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Autore: ChrisAndreini    09/09/2019    3 recensioni
[Prima classificata parimerito al Contest " Specchi, ombre e presagi: il doppelgänger II edizione" indetto da Shilyss sul forum di EFP, e vincitrice del premio speciale "Miglior coppia"]
"Jay e Bee avevano 28 anni.
Ed erano entrambi stremati.
Nel corso delle loro brevi e miserabili vite avevano sopportato un considerevole numero di scontri, con esiti molto differenti tra loro ma che portavano sempre allo stesso finale, privo di conseguenze a lungo termine.
Ma quella volta era diverso.
Quello scontro sarebbe stato l’ultimo per uno dei due.
Era questione di istanti. Gli ultimi istanti della vita di uno di loro.
Ma entrambi videro l’intera vita passare davanti ai propri occhi"
Attraverso le parole della canzone che li aveva accompagnati nel corso del tempo
Genere: Introspettivo, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Sovrannaturale
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My eyes

 

Any dolt with half a brain

Can see that human kind has gone insane

 

Jay aveva 19 anni.

Aveva perso leggermente di vista il resto del gruppo al quale era accorpato, e osservava con una punta di divertimento e molto scetticismo un uomo sui cinquanta, in piedi su un palchetto con un megafono in mano, che annunciava la fine imminente del mondo ad un discreto pubblico che per la maggior parte lo derideva. 

-Credetemi, i segni sono tutti lì! Creature onnipotenti capaci di distruggere il mondo. Il fuoco dell’inferno si abbatterà su di noi. L’anno scorso, questo esatto giorno, i laboratori della difesa sono andati in fiamme, ed è solo questione di tempo prima che il piano di Dio abbia compimento. È un’enorme partita a scacchi che non possiamo vincere. Il governo…- il predicatore parlava in tono enfatico, e Jay era uno dei pochi tra il pubblico che seguiva ogni parola.

“Fiamme dell’inferno” era una bella immagine.

Sebbene fosse solo un diciannovenne, Jay sembrava il veterano di una qualche guerra, e per certi versi era proprio così. I capelli rossi erano molto corti. Sebbene li stesse facendo ricrescere già da un anno, si notava che erano stati rasati a zero. Il suo corpo era muscoloso e solcato da profonde cicatrici e parecchie scottature. Ma era lo sguardo coperto da scuri occhiali da sole quello che avrebbe dato via il suo passato a chiunque fosse stato abbastanza attento da osservarlo con la minima attenzione. I suoi occhi erano infatti rosso fuoco, la sclera grigio scuro invece che bianca, ed erano pieni di sofferenza, dolore e al momento una pigra indifferenza che nascondeva la sua bruciante determinazione. 

Jay soffocò l’impulso di togliere gli occhiali da sole ed esordire con un giocoso “Credo proprio che il tipo abbia ragione. In effetti sono la minaccia di cui sta parlando” e godersi le espressioni di stupore e paura sui volti di quei piccoli umani. Lui, ormai, non si considerava più tale da un anno.

L’unica cosa che lo fermò dal rivelare la propria identità ed essere obbligato a scappare nuovamente fu una voce dolce poco distante, che lo richiamò alla ragione in tono impaziente ed eccitato.

-Jay! Che fai? Dobbiamo andare!- lo incoraggiò, facendogli un cenno dal gruppo di visita guidata al quale stavano partecipando entrambi.

-Dammi un secondo, Bee, questo pazzo dice cose davvero interessanti, sto prendendo appunti- commentò, divertito, lanciando un sorrisino di sfida al contestante, che gli lanciò un’occhiata sospettosa prima di continuare a decantare la fine del mondo.

-La parte sulle fiamme dell’inferno è pura poesia- aggiunse poi, con un occhiolino alla proprietaria della voce, che intuì il gesto nonostante fosse coperto dagli occhiali da sole e in risposta alzò gli occhi al cielo.

O almeno, quella era la risposta che Jay pensò avesse dato, perché anche gli occhi della ragazza erano coperti da scuri occhiali da sole.

Ma Jay conosceva la ragazza come conosceva sé stesso, se non di più, e per i due non era difficile intuire le azioni dell’altro.

Dopo l’ipotetico alzare gli occhi al cielo, Bee disse qualcosa al capogruppo, che si era fermato un po’ seccato, e si avvicinò a Jay con determinazione.

-Siamo venuti qui per visitare la città, non per scatenare la fine del mondo- gli disse con rimprovero, a bassa voce -E di certo non per farci beccare- aggiunse poi, sussurrandogli direttamente all’orecchio.

Jay sospirò, e annuì.

-Va bene, hai ragione. Ma gli uomini sono così stupidi, a volte. Così stupidi che ti va quasi di sterminare tutta la specie- sussurrò, con uno scintillio negli occhi.

Bee incrociò le braccia. Sembrava pronta per ribattere con forza, ma si limitò a rispondere in maniera calma e pacata.

-Siamo umani anche noi, Jay- gli sussurrò, in tono rassegnato, già sapendo che era una battaglia persa.

Lui non rispose per un po’. Lanciò un’ultima occhiata all’uomo sul palchetto, e colto da un’idea folle, iniziò a posizionare le dita della mano sinistra come se dovesse schioccarle.

Venne fermato però dalla ragazza, che gli prese la mano e iniziò a trascinarlo verso il gruppo, che aveva iniziato a proseguire ma era fermo a un semaforo.

-Possiamo recuperarli. Sbrigati!- lo incoraggiò. Lui lasciò perdere e la seguì.

Quegli umani erano davvero fortunati, perché vivevano all’inferno, e per il momento c’era davvero troppo poco fuoco.

 

 

To the point where I don't know

If I'll upset the status quo

If I throw poison in the water main

 

Jay aveva 11 anni.

Ormai iniziava a saper padroneggiare le sue stupefacenti abilità, e i mostri del laboratorio erano fin troppo entusiasti della cosa.

Jay non lo era affatto.

Soprattutto perché, da quando aveva imparato a controllare il fuoco a piacere, senza troppo sforzo, i mostri avevano deciso che il prossimo passo della tortura sarebbe stato farlo combattere contro qualcuno.

Cosa che a Jay non dispiaceva più di tanto, a dirla tutta. Avrebbe pagato oro per dare una lezione a Diva, la persona più insopportabile del laboratorio, ma purtroppo non era lei la sfortunata che si sarebbe trovata faccia a faccia con le sue fiamme.

Ma Bee.

La sua unica amica lì dentro e persona più importante della sua vita, con la quale condivideva ogni cosa.

La bassa ragazzina dalla pelle color caramello e i capelli castano scuro calma e gentile che controllava l’acqua a ogni suo stato.

Il perché li avessero messi uno contro l’altro era piuttosto ovvio, dato che erano opposti e quindi era più difficile per uno prevalere sull’altro, ma Jay non avrebbe mai voluto farle del male, neanche per un esperimento.

Eppure eccoli lì, uno davanti all’altro in una sala dai vetri spessi e riflettenti, pavimento e soffitto di acciaio puro e poco spazio di manovra.

Le uniche cose oltre a loro erano una torcia infuocata e un secchio d’acqua.

Ma erano entrambi abbastanza inutili, dato che Jay poteva creare fuoco dal nulla mentre Bee solitamente utilizzava l’acqua nell’aria che rendeva liquida, anche se con parecchie difficoltà.

Era difficile per Jay capire come funzionassero i loro poteri. I mostri non lo avevano mai spiegato esattamente, e ogni volta che lui provava a chiederlo lo picchiavano o lo mettevano in punizione. Spesso entrambe le cose

L’unica cosa che sapeva, ormai, era che il fuoco faceva male, e non voleva ferire Bee.

Neanche lei sembrava convinta della cosa, e si fissarono per almeno dieci minuti prima che i mostri intervenissero.

-Se non vi attaccate entro qualche secondo puniremo entrambi- disse uno di loro.

Bee sobbalzò.

Il ragazzo le lanciò un’occhiata incoraggiante.

L’acqua non faceva male, lei poteva attaccarlo e lui sarebbe rimasto fermo. Nella peggiore delle ipotesi solo lui sarebbe stato punito, no?

Ma Bee esitava.

-Vi darò tempo fino al tre- li incoraggiò la voce, fredda.

Jay allargò le braccia, incoraggiandola a colpirlo.

-Uno…-

Bee lo guardava terrorizzata e tremante. Sembrava cercare una qualche scappatoia.

-Due…- 

Bee sembrò capire di dover fare qualcosa, e sollevò le mani cercando di controllare l’acqua, senza particolare successo.

-Tre!- 

Bee esitò, e Jay capì che non poteva fare altrettanto.

Nell’istante in cui la voce finì di contare, Jay sollevò un’ondata di fuoco verso la ragazza, che terrorizzata riuscì a malapena a scansarsi, e la spense in fretta facendo piovere dall’alto della stanza.

Non sembrava comunque voler continuare, perciò Jay continuò a lanciarle colpi, cercando di non ferirla, di prenderla di striscio e soprattutto di renderli quasi inoffensivi e meno caldi possibile.

Era incredibile il controllo che aveva se temeva di fare del male all’unica persona alla quale volesse bene.

Il combattimento durò poco più di due minuti.

Alla fine Bee prese tutta l’acqua del secchio e la gettò contro Jay, che finse di restarne ferito e convinse i mostri a farli smettere.

Questo non impedì loro di portare entrambi nelle solite stanze bianche piene di macchine strane e fare lastre, scansioni e tutto il resto.

Quando Jay riuscì finalmente a rivedere Bee, erano passate ore, ed era quasi il coprifuoco.

Sperava comunque di riuscire a parlarle almeno qualche minuto.

-Ti hanno punito?- chiese, sedendosi accanto a lei, preoccupato nel vederla così pallida.

Lei scosse la testa.

-Perché ce lo hanno fatto fare?- chiese con voce piccola e spaventata, seppellendo il volto tra le mani.

-Sono mostri, cosa ti aspetti- Jay alzò le spalle, e lanciò un’occhiataccia al supervisore della zona comune.

-Ma se ci feriscono poi non è peggio?- provò a ragionare Bee, massaggiandosi il braccio sinistro. Jay non se n’era reso conto, ma era fasciato. Probabilmente l’aveva bruciata per sbaglio. Impallidì, sentendo un macigno nel petto.

-Non volevo attaccarti, ma hai esitato- cercò di giustificarsi, mortificato ma con una punta di accusa nella voce.

Bee abbassò la testa.

-Scusa, avevo paura- si rammaricò.

Jay le mise un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé, con fare protettivo.

-La prossima volta fallo e basta. Segui quello che ti suggerisco- si fece promettere. Bee annuì, un po’ incerta.

Jay la conosceva abbastanza bene da sapere che avrebbe fatto tutto quello che lui le avrebbe chiesto.

E gli sarebbe sempre stata leale.

 

 

Listen close to everybody's heart

And hear that breaking sound

 

Jay aveva 28 anni.

Ed era molto stanco, sebbene anche parecchio determinato.

Attendeva sdraiato sul sudicio letto di un motel una visita che temeva non sarebbe mai giunta, e giocherellava con un accendino per far passare il tempo.

Un lettore cd vintage faceva passare in loop un duetto che l’uomo conosceva a memoria ma che continuava ad ascoltare ogni volta che ne aveva l’occasione.

Si era ormai quasi rassegnato, quando bussarono alla porta.

Il suo cuore perse un battito.

-Jay, sono io- disse la voce dall’altra parte della porta. Il tono era freddo, ma per la prima volta da tanto tempo, Jay si sentì scaldare il cuore con una fiamma lieve e tiepida, e non con il solito inferno di rabbia.

Si alzò dal letto e andò ad aprire, cercando di non tradire alcuna emozione.

Pensò di spegnere il lettore cd, ma poi optò per lasciarlo acceso.

Magari la loro canzone avrebbe sciolto il cuore congelato della sua vecchia fiamma.

Aprì la porta con cautela, sperando di non trovare anche la polizia, ma l’ospite era venuta da sola.

-Ben rivista, Bee- l’accolse, con il suo vecchio sorrisino da cattivo ragazzo indifferente alle marachelle che combinava.

La donna davanti a lui rimase impassibile.

-Ci siamo rivisti parecchie volte negli ultimi anni, non è passato poi così tanto tempo- obiettò, restando ferma davanti all’uscio.

-Ho visto Blue Wave. Quella non sei tu- ridacchiò, facendole cenno di entrare. Bee rimase ferma sull’uscio, le mani dietro la schiena.

Non lasciava trasparire emozioni, ma Jay riuscì comunque a leggere il disagio negli occhi che lei rifiutava di incrociare con quelli dell’amico.

Erano passati cinque anni, eppure era la stessa ragazzina spaventata e incerta di sempre.

-Entra- le ordinò, abbastanza deciso.

-Perché mi hai chiamata qui?- chiese lei, senza fare un passo.

-Volevo proporti un accordo. Entra così ne parliamo- il tono di Jay si addolcì leggermente. Era passato parecchio tempo dall’ultima volta che era stato gentile con qualcuno.

Alla fine Bee cedette, ed entrò nella stanza.

Rimase comunque vicina alla porta, e sgranò leggermente gli occhi sentendo la musica in sottofondo.

-My eyes- sussurrò tra sé. I suoi occhi, prima freddi e imperscrutabili, lasciarono trasparire più chiaramente la sua sorpresa e nostalgia.

Perfetto.

-Volevo proporti una tregua, Bee- esordì Jay, appoggiandosi al muro e guardando l’interlocutrice carico di aspettativa.

Lei storse il naso.

-Nel senso che smetterai di terrorizzare il mondo con i tuoi attacchi terroristici? Perché a me va benissimo e trovo sia l’unico modo di fare una “tregua”- lo provocò.

-Nessuno ti ha mai chiesto di rappresentare gli umani. Anzi, se ben ricordo, volevi tenerti fuori dalla mia vendetta- cercò di farla ragionare lui. Era stata abbastanza chiara al riguardo, dopotutto.

Bee esitò, e distolse i suoi occhi da lui, per puntarli sul CD.

-Non posso fare finta di niente, ho troppe cose da proteggere- disse in un sussurro, quasi rivolta a sé stessa. Iniziò a torturarsi le mani, nervosa.

Jay si rese conto che al dito portava un anello con una pietra scintillante.

Il suo cuore sprofondò, ma cercò di non darlo a vedere.

-Va bene, senti. Facciamo un compromesso. Tra due mesi il mondo finirà, ma possiamo salvare le persone che ritieni meritevoli, ok?- cercò di convincerla.

-Non sono nessuno per stabilire chi sia meritevole e chi no, e non lo sei neanche tu, Jay. C’è luce e oscurità in ognuno di noi. E per cambiare il mondo il modo migliore è incoraggiare la luce che risiede in ciascuno- Bee tornò a guardarlo, con occhi quasi supplicanti.

Jay sospirò, e scosse la testa, distogliendo lo sguardo da lei e mettendo una mano sulla fronte, sconsolato dalla sua testardaggine. 

Era stanco.

Era distrutto.

Ed era ancora assetato di sangue.

Sebbene l’affetto verso la sua vecchia compagna fosse ancora forte, la rabbia che da anni nutriva il suo spirito era ancora preponderante dentro di lui.

-Jay, sei ancora in tempo. Puoi smettere questa follia, provare a vivere. Ti posso aiutare, non saresti solo- Bee sembrò fraintendere il suo atteggiamento scambiandolo per incertezza, e gli prese il volto tra le mani, cercando il suo sguardo.

Jay sentì il freddo metallo dell’anello a contatto diretto con la sua pelle, e rabbrividì inconsapevolmente.

Si scansò in fretta, allontanandosi di qualche passo.

-Oh, sì, che bella idea- commentò sarcastico -Tu, io e il tuo fidanzato. Che quadretto allegro e certamente poco imbarazzante- commentò, con un fuoco bruciante negli occhi.

Bee nascose in fretta la mano con l’anello, arrossendo leggermente.

-Sono passati cinque anni- provò a giustificarsi, ma Jay non voleva sentire nulla al riguardo. Non voleva neanche pensarci.

-Non serve che ti giustifichi. Non è per questo che ti ho chiamato qui- cambiò argomento -Ho già scelto la mia rivoluzione al posto tuo. Volevo solo darti l’occasione di sopravvivere, perché se provi a fermarmi, non esiterò un secondo a riempire le tue vene di fuoco- la minacciò, a denti stretti e occhi carichi di rabbia e odio.

Bee non si scompose, e sostenne il suo sguardo.

Scosse leggermente la testa.

-Tanto morirei comunque, se tu vincessi- alzò le spalle, in tono rassegnato.

Poi gli diede le spalle, e si avviò verso la porta.

-Ci vediamo presto, Red Flame- lo salutò, senza guardarlo.

Jay ebbe un terribile deja-vu, e sentì il cuore spezzarsi di netto nel petto, per la seconda volta.

-E sarò l’ultima cosa che vedrai- le promise, in tono tagliente.

Lei non lo degnò di alcun commento, e si limitò a sbattere la porta alle sue spalle.

La musica continuava a risuonargli nelle orecchie, ma non la sopportava più.

Prese il lettore CD e gli diede fuoco, bruciando il disco e, sperava, anche i pochi sentimenti che ancora erano sepolti in lui.

Era a pochi passi dalla vittoria.

E non avrebbe permesso a Bee di ostacolarlo.

 

 

Hopes and dreams are shattering apart

And crashing to the ground

 

Jay aveva 13 anni.

E come ormai accadeva quasi ogni giorno, era in punizione.

Quel giorno in particolare lo avevano messo in uno stanzino buio, talmente piccolo che pensava che l’aria sarebbe finita prima che lo liberassero, anche se sapeva che non era possibile. La ventilazione dopotutto era fantastica in tutto l’edificio. Lo esplorava da parecchio, cercando un modo di scappare, ma ancora non aveva trovato nulla.

Il suo periodo di solitudine, pieno di pensieri su cosa Bee avrebbe detto una volta che lui fosse ritornato in sala comune, venne interrotto dalla porta che si apriva. Ma a differenza del solito, non entrarono mani guantate di bianco pronte a trascinarlo fuori, ma venne spinta dentro una ragazzina, che cadde di peso sul ragazzo.

Per un breve istante, Jay sperò si trattasse di Bee, e i suoi occhi si illuminarono, poi capì immediatamente che non poteva essere lei, e la speranza venne sostituita da un malcelato disgusto.

-Diva! Che ci fai qui?!- chiese infastidito, spingendosi con forza verso la fine della stanza, il può lontano possibile da lei.

-J? Di tutti gli stanzini, proprio con te? Uffa!- la ragazza sbatté i piedi a terra, infastidita, e si allontanò a sua volta.

Diva, nome coniato da Jay per riferirsi a D, ragazza della sua età dagli scintillanti occhi gialli e capelli biondi. Aveva preso Jay in antipatia nell’istante in cui aveva messo piede in laboratorio, e il ragazzo ricambiava l’astio.

Rimasero in silenzio per parecchio tempo, poi fu Diva a parlare, con voce leggermente tremante, che cercava di rendere sicura con cattiverie e accuse gratuite. Perché la sua forza maggiore stava nell’abbassare gli altri al suo misero livello.

Se c’era qualcuno che Jay poteva odiare più dei mostri del laboratorio, quel qualcuno sarebbe stato Diva.

-Cosa hai fatto stavolta? Hai bruciato un dottore? Hai provato a scappare? Oppure ti hanno beccato a sbaciucchiarti con B?- lo prese in giro, in tono perfido.

Jay strinse i denti. Sentì le dita fremere dalla rabbia.

-Tsk, le relazioni tra di noi sono vietate- le ricordò -E in ogni caso non sarebbero affari tuoi- 

-Già, scommetto che a te non importerebbe, ma figuriamoci se quella santa di B, il soldatino perfetto, violerebbe le regole così- commentò Diva. Jay non poteva vederla al buio, ma scommetteva che avesse sul volto un ghigno di odio e soddisfazione per sé stessa.

Jay non la degnò neanche di una risposta, ma i suoi occhi rossi iniziarono ad emettere un bagliore preoccupante

-Provo a indovinare: ci hai provato, lei ti ha respinto, e hai bruciato qualcosa per rabbia. Per questo sei qui- continuò a provocarlo la ragazza, ridacchiando con malevolo divertimento.

-E tu, Diva, perché sei qui? Pensavo che la più forte di tutti non finisse mai in punizione. Ti stai rammollendo?- la prese in giro lui, facendo comparire una fiamma sul suo dito per illuminare leggermente la stanza.

La vide sgranare gli occhi, un po’ preoccupata, ma durò un istante, e poi sul suo volto comparve nuovamente la solita espressione strafottente e sicura di sé.

-Non sono affari tuoi. E comunque sono ancora la più forte di tutti. Il tuo fuoco non è nulla rispetto a me- si vantò, ostentando sicurezza.

Jay dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non darle fuoco e cancellarle quell’espressione dal volto, e riuscì a trovare la forza di spegnere il dito solo ripetendosi che le fiamme consumavano ossigeno, e lì dentro ce n’era abbastanza solo per respirare, soprattutto ora che erano in due.

E poi se avesse ucciso Diva era probabile che avrebbero eliminato anche lui, o che l’avrebbero rinchiuso in isolamento, e non poteva rischiare di non vedere più Bee.

Diva aveva ragione su un punto, in effetti: Jay amava Bee, con tutto il suo cuore, e avrebbe mandato all’aria ogni regola per stare con lei.

Ma sapeva che Bee non avrebbe ceduto, e se anche lo avesse fatto poi sarebbe stata malissimo, mangiata dall’incertezza.

Non voleva questo per lei.

Dato che non poteva bruciare Diva letteralmente, optò per farlo simbolicamente.

-Certo, sei proprio la più forte. Allora perché non ti illumini? Sei al buio e hai chiaramente paura. Offri le tue straordinarie abilità rischiarando l’ambiente- la sfidò, con un sorrisetto.

Era quello, infatti, il fantomatico potere di Diva: illuminarsi. Forse il potere più inutile, lì dentro, e non riusciva neanche a controllarlo bene.

Nella fioca luce emanata dagli occhi ancora brillanti del ragazzo, Diva arrossì leggermente, ma non perse la sua sicurezza.

-Potrei farlo quando voglio, ma non ho paura del buio. Semmai ho paura di vedere per troppo tempo la tua brutta faccia- si salvò in extremis.

Jay grugnì.

-Un giorno ti cancellerò quel sorrisino dal volto- le promise in tono tagliente.

-Certo, come no. Prima o dopo che Bee ti confessi il suo amore?- chiese sarcastica.

La porta si aprì, e le mani guantate trascinarono entrambi fuori.

Furono provvidenziali, perché Jay era a pochi istanti dal gettarsi addosso a Diva e ucciderla a mani nude.

La sua promessa però restò.

Lui un giorno l’avrebbe distrutta, mentalmente e fisicamente.

Era solo questione di tempo!

 

 

I cannot believe my eyes

How the world's filled with filth and lies

 

Jay aveva 25 anni.

E se la passava piuttosto bene, da quando era diventato un piromane ricercato.

Tutte le gang della zona lo volevano reclutare, e sebbene fosse ancora un piccolo criminale, era più che deciso ad arrivare in cima alla scala sociale nel giro di pochi anni.

Viste le sue abilità e il suo addestramento, era piuttosto certo che sarebbe stato facile.

Per il momento era solo nel gruppetto di quelli che riscuotevano il pizzo settimanale, e in quel momento era il turno di un negozio di vecchi CD.

Solitamente Jay si divertiva molto a minacciare vecchi squattrinati e bruciare il negozio quando diveniva chiaro che non avrebbero potuto pagare in alcun modo, ma quel giorno era distratto, e meno incline alla severità.

Colpa della musica di sottofondo del negozio, di una bellezza al quale neanche lui riuscì ad essere indifferente.

Era una delle sue debolezze: la musica. 

Una delle poche cose decenti che gli esseri umani avessero realizzato.

E ovviamente una delle prime cose che avevano iniziato a trattare con superficialità, sufficienza e che avevano poi buttato sul fondo di un cassonetto.

La prova dell’indifferenza umana, dopotutto, era lì, davanti a lui, in ginocchio e con le labbra piene di suppliche e parole vuote.

Non vendeva abbastanza neanche per pagare il negozio, non sarebbe mai riuscito a saldare il pizzo.

E questo, ovviamente, significava fuoco.

Il capo della banda fece un cenno eloquente a Jay, che infiammò la mano, pronto a ridurre il negozio in cenere.

Il negoziante gli si gettò ai piedi, pregandolo di risparmiare i CD, di inestimabile valore, alcuni erano copie uniche.

A Jay venne una curiosità.

Strano, era raro che avesse tali pensieri verso spazzatura umana.

-Hai “My Eyes”?- chiese, giocherellando con il fuoco tra le dita.

Il negoziante piegò la testa.

-Ci sono moltissime canzoni e dischi con questo titolo. Ha in mente qualcosa di particolare?- chiese di getto, il più accomodante possibile.

-Un duetto. Tra un guerriero e una ragazza innamorata, credo. Una debole- si spiegò. Era in procinto di canticchiare il ritornello, ma il verso di scherno di uno dei suoi compari lo interruppe.

-Che stai facendo? Ti interessi a stupide melodie da vecchietti? Ormai c’è solo il rumore. La musica è una pizza totale!- lo prese in giro uno delle nuove reclute.

Gli altri si limitarono ad annuire e confermare, ma sapevano che non conveniva irritare Jay.

Con un gesto della mano, il giovane infiammò i capelli della recluta, e si rivolse nuovamente al negoziante, che era pallido e osservava il malcapitato cercare di spegnere la cute.

-Allora, ce l’ha?- lo incoraggiò Jay.

Il negoziante annuì.

-Credo si riferisca al duetto preso da un vecchissimo musical. Il CD si chiama “Classici di Neil Patrick Harris”- indicò tremante uno scaffale polveroso.

Jay si avvicinò e iniziò a frugare.

Trovò in fretta il CD che cercava.

Accennò un sorrisino tra sé, ma non diede altri segni che il ritrovamento gli avesse provocato gioia.

-Vale… vale come pagamento? È un pezzo inestimabile- provò a suggerire il negoziante, in un sussurro.

Jay gli lanciò un’occhiata divertita.

-Ma certo che no- la fiamma si espanse in tutto il braccio -Ma pensala così, almeno un CD inestimabile sarà salvo- cercò di incoraggiarlo. Notò un lettore CD d’epoca, e prese anche quello con la mano spenta.

-Dì addio al resto- lo incoraggiò.

-Aspetti!- l’ennesimo tentativo del negoziante venne interrotto da uno della banda, e in pochi minuti, bruciò insieme al suo negozio, e quella musica che Jay, sotto sotto, probabilmente avrebbe anche voluto salvare.

Ma dopotutto, il lavoro era lavoro, e non poteva permettersi di apparire come il debole per la musica. Non più. Aveva passato da un pezzo il punto di non ritorno.

Ora era il più forte di tutti, non aveva e non avrebbe mai esitato. 

Ma in fondo al cuore, sapeva di mentire a sé stesso.

 

 

But it's plain to see

Evil inside of me is on the rise

 

Jay aveva 16 anni.

E non sapeva come aiutare Bee, che era in lacrime, accanto a lui, con una grave bruciatura sul braccio destro.

Odiava sentirsi inerme, odiava sentirsi inutile, e odiava dover stare seduto e composto mentre la persona più importante della sua vita soffriva. Era come se si facesse male anche lui.

Erano nel loro luogo segreto, nel sottotetto, pieno di oggetti smarriti e bei ricordi.

Jay sperava potesse aiutarla a farla stare meglio, ma non era abbastanza. Le accarezzò i capelli per confortarla, ma non trovava parole.

E le poche che trovava sicuramente non l’avrebbero fatta sentire meglio, perciò rimase zitto.

-Grazie di essere al mio fianco, Jay- Bee gli diede un bacio sulla guancia, cercando di calmarlo.

Di solito bastava, ma in quel momento fremeva per bruciare qualcosa, o possibilmente qualcuno.

-Non riesco a sopportare che qualcuno ti faccia del male- riuscì a dire a denti stretti, stringendola a sé e cercando di raffreddare il suo calore con la sola presenza dell’amata ragazza.

Lei sembrò capire, e lo abbracciò stretto, ignorando il male al braccio.

-Non è niente di grave. E poi se ci sei tu posso superare qualsiasi cosa. Mi basta averti accanto e tutto il dolore va via- gli disse con un dolce sorriso, scansandosi leggermente per guardarlo negli occhi, e prendendogli il volto tra le mani.

Sapeva sempre cosa dire, sapeva sempre come calmarlo.

Jay chiuse gli occhi e respirò profondamente. Poi eliminò le distanze tra loro, stampandole un dolce bacio sulle labbra.

Se avesse dovuto descrivere il paradiso che ogni tanto veniva nominato dai mostri del laboratorio o da alcuni libri, per Jay sarebbe stato quello.

Quei piccoli e semplici momenti solo con Bee, a parlare, abbracciati, o intenti a baciarsi.

Il suo paradiso ideale vedeva solo ed esclusivamente Bee, nessun altro, nient’altro. 

Forse in sottofondo avrebbe sentito costantemente “My eyes”, ma non era una condizione necessaria.

A lui sarebbe sempre bastato avere la sua compagna di vita.

Purtroppo non era in paradiso, e non poteva ottenere tutto quello che voleva, per quanto semplice potesse essere.

Sentì un suono soffocato, e poi uno scatolone cadde, riversando parecchi oggetti a terra, tra i quali una grossa palla di vetro con la neve che si ruppe in mille pezzi e disperse il suo liquido denso e pieno di brillantini.

Bee sobbalzò e lo allontanò di scatto, temendo che qualcuno potesse averli visti. Jay si alzò talmente in fretta che quasi non se ne accorse.

Se non fosse stato per il movimento innaturale del liquido, che passò intorno a due scarpe invisibili tracciandone il contorno, è probabile che avrebbero pensato ad uno spiffero o una scossa sismica, ma la persona mimetizzata e invisibile nell’ombra non fu tanto fortunata, e prima che potesse scappare via, Jay l’aveva già localizzata, si era gettato contro di lei e l’aveva immobilizzata.

Tutta la rabbia che era riuscito a soffocare tornò a scoppiettare nel suo cuore. E bastò la semplice scintilla causata dall’intrusa, che buttata a terra, tornò visibile, e cercò invano di togliere le robuste mani di Jay dal suo fragile collo.

Esattamente come Jay immaginava, era Diva. Quella odiosa ragazzina che da anni cercava in tutti i modi di allontanarlo da Bee. Se possibile, la sua rabbia aumentò, e le sue mani si fecero sempre più calde, e sempre più forti attorno al collo della ragazza, che iniziò a boccheggiare, incapace di dire niente.

-Chi è?- chiese allarmata Bee, alzandosi a sua volta, con un po’ di difficoltà, e avvicinandosi.

-Diva, ovviamente. Spia infame- commentò Jay, con odio, stringendo la stretta.

Non la stava più immobilizzando, la stava deliberatamente strangolando, e non aveva la minima esitazione.

Soprattutto perché gli occhi di Bee erano pieni di paura, e Jay non voleva che finisse nei guai per colpa di Diva.

Sentì Bee avvicinarsi, e vide Diva smettere di combattere e sollevare una mano verso di lei, come cercando aiuto.

Bee rimase immobile.

-Jay, che stai facendo? Lasciala- provò a dirgli in un sussurro, mettendogli una mano sulla spalla, ma lui non ne aveva la minima intenzione.

-Dirà tutto, non possiamo permetterle di farlo- provò a spiegarle. Le sue mani si fecero sempre più calde, Diva sbarrò gli occhi, che iniziarono a lacrimare copiosamente.

Provò a scuotere la testa, ma Jay non glielo permise.

-Jay fermati!- il tono di Bee era allarmato, provò a prendergli il braccio ma lo ritirò subito dopo, come se si fosse scottata. Chissà, magari era davvero così.

Per la prima volta nella sua vita, Jay non ci fece caso.

Aveva un unico obiettivo in mente, e tutto intorno a lui non esisteva.

Esisteva solo il volto sempre più paonazzo della ragazza che da quando avevano quattro anni cercava di rovinargli la vita. Il volto bellissimo che adesso si stava trasformando completamente, diventando orripilante, deformato, bruciato.

E lentamente, e allo stesso tempo troppo in fretta, Diva iniziò a dimenarsi meno, fino a fermarsi del tutto. Gli occhi spalancati, vitrei e vuoti. La bocca semiaperta. Il braccio, prima sollevato in direzione di Bee, ora immobile a terra.

Jay ritirò lentamente le mani, restando all’erta, poi girò la testa verso Bee, come a cercare un segno di approvazione, o di ringraziamento.

Lo aveva fatto per lei, dopotutto. Per farla stare tranquilla.

Bee era congelata, immobile, e fissava ad occhi sgranati e volto impallidito il corpo ormai senza vita di quella che era stata da sempre una delle sue più grandi rivali.

Non lanciò neanche un’occhiata a Jay. Si limitò a sussultare, mettersi una mano davanti alla bocca, e poi correre via da lì in tutta fretta.

Jay provò a seguirla, ma si accorse che non si reggeva in piedi, e le ginocchia gli cedettero.

Anche le sue mani tremavano, e a malapena lo sostenevano.

Iniziò a rendersi del tutto conto di cosa aveva appena fatto, ma non si sentiva in colpa, o disgustato da sé stesso, o dispiaciuto.

Era sollevato, ed esaltato.

L’adrenalina che aveva in corpo gli dava una piacevole sensazione di soddisfazione. 

Per la prima volta aveva assaporato cosa significava uccidere, prendere la vita di qualcuno che non l’aveva mai meritata. Proteggere l’unica persona importante e rendere questa protezione eterna.

Diva non avrebbe più preso in giro Bee.

Diva non avrebbe più cercato di separarli.

Jay aveva risolto il problema in modo definitivo.

Sorrise tra sé, assaporando la sensazione.

Ora doveva solo spiegare a Bee quanto le avrebbe giovato la situazione, ed era certo che avrebbe capito. 

Era Bee dopotutto. Lei si fidava di lui, e così avrebbe sempre fatto.

 

 

Look around

We're living with the lost and found

Bee aveva 9 anni.

Era passato da poco il coprifuoco, e da brava bambina qual era, Bee era a letto tranquilla, anche se i dolori dovuti all’allenamento di quel giorno non la facevano dormire, e le bende sugli occhi che le impedivano la vista la facevano sentire inerme e più spaventata del solito. Aveva sempre avuto paura del buio.

-Pssst, Bee- una voce che sembrava provenire da sotto il suo letto la fece immobilizzare spaventata.

Si strinse nelle coperte e finse di stare dormendo, ma inconsciamente iniziò a tremare visibilmente.

-Bee, sei sveglia? Sono io, Jay- ripetè la voce, rassicurandola. 

Bee emise un silenzioso sospiro di sollievo, poi si sporse verso il suo letto, sperando di non urtare nulla.

-Jay, è passato il coprifuoco, cosa ci fai qui?- chiese, confusa.

-Ho trovato una cosa fantastica, e te la volevo mostrare- spiegò lui, con voce lieve ma visibilmente eccitata.

-Ma non posso vederla- gli fece notare Bee, toccandosi le bende sugli occhi.

-Sì, lo so. Ma fidati, non serve vedere. Ti guido io. Sono sicuro che ti piacerà- la incoraggiò Jay, prendendole la mano.

Bee esitò. Non le piaceva infrangere le regole.

Ma quello era Jay, il suo carissimo amico Jay, ed era l’unico che potesse darle il coraggio di fare ogni tanto qualche pazzia. Gli voleva bene, e si fidava di lui. SI fidava del fatto che non l’avrebbe mai messa in una situazione di pericolo.

Gli prese la mano e scese con attenzione dal letto.

Pur non potendo vederlo, lo sentì sorridere da un orecchio all’altro, e si sentì riscaldata dal calore della sua gioia.

-Tranquilla, ti guido io- la rassicurò, tenendole con forza la mano e iniziando a trascinarla per le strade oscure del laboratorio.

Parecchi minuti, corridoi stretti e salite dopo, Jay la fece sedere a terra.

-Eccoci qui- disse con trepidazione.

Bee tastò il pavimento intorno a sé, ma non notava niente di esaltante.

-Ok… allora?- chiese, un po’ confusa.

-Aspetta un momento, lo sto cercando- la voce di Jay veniva da un punto alle sue spalle. Bee cercò di seguire con la testa i movimenti che faceva.

Finché finalmente il ragazzo la raggiunse, le si sedette accanto, e le si avvicinò fino a toccarle la spalla destra con la propria.

-Metti le mani a coppa davanti a te- incoraggiò l’amica, che eseguì.

Sentì subito Jay posarle uno strano oggetto freddo dalla forma rettangolare e dei fili attaccati.

-Cos’è?- chiese, curiosa, tastando il nuovo oggetto.

-L’ho trovato insieme a un sacco di altre cose strane. Aspetta, te lo metto all’orecchio, poi capirai perché non è necessario vederlo- Jay prese un lembo del filo, e poi Bee sentì qualcosa di tondo entrarle nell’orecchio.

Si ritirò leggermente dato che era freddo, ma subito rimase affascinata dal suono che l’oggetto tondo emanava.

Rimase qualche minuto in religioso silenzio, poi il suono cominciò a ripetersi.

Ma non era proprio un suono. Erano delle parole, ma dette in un modo completamente diverso da quello al quale Bee era abituata, ed erano accompagnate da suoni in sottofondo davvero belli e che si accordavano perfettamente all’intonazione delle parole.

Era una delle cose più belle che Bee avesse mai sentito.

-Allora, ti piace?- chiese Jay, dopo un paio di ripetizioni.

-Cos’è?- indagò Bee, che era rimasta quasi senza parole.

-Non lo so bene, ma penso sia una canzone. Sul display dice che si intitola “My Eyes”. Purtroppo è l’unica che si sente- spiegò Jay, alzando le spalle.

-Mi piace tanto- ammise Bee, sorridendo e appoggiando la testa sulla spalla dell’amico, continuando ad ascoltare la canzone.

-Sapevo che ti sarebbe piaciuta!- commentò orgoglioso il ragazzo.

Jay sapeva sempre come farla sorridere.

Jay sapeva sempre cosa dire o fare per rassicurarla.

Jay era il migliore amico che Bee potesse mai trovare.

Jay era la persona più buona e gentile che Bee conoscesse.

Quando si addormentò sulla sua spalla, non temette neanche per un attimo che potessero scoprirla e punirla, perché sapeva che Jay non lo avrebbe mai permesso.

E quando il giorno successivo si svegliò nel suo letto, Bee aveva dimenticato il dolore, e il buio non le sembrava più tanto male.

Non con una guida uditiva così rilassante.

Non con Jay al suo fianco.

 

 

Just when you feel you've almost drowned

You find yourself on solid ground

 

Bee aveva 24 anni.

Le occhiaie segnavano i suoi occhi blu elettrico dalla sclera grigio chiaro, coperti dagli occhiali da sole, e fissava senza vederla del tutto una scultura in un museo.

Era sempre stata interessata all’arte, ma quel giorno era entrata principalmente per trovare un po’ di conforto dal caldo bruciante all’esterno. Odiava il caldo, e non aveva molti posti dove andare, in quel momento. Viveva sotto un ponte, completamente sola e senza avere modo di togliere gli occhiali da sole che le davano un’aria poco raccomandabile. Aveva anche perso qualche chilo, e i capelli ormai lunghi erano un groviglio disordinato.

Era completamente senza speranza, e a volte si chiedeva se non avesse sbagliato tutto.

Forse avrebbe dovuto farsi trascinare dalla corrente. Permettere alle fiamme di bruciarla e consumarla, almeno non sarebbe rimasta sola. Sicuramente era la scelta più semplice. Dopotutto lei era la definizione per eccellenza di un naufrago in balia dell’oceano che cercava di spingerlo sempre più a fondo.

-Signorina- una voce autoritaria segnò il fondo sopracitato, mentre una mano possente le prendeva il braccio.

Bee sobbalzò, e cercò di liberarsi istantaneamente, ma la guardia era parecchio forte, e lei non mangiava un pasto decente da qualche giorno.

-Deve togliersi gli occhiali da sole nel museo- la informò la guardia, sollevando la mano per toglierglieli lei stessa.

Bee si allontanò di un passo.

-Mi scusi, ma gli occhiali mi servono- cercò di dire, premendoseli sul volto.

Non poteva rischiare che qualcuno vedesse i suoi occhi. Non voleva essere nuovamente braccata, e odiava scappare più di quanto odiasse nascondersi.

-Mi dispiace signorina, ma sono le regole del museo- cercò di insistere la guardia.

Bee iniziò a riflettere su come agire. Forse poteva far scattare gli impianti anti incendio, ma era sotto stress, e non era brava a controllare l’acqua nei tubi quando era sotto stress, soprattutto se non aveva un quadro chiaro dei dove fossero l’acqua e l’impianto. Non poteva percepirla come un cane da tartufi. L’acqua era ovunque, dopotutto.

Ma proprio mentre cercava di concentrarsi per riuscire nella difficile impresa, una voce preoccupata attirò la sua attenzione e quella della guardia.

-Cara, ti ho trovata finalmente, ti ho cercata dappertutto!- una signora di mezza età, che avrebbe potuto benissimo essere sua madre, le si avvicinò con urgenza.

Bee si girò un attimo chiedendosi a chi si rivolgesse, e pensando di approfittare della situazione per scappare in tutta fretta, ma la signora sembrava proprio parlare con lei, perché la raggiunse velocemente e la prese sottobraccio.

Bee cercò di stare al gioco.

-Oh, eccoti qui- disse, lanciando un’occhiata preoccupata alla guardia, che le osservava sospettosa.

-Grazie di aver badato a lei, signore. Mia figlia è cieca, ma nonostante ciò continua ad allontanarsi e ad esplorare- spiegò la signora, in tono confidenziale.

-Esistono ancora persone cieche?- chiese la guardia, sorpresa.

-Malattia cronica difficilmente curabile. Vede un po’ grazie a quegli occhiali, ma non abbastanza, e sono sempre preoccupata quando va in giro da sola. Vieni, tesoro, ti porto nella zona archeologica- la signora iniziò a trascinarla via, e Bee, sebbene confusa, decise di assecondarla. Era la sua migliore opzione.

-Grazie mamma. Ma sono abbastanza grande per andare in giro da sola- cercò di ribellarsi in una imitazione discreta di una ragazza normale, ma era molto difficile ed era ancora agitata.

Per sua fortuna, togliendosi dalla presa della sconosciuta, andò quasi a sbattere contro il muro, aiutando il suo caso.

-Attenta, cara!- la riprese la “madre”, riprendendola sottobraccio.

-Scusa, scusa. Hai ragione, meglio andare- acconsentì, seguendola.

-Oh, beh, buona giornata, signore- le salutò la guardia, convincendosi del tutto e lasciandole andare.

Fecero qualche metro come una coppia madre-figlia esemplare. Poi, arrivate in un corridoio deserto, la signora la lasciò andare.

-Stai bene?- chiese preoccupata, osservando attentamente Bee, che non riuscì a fare altro che annuire leggermente.

-Grazie dell’aiuto, non volevo che mi cacciasse fuori- mentì Bee, stringendo gli occhiali al viso.

-Comprensibile, cara. Qui c’è un bel fresco, e le persone come noi si devono aiutare a vicenda- le sorrise la signora, materna.

In quel momento, Bee la riconobbe. Era una senzatetto, proprio come lei. L’aveva notata all’angolo di una strada poco distante, che ogni tanto frequentava in cerca di cibo.

Molti del suo gruppo se la prendevano con lei e le altre persone in quella via. Cercavano di rubare loro il cibo e i vestiti migliori. Eppure aveva aiutato Bee comunque, nonostante era evidente che l’avesse riconosciuta.

Bee si sentì salire le lacrime agli occhi, e cercò di asciugarle senza dare nell’occhio.

La signora però era una brava osservatrice.

-Va tutto bene, tesoro. Non ti daranno fastidio per i tuoi occhiali. Se hai bisogno puoi sempre affidarti a me- si offrì, dandole qualche pacca affettuosa sulla spalla.

Tutti i dubbi che l’avevano scossa prima che l’agente la riprendesse erano spariti.

Stava facendo la cosa giusta, ne era sicura.

C’era ancora tanta bontà nel mondo.

Bee aveva toccato il fondo da troppo tempo, ed era ora di darsi la spinta per risalire il più in fretta possibile.

 

 

And you believe there's good in everybody's heart

Keep it safe and sound

 

Bee aveva 15 anni.

Come al solito era da sola, nella sala comune, e fissava pigramente un bicchiere d’acqua al quale faceva assumere varie forme. Jay sosteneva sempre che non dovevano dare ai loro capi la soddisfazione di esercitarsi anche fuori dall’orario degli esperimenti, ma a Bee piaceva avere il controllo totale dei propri poteri, e la rilassava molto controllare l’acqua, perciò approfittava dei momenti nei quali Jay era in punizione per esercitarsi anche durante la pausa.

Pausa per lei, ma non per tutti gli altri. 

Alcuni ragazzini problematici erano infatti rimasti nel laboratorio, e tra questi Diva era l’unica che non era ancora tornata.

Proprio mentre Bee cercava di far evaporare l’acqua, pensando al calore di Jay o cercando di arrabbiarsi o con tutti gli altri trucchetti che usavano per farglielo fare, Diva rientrò nella sala comune, sbattendo con forza la porta dietro di sé e facendo sobbalzare Bee, che rovesciò tutta l’acqua.

Si affrettò a rimetterla nel bicchiere prima che qualcuno se ne accorgesse, poi lanciò un’occhiataccia a Diva. Si sorprese nel notare che aveva le lacrime agli occhi.

Bee non nutriva molta simpatia nei confronti della ragazza dagli occhi gialli, ma era comunque una persona di buon cuore, e simpatizzava con chiunque venisse torturato dai loro padroni.

Lasciò del tutto perdere l’acqua e si avvicinò lentamente a Diva, che si era messa in un angolo e si era fatta piccola piccola, cercando di sparire e passare inosservata.

Purtroppo Bee era un’acuta osservatrice.

Le si avvicinò e si inginocchiò accanto a lei.

-D, va tutto bene?- chiese a voce bassa e rassicurante.

La ragazza sobbalzò, e sbatté gli occhi un paio di volte per ricacciare indietro le lacrime e apparire molto più forte di quanto non fosse.

-Certo che va tutto bene. Sono la migliore qui dentro, perciò mi tengono più degli altri. Sicuramente mi daranno qualche lavoro speciale una volta finito qui. Magari mi faranno anche uscire prima di voi- rispose, dandosi delle arie.

Bee la guardò con tristezza, per niente impressionata o infastidita dal suo comportamento.

Ormai si era abituata, così come tutti gli altri. Inizialmente Diva era vista davvero come la più forte, intelligente e promettente, e per questo tutti i ragazzi l’avevano seguita colpiti dalla sua personalità sicura e determinata, ma già da qualche anno il suo seguito stava scemando, e una volta resosi conto che D era esattamente come tutti gli altri, forse anche meno abile, i soggetti avevano iniziato a voltarle le spalle e smettere di ascoltarla.

La ragazza però non voleva darsi per vinta.

E Bee ammirava il suo lato testardo e deciso. Le ricordava molto Jay, per certi versi.

-So che ti fanno sparire. Complimenti, spero che riuscirai a farlo sempre meglio- le sorrise Bee, incoraggiante.

Lì dentro non era famosa per le sue emozioni, ma era empatica, e comprensiva, e cercava di vedere il bene negli altri, anche in qualcuno come Diva.

La bionda accennò un sorriso grato, ma cercò di non dare a vedere quanto queste parole la colpissero in positivo.

-Beh, ovvio che riuscirò, anche se non si può migliorare molto la perfezione. Comunque… grazie- ammise, in un sussurro.

Poi si guardò intorno.

-Il tuo compagno non c’è?- chiese, alludendo a Jay.

Bee scosse la testa.

-Punizione- spiegò, alzando le spalle. 

-Non mi stupisce, è un piantagrane pericoloso. Non ho la più pallida idea di come fate ad essere amici- ammise, sbuffando.

-Jay non è pericoloso, è solo molto vivace, e diverso. E questo può preoccupare, ma è bravo e gentile. Te ne accorgeresti se lo conoscessi meglio- le consigliò, cercando di non arrossire.

Ormai tra di loro c’era più di una semplice amicizia, ma era illegale, pertanto lo teneva nascosto. Non voleva finire nei guai, e soprattutto non voleva che ci finisse Jay, non a causa sua.

-Conoscere meglio J? Non sia mai, finirei ammazzata!- esclamò Diva, ritirandosi leggermente.

Bee rimase di sasso.

-Ma no! Non lo farebbe mai!- si affrettò ad obiettare. Jay era esuberante, ma non era cattivo, e Diva si era mostrata molto più aggressiva di lui.

La ragazza non rispose alla sua obiezione, ma si strinse nelle spalle.

-Dovevi vederlo qualche giorno fa, durante un allenamento- si limitò a dire. I suoi occhi avevano una sfumatura impaurita davvero incomprensibile per Bee. Diva, la bulla del laboratorio, temeva Jay, la persona migliore che la ragazzina dagli occhi blu conoscesse. La situazione era paradossale.

-Bee…- aggiunse poi Diva tra sé, guardandola dritta negli occhi -Stai attenta- le suggerì, prima di alzarsi e dirigersi in camera.

Bee rimase molto sorpresa dal suo atteggiamento, ma non diede credito alle sue parole.

Forse Diva stava solo cercando di instillarle il dubbio e allontanarla da lui per vendicarsi di loro. Era Diva dopotutto, ed era una persona fondamentalmente cattiva.

Però, in quel momento, sembrava sincera.

 

 

With hope, you can do your part

To turn a life around

B aveva 4 anni.

Osservò curiosa il volto del bambino nuovo. Erano mesi che non arrivava qualcuno di diverso, e quel bambino in particolare era davvero affascinante, e appariva più consapevole, e più grande rispetto alle nuove reclute, che di solito avevano due anni al massimo. Lui, al contrario, sembrava coetaneo di B.

D gli si era avvicinata per prima, era una tradizione. Era il capo della banda dei ragazzini del laboratorio, e doveva far entrare le nuove reclute o isolarle completamente. Per il momento tutti entravano sempre e subito, perciò B non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe fatto D se qualcuno non le fosse andato a genio. 

Era pertanto convinta che anche lui sarebbe entrato nel gruppetto, per il momento composto da nove persone.

La conversazione però non sembrò andare esattamente come D voleva, perché dopo poche parole, la ragazzina sbatté il pugno sul tavolo, e se ne andò tutta impettita, atteggiandosi come se fosse grande.

Si avvicinò agli altri ragazzi, e categoricamente disse: 

-Con lui non ci parliamo!- incrociando le braccia e lanciandogli un’occhiataccia.

B ci rimase un po’ male.

-Perché?- chiese curiosa, lanciandogli un’occhiata. Lui era tornato a mangiare sulle sue, ignorando tutti gli altri, padroni compresi.

-È antipatico, perciò nessuno gli parlerà, capito?- ordinò D, prima di girarsi e far cenno agli otto altri bambini di seguirla in un tavolo lontano.

B però non lo fece. Prese il suo vassoio e si sedette davanti al bambino nuovo.

Non le piaceva l’idea che mangiasse da solo, e poi il tavolo con tutti era davvero affollato, e lei preferiva la tranquillità.

Il ragazzino alzò lo sguardo e la osservò, curioso ma ostile, aspettandosi che dicesse qualcosa.

-B, che stai facendo?!- la chiamò D, nervosa, stringendo i pugni.

-Mangio- alzò le spalle lei, non capendo il suo astio.

-Non puoi parlare con lui, o ignoreremo anche te!- la minacciò D, avvicinandosi.

Il ragazzino nuovo le lanciò un’occhiataccia.

B la guardò un po’ confusa.

-Non ci sto parlando- disse semplicemente. La sua logica era impeccabile, ma per qualche strano motivo D se la prese comunque, e se ne andò impettita, raggiungendo il resto del gruppo e dicendo a tutti qualcosa che B non riuscì ad afferrare.

-Che antipatica- commentò il ragazzino, quasi tra sé, continuando a mangiare.

-Ha detto che sei tu ad essere antipatico- ribatté B, facendo spallucce.

-In realtà le ho solo detto che non avevo voglia di parlare perché sto mangiando- obiettò il bambino nuovo, facendo il muso.

-Oh, capisco. Sto zitta allora- B capì l’antifona, e continuò a mangiare in silenzio.

Il bambino nuovo sembrò apprezzare.

Quando entrambi ebbero finito, fu lui a rivolgersi a B.

-Mi hanno chiamato J- si presentò, sollevando la mano destra.

B non era abituata a quel tipo di saluto, ma gliela strinse con la mano sinistra, anche se non sembrava avere molto senso.

Lui accennò un sorriso.

-Io sono B- disse la ragazzina, interrompendo in fretta il contatto.

-B... piacere- disse lui, ritirando la mano -Tu sei simpatica- le disse.

B ne fu davvero felice. Gli sorrise.

-Tu non sembri antipatico come diceva D- ammise.

-Si chiama D? È proprio una Diva- lui roteò gli occhi, lanciandole un’occhiataccia.

-Cos’è una Diva?- chiese B, confusa.

-Non lo so, ma penso che come nome ci azzecchi- rispose lui, pensieroso.

-B, vieni qui!- la chiamò D, impaziente.

-Scusa, vado. Ci vediamo dopo- B salutò il nuovo amico, e si diresse da D, che mandava fulmini dagli occhi verso il nuovo venuto.

B provò a convincere D ad accettarlo nel gruppo, ma l’amica era irremovibile.

-O noi, o lui, B- le diede un ultimatum, indicando il resto del gruppo, che rimase in silenzio.

B lanciò un’ultima occhiata al ragazzino, che stava seguendo i padroni per andare a tagliare i capelli e fare tutte le cose che facevano sempre i nuovi.

Sapeva che sarebbe stato parecchio difficile prendere una decisione.

Ma qualcosa, in fondo a lei, le diceva che aveva già scelto.

 

 

I cannot believe my eyes

Is the world finally growing wise?

 

Bee aveva 26 anni.

E la sua vita era diventata un mare placido senza onde. 

Niente di negativo, ma neanche qualcosa di estremamente positivo. Nascondeva gli occhi innaturali con delle convenienti lenti a contatto, lavorava in un café con le sue coinquiline, e senza farsi notare utilizzava i suoi poteri per risparmiare sull’acqua. Inoltre come cameriera ci sapeva davvero fare, anche e soprattutto con i clienti più insopportabili. 

Era abituata a ben peggio, dopotutto.

Adorava soprattutto occuparsi delle decorazioni per ogni festività. Le sue sculture di ghiaccio erano sempre apprezzate, e ci aveva guadagnato un bel gruzzolo. 

-Bee, vieni!- la incoraggiò una delle sue coinquiline e colleghe, indicandole il televisore, che stava trasmettendo in diretta le notizie di un attacco alla torre radio.

-Signorina, può alzare il volume?- chiese uno dei clienti abituali, un uomo sulla trentina che si sosteneva facesse la corte a Bee, ma al quale la ragazza non aveva mai dato spago, anche se avrebbe dovuto iniziare a pensare di sistemarsi con qualcuno. Solo che le era impossibile immaginare una vita di coppia con una persona diversa da Jay.

Anche se ormai non vedeva il vecchio compagno da anni, e non era neanche certa che fosse ancora vivo.

Appena gettò uno sguardo verso la televisione, però, per poco non fece cadere il vassoio con le tazze vuote che aveva in mano.

Al centro dell’attacco, c’era proprio Jay, che rideva come un pazzo. Le mani infuocate lanciavano fiamme verso ogni oppositore. I suoi occhi mandavano scintille, e tutto il mondo poteva vedere quanto fossero innaturali.

Per la prima volta in tutta la sua vita, Bee vide Jay con gli occhi degli altri, che stavano commentando spaventati e disgustati l’attacco, temendo per le proprie vite, nonostante fosse parecchio lontano da lì. E si rese conto di quanto fosse spaventoso.

Il titolo della notizia era “Red Flame terrorizza un placido quartiere di Harriswood”. 

Harriswood… ecco dov’era. Bee avrebbe dovuto immaginare che avrebbe cominciato da lì, e forse in fondo lo sapeva, per questo si era tenuta il più lontano possibile da quella città.

-Tranquille, ragazze, lo fermeranno. L’esercito è preparato a queste evenienze. Ho sentito che dispone di parecchi superumani- il cliente abituale cercò di rassicurare le cameriere, in particolare Bee, che scosse la testa.

-È molto più potente di loro- commentò, quasi tra sé, posando il vassoio e fissando l’immagine prodotta dallo schermo.

Quelli che l’avevano sentita si girarono a guardarla, confusi da come avesse usato le parole.

Ma Bee sapeva perfettamente cosa aveva detto. Jay era il campione imbattuto degli scontri con altri soggetti del laboratorio. C’era una sola persona che avrebbe davvero potuto sconfiggerlo, e questa persona era lei.

Solo che non voleva affrontarlo.

Non voleva rinunciare di nuovo alla sua vita per rincorrere Jay. Aveva troppe cose da perdere e da anni cercava di lasciare andare tutto ciò che c’era prima.

Ma allo stesso tempo sapeva che se non fosse intervenuta, Jay avrebbe fatto tutto quello che aveva promesso.

Iniziò a mangiarsi le unghie, incerta, senza sapere cosa fare, e sentì una mano posarsi gentilmente sulla sua spalla.

-Signorina Bee, sta bene? È molto pallida, dovrebbe sedersi- il cliente abituale e ammiratore la sostenne, e la spinse su una sedia, preoccupato.

Bee accennò un sorriso.

-Sto bene, non si preoccupi. Mi dispiace solo per i poveri abitanti di Harriswood- mentì. Beh, non del tutto. Le dispiaceva davvero per quelle povere persone, ma allo stesso tempo era altro a preoccuparla così tanto.

-Già, non oso immaginare il dolore delle povere famiglia attaccate- ammise l’uomo, dandole qualche pacca sulla spalla e osservando carico di rimpianto lo schermo della televisione -Ma andrà tutto bene, lo fermeranno prima che faccia altre vittime. Ne sono sicuro- provò però a rassicurarla, con un sorriso incoraggiante.

Bee lo guardò, grata da quelle parole.

Guardò le cameriere spaventate che si stringevano l’un l’altra.

Guardò i clienti gentili che nonostante fossero preoccupati cercavano di vedere il lato positivo.

E si rese conto che gli umani meritavano di continuare a vivere, ad evolversi, ad avere speranza nelle piccole gioie quotidiane.

Non meritavano la fine del mondo.

Non tutti quanti.

E nonostante l’incertezza, nonostante la consapevolezza che molto probabilmente sarebbe morta per mano di Jay o dell’esercito nel tentativo di fermare il vecchio compagno, Bee prese una decisione.

Sarebbe stata la speranza dell’umanità, la rappresentante delle virtù degli esseri umani.

E avrebbe fermato Jay, a qualunque costo.

In quel momento nacque Blue Wave, l’onda pronta ad estinguere il fuoco dell’inferno che il suo vecchio compagno aveva intenzione di scatenare sull’umanità.

 

 

'Cause it seems to me

Some kind of harmony is on the rise

 

Bee aveva 22 anni.

Ed era a bocca aperta davanti a una statua da quelle che potevano letteralmente essere ore.

E per tutto quel tempo, Jay l’aveva guardata un misto tra incredulo, rassegnato e divertito.

-Bee, lo sai che è solo una statua e non è un messaggio divino o qualcosa del genere, vero?- il ragazzo cercò di farla tornare in sé dopo il tempo indefinito, ma Bee non riusciva a distogliere lo sguardo.

-Non è solo una statua, è la cosa più bella che io abbia mai visto- obiettò, sfiorandola con la mano, timorosa di rovinarla in qualche modo.

Era inverno, e nella cittadina dove si erano accampati quella stagione era in corso una gara di sculture di ghiaccio. Pochi giorni prima Bee aveva visto la neve per la prima volta, e provato del ghiaccio che non aveva causato lei stessa. Era stato incredibile.

Ma mai avrebbe potuto immaginare che quel ghiaccio che da sempre odiava sarebbe potuto diventare qualcosa di così meraviglioso.

-Secondo me sapresti fare di meglio- commentò Jay, che non sembrava trovarci niente di ché.

Lo scultore, un uomo di mezza età che sembrava avere parecchia esperienza, gli lanciò un’occhiata sdegnosa.

Jay ricambiò con uno sguardo di sfida.

Bee gli tirò una discreta gomitata.

-Non riuscirei ad eguagliare neanche un decimo della bellezza di questa scultura. Signore, come riesce a dare questo realismo?- chiese allo scultore, cercando di fare ammenda per il comportamento irrispettoso del compagno.

Lui sembrò molto soddisfatto dalla richiesta.

-Il trucco sta nell’ascoltare il ghiaccio. Vede, signorina, ogni scultura, che sia in pietra, legno, marmo o ghiaccio, è già dentro il materiale, e preme per uscire fuori. Ascoltare è il primo passo per realizzare un capolavoro- le spiegò, e dalla luce nei suoi occhi si vedeva che metteva davvero passione in quello che faceva.

-Spero davvero che lei vinca, se lo merita- gli augurò Bee, facendolo sorridere grato.

-Sì, sì, è stupendo. Ora possiamo andare via, inizio a sentire un po’ freddo- la incoraggiò Jay, prendendola per un braccio e trascinandola verso un’area di ristoro.

-Jay! Sei un maleducato!- si indignò la ragazza, incrociando le braccia irritata dall’improvvisa interruzione.

-Lo so, scusa, ma stavi facendo sciogliere la scultura- le fece notare, indicando la punta del naso, che effettivamente si era fatta più piccola.

Bee si ritirò su se stessa, e si morse il labbro, gli occhi carichi di senso di colpa. 

Non se n’era proprio accorta, ma era davvero probabile. Si era resa conto che, quando era gioiosa, felice o emozionata, tendeva a riscaldare l’acqua nei paraggi. Stessa sorte accadeva all’acqua che le stava vicino nei momenti di rabbia o tensione.

Quando era spaventata, triste, o addolorata, al contrario, era incline a raffreddare tutto.

Sentì la mano di Jay sulla spalla.

-Ah, no, aspetta, non è colpa tua, è proprio l’ambiente che si sta riscaldando. Guarda, anche le altre statue si stanno sciogliendo- tentò di rassicurarla, con la solita sicurezza che però sembrava vagamente forzata.

Bee lo guardò attentamente, e notò che i suoi occhi, nonostante le lenti a contatto che entrambi avevano iniziato ad indossare per celarne il colore bizzarro, erano più brillanti del solito.

Scosse la testa.

-Meglio allontanarci dalle statue per un po’, non siamo una buona accoppiata- lo incoraggiò a seguirla nel chiosco delle bibite.

Jay la seguì come un bravo cagnolino.

Presero due cioccolate calde e si sedettero su una panchina, osservando lo show da una distanza di sicurezza.

-Credi davvero che potrei creare delle belle sculture?- chiese a sorpresa Bee, dopo qualche minuto di silenzio.

-Suvvia, Bee, non credo che esista qualcuno in questo mondo che ascolta l’acqua meglio di te- le fece un occhiolino lui, sorridendole complice.

La ragazza ridacchiò, e lo spinse giocosamente.

Poi gli mise la testa sulla spalla.

-Magari prendo qualche lezione- commentò, riflettendo seriamente sulla cosa.

Non vide lo sguardo di Jay, e non si accorse che aveva alzato gli occhi al cielo quasi irritato.

Lei era convinta che si stesse calmando.

Era certa che la routine che avevano raggiunto non sarebbe cambiata. Che nonostante tutto quello che era successo potevano essere una coppia normale, in un mondo normale, e vivere come umani normali.

E voleva provare tutto quello che il mondo umano aveva da offrire.

 

 

 Take it slow

Anyone with half a brain 

He looks at me and seems to know

Could spend their whole life howling in pain

The things that I'm afraid to show

B e J avevano 5 anni.

Erano passati alcuni mesi da quando si erano conosciuti, ma non si erano scambiati molte parole.

Consumavano sempre insieme i pasti, passavano parecchio tempo vicini nella sala comune tra un esperimento e l’altro, ma era come se entrambi fossero soli sebbene in compagnia l’uno dell’altro.

Al massimo si scambiavano qualche commento sporadico riguardo un libro o sulla consistenza del cibo.

Parecchie volte J aveva parlato male di Diva, facendo ridacchiare tra sé B, ma non si potevano ancora considerare un gruppo, o amici, o qualsiasi altra cosa.

Erano due isolati che si erano ritrovati a stare insieme per essere leggermente meno soli.

Anche se tra loro aleggiava la consapevolezza che, a differenza di J, B aveva deciso di venire isolata, e lo aveva fatto solo per stare accanto a lui.

J non riusciva a capirne il motivo.

Perché qualcuno avrebbe dovuto isolarsi per stare con lui, quando egli era il primo a preferire la solitudine, come aveva fatto capire immediatamente?

Ma soprattutto, perché la compagnia di B gli piaceva così tanto?

B, invece, rifletteva molto meno sulla cosa.

Si era lasciata trascinare dagli avvenimenti, e neanche si rendeva del tutto conto di essere stata lei la prima a scatenarli.

Non riusciva a concepire che qualcuno potesse voler restare solo, dato che aveva sempre detestato l’isolamento, e si era immolata per non lasciare che il nuovo arrivato, che ormai non era più l’ultimo arrivato, passasse quello che aveva passato lei.

La situazione di stallo però ebbe vita breve.

Quel giorno, per la prima volta, J le parlò.

Non un commento veloce o una critica. Iniziò una vera e propria conversazione. B non ne era più abituata ormai, e in principio rimase parecchio interdetta.

Stavano leggendo dei libri per bambini. J ne aveva uno con le lettere dell’alfabeto, mentre B leggeva qualcosa di leggermente più complesso, con tanto di personaggi e una trama. Non capiva proprio tutto, ma era a un buon livello.

L’intelligenza della bambina si basava molto su schemi mentali e razionali.

J, al contrario, era più creativo.

E mentre osservava le figure, una lo colpì in particolare.

-Bee- disse, sollevando lo sguardo verso la sua compagna di solitudine.

-Cosa?- chiese lei, piegando la testa confusa.

-Guarda, ti somiglia. Potrei chiamarti Bee- suggerì, mostrandole il disegno di un’ape dai grandi occhi azzurri come quelli della bambina davanti a lui.

-Non cambia molto- osservò lei, riflettendo sul nome.

-Non voglio però pensarti come una lettera. Perciò è più carino parlarti come se fossi questa ape- si spiegò J, tornando al libro -Se vuoi puoi darmi un nome anche tu- suggerì poi, lanciandole un’occhiata speranzosa.

Bee ci pensò su, e posò lo sguardo sul proprio libro.

I personaggi avevano tutti nomi di tre o quattro lettere, semplici e incisivi.

-Jay- decise, osservando quello che per una straordinaria coincidenza era anche il suo personaggio preferito.

-Sì?- chiese lui, senza capire il cambio microscopico nel suo nome.

-Ti chiamerò Jay, come questo personaggio- spiegò Bee, indicandoglielo.

-Oh! Mi piace- rispose lui, alzando le spalle.

-Jay…- lo chiamò poi la ragazza, per poi esitare.

Lui la osservò incoraggiandola a continuare per un po’, poi incrociò le braccia.

-Perché stai esitando?- chiese, confuso.

-Scusa, solo…- Bee sospirò -Noi siamo amici?- chiese poi, incerta, senza guardarlo negli occhi.

In realtà anche Jay si stava facendo questa domanda, da parecchio, senza sapere come rispondere. Ma quando Bee la portò alla luce, capì che la risposta era già scritta.

-Certo che siamo amici- rispose, ovvio, facendola sorridere raggiante.

Era il primo sorriso che faceva da quando Jay la conosceva, e in quel momento il bambino capì che avrebbe voluto sempre proteggerlo.

E fu quel sorriso ad accendere una miccia nel suo cuore. Quel sorriso a fargli fremere le dita per la prima volta.

Bee, al contrario, si calmò.

Tutta la tensione accumulata in quei mesi si trasformò in un placido ruscello tranquillo.

Mentre il bambino aveva trovato un obiettivo, la bambina aveva trovato un sostegno.

 

 

'Cause the dark is everywhere 

 And suddenly I feel this glow

And Penny doesn't seem to care 

And I believe

That soon the dark in me is all that will remain 

 

Jay e Bee avevano 20 anni.

Un urlo interruppe la quiete notturna, allertando la ragazza, che si alzò di scatto, preoccupata, e si rese conto che era stato Jay ad urlare, ed era seduto sul letto, il petto nudo coperto di sudore che però evaporava abbastanza in fretta a causa del calore elevato del suo corpo. Respirava a fatica e tremava visibilmente.

Bee gli prese subito la mano, per confortarlo.

Era un’abitudine, ormai, da quando erano scappati dal laboratorio e vivevano insieme. 

Jay sembrò svegliarsi del tutto solo quando sentì il freddo contatto di Bee, e la mente tornò alla realtà. Si girò verso di lei e mise a fuoco la sua figura, poi le strinse con forza la mano.

-Ti ho svegliata, mi dispiace- mormorò, abbassando la testa. La sua temperatura corporea iniziò ad abbassarsi. Il reattore nucleare che aveva in petto veniva sempre raffreddato dalla presenza della sua ragazza.

Bee si mise seduta a sua volta, e gli posò la testa sulla spalla.

-Soliti incubi?- chiese, pronta ad ascoltarlo.

-Sì, strani e confusi ricordi- Jay si portò una mano sulla fronte, per riordinare le idee.

-Sono solo dei sogni, Jay. Non ti possono fare del male, non più- provò a rassicurarlo Bee, dandogli un dolce bacio sulla tempia.

-Non è questo il punto. Vorrei solo sapere se quello che abbiamo sentito è vero. Se io ho davvero…- si interruppe, incapace di continuare, seppellendo il volto tra le mani.

Bee lo strinse a sé.

-So che cerchi risposte, ma restare incollato al passato ti farà solo del male. Non importa quello che hai fatto, importa cosa farai adesso. E adesso sei una persona meravigliosa, controllata, e il ragazzo migliore del mondo- lo rassicurò, spostandogli le mani per guardarlo negli occhi. Lui ricambiò lo sguardo, annebbiato dalle lacrime.

Erano rari i momenti in cui crollava, ma almeno c’era sempre Bee, accanto a lui, pronta a guarirlo e rassicurarlo.

Jay le sorrise, grato da quelle parole, ma, in fondo, non si sentiva il ragazzo migliore del mondo. E soprattutto non si sentiva un ragazzo. Non si sentiva un umano. Gli umani gli avevano fatto talmente male che essere paragonato a loro era un insulto. Ma sapeva che Bee non la pensava così, e per il momento cercava di tenere a bada il fuoco e il rancore che teneva dentro di sé, soprattutto dopo tutte le nuove informazioni che aveva ottenuto sul loro conto da quando era uscito dal laboratorio.

-Bee…- la chiamò, accarezzandole i capelli -… ti amo- le sussurrò poi, dandole un dolce bacio a fior di labbra.

La sentì sorridere a quel contatto.

-Ti amo anche io. Ricorda che potrai sempre contare su di me- lo rassicurò, trascinandolo di nuovo sdraiato sul letto e stringendolo sempre più forte nonostante il caldo.

Jay adorava quelle dimostrazioni di affetto. 

Prima che potesse rispondere, si rese conto che Bee si era già riaddormentata.

Chiuse gli occhi, e cercò di fare altrettanto.

Le mani continuavano a fremere, la fiamma continuava a divampare, ma circondato dall’acqua e dall’affetto della ragazza che amava, si sentiva in equilibrio.

Ma il fuoco non ama essere limitato.

 

 

Listen close to 

 There's good in 

everybody's heart

And hear that breaking sound 

 Keep it safe and sound

 

Bee e Jay avevano 23 anni

La ragazza fissava il tavolo della cucina ascoltando passivamente l’ennesimo discorso irritato del suo coinquilino e ragazzo, che sbraitava davanti alla televisione.

Non era insolito, ma Bee cominciava a non sopportarlo più.

Cercava però di lasciargli tempo, anche se sperava che dopo cinque anni Jay si fosse calmato, almeno un po’, e avesse iniziato ad abbandonare del tutto i propositi assassini verso la razza umana.

A dire il vero Bee pensava che non fossero mai stati autentici, in primo luogo.

Ma si sbagliava di grosso.

-Quanto devo aspettare ancora prima che ti decida a ucciderli tutti?!- Jay si rivolse direttamente a lei, quasi irritato, e Bee cadde dalle nuvole, e alzò confusa lo sguardo verso di lui.

-Come, scusa?- chiese, senza capire cosa intendesse del tutto.

Jay sbuffò.

Era convinto che in cinque anni si sarebbe resa conto che gli umani erano delle bestie schifose che bisognava estinguere, eppure continuava ad aggrapparsi alla speranza che potessero migliorare.

Certo, come no.

Erano dei mostri in tutto e per tutto, come quelli del laboratorio, come Diva, che era stata a loro del tutto fedele.

Jay e Bee potevano contare solo l’uno sull’altro, e sarebbero dovuti essere soli in quel pianeta grande e allo stesso tempo troppo piccolo.

-Sono passati cinque anni, Bee. Guarda che schifo!- indicò la televisione, che stava trasmettendo una qualche notizia su una sparatoria avvenuta in piazza per motivi razzisti.

Ce n’era una al mese, non era una novità, ma colpiva sempre nel segno.

Per uno che odiava tutti, Jay era parecchio sensibile ai crimini commessi per razzismo. E il fatto che venissero da tutti i fronti non aiutava il caso degli umani.

-Sì, beh, gli estremisti sono orribili- ammise Bee, mite. Non voleva litigare, ma non aveva neanche voglia di dargli del tutto ragione.

-Gli umani sono orribili, diciamocelo- la incalzò Jay, avvicinandosi a lei.

-Siamo umani anche noi, Jay- provò ad obiettare.

-Non siamo umani, Bee. Non lo siamo mai stati!- esclamò Jay, sbattendo il pugno contro il tavolo e facendo sobbalzare la ragazza.

Sul legno si formò una macchia di bruciato.

-Jay…- lo mise in guardia Bee, fissando la macchia.

-Bee!- esclamò lui, ignorando del tutto il futile oggetto di legno -Quando cederai all’evidenza?- chiese, scuotendo la testa.

Stava aspettando per lei, per darle i suoi tempi e perché sapeva che la rendeva felice giocare ad avere una vita normale, ma non ce la faceva più a fingere che fossero normali.

-Cedere?- chiese Bee, quasi offesa, ma mantenendo un tono impassibile e calmo -Cedere a cosa?- indagò, anche se aveva intuito perfettamente dove quel discorso sarebbe andato a parare.

-Andiamo, Bee. Ti sei divertita a fare la vita normale, a fingere di essere una coppia normale. La casetta, il lavoro part-time, le gite in città. Tutto molto bello, ma ora basta. Non ce la faccio più. Torniamo all’attacco. Insieme possiamo distruggerlo, questo mondo- provò a prenderle la mano, incoraggiante. La solita elettrizzata luce negli occhi, ma Bee la ritirò, cercando di non lasciar trasparire quanto quelle parole la ferissero.

-Jay, sono passati cinque anni, abbiamo una vita, e se decidessi di fare il terrorista non saresti meglio degli esseri umani che condanni!- gli fece notare, alzando leggermente la voce e indicando la televisione.

-Non mi paragonare a loro. Io ho ragione a odiarli, loro lo fanno senza motivo- cercò di farle notare, ma Bee trovava che fossero la stessa cosa.

Un delitto razzista per punire un altro delitto razzista.

-Occhio per occhio e il mondo diventa cieco- citò, scuotendo la testa.

-Che diventino ciechi, Bee! Non hanno esitato a farlo con noi, dopotutto- obiettò Jay.

-Non mollerai mai, vero?- chiese Bee, con le lacrime agli occhi.

Di solito Jay faceva un passo indietro quando la vedeva triste, abbassava i toni e cercava di rassicurarla in qualche modo, ma questa volta aveva esaurito la pazienza, e il buon senso. 

Amava ancora Bee, con tutto il suo cuore, ma non riusciva più ad aspettarla.

Il fuoco che ardeva dentro di lui da anni doveva essere rilasciato, e l’acqua non bastava a fermarlo.

-È la cosa giusta da fare, Bee. Ma possiamo mantenere le apparenze per un po’, mentre progettiamo gli attacchi- cercò di venirle incontro, con un sorriso incoraggiante.

Bee esitò.

Poteva effettivamente assecondarlo, e agire passivamente. Gli umani non avevano mai fatto molto per lei, e in ogni caso Jay le stava permettendo di continuare con la sua vita. Avrebbe potuto fingere che tutto andasse bene, che fosse solo uno dei giochi che facevano da piccoli, o un esperimento del laboratorio. Una cosa che non voleva fare ma che era costretta a fare.

Ma si rese conto che non poteva fingere.

Non era più nel laboratorio, era libera.

Lo era da cinque anni e non si era mai sentita del tutto tale.

Si alzò in piedi, senza guardare Jay negli occhi.

-Ok, fai quello che vuoi. Ma io non ne farò parte- disse, con voce incerta ma spirito deciso.

Poi iniziò ad avviarsi verso l’ingresso, sotto lo sguardo sconcertato del ragazzo.

Era uno scherzo?!

-Bee, ma che diamine stai dicendo?!- chiese Jay, allarmato e con occhi che mandavano scintille.

-Io… io non ti aiuterò mai a combattere gli umani. Mi tiro fuori da qualsiasi cosa tu voglia fare. Non sono tutti cattivi, e non ti aiuterò a distruggerli. Me ne vado. Se la vendetta è più importante di me, scegli lei- lo incoraggiò, indicando la televisione.

Jay era senza parole e la fissava come se da un momento all’altro si fosse trasformata o avesse iniziato a parlare un’altra lingua.

-Hai… hai esitato- provò a obiettare.

Era vero, Bee non era convinta, ma doveva prendere una decisione, ed era quella.

-Scusa, ma non cambia la mia decisione. Addio, Jay- 

Bee era brava ad apparire calma anche quando dentro di lei si agitava una tempesta. Mentre prendeva la borsa per dirigersi fuori dall’appartamento, Bee non tradì un’emozione.

Jay, d’altro canto, non riusciva a nascondere nulla di ciò che provava, che fosse felicità, rabbia, tristezza o fastidio.

Ma era bravo a canalizzare l’attenzione su una sola emozione, anche se ne provava parecchie.

In quel momento, per esempio, era disperato, perso, confuso, preoccupato, spaventato, infastidito e arrabbiato, ma quando Bee raggiunse la porta, fu l’ultima emozione che canalizzò, e che lo riempì completamente, sebbene non fosse la più forte.

-Se esci da qui, la tua vita finirà- la minacciò.

Entrambi sapevano che si riferiva al poco che aveva conquistato in quei cinque anni.

Bee lanciò un’ultima occhiata alla foto che avevano scattato in vacanza e alle piccole sculture di legno che aveva iniziato a realizzare.

C’erano tante cose che lei aveva sempre considerato importanti, ma in quel momento il passato insieme non sembrava contare più così tanto.

-Finirebbe comunque- Bee alzò le spalle, e uscì.

Corse fuori prima che Jay potesse inseguirla, e si avviò in fretta al parco, cercando di trattenere la sofferenza che provava.

Jay, dal canto suo, rimase dentro l’appartamento, e aspettò qualche minuto.

Poi si rese conto che Bee se n’era effettivamente andata via, portando con sé l’acqua che aveva sempre tenuto a bada il fuoco dentro di lui.

Jay strinse i pugni, chiuse gli occhi, e dopo due profondi respiri, esplose.

Un urlo risuonò per la strada, un incendio venne appiccato e iniziò ad espandersi in fretta.

21 morti, 53 feriti, 2 dispersi.

Il più grande incendio dopo il terribile Fuoco di Harriswood, coinvolse sette isolati.

E cancellò le tracce di Bee e Jay.

 

 

Hopes and dreams are shattering apart 

 With hope, you can do your part

And crashing to the ground 

 To turn a life around

 

Bee e Jay avevano 14 anni.

Jay aveva avuto davvero una pessima giornata, e aveva bisogno della compagnia della sua migliore amica e cotta da un paio di anni. Quindi, sebbene fosse tardi, erano insieme sotto al tetto, e al momento stavano ascoltando la loro canzone. La ragazza era appoggiata sulla spalla dell’amico, ad occhi chiusi. 

-Secondo te cosa c’è là fuori?- chiese il ragazzo in un sussurro, approfittando di un momento di silenzio.

Bee si voltò verso di lui, interruppe la canzone e lo osservò, sorpresa dalla domanda. Gli occhi rossi del ragazzo erano spenti e distanti, e fissava uno spiraglio nel soffitto dal quale filtrava una tenue luce. Aveva provato in tutti i modi ad allargare lo spiraglio e abbattere il tetto, ma senza il minimo successo, e ora si limitava ad osservarlo sporadicamente, mentre pensava al mondo fuori dal laboratorio.

Bee tendeva a non indugiare in tali pensieri, ma doveva ammettere che si era fatta, nel corso degli anni, teorie e riflessioni, soprattutto basate sui libri che le avevano fatto leggere quando era piccola.

-Beh, credo che fuori di qui ci sia il sole, che illumina tutto come le tue fiamme ma senza fare del male. E tanti prati verdi pieni di fiori e animali. Ma il meglio sono le persone- la sua ultima affermazione catturò l’attenzione di Jay, che la guardò leggermente confuso, quasi divertito.

-Le persone ci sono anche dentro, e non mi sembrano il meglio che il mondo ha da offrire- commentò. Aveva la sua logica. L’esperienza aveva insegnato loro che gli altri erano solo portatori di dolore e sofferenza.

Ma Bee non aveva intenzione di perdere la speranza.

-Le persone di fuori sono diverse. Sono gentili, e ci aiuterebbero. Hanno un grande sorriso, occhi brillanti, e non fanno del male. Si possono innamorare, si sposano, hanno dei figli e li crescono con amore- spiegò, guardando lo spiraglio figurandosi queste famiglie perfette, che un giorno avrebbe voluto emulare. 

Jay la guardò con un sorriso intenerito.

-Non so se in te mi piaccia più la tua fantasia, o il fatto che sei terribilmente attraente- le fece un occhiolino.

Bee gli lanciò un’occhiata allarmata, per poi arrossire senza riuscire a controllarsi.

-Smettila, Jay- lo spinse giocosamente.

Due anni prima, i dottori del laboratorio avevano scoperto una tresca tra Lee e May, ufficialmente L e M, e avevano imposto la regola che le relazioni tra i “soggetti” erano proibite, e tutti i trasgressori sarebbero stati puniti. Non avevano esplicitamente riferito la punizione, ma Lee e May erano spariti, perciò non si prospettava nulla di buono.

Da quando la regola era stata imposta, Jay non aveva perso occasione di flirtare con lei, cosa che la ragazza all’inizio aveva trovato quasi divertente, ma ora era soltanto una seccatura.

Perché con il passare del tempo aveva iniziato a provare davvero qualcosa per il migliore amico, e pensare che lui cercasse di avvicinarsi a lei solo per irritare i dottori la faceva soffrire parecchio.

Effettivamente Jay aveva cominciato quasi per scherzo, ma si era reso conto abbastanza in fretta che c’era un fondo di verità in tutto quello che diceva, e non riusciva a trattenere le parole, anche se sapeva che Bee temeva troppo le conseguenze per lasciarsi andare.

Decise di cambiare argomento per non metterla a disagio.

-Vuoi sapere cosa spero che ci sia fuori da qui?- Jay indicò lo spiraglio.

Bee piegò la testa, incoraggiandolo a continuare.

-Un mondo solitario e vuoto dove poter scappare solo ed esclusivamente con te. E invece temo che sarà solo un buco grigio e spento pieno di altre persone crudeli e approfittatrici- Jay si strinse le ginocchia, e seppellì il volto tra le braccia.

Bee gli circondò le spalle, e provò ad essere positiva.

-Magari la verità sta nel mezzo. Forse ci sono persone gentili e persone cattive. Ma sicuramente se mai usciremo staremo insieme- gli assicurò, stringendolo forte a sé.

-Promesso?- chiese lui, in un sussurro, girando appena la testa per guardarla. Bee ricambiò lo sguardo.

-Promesso. Quando usciremo cambieremo il mondo insieme e lo renderemo un bel posto- confermò, fingendo una sicurezza che non le apparteneva.

-Sei bellissima, Bee- sussurrò il ragazzo, con dolcezza.

-Ti ho detto di smetterla, Jay- Bee arrossì nuovamente, distogliendo lo sguardo. Ogni complimento la rendeva sempre più agitata. Era come se Jay trasferisse un po’ del suo fuoco bruciante dentro di lei, agitandole lo stomaco.

-Perché? Nessuno ci ascolta, e tu meriti che qualcuno te lo dica. Sei la persona più bella del mondo. Fuori e dentro- le mise una mano sul petto, e Bee si sentì scaldata da un calore bruciante.

Sospettava però che non fosse a causa del potere del ragazzo.

-Non possiamo farlo- sussurrò. Senza rendersene conto si era avvicinata, e poteva contare le poche lentiggini sul volto pallido dell’amico.

Lo aveva fatto più volte, ma si rendeva conto che ogni tanto aumentavano o se ne andavano.

Ma non riuscì a concentrarsi sulle lentiggini, perché gli occhi rossi, ora divenuti caldi e pieni di vita, erano un magnete che non le permetteva di distogliere lo sguardo.

-So che vuoi seguire le regole. Sono due anni che ti lascio i tuoi spazi, ma non ce la faccio più a tenermi tutto dentro. Ti amo, Bee. Sei la persona più importante della mia vita. Sei l’unica persona che vorrei avere al mio fianco. Se dovessi scegliere tra te e il mondo sceglierei te un milione di volte. Sei l’aria che respiro, sei l’acqua cheta che spegne l’incendio di rabbia che compone il resto della mia vita. Sei tutto ciò che ho, Bee. E se per te non è lo stesso va bene. Voglio solo che tu sappia quanto sei importante per me. Più di quanto le parole possano esprimere- le disse, avvicinandosi abbastanza da far sfiorare i loro nasi,  senza distogliere gli occhi da quelli blu e persi di Bee e cercando di imprimere nella sua mente ogni loro singola sfumatura di azzurro, anche se mutavano sempre.

Bee non sapeva cosa rispondere.

Dentro di lei, due istinti cozzarono tra di loro come onde che si abbattono su duri e spessi scogli.

L’acqua rappresentava i sentimenti che da anni provava per il migliore amico, gli scogli erano le paure, i rischi e le regole che fin da piccola aveva cercato in tutti i modi di seguire, anche se Jay raramente glielo rendeva possibile.

Alla fine, gli scogli si sgretolarono, e Bee eliminò la distanza che la separava da tutto ciò che da tempo bramava.

Il bacio fu umido, incerto, davvero strano, ma anche meraviglioso.

Jay le accarezzò i capelli, e spostò il viso in modo che i loro nasi non cozzassero tra loro. Sebbene Bee avesse iniziato, fu lui a prendere le redini e ad approfondire quel contatto che troppo a lungo gli era stato negato.

Fu breve ma intenso, sembrò durare allo stesso tempo pochi istanti e anni interi, e dopo che le loro labbra si separarono, rimasero con le fronti incollate. 

-Ti amo anche io, Jay- ammise la ragazza, in un sussurro.

Questa volta il calore che la avvolse veniva da Jay, che non trattenne il sorriso più luminoso che avesse mai fatto, e la strinse talmente forte da farle quasi male.

Se avesse potuto fermare il tempo ad un istante e viverlo per l’eternità, avrebbe scelto quello.

Bee era spaventata, ma seppellì la paura dentro di sé e ricambiò l’abbraccio. Avrebbero tenuto nascosto il loro amore e l’avrebbero fatto funzionare. Ne era certa.

 

 

I cannot believe my eyes 

How the world's 

filled with filth and lies 

finally growing wise

 

Bee e Jay avevano 18 anni.

-Hai esitato!- Jay rimproverò aspramente Bee, mentre strisciavano lungo un condotto di ventilazione, nella loro fuga dal laboratorio.

-Scusami, lo sai che non agisco bene in situazioni di panico!- cercò di giustificarsi lei, la voce bassa ma molto più acuta del normale.

E aveva tutti i motivi di essere nel panico. 

Stava per essere venduta ad un uomo inquietante, e Jay aveva agito di puro istinto prendendola di peso e trascinandola via.

Non era programmato, e Bee era stata presa completamente in contropiede, pertanto non era riuscita a creare subito un muro di ghiaccio, e Jay era rimasto ferito.

-Va bene, non fa niente. Sento uno spiffero, credo che lì ci sia un’uscita- lui tagliò corto, e indicò un punto dal quale proveniva una fioca luce.

Con attenzione, i due ragazzi iniziarono ad avviarcisi.

Jay era intrepido, le mani gli fremevano, ed era eccitato e incredulo per la gioia di avere la libertà a portata di mano.

Bee, al contrario, era terrorizzata. Continuava a pensare a cosa avrebbe fatto, a come sarebbero scappati e a come si sarebbero mimetizzati. I loro occhi erano diversi, avevano i capelli rasati a zero e indossavano tuniche bianche. 

Tra il panico e la speranza, però, un vociare attirò l’attenzione di entrambi.

Sotto di loro, sentirono gli investitori discutere della loro fuga, e una conversazione in particolare attirò la loro attenzione.

-Visto, Carl? È questo che succede quando si mischiano umani e alieni- commentava uno.

Sentirono il collega sospirare.

-Tutti gli altri mi sembrano domati. Sono soprattutto sorpreso che non abbiano abbattuto subito il ribelle. Si sentono parecchie storie su questo J- commentò Carl.

Bee iniziò a sentire caldo. Si voltò verso Jay, e notò che i suoi occhi avevano cominciato a brillare, non era un buon segno.

-Già, le ho sentite anche io. È tutta una questione di soldi. Era il secondo più potente del laboratorio e sarebbe stato uno spreco buttarlo, giusto?- continuò il primo.

-Esatto, ma non ne valeva la pena. Si pensava che cancellargli i ricordi lo avrebbe reso mansueto, ma il sangue non mente- iniziò a rivelargli Carl, in tono confidenziale. Erano proprio sotto i due ragazzi, che riuscirono a sentire tutto quanto.

-Cosa intendi? Il sangue alieno?- chiese l’altro, confuso.

-No, la madre. Sai degli esperimenti, no? 26 donne sono state prese, a qualche mese di distanza l’una dall’altra, per farle accoppiare con gli alieni dell’ultimo pianeta conquistato e creare degli ibridi molto più forti dotati di straordinarie abilità- cominciò a spiegare Carl.

Bee impallidì, e guardò Jay in cerca di partecipazione, ma lui fissava l’origine delle voci, deciso a non perdersi neanche una parola.

-Certo che lo so, lo sanno tutti quelli che sono qui, arriva al punto- lo incoraggiò l’altro, che pendeva dalle sue labbra quasi quanto Jay.

-Ecco, si dice che la madre del soggetto J fosse scappata al quinto mese di gravidanza. Lo hanno ritrovato che aveva già quattro anni, e hanno dovuto cancellargli la memoria. Hai idea di quanto fosse pericoloso? Se si fosse venuto a sapere sarebbe stata la fine- commentò Carl, in tono grave.

-E tu come lo sai? E poi come lo hanno trovato?- indagò l’altro.

-Ho lavorato qui qualche anno, so parecchie cose. E ti ricordi il Fuoco di Harriswood?- lo incalzò, con tono succoso.

-Ovvio, ma cosa… no!- l’interlocutore era incredulo.

-Oh, sì. Terribile tragedia. Pare che abbia ucciso sua madre. Ma almeno lo hanno trovato grazie a questa bravata- commentò Carl.

Bee si portò una mano alla bocca, orripilata. Cercò la spalla di Jay per rassicurarlo in qualche modo, ma si scottò e fu costretta a ritirarla.

Il ragazzo fumava, letteralmente. Sembrava stesse per andare a fuoco da un momento all’altro, cosa parecchio probabile ma che era proprio il caso non accadesse quando erano così vicini all’uscita.

-Jay, andiamo, ti prego- Bee provò ad incoraggiare l’amico, ma lui non sembrava in grado di ascoltarla.

-Non senti odore di bruciato?- commentò Carl, all’improvviso, infastidito.

Bee abbassò lo sguardo verso le mani di Jay, e notò che avevano fuso quasi completamente il condotto.

Pochi istanti dopo scoppiò il caos.

Caddero entrambi, allertando tutto il laboratorio, ma questa volta non fuggirono.

Bee cercò di trascinare via Jay, ma fu costretta a seguirlo nella sua impresa omicida alla ricerca dell’uscita.

Bee chiuse gli occhi, e tentò di ignorare le urla strazianti, le suppliche, le richieste d’aiuto.

Jay non ragionava nemmeno su cosa stesse facendo, agiva semplicemente per inerzia, con l’unico desiderio di farla pagare a quelli che gli avevano fatto del male.

Il ché comprendeva tutti coloro che non fossero Bee.

Quando finalmente uscirono, il laboratorio alle loro spalle stava lentamente crollando su sé stesso in un mare di fuoco, circondato da elicotteri pronti ad andare in soccorso e gente che usciva da tutte le parti cercando di salvarsi.

I due ragazzi riuscirono senza troppi problemi a non farsi notare in mezzo alla folla.

Feriti, stanchi e scarichi, chiusero definitivamente quello che credevano sarebbe sempre rimasto il capitolo più brutto della loro vita.

Bee provò ad essere ottimista.

Erano fuori, erano insieme, ed era la cosa più importante.

Purtroppo Jay aveva lasciato tra le mura di quella prigione tutte le speranze che aveva provato a riporre nell’umanità.

Dopo quel giorno, non fu più lo stesso.

Ma Bee era pronta a tenere insieme i pezzi. 

 

 

It's plain to see  

Evil | Rapture 

inside of me

 

 

Jay e Bee avevano 28 anni.

Ed erano entrambi stremati.

Nel corso delle loro brevi e miserabili vite avevano sopportato un considerevole numero di scontri, con esiti molto differenti tra loro ma che portavano sempre allo stesso finale, privo di conseguenze a lungo termine.

Ma quella volta era diverso.

Quello scontro sarebbe stato l’ultimo per uno dei due.

E al momento, Bee era in totale svantaggio. 

Premuta contro il freddo cemento davanti al Ministero della difesa, il fuoco che ardeva intorno a lei rubando l’ossigeno, l’acqua ormai quasi del tutto scomparsa. Osservava con occhi vitrei l’uomo sopra di lei, e il coltello che teneva sollevato pronto ad abbatterlo sul suo petto e a togliere la poca vita rimastale.

Jay era a pochi passi dalla realizzazione del suo sogno, un sogno che inseguiva fin da piccolo, fin da quando era stato strappato alla sua vecchia vita e gettato in quel laboratorio senza ricordare neanche come ci fosse finito e perché. 

Era questione di istanti. Gli ultimi istanti della vita di uno di loro.

Ma entrambi videro l’intera vita passare davanti ai propri occhi.

Gli anni in laboratorio, le punizioni di Jay, gli esercizi di Bee, i momenti rubati nel sottotetto. Diva e il resto dei loro compagni. Le torture, i giochi, le battaglie. La fuga, gli anni passati insieme, il litigio che aveva spezzato tutto. Per diciannove anni, la loro vita era stata condivisa. Erano come due gemelli siamesi attaccati e inseparabili.

Ma furono i successivi cinque anni a determinare l’esito.

Jay ricordò la guerra per le strade, le risse, il dolore, la solitudine che lo stava lentamente uccidendo. Gli attimi di debolezza, e l’odio che provava da sempre e che alimentava il fuoco che portava dentro da talmente tanto tempo che iniziava a bruciare anche lui.

Bee ricordò la sofferenza, l’incertezza, ma anche la gioia, la speranza, la libertà. Tutti gli amici che aveva guadagnato, i sorrisi che aveva portato agli altri. L’amore che calmava le acque impervie nella sua mente.

Negli istanti decisivi del combattimento, uno di loro esitò.

L’altro agì senza pensarci neanche per un attimo.

Il coltello cadde a terra, mentre Jay perdeva le forze nelle mani, e si accasciava sopra a Bee, una stalattite di ghiaccio lo aveva trafitto, creata dall’acqua dentro di lui che gli aveva distrutto gli organi.

La ragazza non lo scansò.

Lo strinse con forza, singhiozzando copiosamente.

Non riusciva a piangere, non aveva abbastanza acqua dentro di sé.

-Hai… esitato- sussurrò all’orecchio della persona che per anni era stata la più importante per lei, e che sperava che finalmente potesse riposare in pace, lontano dall’odio che l’aveva divorato per tutta la vita.

Con le ultime forze rimaste prima di cadere nell’oblio, Jay accennò un sorriso, e le mormorò un’ultima, importante parola.

-Scusa-

Non sapeva neanche lui per cosa si stesse scusando. Se per averla abbandonata, per averla quasi uccisa o per aver esitato e non averlo fatto, ma Bee singhiozzò più forte e lo strinse finché il mondo smise di circondarlo.

Per un singolo istante, Jay visse quello che per gran parte della sua vita aveva considerato il paradiso: lui e Bee da soli, insieme, per sempre.

Poi arrivò il vuoto.

E mentre la consapevolezza di quello che aveva fatto raggiungeva la mente della ragazza, le sue mani iniziarono a fremere, come se una parte del fuoco di Jay fosse entrato dentro di lei.

Valeva davvero la pena vivere in un mondo senza di lui, in un modo dove lei lo aveva ucciso?

Sentì le voci dei giornalisti, dei militari, di qualche superumano che lavorava per loro. Persone che avevano visto solo i suoi lati peggiori, e già esultavano con forza per la sua dipartita.

Una parte di lei, era furiosa.

Ma calmò in fretta il fuoco che si stava accendendo.

E calmò il tremore.

Aveva fatto la cosa giusta, e lo sapeva anche Jay, ne era certa.

Per la prima volta da tutta la sua vita, si sentì in pace. 

Gli diede un ultimo bacio sulla fronte, prima di alzarsi e lasciarlo andare.

Lo avrebbe amato per sempre, e lo avrebbe portato nel cuore.

Il ragazzo dal sorriso caloroso, gli occhi brillanti e l’animo focoso, che le aveva salvato la vita.

 

is on the rise

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Questa storia è stata un esperimento. Ho armeggiato, maneggiato e ci ho messo davvero l’anima. Non mi sembra giusto spiegare tutti i collegamenti, le metafore e il simbolismo, anche perché non saprei da dove cominciare, ma spero davvero di essere riuscita a trasmettere bene il concetto di doppio e di poli opposti che però si continuano ad attirare l’uno all’altro. 

La canzone che porta avanti i pezzi di vita di Bee e Jay spiega bene il concetto dei due punti di vista dei protagonisti, e consiglierei di ascoltarla. Non ci ho messo di mezzo troppi riferimenti al musical dal quale è tratta, ma ammetto di aver inserito Harriswood come Easter Egg dato che il cantante della parte di Jay è Neil Patrick Harris.

 

   
 
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