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Autore: Enchalott    11/09/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Inversione delle parti
 
L’acqua gelida e scura l’aveva avvolta come un guanto stretto, soffocante, mozzandole il respiro. Aveva avvertito nella gola il sapore salato del mare, nel vano tentativo di tornare in superficie pur con le mani legate dietro la schiena. I nodi erano troppo serrati, non era riuscita a scioglierli e comunque avere le braccia libere non le sarebbe servito granché, in balia dell’oceano impetuoso e ribollente che la stava trascinando inesorabilmente nel suo abbraccio di cobalto fatale.
Tossì, in cerca d’aria.
Adara non sapeva nuotare. Stare a galla era quanto aveva a malapena imparato nell’acqua immota e tiepida delle oasi della sua Elestorya e nella grande vasca di mosaico verde del suo palazzo. Le lacrime di disperazione si mischiarono all’essenza del Pelopi, fluttuando nella sua impietosa immensità. I capelli sciolti le sbattevano sul volto seguendo il movimento dell’acqua, impedendole di orientarsi, ma forse non le sarebbe stato possibile distinguere la superficie del mare dal fondale anche priva di ostacoli, immersa in quell’inchiostro dalle velature blu in cui si stava inutilmente dibattendo.
Il Crescente ruggiva furibondo, inviandole spasmi acuti che la costringevano a rimanere vigile e a non arrendersi: i pochi secondi trascorsi dal suo brutale precipitare in quell’amplesso liquido si erano dilatati come ore, la faticosa e strenua resistenza che stava opponendo alla corrente e ai flutti andava esaurendosi esponenzialmente e solo la mezzaluna dipinta appariva inconsapevole e non rassegnata al destino amaro che l’attendeva.
Nessuno si era tuffato dalla murata della Xiomar per prestarle soccorso, segno che tutto era ormai perduto e che anche Alyecc era stato sopraffatto, dopo la resa. Sperava che almeno gli venisse risparmiata la vita, certa che l’uomo avrebbe approfittato della prima occasione per rivalersi di quell’umiliazione inaccettabile… che in quel modo sarebbe stato il perno essenziale di una nuova opportunità. Avrebbe pregato gli dei per lui dal luogo in cui sarebbe andata, affinché non permettesse più al suo cuore di restare vuoto come lei l’aveva scorto nei pochi momenti che avevano trascorso insieme.
I suoi pensieri iniziarono ad accavallarsi come le onde che le si rovesciavano addosso ogni volta che riusciva a risalire per qualche secondo.
Non aveva potuto individuare Dare Yoon in quel momento concitato, ma era certa che anche lui avesse deposto la spada per salvarla. Avrebbe almeno voluto abbracciarlo, ringraziarlo per quanto era stato inestimabile per lei, per la sua devozione e la sua lealtà. Avrebbe dovuto farlo molto prima, come con un amico, fregandosene della rigorosa osservanza da parte del soldato della loro cosiddetta differenza di rango.
L’immagine di Narsas trascinato a terra e condannato alla menomazione irruppe prepotentemente nella sua mente sempre più annebbiata. Lottò per raggiungere il pelo dell’acqua e prendere una boccata d’ossigeno, ma la mossa non le riuscì come avrebbe desiderato. Arrancò. Si sentiva pesante e intorpidita dal gelo bagnato che le stava entrando lentamente nelle vene e nelle ossa.
Aveva sentito il suo nome nelle grida dell’arciere durante la caduta, prima che il rumore mugghiante del mare portasse via ogni altro suono. L’ultima visione che aveva colto di lui, così come la capitana del galeone pirata le aveva imposto prima di spingerla giù, erano stati i suoi occhi neri e ardenti, nei quali non albergava resa e nemmeno paura alcuna per la propria terribile sorte… solo una disperazione immane, derivante dal fatto di non poterla aiutare, di non poter scegliere almeno di morire con lei lontano dalla loro terra, ma vicino a chi aveva giurato di proteggere.
Non si sarebbe dovuta accontentare del suo silenzio, avrebbe dovuto insistere con lui, dirgli che aveva diritto di sapere quali erano i suoi reali sentimenti nei suoi confronti. Ora, quando si sarebbe ricongiunta all’uno nel tutto, avrebbe forse realizzato il sogno di conoscere quanto si celava nel cuore indomito del ragazzo e avrebbe espresso il desiderio di farne parte per sempre. E da quel luogo, ove gli anelli del tempo mirano a ricongiungersi, avrebbe impedito a qualunque patto la sua morte, a costo di diventare uno spirito inquieto come quelli delle leggende.
Intorno a lei tutto diveniva sempre più buio, l’ipossia le stava facendo perdere i sensi e la stava privando della facoltà di raziocinio.
Immagini confuse di sua sorella, che la chiamava ripetutamente, si accavallarono a quelle dei volti amorevoli dei suoi genitori e al sorriso gentile di suo fratello, allo sguardo magnetico di Rei, al cielo rosato dell’alba struggente del deserto…
Il Crescente continuava imperterrito a ribellarsi, ma Adara si era ormai assuefatta alle dolorose contrazioni del ventre e neppure quelle riuscivano più a tenerla sveglia.
Incredibilmente, tutto appariva fosco e quieto, sembrava che persino l’oceano avesse smesso di muoversi e di rombare il proprio interminabile lamento. Tutto era blu… e opaco… e privo di increspature… tutto stava finendo… dunque, perché riusciva ancora a scorgere una luce tanto vicina, se il cielo era metri e metri sopra di lei?
Da dove proveniva quel chiarore lieve ma scintillante, che diradava l’oscurità tinta di zaffiro… forse da lei, ma non era il Crescente… era vicino al suo viso, era…
Fu come se qualcuno o qualcosa la afferrasse, ma non riuscì a comprendere. La sua realtà precipitò nel buio.
 
“Quello non ti appartiene…” disse Anthos, sollevando leggermente l’indice.
Il cilindro lavorato contenente la Profezia del Sud si staccò con uno strappo dall’occhiello al fianco di Tsambika e volò direttamente nel palmo aperto del reggente di Iomhar, che lo infilò nell’aderente fascia nera che gli avvolgeva la vita, senza neppure considerarlo.
La donna cadde in ginocchio tremando, sentendosi sfiorare da quella forza estranea e invisibile, certa che lui l’avrebbe ammazzata come un cane, ma solo dopo averle fatto scontare ad una ad una le azioni che lei gli aveva rivolto incoscientemente contro. Se solo avesse compreso prima che lui era…
“Principe Anthos…” ansimò con fatica “Vi chiedo venia, non immaginavo che foste voi, altrimenti non avrei mai osato…”.
Lui sorrise con freddezza, recuperando la spada che aveva scagliato a terra quando aveva simulato la resa e riponendola nel fodero argentato. Il Medaglione con le Tre Gemme del Nord baluginò sul suo petto abbronzato, mentre si piegava, disintegrando gli ultimi dubbi sulla sua effettiva identità.
“Ah sì?” ribatté divertito “E dimmi, come mai ti permetti di solcare con la tua misera nave le acque entro i confini del mio regno, senza il mio consenso? Non è forse una cosciente sfida alla mia autorità?”.
Tsambika trattenne il respiro, priva di risposte e consapevole della cruda verità di quella domanda, retoricamente posta per inchiodarla alle proprie mancanze. Abbassò il capo e i lunghi capelli corvini scivolarono avanti, celandole il viso.
“Vi domando perdono…” ripeté, quando riuscì a ritrovare la poca voce residua.
Lì accanto, la sciabola che aveva abbandonato esplose in schegge acuminate, che le si conficcarono nel braccio destro e nella spalla, facendola sussultare di dolore.
Anthos non si era neppure mosso.
Percepì il sangue scenderle lungo il corpo, certa che quello non fosse che l’inizio della propria orrenda fine.
“Quanto a mancanza di indulgenza, penso di essere più famoso di te, Tsambika” affermò il sovrano con gelido disprezzo “Perciò non sprecare inutilmente il tempo che ti resta in assurde richieste e rispondimi immediatamente”.
“Io… io non credevo che vi importasse delle mie scorrerie in questo tratto d’oceano. Altrimenti non avrei mai valicato il confine settentrionale…”.
“Dunque, secondo te, io avrei continuato a ignorare il fatto che i miei mercantili venissero depredati da un branco di avanzi di galera nascosti dietro le gonnelle della tua cosiddetta leggenda? Mi prendi per un imbecille?”.
“No! No, io…”.
Non vide l’attacco, ma fu sbalzata indietro di qualche metro e la fitta acuta che avvertì al petto le chiarì che lui aveva nuovamente usato i suoi immani poteri e che non aveva avuto remore a farlo. Perché allora si era lasciato catturare come un semplice passeggero? Perché non se n’era servito prima, per piegare a proprio vantaggio le sorti della battaglia appena conclusa?
 
La ciurma era immobile e pietrificata, tenuta sotto controllo dai quattro servitori del principe e ancor più dal terrore che serpeggiava tra i pirati ora inermi.
Narsas, comprensibilmente trascurato dai nemici, si era sollevato sulle ginocchia e aveva iniziato a fissare incredulo gli occhi dorati di Anthos, gli stessi di cui aveva sentito raccontare infinite volte da chi lo aveva incontrato: meravigliosi e spietati.
Ecco perché “Alyecc” non si era mai abbassato il cappuccio. Le sue iridi inconsuete lo avrebbero reso identificabile da chiunque al primo sguardo! Forse Adara non ne era a conoscenza o forse lui le aveva camuffate in qualche modo, quando stranamente aveva scelto di farsi vedere in volto da lei. Ma perché? E perché, soprattutto, gli aveva salvato la vita pochi giorni prima, lasciando invece che la principessa precipitasse in mare senza raggiungerla? Se la ragione delle sue inspiegabili azioni era mirata al possesso del rotolo con la Profezia, aveva sbagliato i suoi conti, poiché anche Narsas l’avrebbe difesa e recuperata a qualunque costo. Per Adara e per il futuro del mondo.
Spostò l’attenzione su Ixtaro, che l’aveva mollato e stava tremando di paura tanto quanto il suo capitano. Iniziò a sfregare le corde che lo circondavano contro la punta di una freccia, tenuta abilmente nascosta tra le pieghe della stola che gli stringeva i fianchi.
 
“Tu sai che cos’è la responsabilità, Tsambika?” continuò Anthos, come se stesse ponendo una questione di scarso interesse.
“Sì, mio signore…” rispose lei, appena udibile.
“Mmh, non credo. È bene che tu ne prenda immediatamente coscienza: penserò io a impartirti gratis la lezione. Dopotutto, ti sei permessa di gettare fuoribordo la principessa di Erinna, pur sapendo che la ragazza interessava a me…”.
“C-come…?” balbettò la capitana “La ragazza era… io non avrei…”.
“Non mentirmi!” esclamò lui, facendo vibrare l’intera Xiomar al ritmo della sua collera e assestandole un altro violento, immateriale colpo “Anche se tu avessi saputo che quella era la figlia di Stelio di Elestorya, avresti fatto la stessa cosa, dopo aver chiesto un considerevole riscatto alla sua famiglia!”
“Non lo nego…” si giustificò lei, boccheggiando sofferente “Ma non avevo affatto compreso la vostra attrazione per lei…”.
“Attrazione?!” sghignazzò Anthos “Eppure non mi sembri così romantica, Tsambika! Lei era semplicemente… mia! E tu ti sei importunamente messa in mezzo ai miei progetti. Dunque, leggenda dei mari… Sai che cos’è la responsabilità? Rispondi!”.
“No, non lo so, mio principe…” esalò lei, cambiando opportunamente versione.
 
Narsas ascoltò l’ammissione del reggente di Iomhar con un brivido.
Anthos conosceva sin dall’inizio l’identità di Adara, allora… forse era addirittura salito a bordo per incontrarla di persona fuori dalle mura del suo palazzo, prima che la spedizione raggiungesse Jarlath. Ma perché? E quale significato poteva avere il suo dichiarato “interesse” per lei, soprattutto a fronte del completo menefreghismo che aveva esibito quando la ragazza era finita tra i flutti. Probabilmente… oh, per le sacre sabbie! In qualche modo lui sapeva che la principessa non avrebbe corso alcun rischio… e in quel caso lei… lei era ancora viva!
L’arciere prese a incidere le corde con maggiore lena.
 
“Bene” proseguì il reggente, accennando qualche passo in direzione di tribordo, dove la passerella di legno tra le due imbarcazioni era ancora agganciata.
Tese una mano quasi con noncuranza e la Agewe iniziò a bruciare. Le fiamme innaturali e verdastre si arrampicarono lungo l’albero maestro, avvinghiandosi alle sartie e alle vele raccolte lungo i pennoni, diventando poi arancio vivo e divampando feroci. Il galeone divenne un tizzone di fuoco in pochi istanti; nell’aria si diffuse un odore acre di legno carbonizzato e ceneri.
Un mormorio costernato percorse l’equipaggio del veliero d’appoggio e si smorzò, strozzato dal terrore, quando Anthos gettò un’occhiata sprezzante verso i bucanieri ora completamente alla sua mercé.
“Quanti uomini ti sono necessari per governare la Xiomar?” domandò secco.
Tsambika sbarrò gli occhi, avvicinandosi a comprendere il senso della richiesta.
“Tutti, mio signore…” rispose con angoscia crescente.
“Ah, cerchi ancora di evitare le responsabilità, vedo” sogghignò lui sarcastico “Sai, ora non funziona come pretendi tu, “capitano” …”.
Si voltò verso i servitori che l’avevano assistito fino a quel momento, privi di favella e con gli sguardi immoti come pietre di lago.
“Siete liberi” disse “Tornate in voi. La ciurma dell’Agewe è inutile, come avete potuto udire dalla donna che la comanda. Uccideteli tutti”.
Una luce azzurra illuminò le pupille spente dei quattro, che assunsero un aspetto bestiale. Presero a ringhiare come animali e si ingobbirono, sfoderando artigli affilati e mostrando zanne ricurve prima non visibili, mentre i loro strani corpi si torcevano, ricoprendosi gradualmente di irta pelliccia grigio cenere, striata di lucido nero.
Quando proruppero in un unico ululato raccapricciante non erano più esseri umani, erano lupi. Erano enormi orlagh delle montagne.
 
Narsas interruppe il suo tentativo di strappare le funi, paralizzato dalla terrificante vicinanza di quel verso ferino, che avrebbe riconosciuto tra mille dopo la recente esperienza nella foresta di Karya. Fissò ad occhi sbarrati l’esito finale della metamorfosi e le belve che procedevano a passi misurati sul ponte, inesorabilmente verso le loro prede.
Non ebbe neppure il tempo di pensare che avvertì lo spostamento d’aria, quando il primo bestione lo filò di pochi centimetri, gettandosi a zampe in avanti contro Ixtaro e squarciandole la gola con un morso, per fare poi scempio di lei.
Gli altri tre si gettarono all’implacabile inseguimento dei filibustieri, che iniziarono inutilmente a sciamare per il ponte, nel vano tentativo di sfuggire alle loro dentature micidiali.
L’arciere non riuscì a distogliere lo sguardo dal massacro, che appariva mirato, perché alcuni dei pirati venivano stranamente risparmiati, mentre altri braccati fino allo sfinimento. Qualcuno tentò di arrampicarsi sulle sartie, ma Anthos lo stroncò personalmente in quel tentativo, facendolo precipitare al suolo con un semplice spostamento della mano. Altri si tuffarono in mare e vennero trascinati nel gorgo della Agewe che affondava gemendo tra le fiamme.
Le grida disperate e i rantoli d’agonia di chi veniva raggiunto gli invasero le orecchie e lo riscossero. Riuscì ad impossessarsi di un pugnale abbandonato a pochi passi da lui e con un ultimo colpo tagliò definitivamente le corde. Vide il suo arco e la sua faretra, ormai quasi vuota, a breve distanza e strisciò in quella direzione, approfittando della bolgia infernale che si era scatenata a bordo.
 
Tsambika era bianca come le nevi del Nord. Le sue labbra tremavano per l’orrore e per lo sforzo di non dare di stomaco, trovandosi al centro di quel miscuglio di corpi trucidati e sbranati. Non aveva mai assistito ad una carneficina del genere. Era diverso. Diverso da quando era lei a impartire l’ordine di stroncare i prigionieri, diverso da quando lanciava la nave all’arrembaggio di qualche ignara imbarcazione e stabiliva di non lasciare superstiti. O di venderli al miglior offerente. Era diverso trovarsi dall’altra parte, senza poter fare nulla per modificare la propria sorte.
“Non ti facevo così sensibile…” commentò Anthos, cogliendo la sua espressione stravolta e richiamando finalmente a sé gli orlagh.
I lupi obbedirono all’istante, leccandosi le fauci arrossate e disponendosi a raggiera alle sue spalle, più minacciosi che mai.
La donna osservò i superstiti, che piangevano senza ritegno e si abbracciavano tra di loro, consci di non essere ancora fuori pericolo. Dalian la guardò, prostrato dagli eventi: i sopravvissuti erano i soli membri della Xiomar. Lei aveva detto che “tutti” sarebbero stati necessari per manovrare la sua nave e Anthos le aveva ritorto contro l’affermazione, eliminando completamente l’equipaggio della Agewe.
“Allora, Tsambika” proseguì il principe, imperterrito “Quanti uomini richiede questa carretta per poter andare fino a Neirstrin? Sei in grado di rispondere?”.
“Cinquanta!” gridò lei, calcolando rapidamente il numero residuo dei suoi.
Anthos iniziò a ridacchiare, scuotendo la testa. Lei fu investita dalla raffica di schegge di legno che si sollevarono dal ponte, quando lui schioccò lievemente le dita.
“Ho capito” disse algido “Hai deciso di sacrificarti per la tua ciurma. Come sei generosa! Spero che il tuo secondo in grado sia più ragionevole di te, dopo averti guardata morire…”.
La capitana trattenne a stento i gemiti e il pensiero della fine miseranda cui era destinata spinse verso l’alto l’istinto di autoconservazione.
“Quaranta!” esclamò, cercando di risparmiare comunque più compagni possibile.
“Bel tentativo” commentò il principe “Ma non mi hai convinto”.
Si avvicinò e dal suo corpo emanò un’energia verde, abbagliante. Tsambika si sentì soffocare. Cercò di inalare ossigeno e non ci riuscì. Dalla bocca le uscì solo un rantolo indistinto e disperato. Gli orlagh presero a ringhiare, fremendo.
“Dicevi?” domandò lui, attenuando la presa.
“Qui-quindici…” tossì lei, appena percettibile “Quindici!”.
“Vedi? Non era poi così complicato parlare in modo sincero. È che tu non sei abituata alla schiettezza” asserì il reggente, caustico “Il difficile viene ora. Quali?”.
La donna non riuscì più a trattenere le lacrime e si afflosciò sul ponte, tremando convulsamente, mentre i filibustieri iniziarono a comprendere e a gridare ciascuno il proprio appellativo e i propri meriti, per essere inseriti nella rosa dei prescelti.
Qualcuno snudò il pugnale e iniziò a colpire i vicini assiepati sulla tolda, nell’angosciante tentativo di eliminare i possibili rivali e di continuare a vivere.
“Non li lascerai fare da soli?” ironizzò Anthos, piegando un ginocchio, strattonandola per la catenella che reggeva il massiccio Jolly-roger e fissandola negli occhi atterriti.
“Bicks!” gridò Dalian, evitando per un soffio una lama vagante diretta alla sua carotide “Bicks! I nomi, maledizione! O di noi non ne resterà neppure uno!”.
“Saggio consiglio” commentò Anthos, impietoso.
Tsambika distolse lo sguardo dal suo vice, dall’equipaggio che urlava, dai mostri che avevano fatto a brani i suoi compagni, dal sangue che imbrattava il ponte e soprattutto dalle iridi dorate e inumane dell’uomo che le si parava difronte.
Trasse un sospiro forzato e mosse le labbra contratte. La sua voce fu appena udibile tra le grida mentre pronunciava il proprio inappellabile giudizio.
“Interessante” sentenziò il reggente, non appena lo sparuto elenco ebbe termine “Non ti sei inserita tra i quindici marinai utili. Mi stai dicendo che sei stanca di questa esistenza oppure hai avuto un rigurgito d’orgoglio?”.
Mentre lui parlava, i quattro lupi si affrettarono a ridurre drasticamente il numero dei sopravvissuti, fiondandosi su chi era rimasto escluso come se lo conoscessero personalmente, senza attendere alcun invito da parte del loro padrone.
La donna si gelò, realizzando solo in quel momento l’errore commesso nell’aver sottinteso se stessa come parte attiva, in qualità di comandante. Non riuscì a replicare e un nuovo fiotto di calde lacrime eruppe dagli occhi a mandorla, piovendo a terra silenzioso.
La paura non avrebbe potuto essere altra. Sì, quella che non aveva mai provato nella sua vita e per la quale non aveva mai mostrato compassione, pur avendola letta centinaia di volte nelle espressioni dei suoi sfortunati prigionieri, le era giunta tutta insieme attraverso lo sguardo feroce del signore del Nord. Si era trasformata in terrore assoluto e aveva vaporizzato persino il pesante senso di vergogna derivante dalla sua prima e fatale sconfitta. Era qualcosa di gelido e oppressivo, di cui avrebbe voluto liberarsi, ma che parimenti le faceva comprendere di essere ancora al mondo. In un mondo in cui tuttavia la sua leggenda era tramontata per sempre.
Anthos ridacchiò malignamente e diede uno strappo deciso al ciondolo aureo con il teschio, che gli rimase tra le dita.
“Questo non ti serve più” sancì “Ma conosco chi potrebbe apprezzarlo” aggiunse poi, lanciandolo fuoribordo con un gesto repentino.
Lei non rispose, attendendo con l’ultimo briciolo di dignità rimastole che lui la uccidesse. Sperando che lo facesse subito e non ricorresse agli orlagh.
“Non morirai, per oggi” affermò invece il principe, come se le avesse letto nel pensiero “A differenza tua, io sono solito trattenere degli ostaggi. A giudicare dalle facce quasi rilassate dei tuoi compari, direi che non sbaglio a metterti sotto chiave come garanzia. Se qualcuno dei quindici dovesse sgarrare, saresti la prima a farne le spese. Ma non ti preoccupare, ti farò scegliere personalmente quale parte di te gettare per prima ai pesci. Sono stato chiaro?”.
Tsambika annuì debolmente, accompagnata dalle esclamazioni affermative e servili della ciurmaglia rimasta in piedi.
“Ottimo” concluse Anthos, incrociando le braccia sul petto e voltandosi verso uno degli orlagh accucciati ai suoi piedi “Accompagna la signora nella stiva e assicurati che non possa evadere” ordinò.
Il lupo snudò le zanne e si avvicinò alla donna, che slittò velocemente all’indietro davanti a quel muso dalla dentatura letale. La belva si sollevò su due zampe e subì la trasformazione opposta, tornando al suo aspetto umano e indifferente.
Agguantò la capitana, afferrandola per le spalle, le legò saldamente i polsi dietro la schiena, per poi condurla esattamente dove il suo padrone aveva indicato, sparendo nel buio del boccaporto.
“Voi” riprese il principe, rivolto all’equipaggio della Xiomar “Pulite questo schifo. Muovetevi, non voglio tardare ulteriormente la partenza”.
Gli uomini scattarono prontamente in tutte le direzioni, affrettandosi a liberare il ponte dai miseri e truculenti resti di quelli che erano stati i loro compagni di ruberie. Tutti tranne Dalian, che rimase con atteggiamento dimesso al cospetto del reggente.
“Che vuoi?” domandò questi, seccato.
“Chiedo il permesso di tracciare la nuova rotta, altezza”.
“Concesso” rispose lui “E fai sparire quel simbolo pirata dalla mia vista”.
Il vice capitano si tolse mestamente il Jolly-roger dal collo e lo mandò a raggiungere quello di Tsambika, a scanso qualsivoglia equivoco.
 
Narsas aveva approfittato del caos seguito alla spietata risoluzione di Anthos per cercare eventuali tracce di Adara, sporgendosi cautamente dal parapetto del galeone semi deserto e fissando con scrupolo le onde violacee del Pelopi.
Lo aveva colto un leggero senso di vertigine ed era stato costretto più volte a sedersi a terra per rifiatare, attendendo che la nausea dovuta al beccheggio si placasse.
Non aveva colto alcun segnale utile a indicargli con sicurezza che lei fosse ancora viva; il trascorrere dei minuti, gli stessi durante il quale il principe aveva dato libero sfogo alla propria atroce vendetta, lo aveva precipitato nuovamente nello sconforto più totale. Gettarsi tra i flutti impetuosi sarebbe stato un inutile suicidio: riusciva a malapena ad annaspare in uno stagno placido, figurarsi tra le infide correnti oceaniche. Inoltre, il risucchio vorticante della Agewe, che stava sprofondando per sempre negli abissi, non gli avrebbe lasciato scampo, anche se si fosse aggrappato a qualche pezzo di legno per non annegare nel tardivo tentativo di soccorso.
Però non era intenzionato a rinunciare. Non lui.
Aveva promesso alla principessa che l’avrebbe salvaguardata ad ogni costo e così avrebbe fatto, mettendo in pratica l’unica soluzione che gli era sorta in mente in quel drammatico frangente. Un’opportunità che probabilmente avrebbe costituito il suo ultimo atto di coraggio… ma di ciò non gli importava. Era pronto a morire già da tempo, un anticipo di qualche giorno non avrebbe fatto per lui alcuna differenza: almeno avrebbe tentato di barattare la propria compromessa esistenza con quella della donna di cui era profondamente innamorato.
Adara non avrebbe mai dovuto venirne a conoscenza. Avrebbe compreso che Narsas si era sacrificato per lei, non certo che lui aveva soffocato i suoi reali sentimenti e che la amava con tutta l’anima. Forse, in quell’inconsapevolezza, lei avrebbe accettato la sua scelta estrema e avrebbe sofferto meno per la sua assenza con il trascorrere del tempo.
Strinse l’arco tra le dita e si aggrappò alla solidità di quel legno che era parte di lui. Si passò l’impennaggio di una freccia tra le labbra e si raddrizzò, lasciandosi alle spalle l’impavesata umida di tribordo e il fragore del mare.
Era comunque grato agli dei. Aveva ventisei anni e in quel breve viaggio aveva potuto sperimentare l’ardere indomito di un cuore che ama per sempre. Era stato qualcosa di inaspettato e totalizzante, con il quale aveva dovuto scendere a patti e che aveva stabilito di occultare, per non accendere un fuoco ancora più rovente, ma destinato a estinguersi in breve. Per non infliggere una sofferenza proprio a colei che desiderava tutelare. Era stato oneroso nascondere le proprie emozioni, bloccarle nell’anima senza lasciarle fluire, non dichiararle liberamente, come avrebbe voluto, impedire a Adara di ricambiarlo qualora avesse compreso di provare la medesima passione. Lasciarsi andare sarebbe stato un egoismo imperdonabile.
Era stato difficile. Difficile e triste. Ma imporle il peso della propria morte sarebbe stato ancora più penoso da accettare, se si fosse creato tra di loro un legame perfetto. Lei lo avrebbe comunque pianto, ma diversamente, come un amico… e un giorno avrebbe avuto la chance di appartenere in eterno a un uomo che non l’avrebbe lasciata in un effimero battere di ciglia, com’era invece suo destino.
Adara, sarò con te. In un’altra vita, in un altro tempo, a discrezione degli immortali…
 
Anthos si voltò, scostandosi una ciocca bionda dal volto e piantando le sue iridi d’ambra in quelle scure del giovane Aethalas. Una ruga profonda gli si incuneò tra le sopracciglia, mentre convogliava l’attenzione sulla freccia che lui gli rivolgeva contro.
“Intendete salvarla con il vostro potere, principe del Nord?” domandò piano il guerriero del deserto, aumentando la tensione della corda.
Lui sorrise, quasi svagato, e scosse la testa.
“Non è necessario che me ne dia pena” replicò, fronteggiando l’arciere.
Gli occhi di Narsas scintillarono di risolutezza e di collera.
“Non vi seguo. Mi è parso di cogliere che tutta la messinscena ordita da… “Alyecc” fosse finalizzata a un interesse di tipo personale nei confronti della principessa”.
“Non sbagli” ammise il reggente, alzando le spalle.
“Lasciarla morire fa dunque parte del vostro esecrabile piano?”.
“Fossi in te, non mi sognerei di tirare”.
“Fossi in voi, mi sbrigherei a soccorrere Adara. So che è nelle vostre capacità, così come avete fatto con me. Ora. O il mio dardo non vi risparmierà”.
“Provaci se lo pensi, anziché perdere altro tempo a discutere. Io ti ho avvisato”.
“La vostra fama è meritata, Anthos di Iomhar” asserì il giovane, inquadrando definitivamente il bersaglio “Non ho motivo per rinunciare, dunque”.
La saetta abbandonò l’arma con un sibilo, diretta al cuore del principe.
Lui socchiuse leggermente le palpebre e tese la mano sinistra, afferrandola in volo tra indice e medio, come se stesse volando al rallentatore. La trattenne tra le dita e la rigirò abilmente con la punta verso l’arciere.
“Ecco. Fatti passare la voglia di lanciarne un’altra…” sbuffò “Quella che ho in mano ti colpirebbe prima che tu riuscissi solo a incoccare”.
“Ne sono consapevole” asserì Narsas “Ma non intendo ricusare il duello”.
Gli occhi dorati del reggente luccicarono d’ira nel cogliere il movimento rapidissimo con cui il guerriero ricaricava l’arma e scagliava un’altra freccia contro di lui. Rispose al lancio con una velocità incalcolabile, prima che la corda si allentasse, restituendo al mittente il primo dardo in una scia abbagliante di luce verde.
“Dannato testardo…” ringhiò tra i denti, mentre eseguiva la manovra perfetta.
“La mia vita per la sua, se siete un uomo!” esclamò l’arciere Aethalas, pronto a ricevere il colpo mortale di ritorno e fissandolo in volto senza paura.
Anthos sogghignò, fermando senza sforzo anche la seconda asticella piumata. Ma quel sorriso sferzante si velò di qualcosa che assomigliava molto alla tristezza.
La freccia restituita dal principe sfiorò il bicipite di Narsas, stracciando la stoffa della casacca e perdendosi tra il carico accatastato della Xiomar.
Il giovane sbarrò gli occhi, incapace di credere che il principe del Nord avesse sbagliato i calcoli. Il solco inciso sulla sua pelle iniziò a sanguinare. Non rimase fermo a interrogarsi sull’eventuale casualità dell’atto e liberò dalla faretra la sua ultima opportunità, intenzionato a non cedere.
“Accettate lo scambio, Anthos di Iomhar!” ruggì imperioso.
“Stai calmo, ragazzino…” mormorò questi con durezza estrema, mandando in fumo il legnetto che ancora reggeva tra le dita, senza restituirlo al mittente.
Sollevò il palmo destro con un gesto armonioso e un’onda di energia si abbatté addosso a Narsas, mandandolo a urtare violentemente contro l’albero maestro.
“Calmo…” ripeté il principe, mentre l’arciere si accasciava a terra, privo di sensi “Lei è ancora viva”.
   
 
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