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Autore: padme83    12/09/2019    19 recensioni
Mio blu – dicevi –
mio blu.
Lo sono.
E anche più del cielo.
Ovunque tu sia
io ti circondo.

(Ghiannis Ritsos - Mio blu)
***
1. Mio blu
2. Miraggi
3. Promesse
***
Una mattina, siccome uno di noi era rimasto senza nero, si servì del blu: era nato l'Impressionismo.
(Pierre-Auguste Renoir)
Quanto più il blu è profondo, tanto più fortemente richiama l’uomo verso l’infinito, suscita in lui la nostalgia della purezza e infine del sovrasensibile.
(Wassily Kandinsky)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We were closer than brothers'
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Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C’è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t’ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell’estate.
 
Cesare Pavese, La terra e la morte
(29 ottobre 1945)
 
 
 
 
 
~ Miraggi ~
 
 
 
 
 
 
 
“E brucerò, sì, intorno al fuoco, intorno al fuoco.
E morirò, sì, intorno al fuoco, senza di te.”
 
 
 
 

 
 
Hogwarts, 30 giugno 1910
 
 
«Professor Silente! Professore!»
La ragazza corre veloce lungo la sponda scoscesa, una scheggia scura nel verde brillante della foresta.
Ti conosce abbastanza bene da sapere dove ti piace rifugiarti, al tramonto, quando senti il bisogno di tranquillità e silenzio. Deve aver raccolto tutto il suo coraggio per convincersi a disturbare la tua passeggiata solitaria.
Ad ovest, sopra l'orizzonte, il sole rosseggia pigro, già pronto a scivolare oltre il profilo grigio delle montagne; un’ombra greve e inesorabile si spande come una macchia d’inchiostro sulla superficie liscia del Lago Nero, rendendo le sue acque immote sempre più torbide, limacciose, infide. Una brezza impalpabile fa stormire le foglie, e reca con sé il profumo denso, stordente quasi, dell’estate appena sbocciata.
«Signorina Kane, cosa ci fai qui? Non mi dire che il banchetto è già finito. Sbaglio o avete una Coppa delle Case fresca di assegnazione da festeggiare?»
«Adelaide.»
La ragazza si morde lentamente il labbro inferiore – un’abitudine che si porta dietro dal primo anno, e che la tradisce nei momenti di forte nervosismo –, sistema alla meno peggio le balze sgualcite della gonna e intanto, sforzandosi di calmare il respiro, ancora irregolare dopo la lunga corsa, ti scruta con malcelata impazienza da sotto le ciglia folte e scure. «Mi chiami Adelaide, per favore. Eravamo d’accordo
Pieghi la bocca in una smorfia ironica, divertito dal tono piccato eppure risoluto della sua voce. Ti guarda negli occhi, diretta, impavida, il mento sollevato, la postura eretta e fiera, le guance nivee adornate da un sottile velo di cipria. Il chiarore soffuso del crepuscolo accende d’ambra le sue iridi brune, liquide, calde e traboccanti di muti segreti – che tali, però, non sono per te. Tu puoi leggere dentro di lei – dentro chiunque – come fosse un libro aperto. Un talento innato del quale, forse, avresti volentieri fatto a meno.
«Ma sì, hai ragione, Adelaide» le concedi, senza fatica in verità, anche se poi aggiungi, più apprensivo di quanto vorresti «Va tutto bene? Devi dirmi qualcosa?»
Sei scorretto, e tuo malgrado te ne rammarichi, perché conosci il motivo che l’ha condotta da te – tanto vicina che ti basterebbe allungare una mano per toccarla –, alla ricerca di risposte che, probabilmente, tu non sei e non sarai mai in grado di darle. In questo momento, lo ammetti, essere un affermato e stimato professore non ti è affatto d'aiuto.
La osservi attentamente, per minuti che appaiono interminabili, ma non c’è alcuna etichetta da rispettare, ora, nessun pudore o inibizione dietro i quali barricarsi; lei merita la tua sincerità, per quanto possibile, e tu non hai intenzione di negargliela. Non del tutto, almeno.
Il tuo sguardo sfiora l’ovale perfetto e il pallido incarnato del suo volto, indugia a lungo sulla chioma sontuosa e corvina, sulla curva esile delle spalle, e infine si posa sopra la figura slanciata ed elegante, squisita e femminile del suo corpo, che nemmeno il taglio austero della divisa ha la presunzione di offuscare e svilire.
Adelaide è bella, bellissima, e, maledizione, tu la desideri.
 
 
Lo hai scoperto da poco, in effetti, nell’istante in cui te la sei ritrovata fra le braccia in una incantata notte di giugno, durante la festa per il Solstizio d’Estate. Grandi falò erano stati accesi nel parco del Castello e attorno ad essi studenti e insegnanti parlavano e scherzavano tra di loro – svincolati, per una sera, dagli impegni e dal quotidiano rigore scolastico –, si divertivano e, soprattutto, danzavano, scaldati dal bagliore dei fuochi e rischiarati dai raggi di una luna benevola, ammiccante, sospesa al centro esatto di un cielo trapunto di stelle.
Lei ti si è avvicinata, con l’audacia propria di un vero Grifone, e ha chiesto spavalda l’onore di un ballo. Vestita d'avorio e oro, scalza e con una corona di fiori come unico ornamento, sembrava davvero una gemma preziosa, e brillava di luce viva. Ammaliato, non ti sei tirato indietro, nonostante le occhiate preoccupate e cariche d’inquietudine del Preside e dei tuoi colleghi più anziani. Ti ha trascinato in mezzo alle altre coppie carezzandoti con la sua risata dolce, argentina, simile al trillo gioioso di un campanellino. L’hai sentita reale al tuo fianco, mentre la stringevi appena e la facevi volteggiare leggera sul prato stupendoti, a ogni movimento, della sua grazia naturale e fresca. La sua pelle era tiepida, fremente di vita e giovinezza. Profumava di pesche e le sue labbra, carnose e vermiglie come petali di rosa, si schiudevano – per te, per te, per te – in un sorriso luminoso, schietto, delicato e ardente ad un tempo. Con riluttanza l’hai lasciata andare, una volta terminata la musica, ma eri cosciente – dannatamente cosciente – della sua tensione, delle vostre dita allacciate, dei suoi occhi incatenati ai tuoi; anche lei, se avesse potuto, non si sarebbe separata da te.
Avreste continuato a ballare, stretti quasi a sentir male, fino all’alba.
 
 
Ti sei allontanato di corsa, ridendo del tuo patetico tentativo di ignorare le fitte acute che ti pungolavano il petto, e quelle, ancora più intense, simili a dardi acuminati, che ti trafiggevano lo stomaco e il ventre.
Hai raggiunto la tua camera e ti sei buttato a peso morto sul letto, ricacciando in gola urla, frustrazione e rabbia e premendo d’istinto il palmo sinistro contro la bocca. Nella mente un solo ricordo, lucente e durissimo, un unico viso, l’eco vivida di una languida supplica.
Komme hier, mein blau, mein lieber, komme.
Non sei mai stato tanto vicino a spaccarti in due – e lì, tra le lenzuola sfatte, circondato dalle tenebre, paralizzato dall’angoscia e dall’eccitazione, con il cuore soffocato in una morsa rovente e l’anima appesa sopra il ciglio di un precipizio, hai pianto come un bambino sperduto, fragile, solo, che si scopre incapace di orientarsi al buio e di riconoscere la stella che potrebbe guidarlo di nuovo verso casa.
 
 
Nei giorni seguenti hai assistito regolarmente agli esami di fine anno, sfoggiando il tuo consueto sorriso bonario e furbo, ma i tuoi sensi, tesi e in costante allerta, reagivano alla presenza della ragazza come falene notturne attratte dalla fiamma tremolante di una candela.
Adelaide non è una sciocca, tutt’altro; fin dal suo arrivo a Hogwarts ha dimostrato un’intelligenza spiccata e una sensibilità pronta, ricettiva. È sveglia e perspicace e queste qualità, in lei, non si limitano certo ai risultati eccellenti ottenuti ai M.A.G.O – ti ha reso orgoglioso, moltissimo, e non perdi occasione per ribadirlo – ma si accompagnano ad una mentalità aperta e curiosa, affamata di conoscenza, e ad una natura gentile e appassionata che tu percepisci consapevole, vibrante e adulta. È genuinamente intuitiva e ha capito subito che la sua vicinanza e il suo trasporto hanno smosso in te qualcosa, pizzicato corde che di norma tieni celate con cura, e nel suo cuore ancora limpido, intoccato, è germogliata, inevitabilmente, la speranza. Non doveva accadere, per nessuna ragione – tu solo ne sei il responsabile, non c’è traccia di malizia in lei. È suo pieno diritto, adesso, aspettarsi da te una parola, un segno che le indichi quale, fra le tante, è la via che siete sul punto di intraprendere. Se ne sta ritta davanti a te, superba e indomita, in bilico fra il timore e una fiducia adamantina, ai limiti dell’incoscienza (ma è stato forse diverso, per te, un tempo?), fermamente intenzionata a difendere le ragioni di un sentimento – coltivato, o rimasto latente, per anni e del cui autentico slancio non puoi e non devi dubitare –, che tu non hai visto (o hai finto di non vedere), e che comunque non sei stato abbastanza accorto da troncare sul nascere. Per la prima volta nella tua vita esiti, avverti la solidità granitica della tua sicurezza vacillare e sfaldarsi come un cumulo di sabbia spazzato via dalle onde furiose di una mareggiata. Il tuo futuro non t’è mai parso così incerto, sfocato, imprevedibile persino. Adelaide ti ha mostrato, con una facilità e una chiarezza disarmanti, la possibilità di un percorso divergente, distante dall’idea di un destino, il tuo, già tracciato e immutabile, opposto rispetto all’effige di te stesso che nel tempo ti sei scolpito addosso – torbido simulacro dentro il quale hai occultato le spoglie di un ragazzino costretto, per errore e per colpa, a crescere troppo in fretta –, e se questo pensiero in principio ti sembra folle, assurdo, inconcepibile, cominci a chiederti se non sia stata invece una pazzia assai più grave intestardirsi e vagare imperterrito in un ginepraio di strade le cui direzioni non possono – non hanno mai potuto – portare ad altro che ad una serie ininterrotta di vicoli ciechi. Ti domandi allora perché non potrebbe essere lei la risposta ai tuoi interrogativi, il filo rosso da seguire per uscire infine dal labirinto, il perno attorno al quale costruire le fondamenta di un’esistenza nuova, differente. Fra le sue braccia troveresti tenerezza, accoglienza, conforto e lenimento al dolore straziato che ti schiaccia lo spirito: sai che è generosa e forte – sai che sarebbe capace di reggerne il peso. Non conosceresti più la solitudine, con lei, né il freddo immobile delle notti trascorse a fissare le braci morenti del camino, con l’esclusiva compagnia dei tuoi pensieri cupi e di un calice di whisky incendiario ricolmo fino all’orlo. Perché il tuo Bene Superiore non può essere lei? Per il suo sorriso, la sua felicità e la sua sicurezza  che varrebbe la pena di combattere e morire. Ogni sera ti addormenteresti con il capo poggiato sul suo seno bianco e con l’intima convinzione di aver trovato, in qualche modo, il tuo posto nel mondo. La visione che hai evocato è così struggente e cristallina nella tua testa da procurarti un brivido lungo la spina dorsale. Perché? Perché non può essere lei? Perché?
Perché sarebbe una menzogna, mio blu, nient’altro che una menzogna. Una meravigliosa, sfolgorante, crudele menzogna. La condanneresti dunque ad una simile sorte? Sei davvero così vile, egoista e meschino?
Gellert è sempre stato più bravo di te con le parole, spietato nel gettarti in faccia la verità nuda e cruda e implacabile nell’inciderti la carne con solchi profondi, sanguinanti, e tuttavia necessari. Non hai di che stupirti se, dopo tutti questi anni, la tua coscienza ti parla ancora attraverso il suono della sua voce.
Domani, nell’attimo preciso in cui Adelaide salirà, per l’ultima volta, sul treno che la riporterà a casa, il suo ricordo già sprofonderà fra le pieghe della memoria, dove lo custodirai con la devozione di un guardiano che cova il suo tesoro, come è giusto che sia; ma di lei non sentirai la mancanza, né proverai mai il desiderio di averla nuovamente accanto.
Tu conosci l’amore, quello vero, quello che spezza le vene e strappa i capelli, l’amore a prima vista, a ultima vista, a eterna vista, l'amore che fa battere due cuori in un unico petto, l’amore assoluto, che non si può comandare, accelerare, evitare, guidare, l’amore che è totalità e pienezza, e hai la certezza che un giorno, nemmeno troppo lontano, anche Adelaide sarà toccata dalla medesima esperienza, e sebbene tu sia ben consapevole che amare appassionatamente un’altra creatura umana comporti sempre più dolori che gioie, speri con tutto te stesso che lei possa assaggiare solo i bocconi meno amari di questo frutto magnifico e terribile. In fondo, chi non ha mai veramente amato, non ha mai veramente vissuto[1].
 

È buio ormai nella radura, e il silenzio fra di voi si è protratto a lungo, fino a diventare insostenibile. Ti scosti da lei di qualche passo e ispiri a pieni polmoni l’aria tersa e fragrante della notte.
«Torna in Sala Grande, Adelaide, i tuoi compagni ti staranno cercando. Questa è l’ultima sera che passi qui, ed è giusto che tu la trascorra insieme a loro.»
La tua voce è a malapena un sussurro, distaccata e neutra, eppure la ragazza si contrae su stessa come se l’avessi schiaffeggiata con violenza. Hai emesso nei suoi confronti una sentenza che non prevede alcun tipo di appello, e lei, con la lucidità immediata che la contraddistingue, lo ha semplicemente compreso.
Alza il capo con dignità, lottando per trattenere le lacrime. Non le negheresti un gesto di sincero affetto, ora, ma temi che ai suoi occhi possa apparire solamente come un’ulteriore umiliazione; imponi quindi alle tue mani di fermarsi, di restarsene nascoste e quiete nelle tasche dei pantaloni.
«Ha ragione, Professore. Volevo solo salutarla. Adesso torno dai miei amici. Addio.»
Addio.
Ne hai vissuti talmente tanti, di addii, da essere convinto che, in realtà, assai di rado essi sanciscano sul serio una separazione definitiva. Tuttavia, capisci il bisogno di Adelaide di aggrapparsi all’illusione solida e rassicurante di un “per sempre”, di un “mai più” sibilato magari tra i denti ma in grado di aiutarla a superare – confidi il più presto possibile – la tristezza di questo momento e a guardare avanti con rinnovato coraggio.
«Addio, Adelaide. Ti auguro tutto il bene del mondo.»
Getti un ultimo sguardo alle acque spente e inerti del lago.
Hanno un loro fascino, rifletti.
Quando ti volti, lei non c’è più.
 
 
 
 
 
“Ma questa notte lo sai,
non cambia niente fra noi,
e solo un sogno d’estate.”
 
 
 
 
 
Hogsmeade, qualche ora dopo
 
 
È un formicolio insistente alla base della nuca ad avvisarti del suo arrivo.
Mandi giù d’un fiato l’ultimo sorso di idromele e ti alzi in fretta, abbandonando sul bancone il bicchiere ormai vuoto insieme ad una manciata di zellini. Ti avvii svelto verso l’uscita, salutando con un breve cenno del capo il proprietario del pub e gli avventori rimasti seduti ai tavoli.
La porta si chiude dietro di te con uno schiocco sordo, mentre con la coda dell’occhio scorgi la sagoma di un uomo alto e incappucciato; lo segui a passi rapidi e non appena svolti l’angolo, infilandoti in un vicolo sudicio e stretto, lui ti afferra e ti attira a sé, strattonandoti e spingendoti a forza contro un muro. Ti piomba addosso con foga, facendo pressione sulle gambe e schiacciandoti l'addome e l'inguine; i muscoli della schiena tirano e si tendono in uno spasmo brutale nel contatto con le sporgenze che emergono come falangi spezzate dalla parete di pietra grezza. 
Nell’oscurità che vi avvolge, nera e opprimente come un drappo funebre, riesci a distinguere soltanto lo scintillio ferino dei suoi occhi di lupo. Cerca la tua bocca e ti bacia, con urgenza, passione e ferocia, si avventa sulle tue labbra e le morde fino a strapparti un gemito, ti ansima fra i denti nutrendosi avido dei tuoi stessi sospiri.
Malgrado la stoffa spessa degli abiti avverti le sue unghie artigliarti la pelle, graffiarla quasi volesse staccartela dalle ossa, per cancellare, annullare, distruggere l’impronta di cosa, di chi? Non c’è niente, non c’è nessuno, tu sei suo, suo, suo in ogni fibra del tuo essere, ed esisti, bruci di vita soltanto con lui, per luiE sotto l’assedio della sua lingua furibonda e implorante – mein blau, mein lieber –, aggrappato ai suoi fianchi con la disperazione di chi è ad un soffio dal precipitare nel vuoto, alla fine riconosci te stesso, ma è come smarrirsi ancora in un dedalo di specchi ingannevoli, e attraverso il riflesso che ti viene restituito non vedi altro che un’unica immagine, nitida, abbagliante e ineluttabile.
Gellert.
 

Liberi le mani dalla sua stretta e gli accarezzi con dolcezza il collo, le guance, la fronte; affondi le dita tra le sue ciocche morbide, biondissime, obbligandolo a reclinare piano la testa e a incontrare finalmente i tuoi occhi.
Sei triste, mio blu. Dimmi quello che vuoi, dimmi quello che vuoi e io lo farò.
Portami via, portami via, ti prego.
Tutto quello che vuoi, mio blu. Tutto, tutto quello che vuoi.
Ti lasci svanire e non ti importa di nulla, di nulla, perché adesso ciò che conta è solo lui, il calore del suo corpo incollato al tuo, la sua voglia – la vostra voglia – di rinchiudervi in una stanza e fare l’amore per giorni, mesi, anni, secoli interi. Stare con lui o non stare con lui è la misura del tuo tempo. L’amore, realizzi, è l’ansia e il sollievo di sentire la sua voce, l’attesa e la memoria, l’orrore di vivere nel tempo successivo. Amarlo è come una mancanza di respiro e un senso di morire, ma a nessun costo vorresti separarti da questo tuo dolore[2].
Tra qualche ora ti risveglierai con il suo profumo famigliare addosso, legherai il tuo sguardo al suo e nel profondo dell’anima saprai che il tuo amore non è perduto, splende nel fulgore di un’aurora infinita, e resiste al tempo, e che oggi, come ieri, come domani, tu lo ami, lo ami, lo ami[3], e sulle sue labbra, fra i suoi respiri, ogni volta, sempre, tu muori, rinasci – vivi.
 
 

 

 
“E brucerò, sì, dentro di te, dentro di te.
E morirò, sì, dentro di te, dentro di te.”


 
 
 
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 2722 <-- LA FINE DEL MONDO È VICINA}
 
 
 


 
 
[1] nell’ordine: Vladimir Nabokov, Lolita; Pier Vittorio Tondelli, Camere Separate; Agatha Christie, La parola alla difesa (Dio, quanto odio questa traduzione! Il titolo originale è Sad Cypress. Non è infinitamente più bello ed evocativo?)
[2] Jorge Louis Borges, È l’amore; Margherita Guidacci, È come una mancanza di respiro.
[3] dalla bellissima lettera di Livia a Salvo ne Il cane di terracotta di Andrea Camilleri. Grazie di tutto, Maestro <3
Soliti riferimenti a Guccini e De André sparsi un po’ ovunque.
 



 
 
 
 


Nota:

 
Salve a tutt* e ben ritrovati!
 
Alloooora… beh, voglio innanzitutto rassicurarvi sul fatto che no, non sono improvvisamente uscita di senno: l’idea per questa storia, sebbene sia stata improvvisa, è stata altresì ponderata a dovere. Ci ho ragionato sopra a lungo, chiedendo anche l'aiuto di due autrici che stimo moltissimo e senza la cui approvazione la shot non sarebbe mai stata pubblicata.
 
Avevo scritto una lunghissima nota in cui spiegavo per filo e per segno tutte le mie ragioni, ma veramente stava diventando un poema. Per leggerla tutta avreste dovuto chiedere le ferie, e non mi sembrava il caso. Lo so che la shot è controversa e può suscitare perplessità: per ogni tipo di domanda o appunto o critica io sono disponibilissima a discuterne insieme. Per cui, per qualsiasi cosa, se vi va, sono qui 😊
 
SoundtrackMiraggi, Antonello Venditti.
Bonus trackLitha (Summer Solstice), Lisa Thiel. Immaginatela suonata da un quartetto d'archi (magico) o dalla cetra di un Bardo.
 
Grazie ancora a chi ha letto\leggerà – anche silenziosamente –, e a chi ha recensito o inserito quello che a questo punto è diventato un dittico in una delle liste messe a disposizione da EFP.
 
Un grazie speciale a Miryel e Shilyss, per il supporto continuo e l’indispensabile consulenza <3
 
Alla prossima!
 
Vostra
 
 
 
padme
 
 


 
P.S: il nome della brutalmente friendzonata studentessa (ex ormai, perché gli studi li ha finiti ed è maggiorenne) è semplicemente quello dell’attrice cooprotagonista di Toby Regbo nella serie Reign: mi sono trovata davanti la sua bella faccina per tutto il tempo e comunque non avevo voglia di sforzarmi a sceglierne un altro.
   
 
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