Fanfic su artisti musicali > Twenty One Pilots
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Autore: Carmaux_95    12/09/2019    3 recensioni
Josh lo osservò in silenzio, ascoltando uno sfogo che, sotto una certa luce gli era ben noto: la storia di un ragazzo che aveva imparato a giocare a pallacanestro ancora prima di aver imparato a camminare; la storia di due genitori – rispettivamente un'allenatrice di basket e un professore di ginnastica – che avevano puntato tutto sul figlio così portato per quello sport e che certo non sarebbero stati contenti di vederlo improvvisamente virare verso un'ipotetica carriera nel mondo musicale.
Tyler si passò una mano fra i capelli corti e annuì: -È che non ce la facevo più: mi sento costantemente sotto pressione, a casa e da parte dei compagni di squadra...- si grattò la guancia, strusciandola sulla spalla in un gesto nervoso: -Hai presente cosa succede ad una bottiglia di vino quando fa troppo caldo? Il vino fermenta, si espande e alla fine la pressione fa esplodere la bottiglia.-
- Quarta classificata pari merito al "Playlist Contest" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Detestava viaggiare in macchina quando la radio non funzionava: aveva provato a cambiare più di una stazione, ma quella sera nessuna riusciva a trasmettere un segnale pulito.

Ci mancava solo quello.

Aveva trascorso una pessima giornata e, una volta a casa, l'idea di allenarsi gli aveva dato il voltastomaco: in cortile, aveva guardato il canestro arancione e poi aveva scagliato la palla contro la recinzione che delimitava il giardino dalla strada.

Non era stato facile convincere i suoi genitori a concedergli una serata libera, soprattutto così vicini com'erano all'ultima partita della stagione.
Senza perdere tempo si era infilato in macchina e, senza avere in mente una destinazione precisa, aveva messo in moto.

Se quella maledetta radio gli avesse fatto il favore di funzionare come doveva sarebbe stato decisamente meglio: la guida, da sola, non era sufficiente a distrarlo dalla realtà che veniva, così, a bussare violentemente contro le sue tempie, costringendolo ad affrontare battaglie mentali che avrebbe volentieri procrastinato.

Frustrato, spense quella voce gracchiante e si fermò dietro ad una mini azzurra che aveva rallentato per via di un semaforo rosso.

Sbuffò.

Quando scattò il verde ma la macchina davanti a lui non accennò a muoversi, Tyler si stropicciò il viso con una mano, facendola poi calare pesantemente sul clacson che risvegliò dai propri pensieri l'automobilista distratto.

Non era solito perdere la pazienza, soprattutto in macchina, ma quel giorno sembrava che l'universo intero si fosse accordato per farlo impazzire.

Suonò una seconda volta.
Il gestaccio che gli venne indirizzato dall'automobilista, seccato da quel richiamo rumoroso, gli fece desiderare di essere una promessa del baseball e non del basket: se nel baule avesse avuto una mazza al posto di un pallone, la avrebbe volentieri agguantata per lasciare un ricordo più tangibile sulla carrozzeria di quell'arrogante che solo in quel momento accennava ad ingranare la marcia.

Si stropicciò nuovamente gli occhi, scacciando quel brutto pensiero.

Che diavolo gli stava succedendo? Non si era mai sentito così sul punto di esplodere come quel giorno.
Se solo pensava al crollo nervoso che aveva avuto a scuola quella mattina sentiva le guance imporporarsi. 

 

L'allenamento non era andato bene: era stato assente e distratto per tutto il tempo; si era fatto rubare la palla dai suoi stessi compagni di squadra; non aveva fatto un canestro ed era riuscito a sbagliare persino i più semplici tiri liberi.

Tyler, il borsone della palestra appoggiato ai suoi piedi, infilò una banconota da un dollaro nella macchinetta al piano terra del liceo. Cercò di non farsi notare quando alzò gli occhi al cielo nel momento in cui riconobbe il capitano della squadra di basket venirgli incontro allargando le braccia in un gesto che richiedeva immediate spiegazioni.

-Che cazzo, Joseph! Hai fatto schifo oggi!-

-Ah, sì? Non me ne ero accorto.-

La macchinetta rifiutò la banconota e Tyler, già innervosito dalle critiche del compagno, tentò, con un gestaccio, di infilarla di nuovo.

-Si può sapere che cavolo hai?-

-Niente.-

-“Niente”? Sembrava che non avessi mai preso in mano una palla!-

-Sono stanco, d'accordo?!-

Sotto una certa luce, il capitano non aveva tutti i torti a fargli notare che quello era stato, probabilmente, il peggior allenamento che la squadra ricordasse. Mancava solo una settimana ai playoff che avrebbero decretato se avrebbero conquistato il primo o il secondo posto a livello nazionale: non lo si poteva biasimare se, avendolo visto comportarsi come se fosse stata la prima volta che giocava a basket, aveva ritenuto necessario farsi avanti e porgli due domande.

-Sei la nostra guardia! Il miglior realizzatore e il miglior tiratore*! Abbiamo bisogno che tu sia concentrato e poi...-

I got something to say, might start a riot

Rip that tape from my mouth, I wont't be quiet

'Cause everything is nothing

'Til you realize it's something you want

Dio, quanta voglia aveva di dirgli che non gli importava assolutamente nulla di quella partita; che, vincessero o perdessero, per lui non faceva alcuna differenza; che avrebbe volentieri smesso di giocare a livello agonistico e di allenarsi anche seduta stante; che l'emozione e la magia del praticare quello sport era svanita da tempo.

Ma come poteva?
Come il capitano gli aveva appena ricordato, lui era il migliore elemento della squadra: se erano arrivati in semifinale era stato grazie a lui.
E come dimenticare i suoi genitori...

Rifletté in fretta: -È questo il problema! Non credi? Se anche voi altri faceste qualcosa per la squadra la responsabilità della partita non ricadrebbe tutta sulle mie spalle!-

Sputò quelle parole velenose e, quando finalmente la macchinetta si decise ad accettare la sua banconota, digitò con nervosismo un numero a caso sulla pulsantiera. Si sentì ribollire di rabbia quando si accorse che, nella foga di concludere quella scomoda conversazione, aveva accidentalmente acquistato una banana.
Cercò rapidamente nelle tasche dei pantaloni, alla ricerca di un altro dollaro o, quanto meno, di qualche spicciolo.

Il capitano della squadra scosse la testa, corrugando la fronte, irritato: -Ma che problema hai?!-

-Il problema!- esordì continuando a frugare nei propri pantaloni e ripiegando, poi, nelle tasche interne del borsone della palestra, dalle quali saltarono finalmente fuori alcuni quarti di dollaro. -È che questa macchinetta mi ha rifilato una banana!-

-Hai digitato tu il numero corrispondente!-

I wanna lash out

-LO SO! Ho sbagliato, ok?! E ora...- il rumore del primo quarto di dollaro che sfuggiva al meccanismo del dispenser gli fece serrare le mani in due pugni e alzare la voce. -E ora questa stupida macchinetta non vuole prendere le monetine! Guarda! Perché non le accetta? Sono soldi, dannazione! Non ho intenzione di pranzare con questa banana! Detesto le banane! Vorrei avere una macchina del tempo solo per tornare indietro, andare dalla prima persona nella storia che ha assaggiato un banana – uomo o donna che sia – e dirle “No! Non mangerai questa porcheria e nessuno di noi lo farà mai!”. Hai un dollaro?-

Leggermente disorientato da quel fiume di parole e dai gesti compulsivi della giovane guardia, il capitano non capì subito la domanda: -Che?-

-Un dollaro! Un dollaro in banconota! Qualcuno ha un maledettissimo dollaro da cambiarmi?!-

La campanella trillò, decretando la fine dell'intervallo, ma non riuscì a impedire che tutti gli studenti che affollavano il corridoio lanciassero un'occhiata imbarazzata a Tyler.

-Tu non stai bene!- commentò il capitano cominciando ad allontanarsi seguendo la fiumana di studenti che si avviava verso le rispettive classi. -Vedi di rimettere la testa a posto per i playoff!-

Tyler non si curò di rispondere; non lo guardò nemmeno andarsene.

Imperterrito, tentò di inserire per l'ennesima volta le stesse monetine nell'apposita fessura, ma quando di nuovo la macchinetta le rifiutò non riuscì a trattenersi: assestò un pugno sul pannello così violentemente che tutto il dispenser tremò.

-Hai ragione...- una voce alla sua sinistra lo fece voltare: un ragazzo – un suo coetaneo a vederlo, ma di un'altra classe o forse nuovo a scuola perché Tyler era sicuro di non aver mai visto prima il suo viso, mezzo nascosto da un beanie scuro – gli si era avvicinato con un sorriso tirato. -Questa macchinetta è difettosa: non sempre accetta gli spiccioli e quando lo fa, se li mangia.-

Fomentato da quelle parole, stava per affibbiarle un altro pugno quando una banconota un po' stropicciata entrò nella sua visuale. Il ragazzo con il berretto scrollò appena le spalle, sorridendo cordiale: -Anche a me non piacciono le banane.-

Tyler strappò quella banconota dalle sue mani senza pensarci e finalmente riuscì ad acquistare qualcosa da mettere sotto i denti. Quasi non si accorse del suo benefattore che, dopo essere rimasto qualche istante in attesa, aveva annuito con un gesto del capo per poi allontanarsi per non arrivare tardi alla propria lezione.

 

Si rese improvvisamente conto del fatto che aveva letteralmente rubato un dollaro all'unica persona che, nonostante la plateale crisi isterica, gli si era avvicinata per aiutarlo.

Prese mentalmente nota: la mattina seguente avrebbe provato a cercarlo, nei corridoi, per scusarsi.

L'insegna di un pub attirò la sua attenzione soprattutto grazie al cartello sottostante che recitava: “musica dal vivo ogni sera”.
Era da quasi tre quarti d'ora che vagava in macchina e aveva sorpassato decine di bar e locali senza mai fermarsi. Niente, nell'aspetto esteriore di quest'ultimo, sembrava suggerire che fosse diverso da tutti gli altri che aveva immediatamente scartato, al contrario, ma decise comunque di parcheggiare.

Forse una birra e un po' di musica era quello di cui aveva bisogno per snebbiarsi.


 


 

Non era tagliato per quel lavoro.

Non era un ragazzo pigro e la mole di lavoro, soprattutto in serate come quella, non lo spaventava.
Tutti i televisori del locale erano sintonizzati sullo stesso canale sportivo: a breve sarebbe cominciato l'ultimo quarto di un'importante finale di basket. Josh non seguiva molto lo sport, ma poteva capire lo spirito secondo cui così tanta gente avesse voglia di passare una serata in compagnia di amici e di una birra per godersi una partita.

Quello che lo metteva a disagio era trovarsi in mezzo a tutte quelle persone. Non era il fatto di essere circondato da una folla a preoccuparlo quanto l'idea di non essere semplicemente “uno dei tanti” in quel locale, ma di avere, invece, un ruolo: ogni volta che serviva un tavolo sentiva di avere gli occhi dei clienti addosso; aveva sempre la sensazione di essere il destinatario di qualche sguardo, senza sapere da dove questi provenissero; di essere sempre al centro dell'attenzione.

Questo era il tipo di situazione che lo metteva facilmente in agitazione.
Di conseguenza spesso si imbrogliava nell'elencare i drink o i piatti speciali che il locale proponeva e le occhiate divertite dei consumatori non facevano altro che peggiorare il suo stato d'animo.

Di nuovo si trovò a pensare che non fosse per nulla tagliato per il lavoro di cameriere, ma tentò di concentrarsi sul lato positivo: in quanto ancora studente il suo contratto non prevedeva che lavorasse tutti i giorni, ma solo tre volte alla settimana; inoltre il pensiero di cosa avrebbe voluto comprare quando paga e mance fossero state sufficienti non mancava mai di fargli nascere un sorriso speranzoso.

Era immerso nei suoi pensieri, certo, ma si accorse del giovane uomo che si stava rapidamente dirigendo verso il bagno facendosi largo tra la folla; non riuscì, tuttavia, ad evitare che questi, voltandosi per rispondere al vociare dei suoi amici, lo urtasse distrattamente.

Il rumore dei boccali di birra che si infrangevano in terra attirò l'attenzione di tutti e, in particolar modo, del proprietario:

-Dannazione, Dun!- la sua voce lo fece sobbalzare: non aveva fatto in tempo nemmeno a formulare il pensiero di chinarsi e raccogliere i frammenti di vetro che si ritrovò a fronteggiare il titolare, già schiumante di rabbia. -Sei un disastro! Che diavolo stai facendo!-

-Ma, io...-

-Tu cosa? Hai un unico compito: sei capace di portare due birre senza combinare un casino?!-

Josh sentì il cuore cominciare a battere più rapidamente; i polmoni si svuotarono di colpo e i suoi muscoli si bloccarono, lasciandolo lì impalato. Gli occhi di tutti erano su di lui. Riuscì persino a percepire gli sguardi dei cuochi che, incuriositi dall'insolito vociare, dovevano essersi affacciati alla finestrella, attraverso la quale facevano passare i piatti, per sbirciare. Ebbe l'impressione che qualcuno avesse persino abbassato il volume dei televisori per seguire meglio la vicenda.

Con questa consapevolezza, riuscì a pronunciare solo una sillaba: -Ma...-

-“Ma”, “ma”! Riesci ad articolare più di una sillaba alla volta? O anche questo è troppo difficile per te?-

I can feel it on the back of my tongue

All of the words getting trapped in my lungs

Heavy like a stone

Waiting for the river to run

Avrebbe voluto dire che non era colpa sua; che, per quanto attento, non era riuscito a spostarsi in tempo per non essere preso dentro da quel cliente che, ora, sembrava divertirsi fin troppo per il fatto di non essere stato coinvolto dal titolare.
Avrebbe voluto chiedergli di mostrargli un minimo di rispetto sgridandolo nelle cucine o nel suo ufficio, dove nessuno avrebbe potuto sentirlo... o almeno di abbassare la voce.

Ma in quel momento non era sicuro di riuscire nemmeno ad inspirare aria sufficiente per dare voce a quelle parole. Inoltre, se lo sentiva, non sarebbe servito a nulla: se avesse anche solo provato a questionare, la rappresaglia del titolare sarebbe stata ancora più violenta.

Il peso di quella situazione gli provocò una fitta al petto.

-Mi stai ascoltando? Ti ho detto di muoverti e ripulire questo casino!- solo quando sentì le dita del proprietario schioccare di fronte al suo viso si rese conto di essere rimasto inchiodato lì sul posto, con il vassoio stretto al petto. Abbassando la testa, annuì e si volse per andare a prendere uno strofinaccio, ma si sentì tirare indietro per un braccio: -E comunque – ehi, ehi! Non andartene mentre ti sto parlando! – le birre che hai rovesciato le scalo dalla tua paga! Chiaro?-

La gola secca e un improvviso e fastidioso senso di nausea alla bocca dello stomaco, Josh assentì di nuovo.

Frugò nella sua mente, ma i pensieri allegri che lo avevano accompagnato per tutta la sera, spronandolo a continuare a lavorare con un sorriso sulle labbra, sembravano inesorabilmente evaporati.

Strinse lo strofinaccio fra le dita, ma appena prima di tornare in sala deviò verso la porta sul retro.

I wanna lash out

Con gesti scoordinati cercò di disfarsi del grembiule che, pur essendo legato sui fianchi, gli dava la sensazione di soffocare e uscì in strada.

Aveva bisogno d'aria.


 


 

Quando era entrato, una vampata di caldo lo aveva costretto a togliersi la felpa e legarla in vita. Non si era aspettato tutta quella folla ma ne comprese subito il motivo quando intercettò con la coda dell'occhio la partita che stavano trasmettendo. Si sedette ad uno dei pochi tavolini rimasti liberi e diede le spalle al televisore più vicino: ne aveva abbastanza di basket per una sola giornata. Ordinò una semplice birra e controllò l'ora. Quando la cameriera tornò con la sua ordinazione, Tyler ne approfittò per assicurarsi che il gruppo che avrebbe dovuto suonare dal vivo non si fosse già esibito e tirò un sospiro di sollievo quando la ragazza scosse la testa.

Si pulì le labbra, sulle quali era rimasto un velo di schiuma di birra, e si guardò intorno. Improvvisamente allungò il collo, incuriosito: dall'altra parte del locale uno dei camerieri stava prendendo l'ordinazione di un tavolo. Niente di insolito, se non fosse che qualcosa in quel cameriere gli risultava familiare. Solo quando il ragazzo incurvò le labbra in un sorriso tirato riconobbe lo stesso sguardo leggermente imbarazzato di cui era stato destinatario quella mattina.

Tyler alzò le sopracciglia: senza quel berretto che gli aveva visto indosso quella mattina quasi non lo aveva riconosciuto. Si ritrovò a ridacchiare fra sé e sé pensando che non aveva visto neppure un ciuffo di quei capelli castani e leggermente riccioli spuntare dal beanie: per quel che ne sapeva poteva avere anche i capelli verdi, rossi, blu o gialli.

Quando lo vide sbucare, qualche minuto dopo, dalla cucina decise di invitarlo a bere qualcosa – era sicuramente un modo migliore di scusarsi per come lo aveva ignorato quella mattina – ma nel momento in cui alzò il braccio per salutarlo uno dei clienti lo urtò, rovesciandogli addosso i boccali che stava consegnando.

Successe tutto troppo rapidamente: Tyler non fece in tempo a scuotere la testa per il modo in cui quello stesso cliente si era dileguato senza nemmeno scusarsi, che il titolare del locale si fece vivo prendendosela con quel ragazzo.

Oh, hard to hold this fire inside me

All I know, sometimes it's frightening

Hard to hold this fire inside me

Se, sotto un certo punto di vista, poteva capire perché, per gli affari, fosse meglio prendersela con un cameriere piuttosto che con un cliente, da un'altra prospettiva non riusciva a capacitarsi dell'aggressività che gli stava ingiustamente riservando, soprattutto vedendo lo sguardo innocente del ragazzo che, a dirla tutta, sembrava sul punto di svenire.

Tyler non si stupì di vederlo defilarsi passando dalla porta sul retro.

Forse sarebbe dovuto rimanere lì; magari, andandogli incontro avrebbe soltanto peggiorato la situazione. Dopotutto poteva capire: dopo un'umiliazione non gli piaceva l'idea di avere gente attorno. Eppure sentiva una vera e propria irrefrenabile necessità di andare ad assicurarsi che stesse bene o che, almeno, potesse sfogarsi con qualcuno.

Bevve un ultimo sorso di birra, lasciò un paio di banconote sul tavolino e lo seguì.


 


 

I wanna lash out

I wanna let it out

'Cause I can feel it on the back of my tongue

L'unica cosa che Josh voleva, in quel momento, era sedersi dietro a quella batteria di cui aveva letteralmente abusato così tante volte.
Chiuse gli occhi: immaginò di indossare le cuffiette e di avere in mano un paio di bacchette.

Oh, hard to hold this fire inside me

Colpì la grancassa e il suono gli ricordò di quando aveva sbattuto la porta del locale, uscendo.

Oh, oh oh, it's not really like me to lash out

Suonò i tom, lo snare e ad ogni colpo si stupì dell'insolita indignazione che stava provando, riversandola in quell'immagine mentale del pub: immaginò di ribaltare tutti i tavolini, di mandare all'aria l'ufficio del titolare, di fargliela pagare per tutte le volte che si era approfittato della sua tranquillità, del suo sorriso e soprattutto delle sue debolezze.
Provò ancora più soddisfazione quando si avventò sui cimbali e gli sembrò di aver lanciato in terra i piatti e i bicchieri che uscivano da quella maledetta cucina: li colpì con tutta la forza che aveva nelle braccia e quasi temette che si rompessero, ma non gli importò.

Era il suo modo di sfogarsi, di non sottomettersi all'ansia che così facilmente sapeva prendere il sopravvento su di lui: più violentemente suonava, più agguerrito era il suo scontro interiore.

A volte non si riconosceva nemmeno.

La sua mente era ancora annebbiata. Detestava quando succedeva: i suoi pensieri si mescolavano di colpo e quando, in preda ai sudori freddi e alle palpitazioni, cercava di aggrapparsi ad un qualsiasi pensiero positivo che lo aiutasse a rilassarsi, si trovava ad ammettere, disperatamente, che non riusciva a farsi venire in mente nulla.

Non sapeva nemmeno dove stesse andando. Probabilmente avrebbe potuto vagare per ore intere prima di ritrovare la lucidità sufficiente per permettergli di tornare a casa e pretendere che non fosse successo nulla.
Non sempre, quando i genitori gli chiedevano se andasse tutto bene, riusciva a mentire mantenendo una voce ferma e convincente: in quei casi, quando si soffermavano qualche secondo in più a scrutare il suo viso, piegava le labbra in un sorriso che, così dolce e caloroso, bastava a convincerli della sua sincerità.

Adocchiò una panchina e vi si sedette, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e la testa sui palmi delle mani.

Quasi sobbalzò quando sentì qualcuno stringergli una spalla.

Il ragazzo che gli si parava davanti, porgendogli, con un sorriso rassicurante, una bottiglietta d'acqua – probabilmente comprata al baracchino che Josh non si era neanche accorto di aver appena sorpassato – aveva un che di familiare, ma non riuscì immediatamente a capire dove e quando lo avesse già visto.

Bevve un piccolo sorso e finalmente riuscì a trovare la forza di emettere una parola, biascicata: -Grazie.-

Cercò il portafoglio, per ripagarlo, ma il ragazzo lo bloccò: -Lascia stare. Inoltre... ti dovevo un dollaro.- aggiunse sorridendo e, mentre gli allungava una mano presentandosi, finalmente lo riconobbe.

-Tyler.-

Sbatté le palpebre, leggermente disorientato, e ricambiò il gesto: -Josh.-

Mentre il compagno di scuola si sedeva al suo fianco, l'aspirante batterista ridacchiò, ripensando a quella mattina: -Ti senti meglio?-

-Dovrei chiederlo io a te: ho visto cos'è successo e non hai fatto nulla di male.-

Un tremito lo scosse così violentemente che si sentì quasi in imbarazzo, nonostante non fosse colpa solo dell'ansia: la maglietta che indossava, infatti, era fradicia per via delle birre che gli erano state versate addosso e il tessuto bagnato aveva aderito alla pancia, facendogli venire la pelle d'oca.

Per la seconda volta, Tyler venne in suo soccorso: sciolse il nodo che teneva la sua felpa stretta in vita e gliela porse, senza accettare le sue lievi proteste.

Josh si spogliò con riluttanza della maglietta, ma non appena sentì quel tessuto felpato avvolgerlo in un abbraccio caldo si concesse un sospiro di sollievo.

-È la prima volta che hai una crisi?- gli domandò Tyler, cercando di non apparire troppo invadente.

-No...-

-Lui lo sa? Il proprietario del locale.-

Josh bevve un altro sorso d'acqua, quasi a voler nascondere che sì, lo sapeva perfettamente e che era proprio questo il motivo per cui se la prendeva con lui: dopotutto, perché non approfittare del ragazzino che si paralizza nel momento in cui gli vengono puntati i riflettori addosso?

Tyler sembrò leggergli nel pensiero: -Perché lavori in quel posto orribile? Se non è la prima volta che succede, perché continui a lavorare lì?-

-Volevo mettere da parte qualche soldo: ho messo gli occhi su un set di batteria davvero incredibile!- quella confessione gli uscì spontaneamente, quasi senza che se ne accorgesse: era la prima volta che lo rivelava a qualcuno. A casa aveva il terrore di parlarne perché sapeva bene quale sarebbe stata la reazione dei suoi genitori se lo fossero venuti a sapere.

-Sei un musicista?- indagò Tyler immediatamente e gli occhi gli brillarono dalla curiosità.

-Non proprio. Più o meno.- Josh non era sicuro che “sgattaiolare al Guitar Center una volta alla settimana, sedersi dietro una delle batterie elettroniche esposte, far partire la musica dal suo lettore CD – usando le cuffiette, ovviamente – e mettere le cuffie della batteria elettronica sopra queste ultime per provare ad andare a tempo e ricreare la base ritmica delle sue canzoni preferite” fosse un buon sinonimo di “musicista”, ma in quel momento non gli importò. Il sorriso impressionato del cestista gli scaldò il cuore. -Tu?-

-Più o meno. Suono un po' il pianoforte, ma mi piacerebbe comprare anche un ukulele. Ogni tanto provo anche a scrivere qualche testo. Ma se te lo chiedono i miei: assolutamente no perché devo pensare solo al basket!-

-Ti capisco: i miei impazzirebbero se mi vedessero suonare.- strappò a Tyler una risata nervosa ma comprensiva quando gli raccontò di quanto avessero dato di matto trovando un album dei Green Day nascosto sotto il suo materasso; dopo infinite discussioni gli avevano proposto un'alternativa musicale regalandogli il CD di un gruppo che faceva rock cristiano: Josh lo aveva accettato solo per mettere fine a quella diatriba.

I gotta let it out

I wanna lash out

I gotta let it out

Aveva provato ad ascoltarlo ma quel tipo di musica non gli dava la stessa soddisfazione, quello stesso senso di tranquillità – di vera e propria catarsi – che gli conferivano i suoi CD preferiti, rapidamente requisiti.

Non l'aveva mai detto ai suoi genitori, per non riaprire una conversazione scomoda, ma ancora una volta sentì il bisogno fisico di dire finalmente la verità.


 


 

Forse coinvolto da quel momento di frustrata onestà, anche Tyler sospirò e si tolse un peso dallo stomaco:

-Mi hanno offerto una borsa di studio, grazie al basket, ma sto pensando di rifiutarla.-

Il cameriere lo osservò in silenzio, ascoltando uno sfogo che, sotto una certa luce gli era ben noto: la storia di un ragazzo che aveva imparato a giocare a pallacanestro ancora prima di aver imparato a camminare; la storia di due genitori – rispettivamente un'allenatrice di basket e un professore di ginnastica – che avevano puntato tutto sul figlio così portato per quello sport e che certo non sarebbero stati contenti di vederlo improvvisamente virare verso un'ipotetica carriera nel mondo musicale.

-È per questo che stamattina...- Josh lasciò la frase in sospeso, non sapendo che parole usare per descrivere la scenata di quella mattina.

Tyler non poteva dargli torto.

I can't be the cork, come out of the bottle.

I can't be the cork, come out of the bottle.

I can't be the cork, come out of the bottle.

I can't be the cork, come out of the bottle.

Lash out

Si passò una mano fra i capelli corti e annuì: -È che non ce la facevo più: mi sento costantemente sotto pressione, a casa e da parte dei compagni di squadra...- si grattò la guancia, strusciandola sulla spalla in un gesto nervoso: -Hai presente cosa succede ad una bottiglia di vino quando fa troppo caldo? Il vino fermenta, si espande e alla fine la pressione fa esplodere la bottiglia.-

Josh sorrise: -Adesso sono davvero curioso di leggere qualcuno dei tuoi testi.-

L'idea di poter finalmente condividere con qualcuno quel lato di sé che teneva nascosto da fin troppo tempo lo illuminò.

Forse, tutto sommato, dare spettacolo di sé a scuola era stato un bene: mentre rivelava a Josh che aveva un quaderno pieno di appunti e bozze proprio in macchina si sentì finalmente felice.

Contento di essere uscito, per una sera, dal tracciato giornaliero – che gli avrebbe imposto centinaia di canestri prima dell'ora di cena – pur senza sapere dove questa scelta lo avrebbe portato.

Diede una cordiale spallata a quell'inaspettato nuovo amico: forse aveva trovato il sentiero giusto.


 


 

*nel basket la “guardia” è il principale terminale offensivo di una squadra ed è, solitamente, il miglior realizzatore, ovvero quello che segna di più. Il miglior tiratore, invece, è quello che ha le migliori percentuali tra tiri tentati e tiri realizzati.


 


 

Angolino autrice:

Buongiorno ^^

Primo esperimento all'interno di questo fandom! Chi mi conosce per altre storie sa che sono famosa per i miei angolini autrice chilometrici; per chi, invece, mi leggesse la prima volta, vi chiedo scusa XD

Questa storia partecipa al “Playlist Contest”, indetto dalla cara Soul sul forum di efp, che mi imponeva di creare una song-fic con, nel mio caso, la canzone “Lash Out” di Alice Merton.

Complice il fatto di essere stata molto recentemente ad un loro concerto, la scelta di scrivere in questo fandom è stata quasi spontanea ^^

Ho tentato di ricreare un ipotetico primo incontro tra Tyler e Josh (tanto loro stessi nelle interviste, ogni volta che gli viene posta questa domanda, inventano una storia diversa XD) sfruttando l'ambientazione del video della canzone: una scuola, la strada e un bar/locale.

Ora, piccole noticine anche per il povero giudice che non sono sicura conosca questo gruppo (nemmeno io lo conosco così bene, ma ho cercato di informarmi un po' XD):

  • When I first started playing drums it was at a time in my life when I was feeling a little bit... internally aggressive” Josh Dun

  • Ho dovuto nascondere album come Dookie dei Green Day sotto al mio letto, e a volte i miei genitori li trovavano e uscivano letteralmente fuori di testa. Poi hanno trovato un'alternativa cristiana, come i Relient K, e mi facevano sentire quello.” Josh Dun.

    (e per quanto riguarda come abbia imparato a suonare la batteria, ho preso praticamente paro paro dalla pagina di wikipedia XD)

  • I had to make 500 shots every day and when my mom wasn’t looking, I’d get up closer to the basket and do lay-ups and count them and she’d be at the back window at the kitchen and knock. Then I’d have to go back and shoot from longer.” Tyler Joseph

    https://www.youtube.com/watch?v=H3N9IBrC480&feature=youtu.be

  • I've grown up and been in and out of anxiety and I had trouble... I don't like being the centre of attention, which makes it sometimes hard to be in a two person band and... I mean, when I was younger what got me into drums is that I was like 'Dude...I can just hide behind this thing and I don't have to say anything, I don't have to sing or be in front of the stage' and... well, that kinda shifted when Tyler and I started this thing. But it's really fun for me and I constantly try to push through whatever struggle there is that I'm having.” Josh Dun

    https://www.youtube.com/watch?v=Ez0zpmgY0S0&t=244s

    (In alcune interviste, inoltre, ha aggiunto “I hate standing on this microfone and... if you didn't know I have severe anxiety and I'm about to pass out...”
    Uno dei motivi per cui solitamente chi parla di più durante le interviste è Tyler.)

  • Infine concludiamo su una nota buffa: le banane.

    https://www.youtube.com/watch?v=v2herwNC0R4

    e, alla domanda: “If you had a time machine, would you travel back in time or would you travel to the future and what would you do?”

    ecco la risposta di Tyler: “I would travel back in time and I would go to the guy, or girl, who first saw a banana and wanted to eat it and go: "NO! YOU WILL NOT EAT THAT AND NONE OF USE WILL!"

Che altro aggiungere? Direi che potrei anche fermarmi qui XD

Ringrazio tutti quelli che sono riusciti ad arrivare fino in fondo a questo angolino XD e Soul per aver indetto questo contest ^^

Vi mando un bacione! ^^

Carmaux


 

P.S. Sempre per il giudice, la storia dei capelli di Josh fa riferimento al fatto che se li tinga spesso: se cerchi “Josh Dun hair colours timeline” trovi tutti i colori XD

P.P.S. Il titolo è una citazione da “Il Signore degli Anelli”


 


 

  
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