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Autore: Mari_Criscuolo    12/09/2019    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Dopo essere scesa dalla macchina, si incamminò in direzione del locale, che si trovava a pochi passi da dove Lorenzo aveva parcheggiato, sullo stesso lato della strada.
 
Giunta a destinazione, si fermò qualche istante sul marciapiede a osservare la struttura nel suo complesso.
 
Dal piccolo davanzale, che si affacciava sopra la Steak-house, poteva ammirare cascate di fiori viola che donavano un aspetto fiabesco. Questi coprivano appena il bordo superiore, incorniciando l'insegna, che si prolungava per tutta la lunghezza della facciata esterna.
 
La scritta d'orata era leggermente in rilievo rispetto al fondo su cui era stata infissa. Ai lati opposti erano stati posizionati due lampioncini da parete e da ognuno di essi pendevano tre catene in metallo che reggevano sospese una fioriera di coccio marrone scuro da cui ricadevano i medesimi fiori del balcone.
 
Da questo dettaglio Ella poté intuire che, probabilmente, l'interno si articolava su due piani.
 
Il legno di ciliegio era stato accuratamente lavorato per la realizzazione dell'esterno e dell'interno, da come riusciva a intravedere dalle vetrate che le consentivano una discreta visuale.
 
Inspirò profondamente, gonfiando il petto fino a quando le fu possibile, un gesto che le infondeva coraggio e maggiore sicurezza per affrontare queste situazioni così imprevedibili.
 
Provando ad aprire la porta d'ingresso, capì che quello sarebbe stato il primo ostacolo da superare e più ci pensava più non riusciva a capire perché le rendevano la vita impossibile ovunque andasse. Ella, spingendo con maggiore decisione, notò che la porta si muoveva come se non avesse il chiavistello che bloccava l'anta più piccola al pavimento, tuttavia, considerando la scarsa quantità di forza che era in grado di esercitare con le braccia, non riuscì ad aprirla.
 
All'interno doveva esserci qualcuno, così si spostò sul lato sinistro e, poggiando a coppa entrambe le mani sulla vetrata, accostò il volto fin quando i riflessi del sole non le intralciarono più la visuale.
 
In quell'esatto momento la porta, che tanto l'aveva fatta innervosire, fu aperta con una facilità che parve prenderla in giro.
 
Mentre si domandava quali problemi potesse avere per sentirsi derisa da un oggetto inanimato, un uomo di mezza età comparve sull'uscio, scrutandola con attenzione.
 
«Buongiorno. Lei è il signor Massimiliano Russo?» chiese Ella, ritrovando la sua voce nel poco coraggio che ancora non era stato asfaltato dagli ultimi cinque minuti di lotta feroce.
 
«Si. Tu sei?» il suo sguardo era sospettoso perché, giustamente, le tre del pomeriggio non erano un orario adeguato per decidere di andare a mangiare in un pub.
 
«Leila Castaldo. Ho un colloquio per il posto di lavoro.»
 
Dall'espressione assunta, dopo aver ascoltato la risposta alla sua domanda, Ella intuì che doveva aver riportato alla luce il ricordo dell'appuntamento che aveva in programma.
 
«Certo. Tu devi essere l'amica di Luca. Seguimi, da questa parte» disse, per poi incamminarsi all'interno del locale.
 
L'interno rispecchiava lo stesso stile rustico dell'esterno, in più si respirava un odore di legno e carne arrostita. Il senso di disagio, che aveva tormentato Ella per tutta la mattinata, sparì solo per essere sostituito dal calore familiare che, a volte, nemmeno la propria casa riusciva a trasmettere.
 
Guardandosi intorno, rimase colpita dal piano rialzato su cui si trovavano due tavoli in corrispondenza delle vetrate separate al centro dal bar, mentre attorno al bancone erano stati disposti degli sgabelli per chi era interessato solo a prendere un drink.
 
Il restante spazio della sala era arredato con tavoli circondati da sedie di legno o da divanetti in pelle marrone.
 
Il tutto era reso accogliente da semplici lampadine che pendevano dalle travi in legno del soffitto e diffondevano una luce calda e tenue.
 
«Volevo ringraziarla per essere stato così disponibile» disse Ella, prendendo posto in uno dei divanetti.
 
«Puoi chiamarmi Massimiliano. In ogni caso, abbiamo aperto da poco, il personale non è al completo, quindi non avevo motivo di negarti l'opportunità.»
 
Da come si stava ponendo nei suoi confronti, sembrava essere cordiale e disponibile, dialogare con colui che avrebbe dovuto assumerla la stava facendo sentire meno in soggezione di quanto avesse immaginato.
 
«Capisco.» In attesa che le ponesse qualche domanda, Ella si limitò a osservarlo con attenzione.
 
Le radici castane dei suoi capelli stavano diventando bianche, così come la sua barba. Tre piccole rughe contornavano gli angoli esterni degli occhi, le cui iridi erano di un marrone piuttosto chiaro che sembravano avere delle striature verdi, ma probabilmente era solo il risultato del riflesso della luce delle lampadine.
 
«Dimmi qualcosa di te. Luca mi ha accennato che frequenti l'università.» Dopo questa affermazione, fu chiaro a Ella il motivo per cui Luca e Lorenzo fossero amici, a quanto pareva a entrambi piaceva molto parlare.
 
Fu facile da intuire il perché avesse riferito qualcosa su di lei, di certo non poteva accordare un colloquio a chiunque. Ella non poté fare a meno di chiedersi in quale modo avesse infiocchettato la sua personalità.
 
«Si. Mi sono trasferita a Roma da circa una settimana e questa mattina ho iniziato il prima anno di magistrale in psicologia.»
 
«Se non sei di queste parti, dove sei cresciuta?»
 
«Castellammare di stabia, provincia di Napoli.» Pensarci le faceva provare una leggera malinconia. Una delle cose che più le mancava era l'odore di salsedine e il rumore delle onde quando passeggiava sul lungomare, con il Vesuvio sullo sfondo.
 
Specialmente al tramonto, quando si ammirava quel panorama si doveva necessariamente credere nell'esistenza di una forza inconoscibile e l'uomo non poteva fare altro che arrendersi a essa.
 
«Si, la conosco bene. Anche io sono nato e cresciuto lì, però mia moglie è di Roma quindi, dopo il matrimonio, mi sono trasferito. Tu, invece, perché hai deciso di cambiare città?»
 
«Avevo bisogno di trovare la mia strada, responsabilizzarmi, essere più indipendente. L'idea è quella di mettere la mia vita in prospettiva.»
 
«E un modo per farlo è iniziare a lavorare.» Dalle risposte di Massimiliano, Ella sentiva che realmente comprendesse le sue motivazioni, dava la sensazione di anticipare ciò che volesse dire, come se avesse già inquadrato chi fosse e come ragionasse.
 
«Esatto. Anche se i miei genitori sono disposti a pagarmi le spese, non voglio lo facciano.»
 
«Perché?»
 
«Per gli stessi motivi. È inutile traferirsi per ricominciare se poi mi appoggio completamente alla mia famiglia. Certo, mi aiuteranno, ma sento comunque la necessità di contribuire.» Nessuno le avrebbe mai fatto cambiare opinione, era sempre stata così sin da piccola, testarda, ma solo in ciò in cui credeva con tutta sé stessa. Era ragionevole anche nel suo essere cocciuta.
 
«Sei una ragazza decisa» constatò Massimiliano, con un tono piuttosto compiaciuto.
 
«Si, ma non sempre è abbastanza, specialmente se si tratta di trovare un lavoro part-time.»
 
Ella provò a indirizzare il discorso verso l'argomento che le interessava. Nonostante la tranquillità con cui stavano dialogando, le sembrava di essere seduta su una superficie cosparsa di spilli, non aveva mai avuto la schiena così diritta e una postura così rigida come in quel momento.
 
«Posso immaginare. Tutti ci siamo passati almeno una volta nella vita, ma le porte in faccia servono.»
 
Quella frase circostanziale le faceva storcere il naso ogni volta che qualcuno la pronunciava, che fosse indirizzata a lei o a qualcun altro. Le considerava espressioni illusorie che le persone si creavano per non accettare la realtà del fallimento, ma i fatti erano altri, perché chi si vedeva chiusa a chiave una porta non aveva nessuna certezza che glie se ne aprisse una migliore, magari con maggiore facilità.
 
Alle persone serviva speranza, così come a Ella, ma l'unica cosa che gliela dava era credere in sé stessa e per farlo non aveva bisogno di quel tipo di motivazione.
 
«Credo si dica così solo per sentirsi meglio» ammise, infine, con estrema sincerità e trasparenza.
 
«Ed è così sbagliato?»
 
«No. Può essere sufficiente per motivarti, ma, a mio avviso, non è necessario farne un abuso.»
 
«Mi piace il tuo modo di ragionare.»
 
Ella non sapeva esattamente cosa rispondere alla sua affermazione, così decise di colmare gli istanti di silenzio limitandosi a sorridere gentilmente.
 
«Dunque, passiamo alle cose importanti» intervenne Massimiliano, schiarendosi la voce «Hai avuto altre esperienze lavorative?» chiese.
 
«No. Questo è un altro motivo per cui ho avuto difficoltà e altre porte chiuse. La maggior parte cercano personale qualificato e non possono essere biasimati.»
 
«Non credo sarà un problema. Dalle tue risposte ho notato la tua genuina determinazione, una qualità da non sottovalutare. Anche se sei alle prime armi, hai tutte le capacità e la volontà giusta per apprendere velocemente.»
 
La sua risposta la rincuorò, tuttavia il timore che da un momento all'altro spuntasse un "ma" non la abbandonava.
 
«La ringrazio per la fiducia.»
 
«Secondo te, quale sarebbe un tuo eventuale punto debole su cui lavorare?»
 
L'espressione di Ella fece trasparire la sua sorpresa, poiché non si aspettava una domanda del genere, sebbene ne avesse immaginate molte.
 
Comunque non le fu difficile trovare la risposta perché, nonostante fosse una persona che si sforzava nel controllare sé stessa e gli altri, ciò che la faceva vacillare era chi cercava, anche inconsapevolmente, di minare questa sua attitudine.
 
«Credo la scarsa tolleranza della maleducazione, non sono molto paziente. In questo ambiente, essendo in contatto con molte persone, dovrò cercare di contenermi più di quanto già non faccia, per evitare di rispondere in modo sgarbato.»
 
«Determinati comportamenti non piacciono a nessuno. L'atteggiamento da assumere dipende sempre dal livello di maleducazione.»
 
Quell'uomo aveva appena trasformato un suo difetto, in un aspetto accettabile della sua personalità.
 
«Anche se mi spazientisco, non tendo mai a esagerare altrimenti non sarei migliore di loro.»
 
«Hai solo bisogno di pratica e capirai da sola come gestire determinati soggetti. Tutti abbiamo avuto il desiderio di insultare qualcuno particolarmente ignorante.»
 
«So affrontare le situazioni stressanti e se decido di impegnarmi in qualcosa, cerco sempre di esprimermi al meglio delle mie possibilità.»
 
«Anche se si tratta di un semplice lavoro di cameriera?» Ella ebbe il sentore che dalla risposta a quella domanda sarebbe dipeso il giudizio finale, forse un'idea un po' catastrofica, ma del tutto possibile.
 
«Mi permetterà di pagare l'affitto e, pertanto, meriterà tutto il mio rispetto e i miei sforzi.» Alla fine non fu nulla di molto articolato o profondo, era solo ciò che quell'impiego avrebbe rappresentato per lei.
 
«Per il momento mi basta. Iniziamo con un periodo di prova e vediamo come te la cavi.» Quell'affermazione risuonò nell'aria con forza e arrivò alle orecchie di Ella con così tanta prepotenza, che si mosse per la sorpresa per la prima volta da quando si era seduta.
 
Gli spilli erano spariti e poté, finalmente, rilasciare l'aria che le parve essere la stessa che aveva inspirato prima di entrare nel pub.
 
«Questi sono i tuoi orari. Domenica e giovedì sono di riposo, mentre gli altri giorni il turno serale, dalle sette e mezza all'una e mezza circa. Inizi domani sera. Hai domande?»
 
Ella era così stordita dalla notizia che non riusciva a pensare a niente che non fosse il fatto di aver appena ottenuto ciò che desiderava.
 
Era solo un periodo di prova, ma questo non la spaventava poiché credeva nelle sue capacità e nella sua determinazione a dare il meglio di sé in ogni situazione.
 
«Non al momento» rispose, alla fine.
 
«Vieni, ti faccio vedere gli spogliatoi.» Massimiliano si alzò dal divanetto, sorridendole benevolmente, come se avesse intuito cosa Ella stesse provando.
 
D'altronde chiunque avrebbe potuto leggerle in viso i suoi pensieri senza esercitare il minimo sforzo.
 
Dopo aver attraversato la sala, svoltarono in fondo a sinistra, immettendosi in un corridoio di grandezza sufficiente perché vi potessero camminare due persone l'una accanto all'altra.
 
«Le scale alla tua sinistra portano al secondo piano, dove è allestita una seconda sala, che è più piccola rispetto a quella al primo piano» le spiegò, indicando delle scale a chiocciola. A livello estetico erano la tipologia che Ella aveva sempre preferito, ma praticamente non le trovava molto comode, forse perché aveva sempre il terrore di inciampare a ogni passo. «Da questo lato, invece, ci sono i bagni» riprese, dirigendosi all'interno.
 
Ad attirare la sua attenzione fu un'altra porta, situata al centro tra le due toilette divise per genere.
 
«Questa stanza è accessibile solo al personale» disse, inserendo una chiave per aprire la porta e, dopo averla sfilata dalla toppa, la porse a Ella «Ecco, la tua copia. Cerca di non perderla, ne ho solo un'altra di riserva.»
 
Ella girò lentamente su sé stessa per osservare la suddivisione dello spazio. Gli armadietti erano dieci, ma solo sui primi sei era stata applicata una striscia di scotch di carta con sopra scritto il nome della persona a cui apparteneva.
 
Al centro della stanza era posizionata una panca in legno scuro, utile per avere un appoggio quando ci si doveva cambiare.
 
«Non è molto grande, ma per quello che serve è abbastanza. Questo sarà il tuo armadietto, devo ricordarmi di portare la tua divisa e la targhetta con il nome entro domani» la informò Massimiliano, indicandone uno privo di nominativo.
 
«In realtà, è più di quanto immaginassi. Questo locale è davvero stupendo.» Ella, che fino a quel momento non aveva proferito parola, si riscosse dallo stato di trance in cui era precipitata.
 
«Ti ringrazio» rispose sorridendole, mentre si avviava verso la porta da cui erano entrati. «Allora, il tuo compito sarà prendere le ordinazioni ai tavoli e portarle in cucina, che è da questa parte.» Seguendo Massimiliano fuori dal bagno, si diressero nuovamente verso la sala, proseguendo diritto per addentrarsi nell'altro lato del corridoio. «Quando è pronto, naturalmente, andrai a prendere le portate e le servirai ai tavoli. Considerando che non hai dimestichezza con il servizio, ti consiglio di portare due piatti alla volta, almeno all'inizio. È solo questione di abitudine e di equilibrio, imparerai in fretta.»
 
Il bancone su cui avrebbe dovuto poggiare le comande era di acciaio, esattamente come ogni superficie di quella cucina abbastanza spaziosa.
 
«Farò del mio meglio per non combinare disastri. A meno che qualcuno non mi urti, non dovrei avere particolari problemi.» affermò con sicurezza.
 
«In ogni caso non preoccuparti, può capitare a tutti di rovesciare qualcosa.»
 
Nonostante questa rassicurazione, di cui non dubitava, non si sentiva particolarmente sollevata, perché non era una giustificazione su cui adagiarsi per essere negligente e meno attenta.
 
«Con te, al servizio, ci saranno altri quattro camerieri, in più il barman che preparerà i drink ordinati dai clienti. In questo caso, ti conviene annotare le due comande con il numero assegnato su fogli diversi, per evitare confusione. Ognuno di voi si occuperà di tavoli, domani sera ti mostrerò quali dovrai servire.»
 
Mentre le spiegava il suo ruolo nel dettaglio, ritornarono nella sala principale, dirigendosi verso l'uscita.
 
«Il lato positivo dell'essere una studentessa è che ho la mente allenata per ricordare più informazioni. Su questo può stare tranquillo.»
 
«Bene, suppongo di averti detto ogni cosa, ma nel caso ti sorgessero dei dubbi potrai chiedere ai ragazzi o a me, domani.»
 
«Grazie. È stato davvero molto gentile e disponibile.» Ella si asciugò i palmi delle mani sulla parte alta del suo pantalone nero, poiché erano davvero troppo sudate e appiccicose.
 
«Se quanto mi hai detto è vero, non ho dubbi che farai del tuo meglio.» Massimiliano allungò la mano che Ella strinse, per salutarlo.
 
«Arrivederla.»
 
Uscita dal locale, si diresse a grandi passi verso la macchina, dove Lorenzo la stava aspettando.
 
«Allora?» chiese il ragazzo con impazienza, non appena Ella aprì la portiera.
 
Rimase in silenzio, con finta espressione contrita, a osservare lo sguardo luminoso e speranzoso di Lorenzo. Nel momento esatto in cui il suo volto si dipinse di tristezza, Ella allungò le braccia, tracciando con le mani, dall'alto in basso, i contorni della sua figura.
 
«Fai le tue congratulazioni alla migliore futura cameriera del pianeta terra» annunciò a gran voce, con un sorriso che avrebbe potuto illuminare tutta la città.
 
«Sapevo che ce l'avresti fatta» esclamò Lorenzo, contagiato dall'entusiasmo di Ella, che sembrava aumentare di secondo in secondo.
 
«Bugiardo.» La risata che seguì quell'affermazione era piena di tutta l'ansia e la preoccupazione che l'avevano resa schiava e che adesso stava rilasciando, perché in lei c'era spazio solo per la felicità.
 
«So quanto significasse per te.»
 
A causa dello stretto spazio in cui si trovavano, Lorenzo non poteva abbracciarla per congratularsi come avrebbe voluto, così si limitò a poggiare la mano sulla gamba di Ella, stringendola leggermente. Un semplice gesto che però, si augurò, potesse trasmetterle tutta la sua genuina soddisfazione.
 
«Sembra tutto così irreale.»
 
Nonostante le guance le facessero male, Ella non riusciva a smettere di sorridere.
 
«Che intendi?» chiese Lorenzo, mentre metteva in moto la macchina.
 
«Quello che è accaduto negli ultimi due mesi. Tutto ciò che volevo, tutto ciò per cui ho lottato l'ho ottenuto.»
 
Per Ella, quello era un traguardo importante perché avrebbe potuto dimostrare a sé stessa di poter essere indipendente non solo nel suo ideale fantastico, ma anche nel mondo reale.
 
«A volte, quando ti guardo, mi capita di ricordare quella ragazza di sedici anni che si vergognava di incrociare il mio sguardo quando mi salutava o che, quando veniva a casa, si faceva accompagnare da mia sorella al bagno perché non aveva il coraggio di bussare per vedere se fosse libero.»
 
Ella rise di cuore, dopo aver ascoltato quella che poteva essere considerata la più accurata descrizione della vecchia versione di sé.
 
Sembravano trascorsi secoli, invece erano solo cinque anni dal momento in cui si rese conto che la sua eccessiva introversione era un aspetto da cambiare radicalmente. Aveva una voce, aveva dei pensieri e doveva farsi ascoltare, si sarebbe imposta e avrebbe lasciato andare chi non sarebbe stato disposto ad accettarla.
 
«Hai davvero bei ricordi di me.»
 
«Per quanto mi piacesse la tua timidezza, devo ammettere che questo tuo lato combattivo e sfacciato è decisamente più interessante.»
 
«Sono cresciuta, ma, anche se posso tranquillamente guardarti negli occhi, mi infastidisce ancora lo sguardo di chi non conosco su di me.»
 
Alcune situazioni ancora le provocavano imbarazzo, era normale ed era giusto, perché anche quello faceva parte di lei, ciò nonostante bastava solo qualche minuto in più di assestamento affinché ritornasse la solita Ella sfacciata.
 
«Cosa è cambiato?»
 
«Prima abbassavo la testa credendo che bastasse, poi ho imparato che mostrare le proprie debolezze non fa altro che amplificarle, per cui adesso preferisco guardare chi mi parla dritto negli occhi fino a far provare loro disagio, così saranno gli altri a distogliere lo sguardo.»
 
La risposta di Ella fu seguita da un silenzio riempito dal suono proveniente dal mondo circostante, ottuso dalle pareti dell'abitacolo, che li isolava dall'esterno.
 
«Posso farti una domanda?» chiese Lorenzo.
 
«Certo.»
 
«Se sai cosa si prova a sentirsi a disagio, perché ti diverte mettere gli altri in soggezione?»
 
Il suo incubo peggiore prese forma da quelle parole, la paura che il suo modo di fare potesse infastidire coloro che l'avevano sempre accettata così com'era senza pretendere che cambiasse si materializzò d'avanti ai suoi occhi, spaventandola.
 
Temeva di porre la domanda che le avrebbe potuto risolvere il dubbio, perché la risposta non sarebbe potuta essere quella che sperava.
 
«Intendi con voi?»
 
«No. Ci conosci da anni, sai che le tue battute non ci infastidiscono, al contrario ci strappi sempre un sorriso. Mi riferisco agli altri.»
 
Il terrore che in tutto quel tempo l'avessero semplicemente tollerata come persona, fu sostituito dal sollievo.
 
«Con chi non conosco abbastanza bene mi comporto in questo modo solo se la persona che ho di fronte ha atteggiamenti nei miei o altrui confronti che non mi piacciono o che non sono giusti. In questo caso so essere molto più cattiva di quanto pensi, perché la mancanza di rispetto è l'aspetto che più di ogni altra cosa non riesco a tollerare. Il divertimento è una conseguenza, non la causa.»
 
Ella traeva sempre una dose di profonda gratificazione nel mettere in difficoltà chi se lo meritava, che pensassero esagerasse, che fosse sbagliato non le sarebbe importato fino a quando lei non avesse continuato a sentirsi nel giusto.
 
«Quindi c'è una logica dietro la tua follia.»
 
«Sempre. Non faccio mai nulla senza una motivazione ben precisa.»
 
Nonostante il momento idilliaco, Ella aveva i piedi ben piantati a terra, tanto da riuscire a intravedere all'orizzonte un enorme quanto importante problema da risolvere il più presto possibile.
 
«Tralasciando questi emozionanti discorsi introspettivi. Houston, abbiamo un problema!»
 
«Possibile che non riesci a goderti un momento?» chiese Lorenzo, voltandosi un istante verso di lei.
 
«Potrò farlo dopo aver risolto questo dettaglio.»
 
«Ovvero?»
 
«Ho il turno cinque volte a settimana dalle sette e mezza all'una, considerando che la metro ad un certo orario chiude, non vorrei dover tornare a piedi nel mezzo della notte. Fosse stato breve il tragitto non ci sarebbero stati problemi, ma camminare da sola al buio per venti minuti non mi sembra il caso.»
 
Il solo pensare a quella prospettiva le provocava brividi di freddo, perché il mondo in cui vivevano non era ancora pronto ad accogliere con sicurezza una donna che tornava a casa a tarda ora ed Ella sarebbe stata troppo ingenua a credere il contrario.
 
«Assolutamente. Infatti, avevo pensato che potresti andare con la mia macchina.»
 
Udire la proposta di Lorenzo, la fece voltare di scatto verso di lui.
 
«Davvero?» chiese, palesando tutto il suo ritrovato entusiasmo.
 
«Si. I miei turni di lavoro sono quattro volte a settimana a pranzo, quindi non coincidono con i tuoi.»
 
«Se te li dovessero cambiare?»
 
«Ci penseremo quando succederà, è inutile farlo adesso.»
 
Più Lorenzo tentava di tranquillizzare Ella, proponendole una soluzione, più le sorgevano ulteriori dubbi che le causavano preoccupazione.
 
«Sicuramente vorrete uscire il venerdì o il sabato sera? Non posso togliervi la macchina.»
 
«Luca ha la sua e lo stesso Cristina. Adesso capisco il motivo di tutte le volte in cui Sofia ti dava della maniaca del controllo. Ella, sta tranquilla.»
 
«Benvenuto nel mio mondo» commentò, allargando le braccia.
 
«Pensa ad avvisare tutti, così ti distrai e la smetti di pensare» la incitò Lorenzo, indicandole lo zainetto nero in cui, presumibilmente, aveva riposto il cellulare.
 
«Sì, signor capitano» rispose Ella, portando rapidamente e rigidamente alla fronte la mano destra, imitando discretamente il saluto militare.
 
«Davvero? Spongbob?» chiese Lorenzo, sorridendo.
 
«Che ci vuoi fare, sono un'eterna bambina.»
 
 
   
 
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