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Autore: _Karis    14/09/2019    1 recensioni
« È successa una cosa tra Bokuto ed Akaashi, qualcosa di brutto ed è colpa mia e non so se riuscirò mai a perdonarmi ».
 
Si dimenticano sempre di loro o forse semplicemente a nessuno interessa davvero delle loro storie. Le parole per descrivere i sentimenti che provano sono trascurabili e facilmente dimenticabili. Sono comparse ai margini di grandi storie d’amore tra persone destinate ad essere unite per la vita. Sono ostacoli facilmente superabili. Sono spalle su cui piangere e a cui nessuno è veramente interessato. Sono persone che amano senza essere mai ricambiate. Sembra che ci sia una regola non scritta, ma che tutti conoscono. Una norma comunemente accettata: che quelli come lui, i beta, non siano mai personaggi principali.
|| BokuAka || KuroKen || Bokuro (più o meno) || Omegaverse ||
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Mpreg, Tematiche delicate
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Siamo solo al terzo capitolo e io già non vedo l'ora di arrivare al fluff. Salvatemi che c'è n'è di strada da fare, mi sa.




III. Profumo di latte caldo e miele

 


Da quando Shirofuku si è diplomata e le ha lasciato il compito di prendersi cura dei ragazzi del club di pallavolo, Suzumeda si è fatta più tenace e interessa a loro di quanto già non fosse. Akaashi inizialmente non lo ha ritenuto un problema, ma ora... beh, non è sicuro di pensarla allo stesso modo, perché Suzumeda, quando è venuta a sapere che Akaashi aveva lasciato il club di pallavolo, ha voluto capire anche il motivo per cui l’avesse fatto. Questa cosa della promessa a Shirofuku l’ha presa più seriamente del previsto, così lo ha inseguito - letteralmente, Akaashi non vuole esagerare, non è da lui, ma ovunque andasse Suzumeda era lì pronta a fare domande, sicura di essere in grado di ottenere risposte e di proporre soluzioni quantomeno adeguate. Ha braccato Akaashi fino a quando non è crollato. Ed anche in questo caso letteralmente, perché lo stress accumulato per la questione del bambino, per com’era nata la questione stessa e per il fatto di non trovare il coraggio di parlare a Bokuto era tanto grande da portarlo ad un punto di rottura. Non doveva essere necessariamente Suzumeda, ma lei era lì e lo pressava con insistenza e lui non è stato più in grado di mantenere la facciata.

Le ha detto che aspetta un bambino, ma non ha fatto accenno a chi potesse essere il padre e Suzumeda non l’ha chiesto. Le ha raccontato di come aveva provato ad abortire senza riuscirci. Ha rimandato e rimandato, ma alla fine alla clinica è riuscito a prendere un appuntamento. Da solo, in sala d’attesa, ha compilato i moduli con mano tremante e, quando è arrivato il suo turno, semplicemente si è accorto di non poterlo fare. Se questa fosse la sua unica possibilità di dare alla luce un bambino? Se qualcosa fosse andato storto e lui avrebbe dovuto dire definitivamente addio anche alla più piccola speranza di mettere al mondo un figlio? I maschi beta difficilmente riescono a rimanere incinti, ci vogliono tentativi su tentativi, e la sua gravidanza di fronte a questa consapevolezza sembra quasi un piccolo miracolo. Gli alpha sono quelli che pensano troppo presto alla famiglia, gli omega cercano un modo per ritardarne la creazione e i beta semplicemente non ci pensano, ma Akaashi ora, con questa creatura che cresce dentro di lui, proprio non ci riesce.

Ed è il figlio di Bokuto. Akaashi ci pensa e il sorriso del ragazzo gli torna alla mente, portandolo a riflettere a come il bambino potrebbe assomigliargli. Lo vede, piccolo e impacciato, mentre tenta i primi passi verso di lui, cade e si rialza. I capelli di Bokuto e i suoi grandi occhi luminosi fissi a terra per la concentrazione di mettere un piede davanti all’altro. Lo vede raggiungerlo e sorridergli e Akaashi semplicemente non può lasciarlo andare.

L’immagine l’ha colpito tanto forte da fargli mancare l’aria per alcuni secondi, mentre si rendeva conto di non potervi rinunciare. Si è alzato e ha riconsegnato i moduli all’infermiera che lo aveva chiamato poco prima, chiedendo scusa e dicendo di non poterlo fare in una litania confusa e tremante. L’infermiera l’ha guardato dolcemente, gli ha sorriso e gli ha detto che c’era ancora tempo. E Akaashi conosceva il significato di quelle parole: hai ancora tempo per cambiare idea. L'infermiera gli stava dicendo indirettamente, senza usare parole chiare, che era meglio si sottoponesse all’intervento e Akaashi ha pensato che non era giusto che glielo dicesse, che non era il suo posto per fare simili affermazioni. Ha annuito nella consapevolezza che non sarebbe tornato.

Quello che avrebbero potuto dire i suoi genitori e a scuola ancora lo spaventava, ma il timore di questa evenienza gli è apparso meno terribile dell’idea di rinunciare al suo bambino. Ci avrebbe pensato poi, a come affrontarlo.

Suzumeda l’ha ascoltato in silenzio senza riuscire a nascondere completamente la sua delusione. Non l’ha rimproverato e non l’ha ripreso quando Akaashi le ha inveito contro per averlo pedinato. Ha ascoltato e ha permesso al ragazzo di sfogarsi, perché in qualche modo si rendeva conto che era quello di cui aveva più bisogno in quel momento e Akaashi non le sarà mai abbastanza grato per questo. Con i suoi amici non ne avrebbe mai potuto parlare tanto apertamente come invece è stato in grado di fare con lei. Non è sicuro di essere capace du spiegarlo, forse più avanti o forse lascerà semplicemente che se ne accorgano. Spera solo che riusciranno a capirlo e che non la prenderanno come un’offesa personale.

Non sa se sarà capace di gestire la gravidanza e la situazione al meglio, ma vorrebbe che i suoi amici non gli rendano il tutto più difficile.

Alla fine Suzumeda ha deciso di aiutarlo. Akaashi le è grato, soprattutto perché si vede che è contraria e delusa dalle mancate precauzioni e dispiaciuta perché Akaashi è giovane. Lui lo può capire da alcune frasi che indirettamente lo lasciano intendere. Non lo fa per cattiveria, nella maggior parte dei casi è sovrappensiero e quelle volte che se ne accorge si scusa immediatamente. Suzumeda avrebbe potuto lasciarlo solo, ma alla fine ha deciso di non farlo. Forse è per questo che la perdona per aver tirato in mezzo anche Onaga.

« Onaga-kun, » lo chiama, ma subito il ragazzo, intuendo le sue intenzioni, fa un gesto di rifiuto con la mano. Akaashi potrebbe dire che Onaga dovrebbe quanto meno ascoltarlo, e soprattutto che non dovrebbe avere questo atteggiamento poco rispettoso nei suoi confronti, ma non lo fa per il semplice fatto che continua a ripeterglielo da giorni ormai e che Onaga inizi a stancarsi è perfettamente comprensibile.

« Che pensino quello che vogliono » afferma tranquillo, consapevole dell’avvertimento che Akaashi vuole rivolgergli. Quest’ultimo lo guarda storto, perché, beh, è un atteggiamento da stupidi. Sicuro va bene ed anche voler essere di sostegno, ma marchiarsi di qualcosa che non è stato fatto e diventare bersaglio di frecciatine e dicerie è per lui inconcepibile. Quando diventerà evidente che Akaashi sta aspettando un bambino, le persone faranno un collegamento lineare, niente ragionamenti complessi: Onaga improvvisamente ha iniziato a passare molto tempo con Akaashi – anche con Suzumeda in realtà, me lei nelle parole degli altri sparirà sistematicamente –, Onaga è un alpha, Akaashi è in attesa, ergo Onaga è necessariamente il padre del bambino. Semplice, lineare, logico, quasi perfetto, se solo non fosse che è la cosa più lontana dalla verità che qualcuno potrebbe dire. Non che le dicerie si basino sulla realtà dei fatti.

Onaga vede l’espressione contrariata di Akaashi e: « C’è ancora tempo, Akaashi-san, non fasciamoci la testa prima del previsto. Non fa bene a nessuno » cerca di rassicurarlo, mentre Suzumeda annuisce con vigore. Akaashi vorrebbe far capire loro che questo atteggiamento, quello del “c’è tempo”, non ha mai aiutato nessuno: bisogna riflettere e pianificare per essere sicuri che le cose possano andare non dice bene, ma quantomeno meno peggio del previsto. Lo possono fare, ma devono parlarne. Non gli interessa tanto la sua immagine, perché non avrebbe senso fingere di poter salvare un’apparenza ormai irrimediabilmente perduta, ma Onaga e Suzumeda non vuole che ci finiscano in mezzo per il semplice fatto di aver deciso di aiutarlo.

« Basta brutti pensieri » asserisce allegramente Suzumeda, tirandogli un colpetto sulla fronte e riportandolo alla realtà « Se continui così, il bambino nascerà già con un’espressione arcigna di cui non riuscirà mai a liberarsi » continua e le scappa una risata leggera mentre pronuncia quelle parole.

Akaashi sorride all’affermazione per il semplice fatto che gli sembra impossibili che il figlio di Bokuto possa non essere solare quanto lui. Prova ad immaginarlo, Bokuto con un’espressione seria in volto, e l’immagine dovrebbe farlo ridere, ma il pensiero dell’altro ragazzo riporta alla mente solo brutti ricordi e sensi di colpa che Akaashi riesce ad accantonare solo per brevi periodi di tempo. Ancora non gli parla. Nessuno dei due ha cercato l’altro. Akaashi non sa se troverà mai il coraggio per farlo, perché nella sua testa Bokuto è quello dei primi passi, spensierato e pieno di forza.

Entrambi si accorgono del cambio di espressione del ragazzo, ma è Onaga a mettere a parole le loro preoccupazioni: « Siamo qui per te » dice gentilmente, cercando i suoi occhi. Non gli fa una domanda diretta e di questo Akaashi gliene è grato, perché quell’affermazione gli permette di non rispondere subito. Significa che sono pronti ad ascoltarlo, ma solo quando lui si sentirà pronto a parlare. Akaashi è fortunato ad avere intorno a sé le attenzioni di persone tanto premurose e non se le merita. Se sapessero quello che ha fatto a Bokuto, non avrebbero lo stesso atteggiamento. Cosa penserebbero di lui? Lo allontanerebbero? Non lo sa e non è sicuro di quello che potrebbero fare; forse potrebbero stupirlo – in fondo l’hanno fatto fino ad adesso –, però non è pronto a dire ad alta voce a qualcun altro quello che è accaduto. Nella sua testa è già abbastanza orribile. Lo farà, forse, più avanti, solo non ora.

Akaashi tenta un sorriso e li ringrazia entrambi per quello che stanno facendo per lui, che è molto più di quello che potrebbe sembrare. Suzumeda già si vede ad accompagnarlo ai controlli nonostante i mille impegni che già ha e Onaga è disposto a prendere sulle spalle l’immagine di padre che non è. Entrambi vogliono aiutarlo e non importa quello che pensano di una gravidanza in questo momento della sua vita, vogliono farlo lo stesso e sono pronti ad accettarne le conseguenze. E Akaashi non trova il coraggio di ripagarli con la verità, l’unica cosa che potrebbe offrire loro: la consapevolezza di sapere per cosa e chi stanno facendo tutto questo.

« Akaaashi-san, ti stai isolando di nuovo! » lo riprende ancora una volta Suzumeda e nel farlo si avvicina al ragazzo tanto basta per percepire un odore diverso rispetto a quello cui è stata abituata. Arriccia il naso, contrariata e « Lo si può già sentire » dice più a se stessa che agli altri, in quella che potrebbe apparire come una riflessione. È soltanto un’affermazione, ma alle orecchie di Akaashi suona quasi come una sentenza. Si trattiene dall’annusarsi da solo, ma il suo bisogno di conferme lo spinge a porre comunque una domanda specifica.

« Si sente molto? » chiede con un tono che lascia trasparire più insicurezza di quanto vorrebbe. Si morde il labbro inferiore in attesa, mentre anche Onaga annusa l’aria distrattamente.

« Non troppo per ora. Percepisci qualcosa, ma non ricolleghi almeno che tu non sappia quello che stai cercando. Devi fare attenzione, altrimenti si confonde con tutto il resto » asserisce, rassicurante « È leggero e calmante, se ti concentri. Sa di latte caldo e miele » prende un profondo respiro, quasi a volersi riempire i polmoni di quel profumo rilassante.

« Pochi giorni » mormora Akaashi in un sussurro, consapevole che il tempo che rimane prima che alcuni inizino ad accorgersene è più breve del previsto. Prende un respiro per calmarsi. Deve tranquillizzarsi, perché tutta questa ansia non farà bene né a lui né alla vita che sta prendendo forma dentro di lui. Può sopportarlo, è forte, lo sa, solo che questa non era la situazione in cui si era immaginato a dimostrare la sua capacità di sopportazione e di andare avanti nonostante tutto. È spaventato, ma almeno non è solo. Vorrebbe soltanto che fosse andata diversamente. Vorrebbe avere agito diversamente, vorrebbe avere avuto il coraggio necessario per affrontare tutto quello che è successo in un modo diverso, in un modo migliore. Ma, sopra di tutto, vorrebbe Bokuto al suo fianco.


 

***


 

La consapevolezza che il suo odore sta ineluttabilmente modificandosi insieme al suo corpo l’ha portato di fronte alla necessità di parlarne con i suoi genitori. Non può nasconderglielo in eterno. Data la scarsa presenza dei suoi genitori in casa così come le loro carenti attenzioni nei confronti del figlio, potrebbe probabilmente farlo fino a quando la pancia non renda la sua gravidanza evidente in maniera lampante, ma forse questa decisione potrebbe rivelarsi controproducente. Forse parlarne prima potrà rendere la situazione meno pesante, più facile da affrontare.

È tornato a casa e ha chiamato i suoi genitori nella speranza che per una volta fossero lì per lui, ma nessuno ha risposto e Akaashi ha avuto paura di perdere il coraggio per parlare con loro del bambino, così ha chiamato sua madre al cellulare. Ha scelto lei perché credeva che sarebbe stata in grado di aiutarlo a gestire la situazione, ad aprirgli la strada verso la comprensione di suo padre. Non si aspettava di certo che accettasse la sua gravidanza subito né tanto meno che non gli rivolgesse qualche parola di delusione, ma nella sua testa sua madre avrebbe capito l’angoscia del figlio e dopo averlo sgridato l’avrebbe anche rassicurato, dicendogli che lei era lì e che insieme avrebbero sistemato le cose. Nella testa di Akaashi sua madre avrebbe avuto un atteggiamento simile a quello di Suzumeda, ma la realtà è che l’immaginazione di Akaashi offre un’immagine dei suoi genitori totalmente diversa da quella reale, un’immagine più dolce e affettuosa, un’immagine accogliente. Akaashi semplicemente ha sopravvalutato la capacità di sua madre di comprendere.

Sua madre ha risposto al cellulare, dicendogli che doveva fare in fretta perché era impegnata. Akaashi ha provato più volte a dire che si trattava di qualcosa di importante in mille formulazioni diverse, ma tutte le volte sua madre l’ha interrotto in un modo o nell’altro o non l’ha ascoltato, troppo presa dall’impegno del momento. Lo scambio è continuato per pochi secondi, mentre il risentimento di Akaashi veniva fomentato sempre più rapidamente fino a quando non è esploso e l’ha detto senza fronzoli né addolcimenti, Aspetto un bambino, per poi buttare giù il telefono. E quello sua madre deve averlo sentito, deve avere attirato la sua attenzione, perché poi ha continuato a chiamarlo al cellulare fino a quando non si è accorta che non avrebbe ottenuto risposta. Akaashi con i suoi genitori è questo: deluso, infantile, risentito.

« Chi è? » domanda suo padre, categorico. La sua voce è dura e tagliente tanto quanto lo sono i suoi occhi, gelidi, fissi sul figlio.

Sono nella cucina di casa. I suoi genitori da una parte del tavolo e Akaashi seduto di fronte a loro, caparbio nel suo atteggiamento di sfida.

« Non è importante » e la risposta deve far infuriare suo padre, perché sbatte un pugno sul tavolo improvvisamente, digrignando i denti in un chiaro segno di rabbia. A quel punto interviene la madre di Akaashi. Poggia il palmo sul dorso della mano del marito, che non la guarda, ma lentamente riprende una posizione composta sulla sedia. Si schiarisce la voce e probabilmente si prepara a riporre la domanda in modo diverso, sperando in una risposta differente, ma la moglie lo precede.

« Keiji, » lo chiama affettuosamente e il tono dolce, conciliante sembra quasi una trappola, ma Akaashi sposta comunque lo sguardo su di lei. Ha un sorriso leggero in volto « sei stato costretto? » chiede senza alcuna emozione. E fa male per il semplice fatto che l’idea che qualcuno possa avere forzato suo figlio non la turbi minimamente. Quello è esattamente il momento in cui Akaashi capisce che sua madre è una persona totalmente diversa da quella che nella sua immaginazione aveva preso forma. Da piccolo la guardava e vedeva una donna forte e indipendente, che lo prendeva per mano infondendogli il coraggio necessario per fare quelle cose che più lo spaventavano.

Quando era piccolo, sua madre era ancora vicino a lui, piena di quel sincero orgoglio di aver messo al mondo una piccola creatura tanto simile a lei. Il suo sguardo era pieno dell’amore per Akaashi e Akaashi si è beato in quel magico torpore creato dall’affetto e dal calore che sua madre gli rivolgeva, soprattutto perché suo padre a casa non c’era mai. Di fronte alla sua assenza, la presenza della madre appariva al piccolo Akaashi fondamentale tanto quanto quella di  un’ancora che permette di non andare alla deriva.

Le attenzioni della signora Akaashi sono state tutte rivolte al figlio fino al giorno in cui si è presentato come un beta e non come quello in cui lei sperava.

La madre di Akaashi è un alpha e così suo padre, ma la loro genealogia non è così pura come la signora cerca di far credere davanti a tutti. Quando Akaashi è nato semplicemente hanno dato per scontato che, come i genitori, anche lui sarebbe stato un alpha. Non hanno tenuto in minimo conto la possibilità che non lo fosse, nemmeno per un secondo, così, quando i referti hanno mostrato che Akaashi non era un alpha, ma un beta, la donna ne è rimasta profondamente delusa. L’immagine che stava dando della sua famiglia, come di purosangue, era stata irrimediabilmente distrutta con la nascita di Akaashi. E da quel momento le attenzioni della madre si sono diradate e sono comparse sempre più baby-sitter a occuparsi di lui e da quel momento Akaashi non solo aveva un fantasma come padre, ma non poteva nemmeno più guardare a sua madre come punto di riferimento. L’ha idealizzata a lungo, cercando sempre di evitare di pensare al motivo per cui le cose erano cambiate. Ha finto che non ci fosse stato un prima e che la sua infanzia fosse stata sempre ugualmente grigia, vuota dei genitori.

Fino ad adesso almeno, quando sua madre con le sue parole si dimostra esattamente per quello che è: una donna perfettamente inquadrata nei ruoli previsti per alpha, beta e omega, nelle aspettative e nelle discriminazioni tipiche della loro società. Se fosse stato un alpha, la reazione di sua madre sarebbe stata totalmente diversa, ma dato che è un beta Akaashi non merita la considerazione che desidera.

Akaashi ha chiamato sua madre per prima nella speranza di ritrovarvi quella degli inizi, quella che lo avrebbe stretto e protetto ed invece, ora, capisce che non sarebbe più potuto essere così.

Akaashi boccheggia, perché la domanda l’ha colpito duramente come se sua madre gli avesse tirato un pugno in gola, togliendogli il fiato e impedendogli di rispondere. Sposta lo sguardo su suo padre, perché non riesce a sostenere l’espressione tranquilla di sua madre, e vi vede turbamento e quello che potrebbe apparire come disappunto. Ha ritratto la mano lentamente per sfuggire alla presa della moglie, che non appare toccata dal gesto.

« Keiji, » riprova suo padre. La sua voce è insicura e trema appena, per cui deglutisce prima di porre la domanda « Ti hanno- », ma non riesce a concluderla. La prospettiva è troppo dolorosa e orribile perché suo padre riesca ad affrontarla appieno. Akaashi glielo legge negli occhi, nella voce e nel modo in cui si torce nervosamente le dita senza tregua. Capisce che suo padre non ha preso in considerazione quella possibilità fino a quando sua madre non l’ha accennata e subito tutta la rabbia e la delusione che provava si sono trasformati in paura e rimpianto.

« No, » dice a fatica Akaashi, schiacciato dalla situazione e dall’atmosfera che è venuta a crearsi « No » ripete ancora, con più sicurezza per poterla trasmettere a suo padre e lo vede sgonfiarsi delle sue preoccupazioni d’improvviso. I muscoli tesi si rilassano e lui chiude le palpebre per alcuni secondi, mormorando piano qualcosa che Akaashi non riesce a comprendere appieno, ma che appare come un ringraziamento verso il cielo.

Suo padre sospira e, quando si rivolge di nuovo a lui, la sua espressione e la sua voce non sono cariche né dell’iniziale rabbia né della successiva paura. Sembra preoccupato, ma allo stesso tempo sollevato.

« Keiji, vai in camera tua » dice con la voce che gli trema ancora, quasi impercettibilmente, « Lasciaci discutere della situazione da soli per un po’ » spiega, passandosi una mano tra i capelli « Poi ne riparleremo insieme » conclude, posando lo sguardo sul figlio e Akaashi lo trova quasi gentile.

Akaashi annuisce, mentre si alza dal tavolo. Non si ferma per ascoltare dietro la porta della cucina per paura di quello che si potrebbero dire i suoi genitori. Procede fino alla sua camera senza mai fermarsi e lì inizia quasi inconsciamente a buttare felpe, vecchi peluche e coperte sul suo letto per poi nascondersi sotto quel mucchio di calore. E non se lo aspettava, ma si sente quasi meglio.





 
   
 
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