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Autore: Claireroxy    12/09/2019    3 recensioni
[Post libro]
Christine vuole davvero lasciarsi alle spalle tutto quello che è accaduto nella sua vita precedente. Ma spesso anche il più innocente dei desideri può trasformarsi in una spirale discendente, con l'unico scopo di farla ricadere nelle sue ossessioni.
[Tipico linguaggio da canon] [Partecipa al "Playlist Contest" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non passò molto tempo prima che rimisi piede in una discoteca. Quei luoghi avevano sempre avuto un grande fascino per me, anche con tutta la merda che avevo passato lì dentro. All'inizio non capivo perché: nessuno poteva rimpiazzare Detlef, neanche il più paraculo di tutto il Sound m'avrebbe più messa su di giri, e ogni volta che vedevo uno di quei ragazzi di campagna avvicinarsi la bocca mi si riempiva di saliva, e poco mancava che gliela sputassi addosso. Ma non era neanche per l'ero: i miei occhi non si fermavano sui volti dei presenti, e quasi non tentavo di indovinare chi fosse del giro. Certo, spesso saltavano all'occhio, anche quando restavo attaccata al mio gruppo, ma allora non m'avvicinavo e m'accontentavo di qualche eccitante per scatenarmi in pista. Anche perché la maggior parte delle disco in quella zona non avevano granché da offrire. Erano da mocciosetti: lo si vedeva da come si vestivano, e dalla musica che ascoltavano.
 

Eppure, ogni volta che mi recavo in uno di questi miseri luoghi, il mio cuore saltava un battito. La musica alta che rimbombava nelle orecchie, il palchetto liscio su cui ballare, i corpi che si dimenavano. Tutto pareva stupendo, e bastava poco a scatenarmi in pista al ritmo di un bel faccino che si lagnava o delle urla di uno che poco aveva da lamentarsi. Ma io non ascoltavo le loro deboli parole: le mie orecchie saltavano direttamente al tempo che cercavano di nascondere, qualcosa di ripetitivo ma ammaliante, che mi trascinava e mi dava qualche ora di soddisfazione, prima che m'annoiassi e andassi a raccattare una sigaretta, o direttamente a prendere un po' d'aria. Le droghe, se non ero in compagnia, le evitavo: cercavo ancora di mantenermi pulita, o almeno di consumarle occasionalmente. Volevo a tutti i costi evitare il giro, e ogni suo componente.

E fu questo a darmi alla testa quella sera. 

 

 

Andavo tanto in quella discoteca perché era quella più attaccata al mio paesino: un grosso capannone, poco distante da un laghetto mezzo assorbito dal fango. Se si evitavano le coppiette, era un posto perfetto per snebbiare la mente, quanto bastava per ritornare con più energia in pista.

Avevo capito subito che non sarebbe stata una bella serata. Fin dall'inizio mi ero presa male: dei tizi del luogo, che non si erano fatti vedere da tanto tempo, avevano finalmente fatto ritorno, e per festeggiare c'erano andati giù pesante di alcol. Rossi in faccia, si muovevano sulle loro gambe malferme e riempivano con fiumi di parole le orecchie di ogni singola ragazza. La cosa già mi era parsa tremenda, dato il mio odio per l'alcol, e quando avevano offerto un bicchiere anche a me ero scattata come una molla. Stavo quasi per attaccare un pippone contro quella roba, ma quando m'ero decisa ad aprir bocca avevo notato l'ironia di una ex-bucomane che s'incazzava contro le sostanze alteranti. A quel punto ero sprofondata nel silenzio, e quando mi fu offerto uno dei drink avanzati non ci pensai due volte a mandarlo giù: già la maggior parte mi guardava in modo storto, temevo cosa sarebbe successo se si fossero presi male. 

Sarei potuta tornare a casa. Ci avevo pensato, due o tre volte. Ma quella sera non gliela volevo dare vinta a nessuno. E poi, c'era stato un cambio epocale di ritmo.

Qualcuno ai piani alti aveva deciso di andarci più pesante del solito, per il ritorno dei noti: una dopo l'altra, erano sfilate urla di norvegesi, pezzi ritmati da neri, rock che già più s'avvicinava alla David Bowie. L'anima era lì, annacquata ma presente.

E io ci avevo ballato sopra. Il mio corpo si era mosso quasi senza che me ne accorgessi, il mio cervello fisso sul seguire la musica e basta. Esistevo solo io, solo ora, e mi sembrava di dovermi scatenare per tenere tutti i pezzi del mio corpo assieme.

E poi era arrivato quel grido d'allarme. Non era neanche così tardi, ma chi non gradiva il genere se n'era già andato, quindi il palco era un po' vuoto. E, tutto a un tratto, il tizio della canzone si era messo a urlarmi nelle orecchie di seguire la musica, e stare attenta a tutto il resto. A stare in guardia da quello che mi sarebbe capitato dopo.

Mi bloccai in mezzo alla pista e mi guardai attorno, per vedere se qualcun altro avesse notato le stesse mie cose. Ma gli altri mi stavano ignorando, invasati della musica come me prima, i loro visi che assumevano sempre più tratti da faine. 

Venni urtata da qualcuno, e questo mi fece rabbrividire il braccio e riempire d'adrenalina le gambe: era come essere in un trip dell'orrore.

Era avvenuto poche altre volte, ma sapevo come andava a finire. Sapevo che l'avrei superato. Dovevo ripetermelo, trovare un angolo tranquillo e tutto sarebbe andato bene. Con le gambe tremanti mi ero allontanata dalla pista, alla ricerca di un bagno o una sedia isolata o che cazzo ne sapevo. 

E ce l'avrei fatta, se solo quel nero non mi avesse imposto di ballare, di alzare le braccia, di non fermarmi.

Il mio vaffanculo risuonò per tutto il locale. Gli occhi di tutti quegli animali mi avevano inseguito mentre avevo spalancato la porta ed ero scattata fuori, ignorando i buttafuori e le grida.

Come già detto, il laghetto era perfetto per prendere una boccata d'aria pesante. Per questo era anche il posto perfetto per sclerare in pace.

 

 

Non aveva senso, riflettei nel mio nascondiglio, gli occhi che finalmente iniziavano ad asciugarsi. Da quando bastava una canzone a farmi saltare i nervi? Sopratutto una di quelle che, per una volta, corrispondevano ai miei gusti.

Riflettevo così, mentre buttavo sassi nel lago per allentare la rabbia, e provavo a ignorare la conclusione più ovvia: una qualche sostanza mi aveva fatto smascellare. Qualcuno mi aveva infilato qualcosa nel bicchiere, magari per sbaglio, magari proprio con quell'intenzione, e il mio corpo aveva reagito come se fossi a rota, puntuale come un orologio. Quasi mi sfuggì una risata isterica al pensiero.

Ma quei neuroni che ancora funzionavano mi rimisero in pista: "Non è così, Christiane! Hai sempre avuto con te quel bicchiere, e se l'hai appoggiato era accanto al gruppo. Tutti gli tenevano gli occhi addosso!"

Con troppa roba in corpo diventavi però cieco, ribattei. E magari uno dei nuovi aveva pensato di farmi uno scherzo, stufo del mio modo di fare.

Vomitai, e fu un bene: non volevo sospettare dei miei amici. Era la vecchia bucomane che risorgeva, quella.

Avevo capito quasi subito che non sarebbe stata una buona serata. Il laghetto fangoso era un buon posto per riprendere velocemente le forze, o stare in compagnia di un ragazzo. Da soli irritava e basta.

I miei neuroni mi urlarono che, se ero così tanto sconvolta, potevo anche evitare di tornarci in questa disco. E quello fu l'ultimo colpo.

Ormai mi ci ero abituata, alla musica. Tornare a sentire le ciofeche della radio non era un'opzione da quando avevo avuto il giradischi. E non ascoltarla, almeno per una sera a settimana, mi pareva insostenibile. Forse era solo la situazione in cui mi trovavo a farmi pensar così: in compagnia ci avrei riso su, a mente lucida mi sarei ricordata che era stata quella la musica ad mettermi dell'umore adatto per iniziare con l'ero. 

Lì per lì, però, l'unica cosa che rimbalzava in testa era il "Non ci tornerai, non ci tornerai." Tremavo tutta, la testa fra le mani. Il mio corpo pareva svalvolarsi, un ultima ribellione contro la solita voce del cantante che rimbombava in testa.

"Attenta, Vera, non ci tornerai!"

Tornai a casa presto quella sera.

 

 

Avevo dimenticato quella nottata. La rividi mentre l'accordavo per la prima volta. Non era una delle chitarre da tosti dei mie vecchi idoli, a malapena poteva reggere una serata in un locale. Ma la sensazione che percepii, quando le dita accarezzarono le corde e uscì la prima, timida nota, fu quella di quei concerti.

Non ero adatta alla vita di campagna. Era la città, con le sue correnti, i suoi riflettori, i suoi buchi neri ad essere il mio centro gravitazionale. Avevo sempre voluto mostrare a tutti chi ero e volevo diventare, ma a poco serviva urlarlo a campi e alberi. Anche le disco erano state solo un tappabuchi, una copia a basso prezzo che aveva finito per nausearmi.

Ma le dovevo ringraziare per quella sera, mi dissi mentre toccavo le corde un po' più forte, pronta a eseguire lo spartito di seconda mano. Le brutte esperienze avevano un lato positivo, ed era farti capire quanto in basso stessi cadendo, per godere di più quando ti rialzavi. E di brutte esperienze avevo ormai la collezione, annuii fra me e me mentre le dita partivano a razzo, persa a riecheggiare la melodia di quella tormentata notte. Quella parte della mia vita era passata: potevo finalmente guardare serena al futuro.

Ero sempre stata brava a dire bugie, ma quella volta ci credetti davvero.

 

 

Angolo Autrice

... Beh, questa è una storia che è uscita dal nulla. Non riprendevo nemmeno il libro in mano da un po' di tempo, quindi grazie a Soul_shine per aver indetto il concorso e avermelo fatto rileggere (ho cercato di riecheggiare lo stile del libro qui, con verbi non sempre al tempo preciso, linguaggio giovanile e tutto il resto. Non so se l'effetto è esattamente lo stesso, ma ho fatto del mio meglio)!

Veloce disclaimer: non voglio in nessun modo implicare che quanto è stato rappresentato in questa fanfiction sia accaduto a Christine F. Le uniche cose a lei accadute davvero sono che ha intrapreso una carriera musicale, come cantante e chitarrista, e che è ricaduta nelle droghe. Ci ha anche scritto un secondo libro su, che però io non ho letto. Sono informazioni che ho tratto da Wikipedia un'estenuante ricerca.

Grazie per aver letto fin qui, e a presto!

Claire

 

 

  
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