. Le ricordava che nessuno l'avrebbe mai amata come lei perché lei era se stessa.
Kazumi a volte provava compassione per quello spirito: sembrava essere così disperata, sembrava anelare così tanto l'affetto e l'approvazione di Kazumi perché in fondo era sola. Poi ricordava che quello era il Gene Devil e nessun essere del genere poteva provare gli stessi sentimenti degli umani.

Eppure hai curato Akuma, sussurrò la demonessa.

Kazumi sobbalzò, sorpresa come un bambino colto con le dita nella marmellata.
Lo spirito parò un colpo per lei. Concentrati, giovane Hachijo.
E Kazumi si concentrò.

«Continui a migliore, Kazumi. Io e te insieme saremo inarrestabili. E, quando Kazuya avrà l'età giusta… » una risata eruppe dalle sue labbra e riecheggiò nella sala.

Fu allora che Kazumi collassò.

Distinse i contorni della figura di Heihachi che si avvicinava, il viso distorto dalla paura, per scrollarla, chiamare il suo nome. Sentì che la sollevava, che l'adagiava sul letto. Sentì una pezza bagnata sulla fronte.
Più di tutto, sentì la rabbia del Gene Devil ribollire, pronta all'attacco. Era quella la causa della sua febbre improvvisa.

Sotto gli occhi sconvolti di Heihachi, Kazumi si sollevò a sedere e gli artigliò il viso, affondando le unghie nelle carni tenere. Dopo l'iniziale momento di sorpresa, tuttavia, l'uomo riuscì ad allontanare le sue mani dal viso senza troppa fatica, afferrandole i polsi.

Kazumi svenne di nuovo. Al suo risveglio, disse di non ricordare nulla.

Questo scontro va pianificato bene, Kazumi. L'umano è forte, molto potente, e tu sei offuscata dai tuoi sentimenti per lui. Non so come andrà a finire.

*

Kazumi non aveva dormito tutta la notte.
Il pensiero di ciò che stava per compiere quella giornata l'aveva tenuta sveglia, tutti i sensi all'erta.
Erano passati sei anni da quando si era sposata con Heihachi e il clan Hachijo ancora chiedeva il sangue non era stata in grado di versare. Respirò profondamente. Quel giorno, la sua famiglia di origine avrebbe finalmente ottenuto quello che voleva.
Si voltò lenta verso suo marito che dormiva, il petto possente che si alzava e abbassava dolcemente.
Quel giorno, Kazumi avrebbe portato a termine la missione del suo clan: Kazumi Hachijo avrebbe posto fine alla vita di Heihachi Mishima.

«È ora che tu vada a scuola, Kazuya» intimò Kazumi, la voce bassa ma ferma. Con un'ultima carezza, lo lasciò nelle mani della maestra.
Osservò la sua piccola schiena che si allontanava e, per ogni passo del bambino, una nuova lacrima le rigava le guance.

Cosa avrebbe pensato di lei? Cosa avrebbe pensato della mamma assassina?
Era vero, Kazuya era più affezionato a lei che al padre ma questo non significava che non lo amasse e rispettasse profondamente. Era lui che aveva preso il posto del nonno Jinpachi come mentore del piccolo.

Heihachi ha rinchiuso suo padre in una cella a morire di stenti, le sussurrò la voce amica.

Quel pensiero fece serrare i pugni di Kazumi, finché le unghie non affondarono nei palmi.
Che razza di figlio faceva questo nei confronti di un padre premuroso e presente? E che razza di padre poteva diventare poi quel figlio?
Hai ragione: va eliminato, rispose.

Percorse la strada che conduceva a casa molto lentamente, il cuore le batteva forte nel petto, il respiro le usciva strozzato dalla bocca.
Non era sicura di farcela: aveva visto di cos'era capace Heihachi.
Ancora non hai visto di cosa siamo capaci noi, le ricordò lo spirito, eccitato al pensiero della battaglia.
Mi macchierò comunque di un crimine orrendo. Come andrà, andrà, sarà una mattina di sangue, pensò Kazumi.

E lei non voleva proprio morire.

Non ora che aveva un figlio, non ora che aveva finalmente ritrovato la sua libertà, non ora che aveva accettato il Gene Devil, non ora che poteva essere se stessa.
Non ora che aveva trovato qualcuno che l'amasse.
Quel qualcuno, però, rappresentava un pericolo per l'umanità. Rammentò la risata soddisfatta e profonda come un pozzo senza fine che era sgorgata dalle sue labbra crudeli quando aveva dichiarato che avrebbero assoggettato tutte le nazioni, lo scintillio nei suoi occhi quando aveva rivelato di aver messo fuori gioco suo padre.

Doveva darsi forza con quei pensieri.
Doveva convincersi che suo figlio Kazuya sarebbe cresciuto e avrebbe compreso il suo gesto.
E, se il destino avesse voluto il suo fallimento, allora a finire la sua missione sarebbe stato il demone Akuma. Kazumi era convinta che lui avrebbe potuto farcela.

Non capisco questo tuo pessimismo. Sei ancora convinta che Heihachi sia superiore alle tue doti da combattente? Questo è quello che ogni maschio vuole farti credere, quello che tuo padre, i tuoi zii e ora tuo marito vogliono. Non soccombere al loro gioco, sfrutta la loro arroganza a tuo vantaggio, sibilò la voce ma Kazumi non concordava in pieno.

No, Heihachi no, ribatté, sicura, alzando lo sguardo annebbiato.
Impiegò qualche secondo per registrare cosa stesse guardando. Davanti a lei c'era l'ingresso di casa. Sapeva che, una volta messo piede, non c'era modo di tornare indietro. Uno dei due non avrebbe visto l'alba del giorno seguente.

Kazumi chiamò a raccolta il potere del diavolo.

Non sarebbe stata lei.
Lei avrebbe visto tutte le albe fino alla vecchiaia, avrebbe visto suo figlio crescere e poi i figli di suoi figlio. Lei sarebbe sopravvissuta.

Varcò l'ingresso.


N/D: l'ultimo e finiamo!

  
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