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Autore: giambo    11/09/2019    5 recensioni
Crescere è una sfida difficile. Lo sa Naruto, lo sa Hinata così come lo sanno tutti i loro compagni ed amici di Konoha. Eppure, in un mondo che sta vivendo una pace con ancora troppi lati oscuri, essi dovranno imparare a diventare adulti, ad affrontare i propri demoni, le proprie paure, ed anche i propri fallimenti. Con la consapevolezza che una coppia non si costruisce in una notte di passione sfrenata, ma giorno dopo giorno, affrontando le sfide della vita, consci delle proprie forze e delle proprie debolezze.
Raccolta di One-Shot incentrata sulla coppia Naruto/Hinata, ma con ampi spazi dedicati alle altre coppie canoniche del manga, con in più qualche sorpresa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Kurama, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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The Biggest Challenge

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Promesse di sangue

parte prima

 

 

 

 

Kakashi osservò con occhio attento i volti attorno lui. Fu con una punta di ironico piacere che notò come fossero tutti particolarmente impegnati a mantenersi composti nelle proprie reazioni, e tuttavia incapaci di mascherare la loro sorpresa nell’udire quelle parole.

“Sesto Hokage…” a prendere la parola fu l’anziano Homura, gli occhi intelligenti che brillavano dietro le lenti degli occhiali. “Ne siete sicuro?”

“Non vedo perché tutta questa sorpresa, mio caro Homura.” replicò pacifico l’Hatake. “Sono ormai quindici anni che detengo il ruolo di Hokage, e ritengo che possano bastare. E’ giunto il momento che sia qualcun altro a guidare il nostro Villaggio in futuro, qualcuno di più giovane, capace e intraprendente di me.”

“Ma sei convinto che sia la scelta giusta?” a parlare stavolta fu Tsunade, le dita laccate di rosso che ticchettavano nervosamente sulla lucida superficie del tavolo. “Non capisco perché tu voglia lasciare ora. Siamo in pace da molti anni, e il tuo lavoro è ottimo.”

Koharu tossicchiò polemicamente, ma non prese la parola. Il Sesto Hokage decise di ignorarla, preferendo occuparsi dei dubbi della Sannin.

“Ritengo che ormai il Villaggio sia entrato in una nuova fase della sua vita.” dichiarò con voce pacata, la schiena perfettamente appoggiata allo schienale. Sembrava stesse discorrendo del tempo. “All’epoca delle tue dimissioni Quinto, accettai il posto perché capivo che dovevamo ricostruire un intero Continente, un’opera che andava al di là delle tue forze.” Tsunade fece per ribattere, ma con un cenno della mano lo shinobi albino le chiese di lasciarlo terminare. “Konoha all’epoca aveva bisogno di un capo giovane, qualcuno che potesse guidare quell’opera di ricostruzione ed ammodernamento non più rimandabile. Ora i tempi sono cambiati, io stesso sono cambiato, e ritengo che una guida più energica e giovane della mia possa permettere alla Foglia di raggiungere gli obiettivi che ci prefisseremo.”

La Senju non sembrava ancora convinto del tutto.

“Le sue preoccupazioni sono comprensibili, Quinto Hokage.” esordì Shikamaru, gli occhi socchiusi come se stesse dormendo. “Ma ritengo che i tempi siano maturi. Il Sesto è stata una guida forte e carismatica in questi anni, ma credo anch’io che un cambio possa portare maggiori benefici al nostro Villaggio.”

In quel momento, Koharu tossicchiò nuovamente, attirando l’attenzione dei restanti membri.

“Avete delle rimostranze a proposito di questa decisione, Koharu-san?” chiese educatamente Shikamaru.

“Se l’onorevole Sesto Hokage ha deciso di dare le dimissioni, non posso certo fermarlo.” esordì seccamente l’anziana kunoichi. “Avrei tuttavia alcune domande da porre, dato che sembrate tutti evitare una questione fondamentale: chi sarà il successore del Sesto? Avete già un candidato?”

Tsunade non riuscì a trattenere un sorrisetto nell’udire quella domanda.

“Per rispondere alla sua domanda, sì. Abbiamo già un nome.” replicò con voce monocorde il Nara. “L’eroe di guerra Naruto Uzumaki.”

“Il Jinchuuriki del Kyuubi…” mormorò Homura. “Dunque avete davvero in mente di renderlo Hokage della Foglia?”

“Non comprendo tutta questa reticenza.” osservò Kakashi. “Naruto ha dimostrato più volte di avere le qualità per diventare un ottimo leader e capo.”

L’anziano consigliere fece per ribattere, ma venne bloccato da Koharu.

“E come facciamo a sapere che Naruto Uzumaki ha il sostegno dei clan della Foglia?” chiese con tono sospettoso.

“Che razza di domanda!” esclamò Tsunade, il sorrisetto di scherno sempre presente sulle labbra carnose. “Nessuna persona sana di mente potrebbe trovare Naruto non idoneo alla carica di Hokage, non dopo che ha salvato l’intero Continente.”

“Essere un grande combattente non è l’unica caratteristica necessaria per un Hokage.” replicò la kunoichi più anziana. “Mi sorprendo che proprio lei, Quinto, sostenga una simile tesi, quando a suo tempo fu preferita a Jiraiya come successore del Terzo per le stesse motivazioni.”

“Questa polemica è inutile.” dichiarò improvvisamente Shikamaru, bloccando sul nascere la ripicca furiosa della Senju. “L’appoggio dei clan a Naruto è così palese e ovvio che sarebbe inutile pretenderlo, e non penso che abbiate voglia di andare da ogni capoclan del Villaggio a porgergli questa domanda, Koharu.”

“Sono felice che abbiate riportato la questione sui corretti binari.” replicò la kunoichi. Con un gesto secco, mise sul tavolo tre rotoli, chiusi da sigilli ufficiali. “Eppure, ho qui tre lettere provenienti dai capi dei clan Senju, Shimura e Sarutobi, i quali ritengono il Jinchuuriki Uzumaki inadatto al ruolo di Hokage, e propongono un nome alternativo.”

“Ora basta!” Tsunade si alzò di scatto, le iridi ribollenti di ira. Sembrava sul punto di saltare addosso ai due Consiglieri Anziani. “Per quanto ancora questo Villaggio dovrà subire le vostre sporche trame?! Quanto oro avete versato nelle casse dei clan, per ottenere simili lettere di raccomandazione?! La vostra epoca è morta, eppure continuate ad avvelenarci tutti!”

“Tsunade-hime!” a parlare fu il Sesto Hokage. “La prego di mantenere un tono corretto, o sarò costretto a chiederle di andarsene.”

Il Quinto Hokage si risedette con stizza, sotto lo sguardo soddisfatto di Koharu.

“Se ovviamente i clan non sono d’accordo con la nostra scelta, dovremo ascoltarli.” proseguì Shikamaru, la voce ora però meno tranquilla di prima. “Quale sarebbe il nome da loro proposto?”

I due Consiglieri Anziani si guardarono per un istante negli occhi. Era palese che avevano atteso a lungo quel momento, e volevano assaporarlo.

“Konohamaru Sarutobi.”

Con un rumore stridulo, Tsunade rovesciò la propria sedia, uscendo a grandi passi dalla Sala del Consiglio, sotto lo sguardo trionfante di Koharu. Il tutto mentre Kakashi indurì i lineamenti del proprio volto, prevedendo una tempesta all’orizzonte.

 

 

“E’ una stronzata!”

Kabera alzò distrattamente la testa dal proprio lavoro, osservando con occhio pigro la propria coinquilina sputacchiare insulti con voce ringhiosa ad un esasperato Shikamaru. Per un istante sembrò mostrare un vago interesse alla questione, ma poi decise che stillare linfa di bruco reale fosse molto più appassionante.

Hanabi in quel momento però, aveva altro per la testa che gli intrugli dell’amica.

“Si può sapere cosa diavolo state combinando?!” proseguì con la sua invettiva rabbiosa, le iridi perlacee che brillavano furiose. “Come avete potuto avallare una decisione così folle? Vi siete bevuti il cervello?!”

Lo shinobi delle ombre emise uno sbuffo di fumo dalle labbra, ma la sua espressione annoiata non cambiò minimamente, benché fosse chiaro che l’ultima cosa che voleva era sentirsi vomitare insulti dalla Jonin.

“La situazione è questa, e difficilmente cambierà.” dichiarò con voce monocorde, aspirando una boccata di fumo. “Naruto e Konohamaru saranno entrambi convocati dal Consiglio del Villaggio, i quali comunicheranno loro le condizioni.”

“Di quali condizioni stai parlando?” Hanabi prese a muoversi avanti e indietro per il salotto del suo appartamento, incapace di restare ferma, guadagnandosi un sospiro esasperato da parte del Nara.

“Generalmente, affinché qualcuno possa ricevere la carica di Hokage, non basta il consenso del Consiglio, serve l’appoggio dei clan.” gli occhi intelligenti dello shinobi si piantarono in quelli della Hyuga, bloccandola. “Tutti i clan.”

“E vuoi dirmi che Naruto, dopo tutto quello che ha fatto, non ha il pieno appoggio dei clan?” domandò con tono incredulo la kunoichi.

“A quanto pare no.” Shikamaru sospirò nuovamente, mentre Hanabi riprese a camminare come una fiera in gabbia. “E in casi come questi, esiste una sola soluzione.”

“Un duello eccitante, per il ninja esultante…” canticchiò Kabera, sezionando con fare allegro un viscido bruco giallastro. Le sue parole furono recepite da parte della coinquilina con la violenza di un maglio.

“Dovranno battersi?” chiese, bloccandosi nuovamente.

Shikamaru si grattò la testa, masticando con amarezza il mozzicone stretto tra le labbra. Improvvisamente, sentiva il bisogno spasmodico di dormire, per risvegliarsi a faccenda conclusa.

“Sì, dovranno battersi.” dichiarò infine. “A meno che, ovviamente, uno dei due non rinunci al duello, lasciando così all’altro il titolo di Hokage.”

Hanabi si sentì morire nell’udire quelle parole. L’unica speranza che si evitasse quel duello era che uno dei due rinunciasse al sogno della loro vita, l’unica cosa che aveva loro permesso di superare così tanti ostacoli? Onestamente, la kunoichi trovava più facile che il sole cominciasse a sorgere da occidente.

“Siamo nella merda.” borbottò, lo stomaco improvvisamente attorcigliato da qualcosa di gelido, molto simile a paura.

Shimakaru non poté che concordare.

“E di quella che puzza, per di più…”

 

 

Himawari guardò, con fare perplesso, ciò che stava combinando il suo fratellone. Inclinando la testolina, coperta da soffici capelli neri, la piccola Uzumaki scrutò la figura del fratello che, con fare eccitato, si muoveva trafelato per la sua stanza.

“Dove si trova…” borbottò Boruto, spostando freneticamente gli oggetti, dando vita casualmente ad un magnifico esempio di disordine ordinato. “Eppure era qui, ne sono sicuro...”

Improvvisamente, le sue ricerche ebbero successo.

“Evviva!” con un urlo di gioia, l’Uzumaki sollevò al cielo una fila di shuriken lucenti, lo sguardo ricolmo di soddisfazione.

“Hai trovato quello che cercavi, fratellone?” mormorò Himawari, ficcandosi il pollice in bocca.

“Certo, mia cara Hima!” esclamò Boruto. “Adesso ti mostro come si comporta un vero ninja!”

E con un gesto improvviso lanciò uno shuriken contro la porta. Con suo sommo orrore però, la porta in quell’istante si aprì, mostrando il volto di suo padre che veniva minacciosamente sfiorato dallo shuriken appuntito.

“Hima! E’ ora della meren…” nello stesso istante in cui vide la sua vita attentata, Naruto osservò due cose, una buona e una cattiva. La buona era che aveva finalmente capito chi gli aveva rubato gli shuriken, la cattiva era che era stato proprio colui che aveva sperato non lo facesse.

“Boruto…” il ragazzino si fece piccolo, mentre osservava le iridi chiare del padre stringersi minacciosamente.

Ops…

 

“Boruto! Quante volte ti ho detto di non toccare le mie armi?! In presenza di tua sorella, per di più!”

Naruto camminava nervosamente per il salotto, osservando con la coda dell’occhio il suo primogenito. Fu con profonda irritazione che lo vide lanciargli un’occhiata storta, quasi fosse lui quello che aveva torto, come se attentare alla vita di Himawari fosse cosa buona e giusta.

“Volevo solo allenarmi un po’…” borbottò il ragazzino, fissando scontroso il padre. “Non ci vedo nulla di male.”

“Nulla di male? Hai sei anni! Cosa pensi, che siano giocattoli questi?! Che lanciare shuriken sia solo un divertimento?! Ti rendi conto che avresti potuto fare del male a tua sorella, ferirla?!”

“Non ho mirato a lei, miravo al bersaglio sulla porta!” replicò piccato Boruto.

“Sei un bambino, Boruto! Avresti potuto sbagliare, inciampare, farti del male da solo!”

“Non sono così imbranato!” rispose con tono sfrontato il piccolo Uzumaki. “E se tu mi allenassi, invece di lavorare sempre, di sicuro non dovrei prenderti le armi di nascosto!”

Naruto si bloccò di colpo, lo sguardo torvo puntato sul figlio. Sentì improvvisamente qualcosa di acido scorrergli nelle vene, qualcosa di simile a rabbia. Suo figlio che lo accusava di fregarsene del benessere della sua famiglia era troppo. Per un istante, fu tentato di schiaffeggiarlo.

“Hai usato delle armi pericolose in presenza di tua sorella, una bambina di appena tre anni, Boruto!” notò che i lineamenti del primogenito imbronciarsi ulteriormente, e la cosa non gli piacque. “Devi smetterla di comportarti come un irresponsabile, chiaro?”

“Non sono stupido, piantala con le lavate di capo.” borbottò Boruto, gli occhi rivolti verso il pavimento.

“Allora dimostramelo!” con un sospiro, Naruto si passò la protesi sul volto, chiedendosi quante altre volte avrebbe dovuto fare la parte del padre severo. Lui amava i suoi figli, perché Boruto sembrava non volerlo capire?

“Finiamola qui.” dichiarò con voce meno alterata. “Voglio però che rifletti attentamente su ciò che hai fatto. Sei un bambino intelligente, e proprio per questo so che capirai ciò che ti ho detto.”

“Va bene va bene…” con una scrollata di spalle, Boruto se ne tornò di sopra, sbattendosi alle spalle la porta di camera. Fu solo allora che il Jinchuuriki si sedette con un sospiro in poltrona, chiedendosi perché diamine il suo giorno libero doveva passarlo a litigare con suo figlio.

Stupido idiota… rifletté amaramente, passandosi la protesi tra i capelli. Non sono portato a fare il padre.

Erano trascorsi tre anni da quando aveva finalmente messo una pietra sopra alla faccenda di Himawari, dando vita ad un periodo di tempo meravigliosamente tranquillo e noioso. Naruto all’inizio era sembrato quasi spaventato dall’idea di non avere nessuna preoccupazione mortale tra le mani, ma lentamente, quasi senza accorgersene, aveva cominciato ad abituarsi a quella sensazione, alla possibilità di vivere una vita normale, assieme alle persone che amava. L’unico suo cruccio era Boruto. Crescendo, il piccolo Uzumaki era diventato sempre più irrequieto, rendendo impossibile per Naruto tenerlo a bada con appena un giorno libero a settimana.

E’ come me… quando lo vedo guardarmi storto, mi sembra di rivedermi alla sua età. Naruto si era promesso mille volte di non far passare ai suoi figli il suo stesso dolore, ma in qualche modo Boruto sembrava sempre cercare lo scontro. Lavate di capo e sgridate sembravano sortire l’effetto contrario su di lui, aumentandone la disubbidienza. Che cosa volesse dimostrare, o cosa cercasse di fare con quell’atteggiamento era un mistero per il Jinchuuriki, anche se una vocina nella sua testa cominciava a ripetergli insistentemente la stessa frase ogni volta che rimuginava sulla questione.

Vuole attirare la mia attenzione. Teme di non essere degno di suo padre.

Scosse la testa, rigettando quell’ipotesi con forza. Trovava difficile pensare che Boruto si sentisse inadeguato in sua presenza, considerando che non gli aveva mai fatto pesare il cognome che portava. Rendere i propri figli degli stupidi rampolli con il petto gonfio era il suo ultimo desiderio.

E’ ancora piccolo, crescendo sono sicuro che maturerà. Trovava decisamente più rassicurante quest’idea, che Boruto fosse ancora troppo piccolo per comprendere quale fosse l’atteggiamento corretto da mantenere. Collimava con le sue idee in merito, e riusciva a tranquillizzarlo. Per una volta in vita sua, Naruto non voleva pensare al peggio.

In quell’istante, il campanello suonò.

 

 

Silenzio. Non un silenzio pacifico, ma denso e disagiante, capace di attaccarsi alla pelle come la più infida delle colle.

Naruto si risedette lentamente in poltrona, gli occhi cerulei piantati sul pavimento, vuoti e privi di volontà.

Ancora non riusciva a crederci.

Non possono essere così folli.

“Ne sei sicuro?” domandò.

Davanti a lui, Shikamaru scosse la testa, rassegnato.

“Sì.” mormorò, tirando fuori la fiaschetta ed ingollandone un sorso. “Le regole sono queste, e neppure Kakashi ha il potere di modificarle.”

L’Uzumaki strinse le mani con tanta forza da conficcarsi le unghie nella carne. L’idea di dover affrontare suo fratello minore per raggiungere il suo sogno era qualcosa di mostruoso, un incubo che gli si era materializzato davanti con la rapidità di un fulmine. Come poteva farlo? Come avrebbe potuto indossare la cappa di Hokage con le mani sporche del sangue di Konohamaru? Era follia pura, un rigurgito del loro passato maledetto che non si rassegnava a scomparire.

Perché? Sangue scuro prese a gocciolargli dalla mano sana, la rabbia e l’amarezza che prendevano possesso di lui. Perché devo combattere anche lui?

In quel momento sentì di odiare gli dei. Come potevano esistere divinità così crudeli al mondo? Non era loro bastato il sangue versato? Davvero non erano sazi di morte?

“Sono stati loro.” mormorò a voce bassa. “I consiglieri anziani… dico bene?”

Shikamaru non rispose, osservando con sguardo scontroso la propria fiaschetta ormai vuota.

“Non possono che essere stati loro.” proseguì il Jinchuuriki, lo sguardo sempre rivolto al pavimento. “Mi odiano.”

Questa volta il Nara fu costretto a rispondere.

“Può essere.” ammise a malincuore, sedendosi sul divano, grattandosi la nuca con fare svogliato. “Ma a quanto pare non sono gli unici. Da soli il loro malessere non conta nulla, ma con l’appoggio dei Senju…”

“Non provare a difenderli, Shika!” borbottò lo shinobi biondo. “Sono anni che sognano di vedermi morto, da quando ho salvato il Villaggio durante il Quarto Conflitto, non desiderano altro.” Alzò gli occhi, puntandoli su quelli scuri dell’amico. “Ma non avrei mai pensato che sarebbero giunti a questo… mettermi contro mio fratello.”

“Non è detto che Konohamaru accetti.” replicò lo shinobi delle ombre. “Può darsi che rifiuti… in quel caso, nessuno potrebbe dire più nulla contro di te.”

Naruto scosse la testa. Conosceva da anni Konohamaru, e sapeva cosa sarebbe accaduto.

“Lui combatterà.” lo dichiarò con un tono di voce smorto, quasi privo di energia. “Non è tipo da tirarsi indietro, non quando si tratta del suo sogno.”

Shikamaru non replicò, desiderando ardentemente che la sua fiaschetta non fosse vuota per poterci annegare dentro l’amarezza di quella frase.

Sapeva che era vera.

Konohamaru avrebbe combattuto contro Naruto.

Fino alla morte.

 

 

Il sole brillava dolcemente tra le fronde degli alberi, illuminando con un caleidoscopio di luci diverse il sottobosco. L’aria era satura del canto degli uccelli, mischiati al fruscio delle foglie, mosse da una gentile brezza primaverile, mentre nel cielo soffici nuvole bianche si rincorrevano pigramente.

Emna si muoveva lentamente, quasi restio a rompere la pace della foresta. Con fare solenne, il re dei primati si spostava di ramo in ramo, gli occhi dorati fissi su una lontana collina, che svettava sulla foresta come una brulla altura, scevra dagli alberi, le cui rocce brillavano come diamanti sotto il caldo sole primaverile.

Una volta giunto alla base di quest’ultima, la scimmia prese a scalare, saggiando attentamente con i piedi il percorso lungo le infide lastre di ardesia che ricoprivano il terreno. Ci mise molto più del previsto a raggiungere la cima, ma una volta lì, i suoi occhi si soffermarono sulla figura di una persona seduta a gambe incrociate.

Konohamaru…

Da quando aveva saputo di essere stato candidato per la successione del Sesto Hokage, Konohamaru si era rifugiato nella foresta di Shinseina, la foresta ancestrale delle scimmie. Lì, il giovane Sarutobi passava le giornate seduto in cima a quella piccola collina circondata dagli alberi, insensibile allo scorrere del tempo. Emna comprendeva ciò che turbava l’amico, ma sapeva che il tempo dell’indecisione stava per terminare, e che molto presto lo shinobi avrebbe dovuto prendere una scelta definitiva: ritirarsi dalla competizione, o affrontare colui che era come un fratello per lui.

“Emna.” la voce del Sarutobi era roca, quasi non fosse stata usata per troppo tempo. “Cosa sei venuto a fare quassù?”

La scimmia raggiunse l’amico, sedendosi a gambe incrociate al suo fianco, gli occhi dorati persi nel mare verde che li circondava.

“Desideravo godermi un po’ di aria.” borbottò. “A volte la foresta risulta pesante pure per uno come me.”

“Bugiardo.” Konohamaru lanciò un’occhiata obliqua all’amico, quasi fosse deluso che tergiversasse sulla questione. “Sei venuto a sapere cosa voglio fare, dico bene?”

“Sei un uomo, Konohamaru.” replicò il re dei primati. “Non spetta a me dirti cosa devi fare.”

“Già…” lo shinobi tornò a fissare l’orizzonte. “Non spetta a te.”

Per lunghi minuti l’unico rumore fu portato dal vento fresco. Emna non mise fretta all’amico, né lo incalzo. Conosceva bene Konohamaru, e sapeva anche quale sarebbe stata la decisione che alla fine avrebbe preso. Ciò che davvero premeva al sovrano delle scimmie era di comprendere come mai ci stesse mettendo così tanto tempo.

“Ho paura.”

Quella frase cadde tra di loro lentamente, viscosa, come colla troppo densa. Emna tornò a fissare lo shinobi, osservando come dietro la maschera di impassibilità che si sforzava di tenere, Konohamaru fosse davvero spaventato.

“Per tutta la vita ho sognato di poter indossare la cappa di Hokage.” il Sarutobi faceva fatica a trovare le parole, quasi gli si fosse annodata la lingua. “Da bambino vedevo mio nonno, e sognavo di poter diventare come lui un giorno: potente, rispettato, saggio…” scoppiò a ridere, una risata amara, priva di gioia. Non poteva essere più distante da quella visione.

“Konohamaru.” Enma parlò lentamente, quasi stesse cercando le parole giuste. “Non sei costretto a combattere. Se ti ritirerai, nessuno oserà accusarti di essere un vigliacco.”

Il Jonin non rispose. Vigliaccheria? Era quello che lo frenava dal ritirarsi? La paura di essere chiamato codardo? Di non potersi più guardare allo specchio? Era davvero quello che lo spingeva ad accettare quel folle duello?

Non ho paura di quella parola… abbassò lo sguardo, fissandosi i palmi delle mani. Erano mani segnate, mani di un guerriero, ma Konohamaru non ci vide questo. Ci vide un liquido viscoso e denso colargli sopra, un liquido vermiglio che lo riportò indietro nel tempo, al momento in cui era morta una parte di lui.

Udon…

Lo poteva sentire, quasi fosse materiale. Il peso che portava sulle spalle. Quando Udon si era messo tra lui e la morte l’aveva fatto per un motivo per preciso: per proteggere il suo sogno. Udon era morto convinto che fosse lui la scelta migliore per il futuro del loro Villaggio, un futuro dove i ninja non sarebbero stati costretti a seppellire i loro amici e parenti, dove i figli non sarebbero cresciuti soli.

Amico mio. Il dolore di quella scomparsa non era mai sparito del tutto, e lo senti sotto la pelle, ricordandogli come ogni respiro che compiva era un dono di Udon.

“Non ho paura di morire.” dichiarò infine, vedendo le tenebre del dubbio dissolversi come nebbia mattutina nella sua mente. “Ho paura di non poter mantenere una promessa.”

 

“Un giorno io diventerò un grandissimo Hokage!”

“Smettila, Konohamaru.” borbottò Moegi, agitando le trecce nello scuotere la testa. “Tanto è impossibile che diventi più forte del Terzo. Lui è davvero il numero uno.”

“Invece io diventerò più forte di tutti! Anche di mio nonno!”

“Io credo che possa farcela.” Konohamaru si girò di scatto, osservando Udon tirare su con il naso, quasi in imbarazzo per aver partecipato alla discussione. “Io ho fiducia in te, amico. Se dici che diventerai più forte del Terzo, allora lo farai.”

“Udon! Non dargli corda nelle sue follie!”

Un sorriso si aprì sul volto del giovane Sarutobi. In quel momento, per lui non esisteva niente, se non le parole d’incoraggiamento del suo migliore amico.

 

Fece un profondo respiro, tentando di buttare fuori tutta la negatività degli ultimi giorni. Il pensiero di Udon era ancora lì, dentro di lui, che sanguinava con l’intensità di sempre. Un dolore con cui aveva imparato a convivere, ma che non sarebbe mai scomparso.

Devo farlo. Si batté le mani sulle cosce, scacciando via così tutte le paure e le indecisioni.

Per lui.

Sorrise, un sorriso amaro ma pieno di determinazione.

Diventerò Hokage anche per te, Udon.

E’ una promessa.

 

 

Non sentì nulla, né paura o altro, quando varcò la soglia della sala delle riunioni. Aveva riflettuto anche troppo su quella scelta, ed ormai non poteva più tirarsi indietro. Avrebbe combattuto fino alla morte per il suo sogno, andando oltre anche quell’ostacolo.

Nella sala erano già presenti l’Hokage con i suoi consiglieri. Konohamaru poteva vedere sul volto di loro espressioni contrastanti, simbolo di ciò che provavano. Non approfondì la questione, non gli interessava. Era lì solo per una cosa ed una sola.

Sorrise quando lo sentì arrivare.

Naruto entrò con passo pesante, quasi stanco. Il volto dell’Uzumaki in quegli istanti sembrava trasparire più anni di quanti ne avesse in realtà, quasi che quell’ennesima lotta lo stesse consumando dentro. Tuttavia, le iridi chiare erano colme di fredda e cieca determinazione, mentre si affiancava al Sarutobi in attesa.

Kakashi fissò per lunghi istanti i due shinobi, i quali emanavano reazioni contrastanti. Ribollente e pronto all’azione Konohamaru, freddo e determinato Naruto.

Socchiuse gli occhi, notando improvvisamente quanto Konohamaru avesse ereditato dal suo amico Asuma. Poteva quasi vederlo, giovane e smanioso di metterti in mostra, alla ricerca di liberarsi dell’ombra ingombrante del Terzo Hokage.

La storia adora tornare sui propri passi.

“Naruto Uzumaki… Konohamaru Sarutobi.” esordì infine, sollevando le spalle e dando alla propria voce un timbro ufficiale. “Siete stati convocati innanzi a questo consiglio per un motivo.”

Tsunade prese a battere nervosamente sul tavolo laccato, il tutto mentre gli occhi di Koharu brillavano di trionfo.

“Entrambi siete stati scelti per il titolo di Hokage.” proseguì il Sesto. “Tuttavia, solo uno di voi potrà ambire a questo nobile e gravoso incarico.” i freddi occhi dell’Hatake si spostarono sul più giovane dei due. “Intendi tu rinunciare alla tua candidatura, Konohamaru Sarutobi?”

“No.” rispose seccamente lo shinobi moro.

“E tu… Naruto?” la voce di Kakashi sembrò ammorbidirsi per un istante nel nominare il suo vecchio allievo. “Intendi ritirare la tua candidatura?”

Naruto non rispose subito. Il suo sguardo, da freddo e duro, si sciolse, mentre un sorriso amaro gli increspò le labbra.

“Non pensavo che sarebbe finita così.” esordì lanciando un’occhiata al fratello adottivo. “Ho sempre creduto che saresti diventato Hokage dopo di me… Konohamaru.”

Konohamaru non rispose, ma per un istante sembrò a disagio.

“Come desideri.” con un sospiro, l’Uzumaki ritornò freddo e duro con lo sguardo, mentre annunciava che non aveva intenzione di ritirare la propria candidatura.

“Capisco.” Kakashi fece un profondo respiro. Per la prima volta dopo anni, sentì nuovamente il senso di colpa graffiargli l’anima e lo spirito. Non desiderava quel combattimento, ma non aveva idea di come fare per impedirlo.

“Dunque è deciso che tra tre giorni, all’alba, vi scontriate in una località che vi sarà mostrata solo il giorno del combattimento.” Shikamaru fece un profondo respiro, soffiando fuori fumo grigiastro dalle labbra, un’espressione contrariata sul volto. “Una volta giunti a destinazione, potrete iniziare a combattere.” gli occhi intelligenti dell’Hokage brillarono sinistramente. “Potrete usare qualsiasi tattica, nessuna regola, nessun limite di tempo. Vince chi costringe l’avversario ad arrendersi… o lo uccide.”

I due shinobi annuirono.

“Allora andate… e buona fortuna ad entrambi.”

 

 

Prima di uscire, una mano dura come l’acciaio lo afferrò per la collottola, sbattendolo contro il muro.

“Cosa dia…”

“Si può sapere cosa vuoi fare, moccioso?!” a sibilargli a pochi centimetri dal volto era Tsunade, livida in volto. “Hai la più vaga idea di cosa stai facendo?!”

Konohamaru tentò di liberarsi, ma la presa della Senju era inscalfibile.

“La cosa non la riguarda.” osservò, scornato dal non riuscire a liberarsi. “Il tempo in cui poteva dirmi cosa fare è finito da un pezzo.”

“Stupido! Ti stanno usando come una marionetta!” le iridi smeraldine del Quinto Hokage sembravano in procinto di incenerire il giovane shinobi. “Credi davvero di stare realizzando il tuo sogno? E’ così che vuoi diventare Hokage? Con la cappa sporca del sangue di Naruto?!”

“Lei è come mio nonno!” replicò il Sarutobi, riuscendo infine a liberarsi. “Pensate tutti di sapere quale sia la strada migliore per me! Ma sono io, io soltanto che la decido!” le iridi scure brillavano al pari di quelle di Tsunade. “Ho già le mani sporche di sangue, e non mi importa se dovrò sporcarle di nuovo.”

Le labbra della kunoichi si torsero in una smorfia di disprezzo.

“I morti non pretendono nulla, Konohamaru. Prima lo capirai, meglio sarà per te e per i tuoi cari.”

“Sono già tutti morti.” ora la voce dello shinobi divenne velenosa. “Morti per questo Villaggio… che differenza fa se uso la mia vita per realizzare il mio sogno, invece che darla a Konoha? Cambierebbe davvero qualcosa?”

Lo schiaffo risuonò violento. Sorpreso, il moro cadde al suolo. Si rialzò subito, rimanendo sconvolto nel vedere gli occhi di Tsunade diventare lucidi.

“Il solo fatto che parli così prova che non sei degno di quel titolo!” esclamò la Senju. “Cosa credi che sia per te tutto questo?! Un gioco? La vita per te è solo un oggetto da sacrificare per la tua ambizione?! Hai mai pensato ai tuoi amici? A tutto ciò che ti resta ancora di caro in questo posto?! Saresti pronto a gettare tutti loro nel dolore solo per un capriccio?!”

Konohamaru non rispose. Sentì dentro di sé qualcosa di simile a rimorso, ma lo seppellì sotto tutto ciò che aveva costruito in quei giorni dentro di sé. La sua determinazione non sarebbe crollata per così poco.

“Volevo bene a tuo nonno.” proseguì con tono più calmo la kunoichi. “Ed è solo per il rispetto che provavo per lui che non ti spacco la faccia.” ora anche il suo sguardo era tornato freddo. “Vai a morire, se così desideri. Ma sappi che non combatterai per Udon… ma solo per la tua ambizione.”

Se ne andò. I suoi passi suonarono duri e secchi lungo i corridori dell’edificio, rimbombando nella testa dello shinobi come tanti aghi. Non l’avrebbe mai ammesso, ma la parte più profonda del suo inconscio era turbata.

 

 

Hinata non era solita intromettersi nelle decisioni del marito riguardo al lavoro. Con gli anni aveva imparato a fidarsi di lui, a capire come l’istinto dell’Uzumaki, per quanto a volte grezzo, raramente sbagliava.

Ma ora, dopo tre anni meravigliosamente monotoni e privi di conflitti, quella scelta proprio non la capiva. O meglio, comprendeva le ragioni che stavano dietro, ma si rifiutava di accettare l’idea che non esistesse altra soluzione a quel duello all’ultimo sangue.

La sera prima del duello, Naruto aveva cercato di comportarsi come sempre, non volendo preoccupare la sua famiglia. A cena scherzò con Himawari, diede un paio di buffetti per provocare Boruto per gioco, e strinse più volte la mano alla moglie, quasi quella fosse una normale serata di fine aprile. Hinata però notò più volte come il sorriso del marito raramente sfiorava gli occhi, e più di una volta avrebbe giurato di vederlo colto da un lieve tremore, quasi si aspettasse che il duello cominciasse da un momento all’altro.

Fu solo quando i bambini stavano dormendo, che vide Naruto uscire di casa con passo lento, sedendosi in veranda con un sospiro.

“A cosa pensi?” mormorò una volta raggiunto con un lieve fruscio.

L’Uzumaki alzò la testa, le iridi chiare che si specchiavano nelle stelle fredde e pallide.

“Che questa potrebbe la mia ultima notte da vivo.” osservò infine.

“Non dirlo neanche per scherzo.” replicò la Hyuga, sentendo il cuore subito strizzato in una morsa di ghiaccio. “Non sono cose da dire, specie da chi ha superato mille avversità.”

“Nessuno sa come un duello può finire, per quanto squilibrato possa essere.” lo shinobi sospirò, tornando a fissare il vialetto curato. “Mi ero giurato che non avrei mai più combattuto contro un mio caro… non dopo Sasuke… non dopo Himawari…”

Hinata gli strinse la mano, portandosela al viso. Per quel tormento non esistevano parole capaci di alleviarlo. Tutto quello che poteva fare era rimanere al suo fianco, facendogli capire che aveva fiducia in lui e che niente avrebbe mai cambiato quel fatto. Naruto sembrò capirlo, sorridendole dolcemente, scostandole una ciocca di capelli corvini dal volto.

Sono fortunato a poterti stare accanto, Hina-chan.

Nessuno dei due parlò più per quella sera. Rimasero seduti a fissare le stelle fino a quando la notte non diventò vecchia, assaporando quei momenti di pace prima della tempesta.

 

 

Moegi fece un profondo respiro, alla ricerca di ogni oncia di pazienza che le fosse rimasta in corpo. In quegli istanti, Konohamaru stava riuscendo a prosciugargliela con fastidiosa velocità.

“Per l’ultima volta, Konohamaru…” esordì la kunoichi, ma il Sarutobi la bloccò sul nascere.

“Risparmia il fiato, Moegi.” dichiarò con voce ferma. “Ho preso una decisione, e non tornerò indietro per niente al mondo.”

“Certo, perché questa storia mi puzza di stronzata lontano un miglio?” la kunoichi strinse le labbra fino a formare una linea sottile. “Tu non devi dimostrare un cazzo a nessuno, possibile che non lo capisci?”

Si trovavano nel salotto di lui, spoglio e spartano, seduti su un divano troppo vecchio per risultare comodo. Konohamaru teneva gli occhi fissi su un televisore che sparava notiziari insulsi da più di un’ora. Nessuno aveva accennato al duello del giorno seguente. Kakashi si era premurato che rimanesse segreto, per evitare folle di curiosi e crisi diplomatiche con gli altri Villaggi.

“Perché non mi vuoi ascoltare?” vedendo l’amico rimanere apatico, Moegi sbuffò. “Ogni fottuta volta che ti sei messo nella merda, io ti ho aiutato, te lo ricordi almeno questo? Ogni singola volta.” si sistemò meglio, facendo cigolare le molle arrugginite sotto di lei. “Ma domani, quando sarai con il culo per terra, non potrò farlo, lo capisci?”

“E chi ti dice che finirò a terra?”

“Cazzo, Konohamaru! Cresci una buona volta!” la kunoichi si passò le mani tra i capelli, sentendo improvviso il desiderio di pestare a sangue l’amico. “Non sei più un ragazzino, quindi dovresti arrivarci da solo. Lui… lui ha affrontato cose che neanche nei tuoi sogni più oscuri puoi immaginare. E… ha un fottuto demone dentro di sé! Può incenerirti con uno schiocco di dita, e tutto quello che potrai fare sarà la figura del coglione.”

Il Sarutobi si alzò di scatto, quasi fosse stato attraversato dalla corrente elettrica. Si voltò verso l’amica con il volto pallido, le iridi scure che brillavano di rabbia.

“Tu non sai niente di me!” ringhiò, il viso ad un centimetro da quello di lei. “Mentre tu ti dilettavi ad allenare marmocchi, io mi sono spaccato le ossa! Mi sono allenato ogni giorno, ogni singolo, fottuto giorno, da quando Udon è morto, il tutto mentre Naruto ammuffiva dentro un ufficio!”

“Quindi è questo il tuo piano? Sperare che in tutti questi anni, Naruto si sia ammosciato? Cazzo, fai prima a piantarti un kunai in gola, soffriresti meno.”

“Tu sei come tutti gli altri. Siete convinti che Naruto sia invincibile solo per ciò che ha fatto in passato. Ma Naruto non è imbattibile, rifletti! Anche nel suo più grande trionfo è uscito menomato, perdendo il braccio destro.”

“Ma l’ha perso contro Sasuke Uchiha! Credi davvero di essere a quel livello?!” Anche Moegi si alzò, per nulla intimorita dall’atteggiamento dell’amico. “Sei davvero più stupido di quanto pensassi. Ti butti a capofitto in un’impresa suicida solo per… cosa?! Per dimostrare che hai il cazzo? Per fare un favore a chi è sottoterra da anni?”

“Chiudi la bocca…”

“Lo farei se tu fossi disposto ad aprire gli occhi!” la kunoichi alzò la voce, in preda alla rabbia. “Udon è morto! I tuoi genitori sono morti! Tuo nonno, tuo zio… ogni singolo membro della tua famiglia marcisce sotto una tomba! E tu come pensi di ripagare questo? Con un duello all’ultimo sangue, stupido e insensato?!”

“TI HO DETTO DI CHIUDERE LA BOCCA!”

Nel salotto scese un silenzio denso, quasi solido, rotto solo dal ronzio del televisore in un angolo. Moegi sgranò gli occhi, quasi incredula di cosa fosse diventato Konohamaru. Del suo amico ormai non era rimasto più nulla, lo capì dai suoi occhi gelidi, sepolto sotto quintali di cieca determinazione.

“E Hanabi?” le parole le uscirono fioche, quasi un sussurro. “Lei cosa dice? Anche a lei urli di stare zitta?”

Il Sarutobi rimase in silenzio, lo sguardo improvvisamente perso in ricordi troppo recenti perché non ferissero. Ricordava bene la reazione di Hanabi quando le aveva detto del duello.

 

“Ti farai ammazzare, Saru! E io non potrò impedirlo… morirai solo per mantenere la promessa fatta ad un morto!”

 

Lui non è un morto… lui è Udon, cazzo!

Il suo sguardo tornò freddo, sepolto sotto tutto ciò che aveva deciso di portare a compimento, anche a costo della sua morte.

“Lasciami.”

Si voltò, facendole intendere che per lui quella conversazione era finita. Che il dolore che si portava dentro da troppi anni non poteva essere celato ancora. Udon era morto, lui aveva giurato che sarebbe diventato Hokage, e avrebbe portato a termine quel giuramento.

Anche a costo di uccidere, anche a costo di morire.

Moegi fece un profondo respiro, tentando di trattenersi. Sentiva le lacrime premere per uscire, ma non voleva dargli anche questa soddisfazione.

“Hai provato a seppellire il tuo senso di colpa per anni dietro questa promessa infame.” una lacrima le sfuggì, ma lei la asciugò con un gesto stizzito. “Vai a morire allora, idiota.”

Se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle, lasciandolo solo.

Solo con il fantasma di Udon.

Udon…

Perché nessuno capiva? Perché nessuno di loro riusciva a comprendere ciò che lo spingeva ad accettare quella sfida? Non era la lotta per il potere ad interessargli, non gliene fregava nulla di essere manipolato, non se ciò gli avrebbe permesso di ottenere ciò che voleva.

Ma allora perché?

Perché nessuno di loro ha visto il proprio migliore amico morire tra le sue braccia. Nessuno di loro lo ha visto morire come un cane solo per salvarti la vita. A nessuno frega un cazzo di Udon ormai, gli interessa solo andare avanti con le loro vite di merda.

Strinse i pugni fino a sanguinarsi i palmi. Si accovacciò per terra, gli occhi chiusi, mentre una rabbia fredda lo consumava dentro, un pozzo senza fondo dove affondare senza speranza di riemergere.

Udon non doveva morire.

Ed era solo colpa sua se era morto.

Quella promessa non l’avrebbe riportato indietro, ma mantenerla avrebbe significato mantenere viva la sua memoria. Avrebbe mostrato al mondo che Udon non era ancora morto, che viveva in lui, e che l’avrebbe aiutato a diventare l’Hokage più forte di tutti.

Naruto… aprì gli occhi, il respiro di nuovo calmo. Domani combatteremo.

E sarò io a vincere!

 

 

Naruto scrutò il cielo limpido sopra di lui. Era una giornata calda ed afosa, con solo poche nubi sfilacciate che solcavano pigre il cielo. Gli agenti atmosferici non l’avrebbero ostacolato per quel duello.

Le iridi chiare dell’Uzumaki si abbassarono, scrutando ciò che lo circondava. Si trovava in un’ampia depressione rocciosa, ricca di macigni di ogni forma e dimensione, spesso striati di venatura rossastre. Nessun arbusto, nessun possibile nascondiglio, nessuna fonte d’acqua. Un terreno aspro e aperto, dove le arti ninja sarebbero state assai poco utili.

Sorrise, aspirando una boccata d’aria calda. Comprendeva perché Kakashi avesse scelto un simile campo di battaglia: neanche l’Hokage voleva allungare troppo quel duello. Sarebbe stato uno scontro aperto, privo di trucchetti o imbrogli. Nel complesso, assai poco da ninja.

Sentì arrivare Konohamaru con un frusciò. Il suo sorriso aumentò, diventando amaro, nel constatare come il Sarutobi paresse perfettamente calmo e posato. Sembrava davvero sicuro di sé.

“Alla fine hai ottenuto ciò che volevi.” esordì l’Uzumaki, la voce calma e fredda. “Mi auguro che accetterai anche tutte le conseguenze.”

Konohamaru inclinò la testa verso sinistra, le iridi scure incredibilmente fredde e cariche di determinazione. Naruto lo riconobbe subito per quello che era: lo sguardo di un uomo pronto ad uccidere.

Siamo arrivati a questo… fratello?

Era una follia, lo capiva fin troppo bene. Una follia che si ripeteva con agghiacciante ciclicità: Madara e Hashirama, Jiraiya e Orochimaru, Kakashi e Obito, lui e Sasuke… ed ora Konohamaru. Sembrava che Konoha stessa si divertisse a mettere gli amici l’uno contro l’altro, ma lui non sentiva altro che stanchezza e rabbia per quella situazione.

“Mi sono allenato a lungo, Fratello.” replicò lentamente il Jonin più giovane. “Mi sono preparato per anni a questo momento, e ho già un piano in mente per sconfiggerti.” strinse i pugni, irrigidendo le spalle. Era pronto a scattare. “Oggi perderai tu.”

Anche Naruto irrigidì ogni muscolo, pronto a scattare.

Era pronto.

“Mostrami.”

Si mossero all’unisono, due meccanismi di morte perfettamente sincronizzati. Il colpo del pugno destro di Konohamaru si infranse con violenza contro il gomito sinistro di Naruto, i loro sguardi freddi che si scrutavano con gelida collera.

Il duello per il titolo di Hokage era cominciato.

 

 

CONTINUA

 

 

Note dell’Autore:

 

Ehm… salve! Dopo mesi di assenza (dovuti ad impegni extra tipo lavoro, studio, ecc), ritorno finalmente su questa raccolta, con la seria idea di concluderla. Qui infatti inizia l’ultimo filone narrativo che ho in mente per questa storia, dove avverrà un po’ di tutto. Spero che possa piacervi, e intanto vi lascio questo capitolo. Come sempre ricordo che qualsiasi recensione (positiva o negativa) è ben accetta, così come consigli o suggerimenti.

Un saluto!

 

Giambo

  
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