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Autore: hikaru83    13/09/2019    6 recensioni
La storia di Sherlock e John, il modo in cui si sono incontrati, tutto ciò che hanno vissuto, la conosciamo bene. Molti di noi avranno rivisto la serie abbastanza volte da citare le frasi senza che le altre persone riescano a capire, ma neanche ci importa, noi sappiamo (e se il nostro interlocutore abbassa la media di intelligenza dell'intero quartiere non è nemmeno colpa sua). E molti di noi hanno avuto problemi con il modo con cui l'hanno conclusa (per ora). E allora che fare? Allora ho deciso che la storia provo a scriverla come vorrei fosse andata, magari grazie a qualcuno che ha sempre osservato ma non abbiamo mai visto. Qualcuno che come noi era sempre con loro, ma al contrario nostro ha potuto cambiare le carte in tavola.
Rivivremo la storia, e basterà cambiare una cosa, per cambiare un sacco di cose.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Iniziamo una giornata che ho diviso in tre capitoli, dolore a palate, non è colpa mia. Ricordatevi che io sono quella buona, e i due sceneggiatori malefici quelli cattivi.
Buona lettura!





Dalla tua parte




2014
Londra
Estate
Mattina


 
L’aria di Londra è grigia e frizzante. La respira a pieni polmoni mentre sorveglia la casa di John.

Ha trovato – o meglio: Mycroft le ha trovato – un piccolo appartamento dall’altro lato della strada rispetto a quello del dottore. Sul retro dell’edificio ci sono le scale antincendio che le permettono di andare e venire quando vuole senza che possano notarla. Non sarebbe davvero il caso se lei la vedesse adesso.

Nonostante le ragioni per cui non debbano notarla sono diverse, è meglio che nessuno dei due coniugi Watson faccia caso alla sua presenza.

La routine della coppia è terribilmente noiosa.

Non sa come faccia John a non fuggire a gambe levate.

In realtà lo sa. C’è di mezzo un bambino. Non scapperebbe mai da una responsabilità del genere.

Eppure, questa mattina, che da grigia si è rivelata assolata, qualcosa è cambiato. John esce di casa di corsa, seguito a ruota dalla moglie ancora in vestaglia.

Osserva e nota la vicina di casa in lacrime.

Ma certo! Il figlio la notte scorsa non è tornato e sicuramente è in quel ritrovo dove finisce sempre. John, che probabilmente vede quella situazione come una scusa per fare qualcosa, si sarà offerto per andare a recuperarlo.

Un sorriso le spunta sulle labbra. Sa già dove si sta dirigendo e deve sbrigarsi se vuole fare prima di lui, visto che lei dovrebbe usare i mezzi pubblici.

Si blocca in mezzo alla stanza per pochi istanti, si batte la mano sulla fronte. «Quanto sono scema!» dice a voce alta al gatto randagio, un norvegese tigrato enorme, che ha deciso di dividere l’appartamento con lei.

Lo ha trovato lì dentro una sera, e le è bastata un’occhiata per sancire un patto di convivenza pacifica con la bestiola. Questa, al suo urlo, alza un orecchio e apre un occhio assonnato.

«Io ho il mio servizio di taxi personale,» continua. Non ha neanche bisogno di guardare il cellulare per comporre il numero del suo capo. Non appena l’uomo risponde, sciorina la sua opinione in fretta e furia: «Myc, il gioco è cominciato. Preparati. Sta per succedere qualcosa, me lo sento. Non mi vorrai far perdere il divertimento di vedere il loro incontro in diretta, vero?» domanda, quindi mette giù e non appena fuori, a pochi metri dalla scala di servizio, c’è già una macchina ad aspettarla. «Non c’è nulla da fare: al capo si può imputargli parecchie cose, ma certo è efficiente!» si complimenta, parlando ancora al gatto. O forse da sola. Chi può saperlo.

Grazie all’efficienza di Holmes, arriva giusto in tempo per riuscire a intrufolarsi prima che John entri dalla porta principale.

Wiggins è presente, e lei è certa lo sia anche Sherlock.
 

«C’è qualcuno?» esordisce John, cercando di entrare.

«Che vuoi?» risponde seccato Wiggins, cercando di impedirgli l’accesso.

«Scusa, amico.» John spalanca la porta, entrando come se non fosse un posto pericoloso; come se niente e nessuno possa fargli del male. Ma del resto, visto le volte che era stato in pattuglia nel deserto e quelle in cui ha seguito Sherlock dietro ai peggiori criminali, c’è davvero qualcosa che lo spaventi sul serio?

«Non puoi entrare qui dentro.»

«Sto cercando un amico. Cerco solamente un amico.»

Più di uno, John, vorrebbe dirgli.

«Non voglio curiosare,» continua il dottore, con voce affannata.

«Devi andartene. Non puoi restare qui.»

«Isaac Whitney lo hai visto?» continua imperterrito John.

Wiggins tira fuori un coltello.

Pessima mossa, amico, seriamente. Pessima pessima mossa.

«Ti ho chiesto se hai visto Isaac Whitney e hai tirato fuori un coltello. Cos’è, un gioco?» sbotta John.

Wiggins gli fa segno verso la porta di ingresso ancora aperta, chiaro segno che è il momento di andarsene. Forse per qualcuno potrebbe funzionare, ma per John? Ovviamente no.

«Il gioco dei mimi?» È divertito, lo capisce dal tono della sua voce. Si sta divertendo un sacco. Vuole un bene assoluto a quell’uomo, ma è assodato che non è la persona più normale sulla faccia della terra. Ma del resto, se lo fosse, sai che noia?

«Sparisci o ti sfregio.» Wiggins davvero non capisce che non è davvero il caso di far arrabbiare Watson. Lei vorrebbe avvisarlo, ma non può intervenire. Spera solo che John non ci vada troppo pesante con lui.

«Ohhh, sei troppo lontano. Ti do una mano.»

Dopo quell’uscita, lei è certa che John si stesse annoiando a morte, nella sua vita matrimoniale. L’uomo non è mai stato una persona molto paziente – in determinati momenti è capace di prendere fuoco più velocemente della benzina – ma non è da John andarsi a cercare i guai, non è da lui.

Watson fa tre lunghi passi senza mostrare il minimo timore, ma del resto non ha alcuna paura del tossico che ha di fronte. «Adesso, concentrati. Isaac. Whitney.» Scandisce le parole lentamente.

«D’accordo, l’hai voluto tu,» risponde invece Wiggins, ancora totalmente ignaro del guaio in cui si sta cacciando.

John sorride crudelmente. Si sta divertendo più di quello che immaginava, e si sta godendo ogni secondo.

Lei riesce a elencare i precisi movimenti di John, ma riesce a farlo solo perché è addestrata. È davvero veloce e preciso.

Un veloce colpo alla mano armata, e Wiggins perde la presa sul coltello. Successivamente gli mette una mano sul collo, che intontisce l’altro, e gli dà una spinta per fargli perdere l’equilibrio, sbattendolo di spalle al muro. John infila il piede dietro a quello dell’avversario e lo tira verso di sé facendolo finire a terra. Il tutto in meno di cinque secondi.

Lei ha la netta sensazione che gli ha appena slogato un braccio.

Povero Wiggins... L’ha proprio beccato nella giornata sbagliata.

John raccoglie il coltello da terra e gli si avvicina.

Per un istante – un solo piccolo istante – lei teme che possa passare anche a quello, ma diamine! È John, non lo farebbe mai. Non senza una ragione più che valida. Non è come lei.

«Allora, ti sei concentrato, adesso?» gli chiede, pericolosamente vicino.

«Mi hai spezzato il braccio,» si lamenta Wiggins.

«Naaa! Solo slogato.»

«Lo sento strano. È normale che lo sento così? Guarda qua.»

John lo guarda, come farebbe se fosse un suo paziente. «Sì, è slogato, sono un dottore e so come slogare un braccio. Allora, dov’è Isaac Whitney?»

«Non lo so.» Lo sguardo di John deve mettergli paura visto che aggiunge di corsa: «Prova di sopra.»

Lei corre. Conosce quella casa e sa come accedere al piano superiore senza essere vista.

Senza fare alcun rumore, si nasconde coprendosi con una coperta lurida vicino a un pilastro che la ripara dalla vista sia di Isaac che, soprattutto, di un altro uomo sdraiato sul fianco. Un uomo che lei sa bene chi è.

È proprio curiosa di scoprire quanto tempo ci avrebbe messo a farsi riconoscere da John.

In lontananza,  sente le ultime battute della “conversazione” tra Wiggins e John, ovattate grazie all’eco del piano praticamente vuoto.

«Ecco fatto, vedi? Non è stato difficile.»

«No, è stato doloroso. Tu sei matto.»

«No. Sono solo abituato a criminali peggiori.» John sale le scale, i passi pesanti, e si ritrova nel grande stanzone. Lei sa quello che lui vede: l’anticamera dell’inferno, una delle tante da cui è riuscito a uscire indenne. «Isaac, Isaac Whitney? Isaac?» Poi lo vede. «Salve amico, mettiti seduto. Seduto.»

«Dottor Watson?» domanda la voce stanca e spaesata di Isaac.

«Sì!» Si avvicina e lo aiuta a sollevarsi da terra, facendogli appoggiare la schiena alla parete.

«Dove sono?» chiede completamente disorientato. La droga deve avergli ottenebrato completamente i sensi.

«In un posto infelice con la feccia della terra. Guardami,» gli dice John, sollevato ma anche preoccupato. Controlla le sue pupille, i segni vitali. Non sembra in pericolo di vita, ma deve assolutamente andare in ospedale. Lo capisce anche lei che non è un dottore.

«È venuto qui per me?» chiede incredulo e forse anche commosso. È difficile credere quanto si sentano sole le persone che fanno uso di droghe. Anche se non è vero, anche se hanno una famiglia che si preoccupa da morire per loro, come la madre di Isaac, loro continuano a credere di essere soli. È una sensazione orribile.

«Non conosco nessun altro qui.»

"Ehm, non proprio", vorrebbe poter dire.

«Ehi, tutto bene?» Adora vedere John prendersi cura di qualcuno. Rimane calmo, totalmente rilassato, e riesce così a tranquillizzare anche la persona che sta visitando. Non importa se si trovano in una bettola come questa, in una città come Londra, in un ospedale, o sotto le bombe. Quando John si occupa di qualcuno, la sua attenzione è tutta concentrata lì. I suoi sensi sono all’erta, certo, ma a meno di un pericolo di vita imminente, l’unica sua vera preoccupazione è la persona che sta aiutando.

Non ti fa mai sentire in colpa, John, per le minchiate che hai fatto fino a quel momento, che ti hanno portato fino a quel punto. Non giudica. Semplicemente, ti mette al primo posto, come se la sua unica ragione di vita fosse quella di aiutarti e tirarti fuori da quella merda che è la tua vita in quel momento.

Chiunque si affida totalmente a lui. Anche se sta per morire e ne è conscio, si affida a John e sembra che la paura svanisca dalla loro anima. Quante volte ha visto con i suoi occhi questa specie di magia che sembra riuscire tanto facile al dottore? Lui, che non fa altro che sminuirsi e si sente sempre un mediocre.

Ed ecco che alle spalle di un ignaro Watson, qualcuno si volta.

“Difficile resistere al suo richiamo, eh, Sherlock?”, vorrebbe dirgli.

Era certa che volesse farsi trovare. Lo sapeva da quando l’aveva visto la prima volta in quella villa abbandonata e aveva riconosciuto Isaac. Lo sapeva e questa è semplicemente la conferma per i più scettici. Lui voleva essere trovato da John. Non poteva sopportare che il dottore non lo avesse ancora notato. John doveva vederlo. Doveva vederlo sempre. «Oh, salve, John. Non mi aspettavo di vederti. Sei qui anche per me?»

Lei osserva il dottore, può sentire il suono del suo cuore spezzarsi per poi pompare più forte. Vede il suo corpo perdere l’equilibrio, come se qualcuno lo avesse spinto. Si siede a terra senza forze, e non sa dove trova il coraggio per voltarsi. Il dolore nei suoi occhi è così grande che le spezza il cuore. La colpa che riesce a leggerci è immensa. La rabbia fa paura. Ma è rabbia contro sé stesso, per non aver impedito a Sherlock di finire in quel posto. Perché se lui non si fosse sposato, sarebbero entrambi a Baker Street, e di sicuro Sherlock non avrebbe toccato nessuna droga.

Si riprende dopo poco. Si alza e va verso Sherlock. Quasi lo solleva di peso, arrabbiato come solo John sa essere. A nulla valgono le scuse di Holmes, le sue rassicurazioni sul fatto di essere totalmente pulito, sul fatto che sta lavorando. John lo trascina fuori con un Isaac completamente ignaro di quello che sta succedendo intorno a lui.

«Fuori c’è Mary in macchina. Ti raggiungiamo subito,» gli dice, mentre si ferma un istante vicino alle scale con Sherlock.

Isaac riesce a scendere i gradini senza uccidersi mentre John rimane immobile, con la schiena dritta, i pugni chiusi così forte che lei stessa dalla sua postazione può vederlo tremare. «Sherlock... Perché?» domandai poi.

«John, seriamente, sto lavorando.»

John lo osserva per poi spingerlo delicatamente verso le scale.

«John...» prova a fermarlo Sherlock.

«Perché devi sempre lasciarmi indietro?» lo accusa il dottore, con voce ferita. Gli occhi sono talmente tormentati da sembrare un mare in tempesta.

Persino il detective non trova nulla di sensato da dire.

Per quanto le riguarda, le si è fermato il cuore. Come potrebbe andare da John e dirgli la verità ora che si è resa conto di quanto tutte quelle bugie per proteggerlo lo feriscano più di quanto potrebbe fare qualsiasi altra cosa?

Wiggins sale le scale e la raggiunge di soppiatto.

«Cosa devo fare?» le chiede.

«Vai con loro. Avviso io il capo. Non perderli di vista. Cerco di farti raggiungere da uno degli uomini quanto prima.» Gli allunga una banconota, lui la prende senza nemmeno guardarla, annuisce e li raggiunge prima che se ne vadano.

Dalla finestra scrostata lei li osserva. Il cuore le fa male e improvvisamente tutto il peso del mondo sembra sulle sue spalle.


Raggiunge casa a fatica. Sale le scale antincendio. Chiude la finestra dietro di sé. Sul letto sfatto, il grosso gatto sta riposando e apre un occhio infastidito dal suo arrivo.

«Scusa, amico. Ho bisogno di raggomitolarmi un po’ e piangermi addosso per qualche minuto, non ti disturbo,» lo rassicura, prima di rendersi conto che l’ultima cosa di cui ha bisogno è diventare una di quelle che parlano con i loro animali domestici.

Si lascia cadere sul materasso e fa come ha detto al gatto. Si raggomitola su sé stessa cercando di calmare il dolore che sembra non farla respirare.

Quanto vorrebbe affogare nell’alcool, dimenticare tutto, perdersi nella nebbia...

Non morire, semplicemente sparire. Non sarà poi così doloroso, in fondo, no? Nessuno sentirà veramente la sua mancanza.

Si ricorda del minimarket aperto a pochi metri da lì. La voglia di alcool diventa più forte.

Sta per alzarsi quando il peso per nulla indifferente del gatto, steso fino a pochi istanti prima lì accanto, si sposta sopra di lei. Sul suo fianco.

Lei solleva lo sguardo. «Ti dispiace, amico? Stavo per alzarmi.» Prova a sollevarsi, ma per tutta risposta il gatto tira fuori le unghie e inizia a ringhiare. Non sapeva nemmeno che i gatti ringhiassero. «Sei serio?» gli domanda incredula.

Per tutta risposta, il gatto le soffia contro. Può sentire le unghie che si aggrappano ai vestiti e sfiorano la sua pelle.

«Okay, okay... Non mi muovo, sto qua,» cede, esausta. Non ha minimamente voglia di litigare anche con il dannato gatto!

Il micio, come se davvero capisse le parole dette, si calma e si acciambella felice iniziando a fare le fusa, beato e soddisfatto.

Lei rimane immobile stupita a osservarlo. Dopo qualche momento, le labbra le si piegano in un sorriso inatteso.

Ma bene... Ora, oltre a parlare con in gatti, prende pure ordini da loro!

«Lo sai, brutta bestiaccia, che assomigli a quella personcina poco accomodante del mio capo?»

Due occhi azzurro ghiaccio la guardano soddisfatti.

«Seriamente, sei spiccicato a lui,» sbuffa, alzando gli occhi al cielo, esasperata.

«Meow,» è la risposta del felino.

«Meow anche a te, Meowcraft. Ti sta bene come nome,» decide, ed è così stanca che le sembra quasi il gatto le faccia l’occhiolino. Deve essere così bisognosa di riposo da stare impazzendo...

Si volta lentamente, così da non far innervosire il norvegese di parecchi chili che oramai l’ha presa come suo cuscino personale. Lui, per tutta risposta, come se avesse capito che non ha intenzione di alzarsi, la lascia fare per poi sistemarsi meglio sul suo stomaco.

Le vellutate zampe anteriori le sfiorano il mento. La coda vaporosa dondola sulle sue ginocchia. Il calore del corpo del felino sul suo torace e quel morbido peso, piano piano riescono a calmare e lenire il dolore che sembrava la stesse per dilaniare fino poco prima. Il ronfare placido la mette in pace con il mondo intero, persino con sé stessa.

Si addormenta, per la prima volta senza pensieri.



Continua...


Note: Vi ringrazio per l'affetto che leggo nelle vostre recensioni. Grazie per aver messo questa storia tra le seguite, o preferite o da ricordare. Grazie per continuare a seguirla.
 
  
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