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Autore: Old Fashioned    14/09/2019    13 recensioni
Un’arma segreta del Reich, il dispositivo ombra, viene recuperata quasi casualmente dallo scanzonato pilota di un idrovolante ricognitore.
L’ufficiale inglese che si è visto sottrarre l’oggetto, però, giura vendetta al tedesco, anche perché nello scontro che c’è stato fra i due, egli ha perso una mano e ora è costretto a portare un uncino al posto dell’arto perduto.
I due si incontreranno nuovamente in una misteriosa e sconosciuta isola al centro del Mar dei Caraibi: Ypa'u Oiyva, l’isola che non c’è. Tra indigeni ostili, foreste impenetrabili e luoghi misteriosi, si contenderanno di nuovo il dispositivo ombra e il capitano inglese approfitterà dell’occasione per cercare di saldare vecchi conti rimasti in sospeso.
Seconda classificata al contest Villains against Heroes indetto da missredlights sul forum di EFP. Vincitrice del premio speciale "Miglior Hero"
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gente mia, ecco qui il pessimo Pankow nelle vesti di salvatore di fanciulle in difficoltà…
Grazie a tutti quelli che passeranno di qui a dare un’occhiata, e un ringraziamento particolare a chi mi lascerà anche un commento nonostante l’odiosità del protagonista^^





VIII – In missione di salvataggio



Nascosto nella vegetazione, protetto dalle incipienti ombre della sera, Pankow scrutava con interesse il villaggio degli indios. “È come nei film,” sussurrò al terrorizzato Wendel, che si trovava al suo fianco rannicchiato in un'ottima imitazione dell'inoffensivo sasso. “Guarda: quella là dev'essere la capanna del capo, con tutti quegli ornamenti strani, e poi c'è il fuoco al centro dello spiazzo.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Scommetto che tutti ci ballano intorno, al momento giusto. Si fanno le pitture di guerra, prendono i tomahawk e poi fanno la danza rituale.”
Signore, credo che quelli siano i pellerossa,” obiettò Wendel.
Uhm, forse hai ragione. Riesci a vedere i nostri?”
I tedeschi sedevano con aria decisamente poco soddisfatta in un angolo dello spiazzo, un gruppetto di indios armati di lance e archi faceva loro la guardia.
Anche se la luce andava scemando, si distinguevano bene le tre uniformi kaki della Luftwaffe, le quattro blu della Kriegsmarine e i due personaggi in abiti più o meno civili, genericamente vestiti di scuro.
Mi chiedo perché non cerchino di sopraffarli,” considerò Pankow tra sé e sé. Attinse alle proprie reminiscenze di fumetti d'avventura e concluse: “Sicuramente le punte delle frecce saranno avvelenate, ecco perché.”
Nel villaggio frattanto alcuni indios stavano accendendo un falò. Passarono delle donne con vasi e fagotti in testa, un gruppetto di bambini attraversò lo spiazzo schiamazzando. Cominciarono a suonare tamburi dalle varie tonalità, acute e legnose, ma anche profonde e cupe, e i colpi si alternavano in un ritmo incalzante.
Quando il battere degli strumenti divenne un frenetico parossismo, dalla capanna più grande uscì un uomo imponente, autorevole, con un lungo ornamento di piume colorate che dalla sommità del capo gli arrivava fin quasi a terra. Il suo unico indumento era un gonnellino di rafia, ma al collo, agli omeri e ai polsi portava monili di turchese e giada. Ossa decorate gli perforavano naso e lobi, complicate pitture gli coprivano il corpo.
L'uomo – di certo il capo della tribù – si avvicinò solenne al gruppetto dei prigionieri e in tono aspro disse loro qualcosa.
Uno dei tedeschi si alzò in piedi, si inchinò e rispose evidentemente nella stessa lingua dell'indigeno, perché fra i due cominciò un dialogo. Pankow notò però che nonostante ogni apparente tentativo da parte del tedesco di mantenere toni concilianti, l'altro sembrava alterarsi sempre di più. Alla fine gridò qualcosa brandendo una specie di bastone decorato di piume e feticci, e tre prigionieri furono prelevati e legati a tre pali sinistramente allineati vicino al falò.
Qui si mette male,” disse il tenente.
Wendel, più che mai rannicchiato, gli chiese: “Ora che cosa faranno, signore?”
Pankow alzò le spalle. “Credo che li tortureranno, se non interveniamo.” Dopodiché si alzò e si diresse di buon passo verso il villaggio. Quando fu allo scoperto alzò le mani e a voce alta disse: “Vengo in pace! Pace, capite? Siamo tutti amici, ci vogliamo tutti bene! Non possiamo parlarne, prima di cominciare a seviziare gente per bene? Io credo che il dialogo...”
Senza nemmeno aspettare la fine del discorso, quattro guerrieri gli saltarono addosso e lo atterrarono.
Ehi, che modi,” protestò Pankow in tono offeso. Uno degli indios gli puntò un coltello di selce sotto il mento. “Scherzavo,” gli assicurò in tono soave l'ufficiale.
Lo trascinarono verso il gruppo dei prigionieri. L'uomo autorevole, che aveva seguito immobile tutta la scena, a quel punto chiese qualcosa.
Il professor Dachs tradusse: “Il grande capo Vaka Ména Oñembo Ýva – Toro in Piedi, nella nostra lingua – chiede chi è lei, tenente.”
Pankow, al quale sembrava di essere finito dritto dritto in uno dei fumetti di avventura con cui si dilettava da ragazzino, assunse dapprima un'aria assorta, infine proferì: “Io sono un vostro grande amico. C'è un problema? Sono qui per risolverlo.” Distribuì a destra e a manca sorrisi incoraggianti, come per far capire che non dovevano preoccuparsi, che avrebbe sistemato tutto lui.
Il professore gli spiegò la faccenda della figlia rapita. Pankow ascoltò con attenzione, immaginando frattanto una graziosa fanciulla india dalle forme flessuose e dagli occhi di cerbiatto, magari con un succinto abitino dal bordo frangiato.
Quindi crede che siamo stati noi?” chiese alla fine del resoconto.
Precisamente. Come già spiegavo al guardiamarina Bär, questa gente non è in grado di distinguere tra inglesi e tedeschi: per loro siamo tutti genericamente uomini bianchi.”
Non avrebbe senso spiegare loro la differenza tra un salutare colorito tedesco e un malsano colorito britannico, frutto dell'eccessivo consumo di tè e del clima umido e freddo, vero?”
Temo di no, tenente.”
Allora dica che gliela andiamo a liberare noi, la sua bambina.”
Dachs lo fissò stupefatto. “Prego?”
Andiamo dagli inglesi e ce la portiamo via. Come si chiama, a proposito, la giovinetta?”
Yvoty Jaguarete, Giglio Tigrato.”
Pankow emise un sospiro. “Bellissimo,” apprezzò. Poi, in tono deciso: “Dica al tizio con le collane che non si deve preoccupare: gli riporteremo la sua bambina prima di domani. Dov'è che la tengono, a proposito?”

§

Appena illuminata da un'esile falce di luna, la scogliera era scivolosa e costantemente battuta dai frangenti.
Pankow avanzò cauto, quindi si appiattì contro la parete di roccia. “Attento,” sussurrò.
Alle sue spalle, la voce di Wendel rispose: “Sissignore.”
Senza muoversi, il tenente aggiunse: “Il tizio con le collane ha detto che da queste parti ci dovrebbe essere un'apertura che conduce a una grotta.”
Sissignore.”
È lì che tengono la ragazza.” Emise un sospiro, poi in tono accurato proseguì: “Poverina, chissà quanto sarà spaventata.”
Avanzarono cauti un altro po', il rumore dei passi coperto dal frangersi delle onde, e infine videro sui rivoli di schiuma che scorrevano verso il basso il vago baluginare dorato di un riflesso di luce.
Subito dopo si udirono una specie di ruggito da orco, un trambusto che faceva pensare a oggetti pesanti lanciati a caso contro le pareti e il tintinnio di vetri infranti. Una lanterna uscì in volo da quella che doveva essere l'imboccatura della grotta, rimbalzò un paio di volte sugli scogli e precipitò in acqua.
Cazzo,” commentò Pankow. “Che succede là dentro?”
I rumori di colluttazione frattanto proseguivano. Ci furono un altro paio di ruggiti da orco, nei quali parve ai due di indovinare l'articolazione di una qualche forma di linguaggio.
Infine una voce impostata e vagamente sussiegosa disse in inglese: “Suvvia, signorina, le sembra un comportamento adatto a una giovane donna?”
Seguì il rumore di oggetti infranti, quindi un’altra voce che esclamava: “Stia attento, signore, calcia peggio di un mulo!”
Approfittando della confusione, Pankow avanzò cauto e gettò un’occhiata all’interno: sulle prime gli parve di vedere un gorilla inferocito che si agitava. A un più attento esame, il gorilla si rivelò essere una persona, più precisamente una donna sudata e scarmigliata, con le mani legate dietro la schiena. Il tenente constatò che era alta quattro dita buone più di lui e larga come lui e Wendel uno accanto all’altro.
In quel momento stava emettendo muggiti che avevano tutta l’aria di essere imprecazioni nella sua lingua, mentre due o tre marinai cercavano di ridurla all’impotenza con dei lazo avvolti intorno al corpo massiccio.
Un po’ discosto, un sopracciglio alzato in segno di sobrio disappunto, il capitano di fregata James Hook osservava la scena.
Cercate di ricondurre all’obbedienza questa creatura,” disse, “sarebbe disdicevole e indegno di un gentiluomo dover passare a vie di fatto nei confronti di un’esponente del gentil sesso.”
Uno dei marinai fu scaraventato urlante fuori dalla grotta, descrisse una perfetta parabola davanti agli occhi attoniti dei due tedeschi e finì in acqua con un tonfo.
Wendel, che era alle spalle del tenente, chiese: “Cosa c’è là dentro, signore, un orso inferocito?”
Vorrei sbagliarmi,” fu la cupa risposta, “ma temo di aver trovato la leggiadra e flessuosa Yvoty Jaguarete.”
È prigioniera dell’orso, signore?”
No, a quanto pare è lei l’orso.”

Attesero un po’ immobili nel buio. all’interno della grotta il trambusto sembrava essersi placato, le imprecazioni indie avevano avuto un deciso calo. Ora erano solo un brontolio cupo, come tuoni lontani in un cielo che promette tempesta.
Pankow fece un cauto passo avanti e scrutò all’interno della grotta: la ragazza era seduta su una cassa rovesciata, aveva ancora le mani legate dietro la schiena e tramite una robusta cima era assicurata a una massiccia stalagmite. A rispettosa distanza, un paio di marinai la tenevano d’occhio.
È il momento,” proclamò il tenente, poi impugnò la pistola ed entrò risolutamente nella grotta. “Mani in alto, signori!” consigliò ai due marinai, in un inglese che sembrava il rumore di una raspa su un vecchio pezzo di legno.
Nonostante la pronuncia non ineccepibile, l’arma spianata convinse senz’altro i due a obbedire, ma mentre essi alzavano le mani, sopraggiunse attraverso un’altra uscita della grotta, James Hook in persona.
Ci fu un attimo di immobilità assoluta, nel quale persino la risacca sembrò congelarsi, poi il capitano esibì un ghigno feroce e disse: “Ma bene, sembra che dopotutto il demonio mi abbia ascoltato.” Con gesto repentino sfoderò la pistola. “Mani in alto,” ordinò brusco.
Marameo!” fu tutto ciò che Pankow si degnò di rispondergli, quindi schizzò via con un agile balzo. Hook sparò, il rumore improvviso, che in quell'ambiente chiuso rimbombò come una cannonata, fece sussultare l’orchessa, che balzò in piedi e strillò: “Tu… merda! Tu grossa merda!” Tentò di sferrare uno dei suoi temibili calci a Hook, che però si era già portato a distanza di sicurezza.
Yvoty Jaguarete si girò allora verso il tenente, lo squadrò con occhi di fuoco e disse: “Tu… piccola merda!”
Hook sparò di nuovo, e ancora una volta Pankow evitò il colpo, che rimbalzò sulla parete di roccia con un minaccioso ronzio, quindi aggirò la figlia del capotribù e segò con un pugnale la cima che la assicurava alla stalagmite. “Tu piccola merda!” ripeté irosa la ragazza. Cercò di tirargli un calcio, poi si accorse di essere libera. Subito si disinteressò del tenente e partì a testa bassa verso l’imboccatura della grotta, mandando al suo passaggio uno dei due marinai a gambe all'aria. Scomparve nel buio con la velocità di chi conosce alla perfezione i dintorni.
Pankow valutò in un attimo la situazione: il marinaio abbattuto dall’orchessa si stava alzando, l’altro aveva già raccolto da terra il fucile, Hook aveva il dito sul grilletto.
Marameo!” gridò ancora una volta, quindi diede un calcio alla lanterna superstite mandandola a fracassarsi contro la parete e si buttò fuori a pesce. “Vieni, Wendel!” esclamò passando, “muoviamoci, o quella arriva al villaggio da sola!”
Io la lascerei andare, signore!”
No di certo! Poi come facciamo a dimostrare che l’abbiamo liberata noi?”

La fiammella di un accendino scattò nel buio, traendo per prima cosa un lampo sinistro dall’uncino d’acciaio di Hook. Successivamente, la debole luce tratteggiò il volto del comandante, in quel momento atteggiato a un ghigno astuto.
Chi si crede troppo furbo fa una brutta fine,” sentenziò l’ufficiale. “Quell’irriverente macaco pensa di poter prendere in giro chiunque con i suoi giochetti, ma questa volta si fa sul serio.” Poi, a voce più alta: “Signor Soak!”
Comparve il nostromo. “Signore?”
Signor Soak, mi mandi una squadra. Questa volta Pankow avrà quello che si merita.”
Sissignore.”
Poco dopo, Hook procedeva sicuro nella foresta, con il debole chiarore della luna come unica luce.
Adagio, uomini,” sussurrò ai marinai che armi alla mano lo seguivano. “Non ci interessa arrivare presto, ci interessa non farci scoprire.”
Si addentrarono silenziosi tra le fronde, seguendo la scia di rami spezzati ed erba calpestata che Giglio Tigrato si era lasciata dietro correndo.

§

A Pankow sembrava di avere i polmoni in fiamme: quell’accidenti di orchessa era sovrappeso, con le mani legate dietro la schiena e scalza, eppure correva come una specie di cinghiale aizzato, evitando ogni ramo troppo basso, tronco o radice con un’abilità che aveva del soprannaturale.
Abilità che lui non possedeva, peraltro: era già rovinato al suolo due o tre volte, e altrettante era finito in mezzo a rovi o fango. Ormai si augurava quasi che Hook lo acciuffasse, almeno avrebbe potuto riposarsi un po’.
Tutto a posto, Wendel?” chiese, troppo stanco anche per abbassare la voce.
Sissignore,” boccheggiò il ragazzo alle sue spalle. “Manca molto, signore?”
Un ultimo sforzo e ci siamo, almeno spero. Non facciamoci distaccare proprio adesso, però.”
La ragazza continuava a correre imperterrita, senza rallentare minimamente l’andatura.
Ehi, tu!” ansimò Pankow, cercando di scorgere nel buio l’ampia schiena di Yvoty Jaguarete. “Ehi! Aspetta, no?”
Tu piccola merda!” provenne dall’oscurità.
Proprio quando Pankow aveva stabilito che si sarebbe sdraiato per terra e si sarebbe lasciato morire, si intravide fra gli alberi un baluginio di fiaccole.
L’ufficiale ringraziò mentalmente – anche perché non avrebbe avuto fiato sufficiente per farlo a voce – ogni divinità di sua conoscenza, comprese quelle caldee e sumere, per non averlo fatto morire d’infarto e si apprestò a coprire le ultime decine di metri che lo separavano dal riposo.
All’apparire di Yvoty Jaguarete, nel villaggio esplose un’ovazione. Il falò fu rinfocolato, chi era legato ai pali fu liberato, e al suono di canti e tamburi cominciò una danza sfrenata intorno alle fiamme che si levavano sempre più alte.
Le donne entrarono nelle capanne e ne uscirono portando vasi e cesti colmi di cibi e bevande.
Pankow raggiunse il gruppo dei tedeschi. Essi sedevano ancora dove li avevano lasciati, ma ormai potevano considerarsi liberi, dal momento che chi avrebbe dovuto sorvegliarli si stava dando a balli e libagioni.
Com’è andata?” chiese il guardiamarina Bär. Si alzò in piedi e fece qualche passo per sgranchirsi.
Ancora ansante, Pankow rispose: “La parte più complicata è stata correre dietro a quella là.”
L’altro si voltò a fissarlo. “È sicuro che non vi abbia seguito nessuno?”
Il tenente sbuffò infastidito: era stanco, aveva sete, si voleva riposare e non vedeva l’ora di scoprire cosa c’era nelle anfore che gli indios si stavano passando con gran soddisfazione di mano in mano. “Si figuri se ci hanno seguiti,” replicò, “era buio pesto.” Poi per evitare altre domande si alzò e fece per allontanarsi, ma a quel punto venne raggiunto dal capo della tribù, che aveva in mano un copricapo simile a quello che indossava.
Prima che Pankow potesse realizzare quello che stava succedendo, l'uomo glielo pose sulla testa, quindi solennemente proclamò: “Taguató Ovevéva!”
Alla frase seguì un’ovazione.
Taguató Ovevéva!” ripeté l’uomo, indicando il tenente col copricapo di piume.
Alle spalle di Pankow, il professor Dachs spiegò: “L’ha nominata Aquila Volante. È un grande onore.”
Beh, allora bisognerà brindare, direi!” esclamò il tenente, spostandosi con noncuranza il copricapo sulle ventitré. “Purché la qualifica non comporti sposare la figlia del tizio con le collane.”
Gettò uno sguardo fugace a Yvoty Jaguarete, che finalmente libera, con le trecce che le ballonzolavano sulla schiena e un abito discinto, conduceva le danze intorno al fuoco. Distolse lo sguardo con un brivido di orrore.
Si girò poi a cercare i suoi: Wendel ce l'aveva di fianco, Hans e Michael, a torso nudo e variamente imbrattati di pittura, stavano saltellando assieme agli indigeni. I marinai erano riusciti ad accaparrarsi una delle anfore e la stavano con gioia vuotando. Il tizio che parlava la lingua locale era immerso in una fitta conversazione con un indio, mentre quello che si era qualificato come tecnico – il professor Hase, se ricordava bene – stava parlando di fenomeni elettrostatici con il guardiamarina.
Non vedeva Schelle da nessuna parte: magari il furbastro si era già trovato qualche ragazza india e le stava facendo vedere le costellazioni, per così dire.
Liquidò la faccenda con un'alzata di spalle, si liberò della camicia e gridò: “Ehi, ci sono anch'io!”
Corse a raggiungere quelli che stavano ballando intorno al fuoco.

Appena fuori dal villaggio, seduto su una pietra, Schelle emise un sospiro. Da una parte si augurava che nessuno andasse a cercarlo, ma dall’altra il fatto che tutti si stessero divertendo e a nessuno interessasse sapere che fine aveva fatto lo metteva in uno stato d’animo plumbeo.
Aggrottò le sopracciglia. Chi aveva colpa di tutto era ovviamente il tenente Pankow. Lui e la sua stupida noncuranza. In quel momento sentiva la sua voce allegra, squillante, vagamente appesantita dall’alcol, intonare maldestramente quello che doveva essere un canto indigeno, chiaramente storpiato come un indio avrebbe potuto storpiare Die Fahne hoch.
Le strofe finirono in grandi risate, qualcuno urlò qualcosa e le risate ebbero un parossismo.
Corrugò la fronte: si stavano divertendo alla grande laggiù. Si stavano ubriacando, magari, incuranti della guerra e dei nemici che senza dubbio infestavano l’isola. “Un comportamento molto responsabile,” borbottò, e poi non riuscì ad aggiungere altro, perché una robusta mano lo afferrò per il collo togliendogli il respiro e un’altra gli tappò la bocca.
D’istinto si divincolò, ma altre mani lo immobilizzarono e lo trascinarono via.


   
 
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