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Autore: heartbreakerz    10/09/2019    3 recensioni
[ Matsukawa/Hanamaki, college AU ]
Issei si trasferisce in un nuovo appartamento e, nel mezzo del trasloco, riceve un pacco destinato al suo vicino.
Dal testo: “Quella sera, quando ormai la pioggia si è fermata e Ken è tornato dal suo padrone, Issei si trova a ricomporre i pezzi dell’imballaggio. La plastica è completamente lacerata, inutilizzabile, ma dal cartone si riesce ancora a leggere il nome del proprietario.
Hanamaki Takahiro. Numero civico: 304A.
E, oh, pensa Issei. Restituire quel pacco
non sarà divertente.”
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Issei Matsukawa, Takehiro Hanamaki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta a Febbraio per il COW-T 2019 indetto da Lande di Fandom. La storia partecipa anche alla challenge Keep the secret! di Fanwriter.it, per il prompt 16: “A scopre per sbaglio il segreto di B e cerca di non dargli peso. BONUS se il tutto diventa imbarazzante.”

Scusate l’imbarazzo di questa fic e buona lettura!

 


 

302A, 303B

 

Issei si è da poco trasferito nell’appartamento 302A. I suoi pacchi sono raggruppati nel salotto e in cucina, impilati in modo ordinato l’uno sull’altro. Sono ancora sigillati. Non ha avuto modo di aprirli né smistarli – tra lavoro part-time e università, con i nuovi pacchi che continuano ad arrivare, aprirli ora sarebbe inutile, uno spreco di tempo. E poi, tutto sommato, quello stile minimal non gli dispiace.

Il problema – l’unico, vero problema – è che con tutte le scatole e tutti i pacchi che entrano ed escono da casa sua, Issei ha smesso di controllare prima di aprire la porta e i corrieri hanno smesso di controllare il numero civico. Non è assurdo, quindi, che Issei si ritrovi in casa il pacco sbagliato.

O almeno – non è assurdo trovarsi in casa il pacco sbagliato, questo no, ma è sicuramente assurdo il modo in cui Issei se ne accorge.

Fuori piove e Issei corre rapido verso casa. Ken è al suo fianco, il pelo fradicio per la pioggia, le zampe sporche di fango. Issei lo lascia fuori dalla soglia di casa mentre, sfilandosi la felpa, si affretta alla ricerca di un asciugamano. Quando lo trova è già troppo tardi: davanti alla sua porta ci sono macchie marroni, cartone stracciato, e bolle trasparenti scoppiate—un imballaggio di plastica. Tra i denti di Ken, invece, c’è uno strano affare cilindrico, di colore nero, qualcosa che Issei non riconosce come suo. Ma può succedere, no? Sua madre continua a mandargli pacchi superflui con affari per la cucina e per il bagno, oggetti inutili di cui Issei non conosce nemmeno il nome ma è sicuro che non userà mai. Immagina che anche questo pacco sia uno di quelli.

Ma quel pacco non è di sua madre. Almeno, Issei spera che non sia di sua madre, altrimenti sarà piuttosto imbarazzante chiedere spiegazioni. Perché, ecco, ciò che Ken sputa davanti ai suoi piedi – con aria fiera, anche – non è un semplice cilindro nero.

È un dildo.

E anche abbastanza grosso, deve ammettere.

Non che Issei ne sia sicuro. Cioè, è sicuro che sia grosso, ma non è sicuro che sia un dildo. Non ne ha mai usato uno in vita sua e, a dire il vero, non è nemmeno sicuro di averne mai visto uno dal vivo. Ma ora, per la sua gioia, ne stringe uno tra le mani. È coperto di bava di cane e morsi, e per qualche motivo Issei lo trova divertente. Dopotutto, non è inginocchiato davanti alla soglia di casa, completamente fradicio per la pioggia, con la porta spalancata e un dildo in mano. No?

, impreca quando un’ombra arriva dalla sua destra. Si affretta a lanciare il pacco dentro casa e nascondere il dildo dietro la schiena. Poi l’ombra si fa umana e un ragazzo dai capelli castani – così chiari da sembrare rosati – gli lancia un’occhiata confusa.

«Huh, ciao» dice Issei, raddrizzando la schiena. È ancora in ginocchio a terra, Ken sull’attenti al suo fianco.

L’altro ragazzo sembra sul punto di fare domande ma alla fine, grazie al cielo, si limita a ricambiare con un semplice: «Ciao a te». Poco dopo se n’è già andato, scomparso nell’appartamento di fianco a quello di Issei.

Issei decide che è il momento giusto per chiudere la porta.

 

Quella sera, quando ormai la pioggia si è fermata e Ken è tornato dal suo padrone, Issei si trova a ricomporre i pezzi dell’imballaggio. La plastica è completamente lacerata, inutilizzabile, ma dal cartone si riesce ancora a leggere il nome del proprietario.

Hanamaki Takahiro. Numero civico: 303A.

E, oh, pensa Issei. Restituire quel pacco non sarà divertente.

 

* * *

 

Issei torna dall’università alle cinque. Apre il cancelletto e lancia un’occhiata al cortile interno dell’edificio. Solitamente è vuoto, abitato solo dall’erba e dai fiori, dalle due panchine sbiadite e dalle biciclette parcheggiate nelle rastrelliere. Quel giorno, però, il giardino è agitato: c’è una persona, là – una persona che parla da sola.

«Ma che vuoi?» dice, una certa dose di sdegno nella voce. «Ti ho già detto che non ho niente per te. Vattene. Sciò. Via.»

A Issei basta avvicinarsi di qualche passo per riconoscere i capelli rosati, ed è subito tentato di fare dietrofront. E lo sta per fare, davvero. Sono passati solo pochi giorni dall’Incidente, quello con la I maiuscola, e Issei non è ancora pronto per quella conversazione. Ma quando fa per andarsene, in silenzio e senza farsi notare, il ragazzo parla di nuovo.

«Stupida gallina.»

E Issei scoppia a ridere.

Hanamaki – cognome confermato dal citofono dell’appartamento 303A – solleva lo sguardo verso di lui e gli lancia un’occhiataccia. Ha le sopracciglia così sottili e chiare che a distanza non si vedono. Quando si avvicina, però, Issei le trova corrucciate in una domanda, come se volesse chiedergli cosa c’è di tanto divertente?

Issei non è sicuro di dover rispondere (o di poter rispondere, per ciò che vale), ma quando abbassa lo sguardo a terra, lì dove un piccione becca l’erba attorno alle scarpe di Hanamaki, le parole gli escono senza permesso.

«Penso che quello sia un piccione, non una gallina.»

«Vabbè» risponde Hanamaki, il tono così affilato da sembrare un ma chissene frega? «Stessa famiglia.»

«No, uh, sono sicuro che siano famiglie diverse.»

«Oh, ma davvero?» Hanamaki ruota gli occhi al cielo. «Domando scusa. Non sapevo di star parlando con un esperto di uccelli.»

Issei non sa bene come rispondere a quella frase, quindi fa finta di niente. Si toglie invece lo zaino dalla spalla e si accomoda sulla panchina. Hanamaki al suo fianco lancia uno, due sguardi verso il cancello da cui Issei è appena entrato, ma non si sposta. E non parla nemmeno. Così tra di loro sorge quello che, da fuori, potrebbe sembrare un silenzio imbarazzante, ma che, secondo Issei, nasconde ben altro. È come se lì sotto ci fosse qualcosa di non detto – e a pensarci bene, qualcosa di non detto c’è.

Nello specifico, un comunque il tuo dildo è in casa mia.

Issei è costretto ad ammetterlo: non freme dalla voglia di iniziare quel discorso. Eppure, qualcosa in Hanamaki ha attirato la sua attenzione – e sì, a pensarci bene potrebbe avere a che fare con l’averlo visto insultare un piccione-barra-gallina.

«Sono Matsukawa» dice allora, quando il silenzio si è ormai trascinato troppo a lungo. «Matsukawa Issei, appartamento 302A.»

«Ancora meglio» risponde l’altro. «A chi non serve un uccellaio di fiducia a portata di mano.»

Issei ride ancora una volta. È quasi sicuro che uccellaio non sia la parola giusta (né che quella conversazione abbia senso, a dire il vero) ma il tono con cui Hanamaki gli parla è esilarante. Non c’è rabbia dietro alle sue parole, e nemmeno irritazione; ciò che traspare è più che altro un semplice nervosismo, tutto suo, qualcosa d’interno che non ha nulla a che fare con la presenza di Issei.

Così Issei non ci fa caso.

«Quindi…» comincia.

«Quindi?»

«Cosa ci fai qui seduto?»

«Sono affari tuoi?» Hanamaki risponde secco, ma nell’istante successivo se n’è già pentito. Il suo viso si ammorbidisce per un lungo secondo e le sue labbra si piegano in una smorfia contratta. Volta il capo per non farsi vedere, e Issei si ritrova, per qualche motivo, a distogliere lo sguardo.

Lo punta verso terra, lì dove il piccione continua a zampettare indisturbato, e pensa che sia il caso di andarsene. Di stare zitto. Di trovare il modo per ricomporre il pacchetto (o crearne uno nuovo) e lasciarlo di notte davanti alla porta di Hanamaki. Sarà ovvio che qualcuno l’ha aperto, ma almeno non sarà ovvio che la colpa è sua, di Issei, e quell’atmosfera imbarazzante cesserà di esistere.

Invece – ed è già la seconda volta che si ritrova a parlare senza volerlo – Issei si limita a scrollare le spalle e indicare il povero piccione. «Vedi, è curioso anche lui.»

«Non ci posso credere» dice Hanamaki portandosi una mano alla bocca. Il gesto è così teatrale da risultare quasi offensivo. «L’uomo che sussurrava alle galline è qui presente. Posso chiederti un autografo?»

«Ma dai» dice Issei, ridendo di nuovo.

Allora Hanamaki sospira. Si passa una mano tra i capelli, così corti da svanire tra i cavi delle sue dita, e si rilassa contro lo schienale della panchina. Sembra star decidendo cosa dire; o forse, data la situazione, deve capire cosa possa dire, quali siano le parole giuste per soddisfare la curiosità di Issei, senza però dargli la possibilità di infierire con ulteriori domande.

E Issei lo capisce. Quella è solo la seconda volta che parla con Hanamaki, e non è che Issei si sia sforzato per mostrare la parte migliore di sé. Anzi: dopo averlo salutato inginocchiato a terra, davanti ad una porta spalancata, quasi fosse una preghiera, ora si è persino guadagnato il titolo di esperto di uccelli.

Deve ammetterlo: non uno degli inizi migliori.

Ma nemmeno dei peggiori, a quanto pare, perché qualche istante dopo, lasciandosi cadere le mani in grembo, Hanamaki gli risponde.

«Sto aspettando un pacco.»

«Ah.»

Eccoci, pensa Issei. Ora glielo deve dire.

«Sai,» comincia scandendo lentamente le parole «per lavoro faccio il dog-sitter.»

La risposta di Hanamaki è disinteressata. «Mh-mh.»

«Un paio di giorni fa ho portato a casa un cane» continua allora Issei. «Ha combinato un disastro.»

«Mmmh.»

«Nello specifico,» la voce gli trema, forse per il nervosismo, forse per le una risata trattenuta «ha visto un pacco fuori e me l’ha portato in casa—»

«No.»

«—io me ne sono accorto tardi, e lui ormai—»

«No, no

«—aveva già strappato la scatola a morsi.»

Hanamaki emette un verso acuto e tetro, un lamento, forse un addio. Se al suo dildo o alla sua dignità, questo Issei non lo capisce.

Ciò che capisce, però, è che Hanamaki è in imbarazzo, e anche molto. Il suo viso, prima pallido, si è tinto di un profondo color rosa, che gli bagna non solo le guance ma anche la fronte e le orecchie. Non riesce a nasconderlo nemmeno coprendosi il viso con entrambe le mani.

«Tu… Hai visto cosa c’era dentro?» domanda dopo qualche istante.

Issei lo fissa attento, studiandolo. Cosa deve fare? Mentire? Ma il pacco è aperto e quando andrà per restituirglielo sarà più che ovvio. Non andrebbe a peggiorare la situazione?

Non gli sembra di avere tante possibilità.

Così, scrollando una spalla, come se nulla fosse, dice: «Sì».

Hanamaki sbianca.

Un attimo dopo, Issei sente qualche goccia cadergli sul capo, giù per il collo, sulle mani.

«Huh, sta per mettersi a piovere» dice.

«Io sto per mettermi a piangere» risponde Hanamaki, prima di alzarsi e scomparire senza guardarsi indietro.

 

Issei torna nel suo appartamento dieci minuti dopo. Bagnato fradicio, di nuovo.

 

* * *

 

Quel sabato, il salotto di Issei è libero dalle scatole. Ora la casa sembra abitabile, e soprattutto abitata. C’è persino un tappeto. Issei non è sicuro che il colore si abbini con il resto del mobilio, ma non ci dà troppo peso, non per il momento. Dopotutto, gli invitati di oggi sono Oikawa e Iwaizumi, e nessuno dei due sembra poi così esperto di decorazioni d’interni.

Perciò Issei può considerare ufficialmente concluso il suo trasloco.

C’è voluto più tempo del previsto, a dire il vero. Tra il lavoro part-time, i pacchi che continuavano ad arrivare, le chiamate di sua madre, i pacchi che continuavano ad arrivare, l’università, e i pacchi, i pacchi e i pacchi… Issei pensa di non aver mai visto così tanti pacchi in vita sua. Ormai ha sentito suonare il campanello così spesso che, quando il familiare dlin dlon risuona per il salotto, Issei è già davanti alla porta con lo stampo in mano.

Eppure questa volta non c’è un pacco ad aspettarlo, ma il suo vicino, quello con i capelli  rosati, le sopracciglia sottili e un odio immenso e ingiustificato per i piccioni.

Insomma, Hanamaki. Appartamento 303A.

Quello del dildo.

«Ciao»  dice lui.

«Ciao»  risponde Issei. «Sei venuto a chiedermi quel famoso autografo?»

Hanamaki finge di non aver sentito. «Potresti restituirmelo?» dice invece, la frase sputata fuori rapidamente, senza respirare.

Issei inclina il capo. «Restituirti… cosa?» chiede, sollevando un sopracciglio.

«Smettila,»  dice Hanamaki «sai benissimo cosa

E, oh, è vero, Issei lo sa benissimo. Eppure vedere il viso di Hanamaki arrossato e contratto da quella smorfia lo diverte, così come sentire la sua voce – imbarazzata sì, ma anche colorata da uno strano accento che Issei non si sa spiegare e di cui vuole sapere di più.

E cosa gli resta se non fare finta di niente?

«No,» dice allora «non lo so proprio.»

E Hanamaki deve averglielo letto negli occhi perché, dopo un lungo sospiro, la sua voce si fa appena più acuta. «Dammi il vibratore.»

Ah, è tutto ciò a cui riesce a pensare Issei. Vibra anche.

«Aspetta un attimo» gli dice, prima di rientrare in casa. Torna sulla soglia qualche attimo dopo, con una busta di plastica in mano.

La porge a Hanamaki. «Non è messo così male, ma forse è il caso di ricomprarlo» dice, sollevando appena le sopracciglia. Non è propriamente sicuro di quali fossero le condizioni del dildo – no, vibratore – prima che finisse tra le fauci di Ken, ma è quasi sicuro che le impronte di denti di cane sul silicone non fossero nel design originale. «Ehm... te lo ripago.»

«Ma certo» scoppia Hanamaki, la voce ancora più acuta di prima. «Andiamo domani, ti va? Mi accompagni al sexy shop più vicino, magari entriamo anche per mano.»

Issei sbatte le palpebre una, due volte. Poi si appoggia con il fianco allo stipite della porta.

«Oh» dice solo.

Hanamaki gli lancia un’occhiataccia. «Che altro c'è?»

«Nulla» dice Issei. «Solo, pensavo che fosse per la tua ragazza. Non, uh, per te.»

La scena si svolge a rallentatore.

Issei finisce di pronunciare la sua frase.

Hanamaki sbianca.

Il suo volto si contorce in un fantastico oh, no.

Oh, sì pensa Issei. Quella sì che è una bella espressione.

Ma prima che possa continuare – per peggiorare (migliorare) la situazione – una voce conosciuta lo distrae.

«Oikawa,» dice Iwaizumi alle spalle di Hanamaki «dimmi che anche tu vedi ciò che vedo io.»

«Mattsun che flirta? Aspetta—» La sua voce si spezza all’improvviso e la busta di plastica che tiene in mano cade a terra. «Mattsun che flirta?!»

Hanamaki impreca.

Issei sospira. Fa per dire qualcosa – qualsiasi cosa, a questo punto – ma Hanamaki se n'è già andato, mormorando un «Addio e a mai rivederci» sottovoce.

Iwaizumi, Oikawa e Issei restano a fissarsi sul pianerottolo. Issei ha ancora un fianco poggiato allo stipite della porta, Oikawa ha ancora quell’espressione sorpresa sul viso; Iwaizumi è l’unico in movimento. Si piega per raccogliere le birre cadute a terra e le infila nuovamente dentro alla busta di Oikawa, non senza uno sbuffo scocciato.

«Quindi?» chiede Oikawa, la voce allegra, come se avesse appena scoperto un nuovo segreto. «Quello chi era?»

«Il mio vicino di casa» risponde Issei.

«Quello del dildo?»

Ed ecco, pensa Issei. Dirlo a Iwaizumi non è stata la scelta giusta. E no, non perché Iwaizumi sparga i suoi segreti in giro, ma perché Iwaizumi dice tutto anche a Oikawa, e Oikawa è clinicamente incapace di dire la cosa giusta.

Quindi dice sempre la cosa sbagliata.

Ad alta voce.

A pochi metri di distanza dalla porta di Hanamaki.

Hanamaki, che un attimo dopo spalanca la porta e sputa: «Ma la smettete? Si sente tutto, andatevene in casa».

Issei vorrebbe ridere, ma poi Oikawa parla. Di nuovo.

«Scusa» dice. E poi, senza rendersi conto della domanda che sta facendo, Oikawa continua: «Ti stiamo disturbando?».

«Oikawa!» esclama Iwaizumi nello stesso istante.

Ma ormai è troppo tardi. Hanamaki è arrossito, di quel rossore che gli copre tutto il viso, le orecchie, e persino una piccola porzione del collo. E Issei non può negarlo: l’ha pensato. Quel colore ti dona, l’ha pensato. E continua a pensarlo, anche mentre il viso di Hanamaki si fa sempre più acceso e Iwaizumi e Oikawa continuano a battibeccare indisturbati.

«Che c’è?» dice Oikawa, lo sguardo fisso su Iwaizumi. «È il suo vicino di casa, dobbiamo fare amicizia!»

Hanamaki risponde secco, la voce tremante. «Anche no.»

«Dai, sì» risponde invece Issei. Si stringe appena nelle spalle e continua: «Ti va di bere con noi? Si festeggia il nuovo trasloco. A meno che, certo, tu non sia, ehm, occup—».

«Finisci quella frase» lo minaccia Hanamaki «e ti ritroverai una denuncia alla porta.»

«Nah. A questo punto preferisco il vibratore.»

«E smettila!» dice l’altro, e questa volta la sua voce non è acuta per l’imbarazzo, ma per le risa. In effetti, la situazione è diventata così assurda da far passare la vergogna in secondo piano. Riderci su è facile, pensa Issei, soprattutto quando al suo fianco c'è Oikawa, ora con le braccia incrociate sul petto, che fissa Iwaizumi come a dirgli Hai visto? Hanno fatto amicizia, Iwa-chan.

Il che dopotutto non è troppo male. Non è male perché la risata di Hanamaki è, come dire, adorabile. Quella gli sembra l’unica parola adatta.

Grazie alle risa, la voce di Hanamaki si è fatta appena più acuta e roca al tempo stesso. Ogni nuova risata è accompagnata persino da un respiro singhiozzato, qualcosa che Issei vorrebbe sentire di nuovo, ma in un contesto completamente diverso.

Ma non è quello il momento di pensarci, e Iwaizumi sembra della stessa idea.

«Okay, okay, ora basta» dice, sospirando. Sembra un padre che ha a che fare con i figli rumorosi. «Siamo ancora sul pianerottolo, rischiamo di infastidire anche gli altri vicini.» E mentre parla, appoggia una mano alla base della schiena di Oikawa per spingerlo verso l'ingresso dell’appartamento.

Issei si fa da parte.

Prima di scomparire dentro il salotto, però, Iwaizumi lancia un’occhiata a Issei e poi di nuovo ad Hanamaki. Passandosi una mano tra i capelli ispidi sospira, per poi fare un breve cenno di saluto ad Hanamaki.

«Bevi con noi» dice solo, prima di entrare in casa, richiamato dall’«Iwa-chan!» che arriva dalla cucina.

Issei resta da solo sul pianerottolo, con Hanamaki a pochi metri di distanza.

Ci vuole un attimo prima che la situazione si smuova, e in quell’attimo il viso di Hanamaki si colora di diverse espressioni: curiosità, imbarazzo, divertimento, e poi qualcos’altro, che Issei non è sicuro di aver compreso. Ma poi Hanamaki si avvicina, lentamente, e quel pensiero passa in secondo piano.

Quando Hanamaki è sulla soglia della porta, Issei allunga un braccio e gli blocca l’ingresso.

«Quindi?» dice Hanamaki.

Issei gli mostra un sorriso sghembo. «Quindi non hai la ragazza» dice.

Non è una domanda, ma Hanamaki risponde lo stesso. «Non c’è bisogno di ripeterlo, l’hai già capito.»

È vero, pensa Issei. Che Hanamaki non abbia la ragazza ormai è chiaro. Però un’altra cosa non è chiara, e a questo punto è di vitale importanza.

«E il ragazzo?»

Hanamaki non risponde subito. O almeno, sembra non riuscire a rispondere subito. Resta boccheggiante per un lungo attimo, le labbra che si aprono e si chiudono in parole mute. Distoglie persino lo sguardo, lentamente, spostandolo dal viso di Issei al suo braccio che blocca l’ingresso, e giù, verso terra.

Quando finalmente ritrova la voce, Hanamaki torna a guardarlo negli occhi, la schiena dritta, il mento sollevato con fare di sfida.

«No» risponde solo.

E allora Issei dice esattamente ciò che non dovrebbe dire. «Allora posso accompagnarti. Al sexy shop, intendo.»

Hanamaki scoppia a ridere, una risata che è divertimento e scherno al tempo stesso. E nonostante ciò, Issei non riesce a odiarla, non davvero.

«Wow,» dice Hanamaki, quando lentamente riprende fiato «parti già dal presupposto di non riuscire a soddisfarmi? E—no,» si corregge subito, improvvisamente rosso in viso «fa’ finta che non abbia detto niente.»

«Sì ma ormai l'hai detto» risponde Issei.

«E infatti ti ho detto di fare finta di niente.» Distoglie lo sguardo, Hanamaki, e lo punta alla sua sinistra, verso la scala d’ingresso. Deve esserci qualcosa di curioso, là, perché all’improvviso Hanamaki spalanca gli occhi ed esclama: «Oh, guarda, un’altra gallina!».

Issei si sporge fuori, incuriosito. Hanamaki lo attira a sé con entrambe le mani, gli poggia le mani sul petto, e poi, con una leggera pressione, lo spinge fuori e gli chiude la porta in faccia.

È tardi quando Issei si rende conto di essere stato chiuso fuori da casa sua. Con un trucco pessimo, vorrebbe aggiungere, davvero pessimo. Eppure quando si porta le mani al petto, lì dove Hanamaki si è appoggiato con le dita, Issei avverte uno strano calore.

Ha le mani sudate.

Sospira.

Impiega qualche minuto a ritrovare la sua poker face, e solo allora ritorna in casa.

Si dirige verso il salotto. Di Hanamaki, in giro, non c’è l’ombra. Invece ad aspettarlo c'è Iwaizumi, già seduto al tavolino al centro della stanza, con le birre sistemate davanti a lui.

Non commenta sul suo ritardo. Invece dice: «Gli altri due sono in cucina. Penso che vogliano cucinare qualcosa.»

Issei si limita ad annuire, lento e distratto.

Iwaizumi lo fissa attento. Non è un tipo di molte parole – quel lavoro, di solito, è di Oikawa –  eppure non si risparmia un’occhiata incuriosita, seguita da una breve domanda.  «Dunque? Com’è finita?»

«Penso di essermi innamorato» dice Issei, e si accorge tardi di ciò che ha appena detto. E nonostante tutto, per qualche motivo, non pensa che quella sia una bugia, non del tutto.

Quel ragazzo, con i suoi capelli rosati e le sopracciglia sottili, ha attirato la sua attenzione. E ora è nella sua cucina, a parlare con i suoi amici, e tutto ciò gli provoca, per qualche motivo, una strana felicità.

Iwaizumi gli dà un pacca sulla spalla. «Quando spiegherai ai tuoi figli che tutto è nato da un dildo, ti prego, mandami la registrazione.»

Issei scoppia a ridere.

Quell’incontro, pensa, sarà difficile da dimenticare.

 

 


 

Informazioni extra di poca importanza:

* Kyoken-chan è diventato un cane in questa fic perché mi andava così

* un possibile titolo alternativo sarebbe potuto essere “Galeotto fu il vibratore” ma mi sono trattenuta e per questo dovete ringraziarmi 

 

Spero che la fic vi sia piaciuta!

A presto,

hz

   
 
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