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Autore: blackjessamine    09/09/2019    8 recensioni
Ispirato all'inarrivabile raccolta di racconti "Eleven Kind of Loneliness" di Richard Yates, questo vuole essere il ricamo di undici vite, undici esistenze raccontate nei loro momenti più vulnerabili.
Personaggi diversi che si muovono in momenti diversi, tutti accompagnati dalla stessa solitudine.
Di Richard Yates, Alfred Kazin dice che lui "riassume la nostra epoca con più spietatezza di ogni altro, ma anche con più pietà". La stessa pietà con cui spero di sfiorare le solitudini dei miei personaggi.
1. Capitolo Indice
2. Petunia Evans [Storia partecipante al contest "Sincero (non mi odi più) indetto da Giunia Palma/Lady Palma sul forum di EFP]
3. Mirtilla Malcontenta
4. Severus Piton
5. Priscilla Corvonero
6. Barty Crouch Jr. [Storia partecipante al contest "Citazioni in cerca d'autore (Oscar Edition)! - II Edizione", indetto da Rosmary sul forum di EFP]
7. Helena Corvonero [Storia partecipante al contest "Una biblioteca in disordine", indetto da Marika Ciarrocchi/Angel Cruelty sul forum di EFP]
8. Andromeda Tonks
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mirtilla Malcontenta, Petunia Dursley, Severus Piton
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Personaggio: Priscilla Corvonero
Genere/i: Introspettivo
Avvertimento/i: nessuno
Nota/e: nessuna
Contesto/i: Dai Fondatori alla I Guerra
Rating: giallo
Lunghezza storia: one-shot
Introduzione: "Le colpe del mondo scorrono tutte nelle nostre vene di donna".
Note d'autore: La storia è stata scritta per il contest "Le sei mogli di Enrico VIII", indetto da GiuniaPalma sul forum di EFP, basandomi sugli elementi obbligatori presenti nel pacchetto Jane Seymour: - situazione: la protagonista scopre di essere incinta; - motto: tenuta a servire e obbedire; - prompt (facoltativo): morte.

Per le giustificazioni trovate da alcuni uomini per le proprie avventure, mi sono molto (ma proprio tanto) liberamente ispirata all’encomio di Elena di Gorgia.





 
 
Tutte le colpe del mondo
 




 
 Ho conosciuto tanti nomi in questo mondo storto.
Quando la mia coscienza era ancora materia morbida come cera appena scaldata, ho respirato il profumo della sicurezza, cullata da un canto lieve.

Sono stata figlia.

Ho disteso la mia risata sui prati in fiore, incurante della mia bellezza acerba che sembrava sfuggirmi ad ogni passo, illuminandomi d’una luce che nemmeno riuscivo ad avvertire.

Sono stata fanciulla.

Ho avuto sete di conoscenza, avida come un naufrago che approdi sulle spiagge dell’abbondanza. Ho avuto sete, e l’ho saziata consumando i miei begli occhi sui solchi d’inchiostra tracciati dalle mani dei saggi.

Sono stata allieva.

Mi sono chiusa in una torre d’avorio, sorda al mondo, ma la voce di tre anime affini mi ha sedotto come un canto di sirena, ricordando che la sapienza, quando custodita in una stanza vuota, è soltanto sprecata.

Sono stata amica.

Ho imparato a diventare davvero adulta guidando i passi incerti di giovani maghi inesperti, donando loro la mia sapienza e trovando per me nuovi orizzonti osservando la vita attraverso i loro occhi.

Sono stata maestra.

Ho conosciuto il fuoco del sangue che brucia le vene, l’affanno di corpi sudati, il piacere di condividere un’intimità leggera, fatta di semplici istanti. Ho conosciuto la soddisfazione di essere carne, carne soltanto, celebrando la vita con incontri privi di direzione.

Sono stata amante.

La vita me la porto appresso ad ogni passo, ora. Potrebbe stare racchiusa in un pugno, e ancora riesce a nascondersi fra i drappeggi che mi avvolgono il ventre, ma nella mia coscienza brilla come un sole tiepido.
Presto la luce della mia piccola vita sarà tanto intensa da abbagliare il mondo.
So già quale sarà mio nome, allora.

Non madre.

Puttana.

Ché la mia mano l’ho lasciata baciare a molti, ma non l’ho mai concessa a nessuno.
Ché quei baci lascivi li abbiamo sempre voluti in due, ma solo da me ci si aspettava un rifiuto.
Se scambiassi il mio cognome con quello di un giovane sciocco, riceverei in dono una manciata di appellativi nuovi.

Madama.

Donna onesta.

Moglie.

Schiava.

Comunque puttana, ora o fra dieci anni, per uno sguardo sbagliato o una risposta sgradita.

Dovrei mutilare il mio ingegno per non far sfigurare il mio uomo.
Dovrei imparare a chinare il capo, a mordermi la lingua, a lasciarmi imbrigliare in convenzioni vuote e lontane dal naturale scorrere liquido delle relazioni.
Sarei tenuta a crescere un figlio con un nome diverso dal mio, seguendo dettami diversi dai miei.
Sarei tenuta a servire i suoi capricci e obbedire ai suoi ordini travestiti da desideri, io che sono nata soltanto per servire la ragione e obbedire al richiamo della conoscenza.

Non so ancora se la mia piccola vita nascerà con la colpa nel sangue, o avrà lo scudo di chi colpevole non lo è mai.
Mai, ché se un prode cavaliere raccoglie le grazie di donna Priscilla, lo fa soltanto per assecondare il volere di un dio che quella strega sa piegare ai propri desideri.
Se il promesso sposo di una dama lontana si scalda le membra sotto le gonne della saggia Priscilla, il suo volere è certamente soggiogato da un filtro d’amore.
Se un brillante studente s’attarda nelle stanze della sua insegnante ben l’oltre l’orario suggerito dal buon costume, la colpa è soltanto della sapiente favella di donna Corvonero.

Le colpe del mondo scorrono tutte nelle nostre vene di donna.

Io me le porto in grembo con la fierezza d’una regina, queste colpe celebrate nella voluttà del momento.
Me le porto sul capo come un diadema di stelle.

La mia piccola vita forse non mi perdonerà mai per non averle dato un padre.
Spero che arriverà il giorno in cui riconoscerà il valore del mio dono per lei.

Non la vita.

La libertà.

 
   
 
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