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Autore: iron_spider    14/09/2019    4 recensioni
"Ho pensato di prendere Wasp, e tu Iron Man,” rivela Ned.
Sono delle spillette d’acciaio, una per ogni Vincitore del Distretto 12. A Peter non piace molto partecipare alla goliardia generale, considerando che Capitol sta letteralmente torturando e uccidendo delle persone rendendo la loro vita un inferno; ma, in segreto, ha un Vincitore preferito. È stato Tony Stark sin da quando ha memoria.
Vorrebbe avere la metà del coraggio che ha lui.
È un eroe. È un eroe.

[Traduzione // HungerGames!AU // Tony&Peter]
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 8: L’inizio della fine
 
 



“Là in fondo al prato, c’è un salice ombroso, un manto d’erba che culla il riposo. Poggia il tuo capo e chiudi gli occhi, al tuo risveglio, il sole…” [1]

Tony si sveglia sentendo un canto. Non ricorda quali immagini lo abbiano afferrato nell’incoscienza, ma può supporlo, e non vuol provare a richiamarle. Emette un lamento, realizza di essere nel proprio letto e si gira, vedendo Peter seduto a gambe incrociate accanto a lui.

“Qui è dove…” Peter continua a cantare, ma si ferma, spalancando gli occhi. “Tony, stai bene? Sei sveglio… Dio sei… caduto di schianto.”

“Scusa,” dice Tony, sollevando una mano per pizzicarsi la radice del naso. “Ho solo… avuto un momento melodrammatico. Fa parte del lavoro. Cos’era, uh… cos’era quella canzone?”

“Oh,” dice Peter, col palmo premuto sulla nuca. “Uh, una canzone che mi cantava May. Quando stavo male.”

Tony si sente scaldare il cuore e al contempo orribile, perché il ragazzo è… semplicemente, lui. Con tutto quello che ha passato, e che passerà, con tutto quello che quel maledetto di Stane gli ha detto, abbastanza da contaminare i suoi incubi per sempre, Peter è qui. Seduto al suo fianco dopo un suo imbarazzante svenimento coi fiocchi. Peter è seduto qui e si preoccupa di confortarlo. Peter è seduto qui e canta.

Tony allunga una mano verso di lui, stringendogli il braccio con silenziosa gratitudine.

“È sveglio?” chiede la voce di Janet, dall’altra stanza, e Tony sente anche il trambusto degli altri.

“Sì,” esclama Peter, guardando la porta. Incontra di nuovo gli occhi di Tony. “Sono passati solo dieci minuti.”

“Oh, bene,” dice Tony. “Meglio dell’ultima volta.”

“Ancora due minuti e avremmo dovuto chiamare qualcuno,” dice Janet, mentre l’intero gruppo entra nella stanza. “Non avrei saputo come ficcare questi tre in un armadio, perché non dovrebbero essere qui.”

Tony si alza a sedere, sentendosi un invalido, e Peter lo aiuta a poggiarsi contro i cuscini.

“Li abbiamo visti mentre vi trascinavano via,” dice Steve, prendendo una sedia e accomodandosi accanto a lui, chinandosi poi con gli avambracci sulle gambe. “Abbiamo cercato di seguirvi, ma ci hanno sbarrato la strada…”

“Ho ancora mal di gola per quanto ho gridato,” dice Janet. “Non ci avete sentiti?”

“Non abbiamo sentito proprio nulla,” dice Tony, osservando Michelle che si sposta per sedersi accanto a Peter, dall’altro lato del letto. “Sono abbastanza sicuro che i piani superiori di quel posto siano completamente insonorizzati. Non c’erano neanche delle finestre, nella stanza in cui ci hanno portati.”

“Gliel’ho raccontato,” dice Peter, piano. “Tutto, uh. Tutto quello che ha detto.”

Tony sente la pelle d’oca risalirgli le braccia e lo guarda, con l’occhio che si contrae appena. “Tutto quanto?” chiede.

Peter annuisce gravemente.

A Tony non piace l’idea del ragazzo che ripete quella minaccia finale ad alta voce, e non vuole che ci rimugini su neanche per un secondo, non vuole che abbia quella paura nei recessi della sua mente. A lui ha fatto effetto, e ne è consapevole. Lo perseguita già ora, ha piantato radici nella sua mente, ma non vuole che a Peter accada lo stesso. Devono già preoccuparsi dei ragni, ora. E dell’intera faccenda dei suoi genitori. Ma quel commento finale… Tony non vuole che ci pensi. Non vuole che nessuno di loro ne faccia di nuovo menzione in sua presenza.

“Rogers,” dice, cercando un contatto visivo con Steve. “Adesso capisci perché ci stiamo.” Deglutisce con forza, rivolgendo un’altra occhiata a Peter. “E non te l’ho chiesto, Pete, prima di… fare irruzione qui sbandierando dichiarazioni per poi svenire sul momento così che nessuno potesse chiedermi nulla, e mi dispiace, ma…”

“No, voglio farlo,” dice Peter. “Soprattutto ora. Ne… ne ho bisogno.”

Tony fa un cenno tra sé, guardando di nuovo Steve. Natasha e Thor sono in piedi dietro di lui, e Steve sospira.

“Quindi, i dettagli,” dice Tony. “Fornitemi tutti i dettagli che avete. Chi gestirà le cose nell’arena? Voi due? Uno dei due? Uno si occupa di Peter e uno di Michelle? Chi altri, chi–”

“Lasciali parlare, Tony,” dice Janet. Sospira, sedendosi sulla sponda del letto, accanto ai suoi piedi. “Avevano appena iniziato, quando sei arrivato tu.”

“Sfortunatamente,” comincia Steve, rivolgendo uno sguardo a Thor, “non ci sono così tanti dettagli, specialmente da parte nostra.”

“Meraviglioso,” commenta Tony, passandosi una mano tra i capelli. “Andiamo alla cieca, come al solito.”

“Tony,” lo richiama Janet, dandogli uno scappellotto sul ginocchio. “Suvvia.”

“Okay, andate avanti, prima che svenga di nuovo,” concede Tony.

“Come ha detto lui, abbiamo solo un paio di dettagli scelti riguardo all’arena,” dice Thor, cominciando a camminare avanti e indietro. “Come osservavi l’altra volta, Bruce non è in grado di condividere quel tipo di informazioni senza mettere a rischio noi e l’intera ribellione. Non puoi comportarti come se già sapessi cosa aspettarti, o ti fanno semplicemente fuori e tanti saluti. Stane ha dato di nuovo prova di essere spietato. E una volta nell’arena non avranno alcun interesse a risparmiarti. È il solo motivo per cui ti hanno preservato finora.”

Tony sospira, cercando di non guardare Peter.

“Non c’è nessuno di specifico al comando,” dice Thor. “Lavoreranno tutti insieme. Saranno loro quattro, qui dentro, poi Shuri, M’Baku e i Tributi di Strange: Scott Lang e Sharon Carter. Luke sta ancora cercando di convincere i propri Tributi, ma agiremo come se dovessimo portarli fuori. Gli unici di cui non possiamo fidarci sono l’Uno e il Due. Tutti gli altri sono a conoscenza di quale sia la posta in gioco finale. E tutti sanno di dover proteggere Peter.”

Adesso Tony sta decisamente guardando Peter, e sa che il ragazzo si sente tremendamente in colpa, soprattutto là seduto vicino a Michelle.

“Quali sono questi vostri dettagli scelti riguardo all’arena?” chiede Janet.

“Principalmente, sappiamo che ci sarà una via d’uscita molto ovvia,” dice Thor.

Tony non riesce a trattenere uno sbuffo. Lo fissano tutti e lui scuote la testa, senza un briciolo di vergogna. “Una via d’uscita?” chiede. “E da quando fanno una cosa del genere? Da mai. Ci sono tre Vincitori in questa stanza, e quante via d’uscita abbiamo visto?”

“Non è una via d’uscita ordinaria,” dice Thor. “Non sarà una porta, o un corridoio. Ma quando la vedranno, capiranno.”

“Come faremo a…” comincia Peter, e cerca lo sguardo di Steve.

“Bruce dice che sarà ovvio,” dice lui. “Chiaro come il sole, la riconosceremo a prima vista.”

“Ci hai parlato?” chiede Tony. “Faccia a faccia.”

“Beh,” comincia Steve, “non faccia a faccia.”

“Quindi come fai a–”

“Ci ho parlato io,” dice Thor, e smette di camminare ai piedi del letto. “È con noi, Tony. Lo è stato per quattro anni. Sei l’unico che dubita di te stesso, sei l’unico che non crede che qualcuno potrebbe mai sentirsi ispirato da te.”

Tony serra la mascella, distogliendo lo sguardo.

“Non dico spesso di sentirmi ispirata dalla gente,” dice Natasha. “Ma se proprio fossi costretta, tu potresti essere su quella lista.”

“Oh, ehi,” dice Tony, rivolgendole un cenno. “È una dichiarazione forte, per i miei standard.”

“Bruce è stato ispirato dal tuo turno nell’arena,” dice Thor. “E anche prima di lui, la resistenza cresceva. Ci sono società segrete ad ogni angolo, a Capitol. Ci sono degli infiltrati nel governo, in posizioni di rilievo che non riusciresti mai a indovinare. Sono lì da anni. Ci sono dei quartier generali sotterranei in ogni Distretto. Sì, anche nel Dodici.”

Tony socchiude gli occhi, scuotendo la testa, e guarda Janet. Lei solleva le sopracciglia, chiaramente scioccata quanto lui.

“Abbiamo già degli elivelivoli pronti,” dice Thor. “Abbiamo armi, siamo attrezzati per un’altra guerra nucleare…”

Cosa?” chiede Tony, guardando alternatamente loro tre. “Come diavolo è possibile?”

“Il Tredici è vivo e vegeto.,” rivela Natasha. “Ci siamo stati tutti e tre.”

Il cervello di Tony si inceppa. L’intera stanza cambia colore. “Sono… ci sono troppe cose in una frase sola. Che cosa… che cosa stracazzo–”

“Hanno spazzato via il Tredici dalla faccia della Terra,” dice MJ, con un verso scettico.

“Abbiamo visto i filmati…” Peter si interrompe. Incontra gli occhi di Tony. “Ma loro alterano i fatti, no?” chiede.

“Sganciarono effettivamente delle bombe,” dice Thor. “Ma non fu il massacro che descrivono. Il Tredici era pronto a rifugiarsi sottoterra, ed è esattamente quello che hanno fatto.”

Tony sbatte le palpebre, frastornato.

“Come ci siete arrivati?” chiede Janet. “So che avete detto di avere degli elivelivoli, ma non possiamo esattamente volare come ci pare in giro senza che qualcuno di sgradito ci noti.”

“Tunnel,” dice Tony, di getto. “Dei tunnel, vero? Vero?”

Natasha assottiglia gli occhi, guardando brevemente Steve. “Te l’ha già detto qualcuno?” chiede.

“No,” dice Tony, ridendo, sentendosi folle e nel giusto. “No, ho solo… andate avanti.”

“Ci sono alcuni tunnel che arrivano fin lì, ma solo poche occasioni durante l’anno in cui possiamo utilizzarli,” spiega Steve. “I treni sotterranei si spostano molto più spesso durante il periodo degli Hunger Games, quindi non siamo mai riusciti a portare avanti un tentativo quando ce n’era bisogno.”

“In più, è troppo scoperto,” dice Natasha. “Non va bene per gruppi numerosi.”

Tony annuisce, e una parte di lui vorrebbe aver portato fino in fondo il proprio piano, capendo quali tunnel usare e gli orari dei treni. Ma avrebbe precipitato tutto nel caos, e il ragazzo non l’avrebbe mai perdonato per aver lasciato indietro Michelle. Adesso lo capisce, vedendoli insieme. Lo sa, dal modo in cui parla di lei. Gli ricorda il modo in cui lui straparlava di Pepper, all’inizio.

Si schiarisce la gola.

“Quando ci vedranno uscire, sarà il segnale d’azione per gli infiltrati,” continua Steve. “Basterà per riprendersi i Distretti, se agiamo correttamente. La gente è pronta.”

“E… mia zia?” chiede Peter. “E… e Ned. E la famiglia di MJ. Dobbiamo… sappiamo che non saranno al sicuro, dopo la nostra mossa. Soprattutto se funziona.”

“Le nostre famiglie sono protette,” dice Natasha. “Saranno al sicuro.”

“Come?” chiede Peter, a voce più alta del solito. “Perché se… se sono il volto che cercate, come ha detto Tony, se… se fuggo io, voglio che fuggano anche loro.”

“Non preoccuparti,” dice Steve. “Te lo prometto, saranno al sicuro.”

Tony si morde l’interno della guancia, e sente che c’è qualcosa di implicitamente affidabile nel volto di Steve.

“Poi andremo al Tredici,” dice Thor. “Dove tu sarai il volto della rivoluzione, come hai detto.” Fa un cenno verso Peter. “Da lì comincerà la lotta per riprenderci il nostro paese. Per fermare tutto questo.”

Sembra tutto troppo. Troppo, da piazzare sulle spalle di Peter, soprattutto dopo essere stato nei Giochi. Sopravvivere ed evadere. Essere il volto della rivoluzione… gli darebbero costantemente la caccia. Tony deve evadere a sua volta, almeno per proteggerlo, tenerlo al sicuro. Si alza dal letto, ancora un po’ incerto sui piedi, e si avvicina al muro più lontano, alla finestra. Ora c’è solo una spruzzata di rosa ad attraversare il cielo, col sole quasi scomparso. Non sa cosa dire di tutto questo.

“Quindi stiamo… basando il tutto su–  sull’idea che ci sarà una via d’uscita molto ovvia?” chiede, voltandosi di nuovo verso il gruppo. “È tutto… fondamentalmente pianificato, dopo quello, se non per il fatto che è imprevedibile, poiché legato al dettaglio che voi riusciate a evadere dall’arena? Vivi? Con Peter intero, visto che vi fa da testimonial?”

“Sì,” risponde Thor.

Tony guarda Janet, e vede il dubbio anche nei suoi occhi.

“E se ci fosse più di una via d’uscita ovvia?” chiede lei.

“Bruce ha detto che ce ne sarà solo una,” replica Thor. “E che la riconosceranno non appena apparirà.”

“E se non la riconosciamo?”

“Lo sapremo e basta,” taglia corto Natasha.

Tony scuote la testa, stropicciandosi gli occhi. Gli gira ancora troppo la testa, e non riesce a smettere di sentire Stane, di pensare alle cose che ha detto. Vorrebbe non averle mai sentite, cazzo. Nessuna di esse.

“Sentite,” dice Thor, avvicinandosi a Tony, “lo so che è difficile entrare nell’ottica, non sapere cosa dovranno affrontare per dare il via a tutto. Ma io ho fiducia nel fatto che sapranno cavarsela. Noi ce l’abbiamo fatta.”

“Già,” ribatte Tony, con la bocca secca. “Per il rotto della cuffia.”

“Ci assicureremo che voi usciate,” dice Natasha, rivolgendo lo sguardo a MJ e Peter. “E poi sarete al sicuro. Saremo tutti al sicuro, saremo… vivi. Esattamente quel che non vuole Capitol.”

“Peter,” dice Steve. “Tu li ispiri. Tu… tu sei il migliore fra noi. Ti vedranno fuggire, vivere, opporti ai loro Giochi, alle loro regole. Vedranno quanto tu sia umano. Ti seguiranno.”

Tony guarda Peter, lo vede deglutire a fatica. Può immaginare cosa gli stia passando per la testa, perché il ragazzo pensa a tutti gli altri prima che a se stesso.

“In che modo siamo coinvolti Tony ed io?” chiede Janet. “E tu, Thor? E Carol?”

“Siamo tutti dei pezzi essenziali,” dice Thor. “Una volta che l’arena sarà resa pubblica sapremo di più da Bruce riguardo a come funzionerà il tutto. Ma li aiuteremo ad evadere. Poi ci aiuteremo a vicenda per raggiungere il Tredici.”

Tony scuote la testa. “Bene,” dice, agitando in aria le mani. “Bene. Comunque sia, in qualunque cazzo di modo, basta… che li fare uscire. Fateli vivere. Mi interessa solo questo.”

“Possiamo farcela,” dice Steve. “Ce la faremo.”

 
§
 

“Non possiamo farcela,” dice Peter più tardi, quella notte, quando la squadra del Sette se n’è andata. MJ e Janet sono andate a letto, e Peter è sulla soglia della stanza di Tony, cercando di trovare un senso a quello che la sua vita è diventata. Detesta il modo in cui il loro piano, se così si può chiamare, sia incentrato su di lui. Evadere, proteggere Parker. È stato circondato da affetto in vita sua, con May, e Ben, e Ned, e i fantasmi di due persone che non conosceva davvero… ma l’amore del paese, un amore sufficiente a fare di lui un’icona, lo spaventa fino al midollo. Lo spaventa ancor di più nel pensare che il tutto sia già in movimento. Che la gente si sente già così. Come ha fatto il mondo a non cadere a pezzi ai piedi di Tony? È molto più carismatico di lui. Molto più interessante.

Non sapranno come sarà l’arena. Peter non sa come qualcuno potrebbe proteggerlo lì dentro. Non sa come diavolo riuscirà a proteggersi lui stesso, e sa che è progredito tantissimo da quello che era prima. Non sarà mai abbastanza.

Tony è seduto sulla sponda del letto, con un palmare tra le mani. “Già, lo so come deve sembrarti,” dice. “Ma funzionerà, perché Thor dice che funzionerà, e se non possiamo fidarci di Thor, di chi altri? Non voglio vivere in un mondo in cui non posso fidarmi di Thor. Sarebbe semplicemente sbagliato.”

Peter sbuffa appena, abbassando lo sguardo a terra.

“Oggi è stato uno schifo,” dice Tony. “E voglio solo che… insomma, non voglio che ci pensi adesso, perché abbiamo pensato abbastanza a quello e a tutte quelle altre cose terribili, nelle ultime otto ore circa.”

Peter deglutisce a forza, sentendosi apatico e perso. Si poggia allo stipite e già si sente morto a metà, mentre cerca di non pensare alla villa di Stane. Di non pensare ai suoi genitori. Di non pensare ai ragni. O alla propria testa mozzata. “Dovrò pensarci presto,” dice, piano. Non resta loro molto tempo.

“Sì, e lo faremo,” dice Tony, con quell'atteggiamento che spinge Peter a pensare che non può fare a meno di fidarsi di lui. Da quando l’ha incontrato sul treno è come se l’avesse conosciuto per dieci anni, e per metà di quel tempo gli è sembrato che Tony sapesse leggergli nel pensiero. “Ci prepareremo ad ogni eventualità, okay? Ma ognuna di esse si risolverà con te sano e salvo a miglia di distanza dalle loro stronzate. Ma per ora sono riuscito a fare una cosa, e penso che… beh, penso che potrebbe piacerti.”

“È quello a cui stai lavorando da quando se ne sono andati?” chiede Peter.

“Sì,” conferma Tony. “Eccomi qua, un bravo e diligente lavoratore. Dai, entra, e chiudi la porta.”

Peter obbedisce, trascinando i piedi e fermandosi di fianco alla poltrona di Tony. Lo osserva mentre preme un paio di tasti sul suo palmare, per poi proiettare un fascio di luce sul muro accanto allo schermo TV.

“Okay, dovrebbe funzionare,” dice Tony. “Con un po’ di buona volontà.”

Peter assottiglia gli occhi fissando l’immagine proiettata, e sembra… no, non può essere. Si paralizza, colmo d’aspettativa.

“Ehi!” grida Tony, e Peter lo vede agitare una mano verso il nuovo schermo, scrutandolo. “C’è nessuno?”

E poi – con qualche battito mancato da parte di Peter – May e Ned entrano nell’inquadratura. Si chinano, poi avvicinano le sedie del tavolo da pranzo e Peter trattiene il fiato, tenendo gli occhi puntati su di loro mentre si allontana un poco, sedendosi accanto a Tony.

“Oh, mio Dio,” dice May, coprendosi la bocca. “Oh, mio Dio.”

“Sto trasmettendo attraverso il loro televisore,” spiega Tony. “Così se qualcuno vuole dare un’occhiata penseranno che stiano semplicemente guardando un’intervista. Possono vederti, è una videochiamata.”

“Wow,” dice Peter. “Wow! Wow.” Non sapeva fosse possibile. Nel modo più assoluto.

“Vi lascio soli,” dice Tony, dandogli una pacca sul ginocchio.

“No,” dice Peter, di scatto, afferrandogli il polso mentre lui si alza in piedi. “No, no, rimani.”

“Sì,” dice May. “Vogliamo parlare anche con te.”

Tony sorride appena, e si siede con un cenno del capo.

Peter si copre la bocca, con le lacrime che gli sgorgano dagli occhi. Loro due sono semplicemente seduti lì, sorridenti, entrambi illesi, al sicuro. In diretta, proprio di fronte a lui, proprio lì, proprio lì. Sono così vicini.

“Ehi, tesoro,” dice May, colma di troppe emozioni imbottigliate e pronte a riversarsi fuori.

“Ehi, Peter,” dice Ned, con un gran sorriso.

“Ehi, ragazzi,” risponde lui, inclinandosi un poco e spingendo appena Tony con la spalla. Si sente sul punto di esplodere.

“Tony,” lo chiama May. “Io… grazie, davvero. Per questo, per tutto, sei stato– sei stato tutto ciò che tutti hanno sempre pensato che fossi. Tutto ciò che lui pensava che fossi.”

Tony scrolla le spalle, lanciando un’occhiata a Peter. “Beh, hai un ragazzino davvero importante, qui. Non posso fare a meno di dare del mio meglio, suppongo.”

“Peter,” dice Ned. “Sei amico di Tony Stark, sul serio. Voglio tornare indietro nel tempo, a quando eri bambino, e dirtelo. Non ci crederesti mai. Mi immagino la tua faccia.”

Peter soffoca una risata nel naso, arrossendo un poco. Non riesce a crederci, il suo cuore sta facendo le capriole. Si strofina gli occhi, cercando di memorizzare i loro volti. Pensava che non li avrebbe più rivisti. Non ne era certo. Non ha neanche davvero pensato a quella possibilità da quando è a conoscenza del piano. “Mi siete mancati tantissimo,” dice.

“Ci manchi anche tu, piccolo,” dice May. “Vorrei solo abbracciarti.”

“Anch’io,” replica Peter.

“Tutti non fanno che parlare di te, qui,” interviene Ned. “Tutti fanno il tifo per te, la gente si è messa d’accordo per creare degli sponsor di gruppo. Insomma, tutti hanno visto cosa è successo oggi, e li ha esaltati ancor di più–”

“Voi state bene, vero?” chiede May, inclinandosi in avanti sulla sedia. “Hanno tagliato il servizio non appena ti sei girato, ho visto le pistole puntate addosso a Tony…”

“Mi scuso per quello,” dice Tony. “Normalmente mi piace essere più, uh, utile di così–”

“Smettila,” dice Peter con un sospiro nella sua direzione. Tony fa un sorrisetto e Peter sorride di rimando, scuotendo la testa. “Uh, sì, stiamo bene.”

“Sei sicuro?” insiste May.

“Sì,” replica Peter, e non ci sta pensando, non ci sta pensando. “Sì, stiamo bene.”

“È stato fighissimo, Peter,” dice Ned. “Insomma, wow. Wow, l’hai colpito in pieno. E quel poster che aveva la ragazza, quello che ha dato inizio a tutto, qui sono ovunque–”

“Stai attento con quella roba, Ned,” dice Peter, con un vuoto allo stomaco. “Hai visto come danno di matto se li vedono…”

“Sì, fanno lo stesso anche qui,” dice Ned, scambiando un’occhiata con May. “Ma noi ne abbiamo ancora un paio, sai. Per i posteri.” [2]

Peter non riesce a trattenersi e sorride, scuotendo la testa. Sa che non possono dire loro nulla riguardo al piano, a dispetto di quanto sicura possa essere la connessione di Tony, ma muore dalla voglia di dirglielo, vuole disperatamente instillare una sorta di speranza in loro, sul fatto che non dovrà diventare un assassino per riuscire a tornare da loro, che non dovrà guardar morire altre persone per non morire lui stesso.

“Volevo dirvi che mi sento molto ottimista,” dice Tony, a voce più alta. “E non lo dico per dire. Peter è, uh, è un vincitore e, come potete vedere, tutti lo amano.”

“Sapevo che l’avrebbero fatto,” dice May, con l’orgoglio negli occhi. “Non poteva essere altrimenti.”

“Ce la farà,” dice Tony. “Sono sicuro al cento per cento.”

“Al cento per cento?” chiede May.

“Al cento per cento,” ripete Tony.

Sia May che Ned hanno l’aria di sgonfiarsi per il sollievo, sorridendo mentre mormorano tra loro.

“E, uh, Michelle?” chiede Ned, a bassa voce.

Peter risucchia un respiro, perché sa di non poter dire nulla. Sa che non può. Lo fa impazzire, perché anche prima di tutto questo sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, le avrebbe permesso di ucciderlo prima di arrivare a guardarla nel modo sbagliato. Ma adesso la conosce, adesso… adesso è diverso, e detesta mentire anche solo per omissione quando si tratta di lei e di quello che accadrà nell’arena.

Tony gli lancia un’occhiata e si schiarisce la voce. “Uh, Janet, come sapete bene, è una dei migliori Vincitori che abbiamo mai avuto. Michelle è in buone mani.”

Peter annuisce, incerto su cosa dire, ma delle parole disperate gli artigliano la gola. Lei fuggirà. Io fuggirò. Fuggiremo tutti.

“Peter… grazie per, uh, aver detto quel che hai detto durante l’intervista,” dice Ned, piano.

Peter gli sorride, sentendosi sopraffare da un’ondata d’affetto. “Di niente,” risponde. “Ma non mi devi nulla, solo non– non mi piaceva quello che ha detto, come suonava.”

“Sappiamo che è fuori di testa,” dice May, dando una pacca sul ginocchio di Ned. “Insomma, lo sono tutti. Non so come fate voi due, o gli altri Vincitori, gli altri Tributi. Essere lì, è come… una tortura prima della tortura.” Si asciuga gli occhi, scuotendo la testa. “Mi dispiace, vorrei solo… vorrei che fossi a casa.”

“May,” dice Tony. “Il tuo ragazzo tornerà a casa da te. Te lo prometto.”

May annuisce, e sembra credergli davvero. Lo schermo s’increspa un poco, traballa, e Tony abbassa lo sguardo sul palmare.

“Merda,” bofonchia.

“Cosa?” chiede Peter, col cuore che gli cede.

“Uh, stiamo perdendo il collegamento, ragazzo, mi dispiace.” Preme un paio di tasti, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Non ero sicuro di quanto sarebbe durato.”

May e Ned si accostano allo schermo, come se potesse servire a qualcosa, e Peter deglutisce a forza. Si sente nel panico, come se ci fosse troppo da dire e non abbastanza tempo per farlo.

“May,” la chiama. “Io, uh. I miei genitori. Volevo– volevo sapere quanto ne sapessi. Riguardo a loro, a quello che facevano, a come– come sono morti.”

“Peter,” replica lei, e sembra sorpresa. “Questo… è un discorso lungo, non– non saprei nemmeno da dove iniziare.” Lo schermo sfarfalla ancora, e Peter non sa cosa spera di ottenere, cosa ha bisogno di sentire. “Ci vorrebbero giorni per dirti tutto quello che so, tutto quello che non–”

“Lo so,” dice lui, rapido. “Lo so, va… va bene, e qualunque cosa pensi, qualunque– qualunque cosa tu abbia sentito, o non sentito, loro erano– erano eroi, okay? Hanno fatto ciò che potevano, erano anche loro in trappola, ma hanno fatto ciò che potevano. E so che devono… che devono avermi amato.” La sua voce si incrina, e desidera una vita che non ha mai avuto, quella che Capitol gli ha rubato.

“Ti amavano più di ogni altra cosa,” dice May, fissandolo negli occhi come faceva quando cercava di mettere in chiaro un concetto. “Di ogni cosa, tesoro, capito? Avrebbero fatto di tutto per impedire che ti accadesse qualcosa. Eri la luce della loro vita.”

Peter annuisce, con le orecchie bollenti. Lo schermo trema in modo preoccupante, e Tony continua a borbottare tra sé, cercando di mantenere la connessione.

“Ti voglio bene, Peter!” grida Ned. “Faccio il tifo per te, amico. Lo facciamo tutti. Ogni singolo giorno.”

“Ti voglio bene, Ned,” risponde Peter, mentre lo schermo diventa in bianco e nero. “May–”

“Ti voglio bene, tesoro,” dice lei, e si avvicina, premendo una mano sullo schermo. “Ti voglio tanto bene.”

Peter scatta giù dal letto e si sposta, premendo le mani sul muro dove si proietta lo schermo. Palmo contro palmo. “Ti voglio bene,” sussurra. “Ti voglio bene, ti voglio bene. Ci vedremo di nuovo.”

“Ci vedremo–” E poi lo schermo si oscura, riempendosi di statico.

“Merda,” esclama Tony. “Maledizione.”

Peter fissa il muro dove c’erano loro, con dei brividi lungo la schiena. Stacca lentamente la mano, e sogna il momento in cui potrà davvero stringere quella di May.

“Che cazzo,” impreca ancora Tony, e Peter lo sente pestare le dita sul palmare, sempre più forte. Si gira a guardarlo, e non ha idea di quale espressione abbia in faccia, perché Tony sussulta nel guardarlo. “Mi dispiace, ragazzo,” dice, e Peter vede che gli tremano le dita. “Volevo… volevo davvero che durasse di più, dopo tutte le schifezze che hai passato–”

“Tony,” lo ferma Peter. “Io… so che stiamo cercando di essere ottimisti, adesso – ma avevo ancora questa… paura molto reale che non li avrei visti mai più, e anche solo… un secondo sarebbe andato bene, ma– ma– questo–” Risucchia un respiro e si siede di nuovo accanto a lui. “Grazie. Grazie, davvero, grazie mille. Anche solo… vederli, per un istante, sentire le loro voci, è stato… mi ha aiutato tantissimo.”

“Bene,” dice Tony, rilasciando un respiro. “Ecco qui, uh… la seconda parte del 'Peter-Tiramisù'.” [3] Chiude una finestra sul palmare, apre una cartella e digita alcuni codici e una password finale. Poi fa apparire un breve filmato, chiaro e nitido come se Peter stesse guardando un’altra diretta. Deduce che sia da qualche parte nel Dodici, e poi il suo cuore sussulta quando vede Ben che passa davanti a lui. Ben, con un bambino piccolo sulle spalle – un bambino che deve essere lui. Poi c’è May, un po’ più giovane, e un’altra coppia, solo vagamente familiare. “Ecco la famiglia Parker,” dice Tony, mentre camminano davanti a loro e fuori dall’inquadratura. Lo riavvolge, rallentandolo, e li superano di nuovo. “Stavo facendo delle ricerche per trovare qualcosa su Ben, qualcosa da ricordare, e poi ho trovato questo. Ho pensato fosse bello vedere… vedervi tutti insieme.”

Peter deve avere circa sei anni nel filmato, e sta sorridendo, mentre si aggrappa forte alle spalle di Ben. Sua madre ha il collo reclinato per guardarlo, e suo padre e May sembrano intenti a chiacchierare. Sembra che siano sulla strada di casa, da May. Peter fissa il tutto e si sente stranamente fuori posto, perché sembrano così reali, e sono qui, sono con lui. È felice. È così felice.

“E adesso, credo di avere dei ripensamenti su quanto sia stato furbo farti vedere questo–”

“No,” dice Peter, fissando ancora il filmato. Lo mette dall’inizio, e guarda tutti i dettagli: la divisa di Ben, le pieghe sulla maglietta di sua madre, il modo in cui May portava i capelli. Suo padre che sta chiaramente dicendo la parola Peter. “No, io–” Lo guarda. Continua a guardarlo. “Vorrei solo… ricordarli meglio.” Si schiarisce la gola, e continua a crogiolarsi in ogni singolo dettaglio. “Tu… ce l’hai qui vero? Non scomparirà?”

“No,” dice Tony. “L’ho salvato. È nostro per sempre.”

“Bene,” dice Peter, sapendo che non potrebbe mai guardarlo abbastanza a lungo.

“Fanculo Stane,” dice Tony, avvicinandosi un poco. “E tu hai ragione. Erano eroi. E ti volevano bene, perché eri loro, e non è possibile non volerti bene, ragazzo.”

Peter ripensa a ciò che ha detto Stane. Non le minacce, ma riguardo ai suoi genitori. Quello che avevano cercato di fare, come erano finiti. Stacca finalmente gli occhi dallo schermo per guardare Tony. “Riuscirò a scappare,” dice. “Farò in modo di riuscirci. Per loro. Perché so che se fossero qui sarebbe… quello che vorrebbero.”

“Lo è,” dice Tony. “Al cento per cento.”

A Peter non sono mai successe così tante cose in vita sua, e la sua testa galleggia in tutte quelle emozioni, nella paranoia, nella paura, e nel barlume di speranza che Tony sta alimentando. Risucchia un respiro, guardando di nuovo il filmato. Allunga un dito e lo blocca, con tutti e quattro nell’inquadratura, e vederlo è un qualcosa di prezioso. Qualcosa che merita di vedere.

Guarda di nuovo Tony, e sa che non riuscirà mai ad esprimere cosa significhi tutto questo per lui. “Grazie,” dice, quasi in un sussurro, con voce incrinata.

Tony scuote la testa, e anche lui ha gli occhi lucidi. “Non c’è bisogno, Pete,” dice. “Sono qua. Dall’inizio alla fine.”

Peter sospira, poggiando la fronte sulla sua spalla. Chiude gli occhi, e vede ancora la propria famiglia sul retro delle palpebre.

Anche Tony ne fa parte, adesso.
 
§
 

Ogni giorno è una bomba a orologeria, ma scorrono tutti via senza esplosioni. Non ancora, non ancora. Il tempo va avanti, continuano a lavorare, e le minacce di Stane si adagiano in fondo alla mente di Tony. Sono rancide, acide, scavano un buco attraverso ogni momento di veglia. E di notte prendono vita, al punto che si ritrova a svegliarsi trattenendo il fiato, con lo stesso incubo che lo perseguita, ancora e ancora. Intrappolato in quella stanza, con quelle cose. In trappola, con ciò che Stane ha detto che si prenderà. Guardala marcire. L’eventualità peggiore, che si rifiuta di fare largo a scenari più speranzosi.

Tony esce dal cafè preferito di Selvig con uno sponsor in più in tasca e la lista di regali che potrebbero servire a Peter in continuo aumento. Cammina lungo il marciapiede ed è perso nella sua stessa testa, cercando di immaginare come potrebbe essere quella maledetta arena. Saperlo renderebbe più semplice il piano, semplificherebbe loro la vita, e continua a immaginarsi un buco gigantesco sul limitare di una foresta: la loro ovvia via d’uscita. Ma non potrebbe essere così ovvia, no? Non è possibile. Non sono così stupidi. Dev’essere ovvia in modo diverso, e Tony detesta non essere in grado di trovare un riscontro nella propria fantasia, non riuscire a risolvere uno dei loro dannati indovinelli.

A dispetto di quanto li stiano prendendo di mira, di quanti problemi stia causando, Capitol non si tira indietro dall’usare l’icona di Peter, e Tony supera un intero muro dedicato alla prima intervista di Peter. Ma, ovviamente, tagliano la frase Iron Man e Spider-Man sono uniti.

Tony scrolla la testa, attraversando la strada.

“Tony!” grida qualcuno, da qualche parte alla sua sinistra. Si volta, socchiudendo gli occhi, e vede Christine Everhart lì nel vicolo, con qualcosa stretto tra le mani. Rimane immobile al suo posto, facendogli cenno di avvicinarsi, e per un lungo istante Tony crede di avere le allucinazioni.

“Dolcezza,” comincia, imboccando lentamente il vicolo, “so che magari ti piaccio, ma questo non è il posto adatto per una proposta. Insomma, ci sono telecamere ovunque, no? Non dovresti saperlo meglio di tutti?”

“Conosco anche molti punti ciechi,” dice lei, quando è più vicino. “Oltre a molte cose che avrebbero bisogno di una sistemata.”

Lui inclina la testa nella sua direzione, fermandosi e incrociando le braccia sul petto. Abbassa gli occhi su ciò che tiene in mano, e vede che è una cartella rigonfia, con una piccola scatola nera assicurata in cima.

“Non possono sentirci,” dice lei. “Non in questo punto.”

Tony mugugna tra sé, fissando la telecamera sopra la propria testa. Non vuole pronunciare una singola parola, perché non si fida di lei.

“Ho cercato di chiedere a Peter Parker qualcosa riguardo ai suoi genitori, in quella prima intervista,” inizia lei, spostando il peso da un tacco all’altro. “Sono certa che te lo ricordi.”

“E come potrei dimenticare?” ribatte lui.

“Insomma, non ci permettono di scambiare chiavi per lo stesso Tributo più di una volta,” dice lei. Abbassa lo sguardo sul fascio di documenti che ha tra le braccia e lo tende verso di lui. “Ci ho lavorato a lungo. Da prima di sapere chi fosse.”

Tony non accetta l’offerta. Non ancora.

Ciò sembra irritarla, perché scuote la testa, avvicinandosi di un passo. “So che non ti fidi di me. So che credi che io sia semplicemente… una di loro.”

“Già,” dice Tony. “Lo sei, letteralmente, sul serio. Ce l’hai nel sangue.”

“Tutto ciò che voglio è la verità,” dice lei. “Questa faccenda è più grande dei confini con cui ci hanno diviso.” Insiste nell’offrirgli la cartella con la scatola. “Gran parte di questo parla da sé, ma ci sono dei punti che… non riesco a decifrare. E so che tu puoi.”

“Questa è una bomba,” replica lui. “Stai cercando di ammazzarmi, per poi scrivere della mia morte.”

“Tony.”

Lui ride appena, gettandosi un’occhiata alle spalle. “Sono occupato al momento, cara. Nel caso non sapessi che periodo dell’anno sia.”

“Tony, prendilo e basta,” dice lei. “Non m’importa quando gli darai un’occhiata. Adesso, quando sarà finito tutto, non mi interessa. Voglio solo che lo guardi, e poi contattami. Potrebbe essere importante per te.”

Lui si volta a guardarla, e lei spinge l’incartamento così vicino che incontra in suo braccio. “Non è una bomba?” chiede. “O… un gas velenoso?”

“No, imbecille,” dice lei, guardandolo storto. Alza gli occhi al cielo, perché l’insulto le è sfuggito e in teoria gli sta chiedendo qualcosa. Lo sta quasi implorando. “Per favore?”

Lui sospira, e glielo toglie di mano. “Se mi uccidi con qualunque cosa ci sia qua dentro, ti perseguiterò per sempre.”

“Non correrei mai quel rischio,” replica lei, e si gira incamminandosi nella direzione opposta.

Lui sospira di nuovo, e abbassa lo sguardo. La cartella è riempita fino all’orlo, coi fogli che spuntano fuori da ogni parte. Solleva la scatola, scuotendola. Non è pesante, e non sembra che ci sia molto all’interno.

“E va bene,” dice, ripromettendosi di darci un’occhiata quando avrà un momento libero. Christine in effetti ha menzionato i genitori di Peter, e deduce che siano probabilmente delle prove di ciò che ha detto Stane. Ma al momento, quei maledetti Hunger Games sono la priorità.
 
§
 

Mette il pacco della Everhart in camera sua quando torna all’attico, e sente Peter e Sam che discutono nel suo corridoio.

“Ehi,” li chiama Tony, dirigendosi lì. “Scusate se ci ho messo un po’ di più, mi sono scontrato con una non-amica…”

“Tutto a posto?” grida di rimando Peter.

“Sì,” replica lui, svoltando l’angolo e attraversando la porta aperta.

Vede Peter in piedi davanti allo specchio, con Sam accanto a lui. Indossa un costume di Spider-Man simile al primo, ma questo è più slanciato, con delle tonalità nere e non blu. Sembra l’eroe che i Distretti si meritano. Un qualcosa di cui Capitol dovrebbe avere paura. Tony non ha mai dubitato del suo ruolo come volto della rivoluzione: l’ha spaventato, certo, ma non ne ha mai dubitato. Ma adesso, con questo costume… riesce a vederlo per davvero.

“Ti piace?” chiede Sam. “Il ragazzo mi ha aiutato a disegnarla. Penso che potrebbe avere un futuro nel campo.”

“È magnifica,” dice Tony, puntando le mani sui fianchi. “Non, uh, non ti sei voluto tirare indietro da tutto il concetto del ragno? Dopo–”

“Quello che ha detto?” chiede Peter, voltandosi. “No,” risponde. “Non voglio che pensi che mi abbia influenzato, o che abbia cambiato qualcosa.”

“È roba da matti, quella,” commenta Sam, scuotendo la testa. “Che pazzoide.”

Quindi Peter l’ha detto anche a lui. Entra nella stanza annuendo tra sé, lieto che Peter non stia cedendo sotto la pressione che Stane sta chiaramente cercando di mettergli addosso. “Perché diavolo vivi qui, Wilson?” chiede poi, sedendosi sulla sedia accanto alla finestra. “Seriamente. Non sei come loro, non sei affatto un esemplare di Capitol.”

“Pensi che mi lascerebbero andare via?” chiede Sam, ridendo e cucendo qualcosa sul braccio di Peter. “Assolutamente no, e ci ho già provato. Ci ho provato finché non hanno minacciato di tagliarmi qualcosa che preferirei molto tenere.”

Tony incrocia lo sguardo di Peter, e sa che vorrebbe mettere Sam a parte al piano. Sa che vorrebbe far fuggire anche lui, semplicemente guardandolo in faccia. Peter si affeziona facilmente, e si fa fregare dalla propria bontà, e ciò preoccupa Tony, per paura che qualcuno possa approfittarne. Ha l’impressione che Quentin Beck, nello specifico, avrebbe la capacità di distrarre il ragazzo con un semplice discorso del tipo non voglio morire, e spera che Peter sappia distinguere la vera bontà d’animo, come quella di Sam, da qualcosa di deviato, fatto per puro tornaconto personale.

Comprende il suo attaccamento a Sam, però, e lo sente anche lui. Cerca di pianificare come introdurre l’argomento a Thor, perché sa che Peter potrebbe farlo di testa sua, se non lo anticipa.

“Penso che siamo pronti per l’intervista di venerdì,” dice Sam, e ciò ricorda a Tony di quanto tempo sia passato. Rimane loro domani, con i giudizi finali. Venerdì, con le ultime interviste. E sabato tutto avrà inizio. La fine, e, se prega e ci spera abbastanza, un nuovo inizio.
 
§
 

Peter richiede tutte le sessioni di combattimento a due che può prima dei giudizi finali, perché vuole essere pronto nel caso architettino qualcosa. Tony gli insegna tutti i pro e i contro dei palmari che potrebbe trovare nell’arena, e Peter spera ardentemente di trovarne uno, perché hanno delle potenzialità che potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte. Peter alza il livello di difficoltà delle simulazioni, e si spinge fino al limite. Sfrutta mosse evasive, e anche se non hanno dei tipi specifici delle creazioni di Capitol per le simulazioni, hanno dei mostri generici che si muovono in modo simile a, per esempio, un qualche tipo di ragno killer.

Rotola via dalla zona di pericolo esattamente al momento giusto, e il cronometro si azzera.

“Bel lavoro, ragazzo,” dice Tony, un paio di passi più in là col palmare in mano. “Era perfetto.”

“Riproviamoci,” dice Peter, col fiato grosso mentre si rimette in piedi.

“Uh, non mi hai sentito? Era effettivamente perfetto. E intendo con pieni voti per gli standard della simulazione, non i miei. So che sono di parte.”

“Lo so, ma…” Si sente folle, come se si stesse preparando a entrare nella sua stessa tomba, e continua a ripetersi che il piano funzionerà. Il piano funzionerà. Si sta prendendo in giro. I Giochi sono troppo vicini. Sono tra pochi giorni, ed è terrorizzato.

“Prenditi una pausa,” dice Tony, avvicinandosi e dandogli una pacca sulla spalla. “L’esame è stasera, sarà rapido, sai esattamente ciò che devi fare. Sei pronto. Non ti giocheranno un altro scherzetto, è… è troppo a ridosso dell’ultima intervista, troppo a ridosso dei Giochi. Sì, l’ultima volta si sono sbarazzati delle prove con le pillole e la pomata, quasi del tutto, ma ti conoscono abbastanza da sapere che non rimarrai nascosto tra oggi e domani, soprattutto se ti lasciano addosso dei segni.”

Peter sospira, annuendo. Il suo cuore ha preso a battere più rapidamente nell’ultimo paio di giorni, gli fa più spesso male la testa e, per quanto voglia, gli riesce difficile mantenere la presa sulla speranza che dovrebbe dargli il piano. Vuole disperatamente che funzioni, vuole coinvolgere tutti, vuole una rivoluzione, vuole rovesciare Capitol. Vuole salvare la gente e vuole vivere. Ma tutte quelle possibilità sembrano intrappolate dietro una parte di vetro… può vederle, ma non toccarle. Non sembrano reali. Non pensa che saranno reali finché non scapperà dall’arena.

“Io, uh,” comincia Peter, guardandosi i piedi. “Voglio solo essere certo che– che, uh, se le cose nell’arena non vanno come devono andare–”

“Peter–”

“Voglio solo essere certo che May e Ned siano al sicuro,” dice, alzando lo sguardo su di lui. “May ne ha passate… tante, tante, e non– non voglio che lei… si arrenda.” Deglutisce a fatica.

Tony si avvicina di un passo. “Niente pessimismo,” dice. “Non adesso. Peter, se qualcosa va storto, faccio irruzione là dentro di persona, maledizione, e ti porto fuori io.”

Peter riesce a sorridere, perché quell’immagine lo scalda un poco. Annuisce, guardando da sopra la spalla l’arena di fortuna che hanno allestito, così come la seconda serie di spara-ragnatele che è riuscito a costruire con i nuovi materiali. “Scusa se– scusa se continuo a pensarci. Scusa. Scusa.”

“Niente scuse,” dice Tony. “Okay? Merda, parla con Janet, io ho avuto un milione di esaurimenti nervosi nei giorni prima dei Giochi. Sempre, in continuazione, urlavo, perdevo il controllo, lanciavo oggetti… non so come diavolo ha fatto a sopportarmi. Ma, morale della favola, ti stai comportando in modo assolutamente normale. Non c’è un modo sbagliato per comportarsi, qui, okay?”

Peter annuisce, mordicchiandosi il labbro. L’immagine che ha in testa si trasforma, e si volta verso Tony. “Se fai irruzione là dentro, dovresti farlo come Iron Man.”

“Cavolo,” ride Tony, camminandogli accanto mentre si avviano alla porta. “Non potrei fare altrimenti, no? Amo le entrate in scena ad effetto.”
 
§

 
Tutto è come la prima volta.

Stanno seduti nella stanzetta sulle loro panche numerate, divisi, esattamente come vuole Capitol. Solo che stavolta Peter guarda gli altri, quelli che sanno del piano, e cerca di aggrapparsi alla speranza che sembra decisa ad abbandonarlo. Rimane a guardare mentre ciascuno si avvia alla propria sessione, uno ad uno, e coglie un cenno esplicito da parte di Steve quando tocca a lui.

Chiamano MJ, e lei sospira, sporgendosi per prendergli la mano. “Ti aspetto subito dopo la porta,” gli dice. “Nel corridoio. Non m’importa cosa dicono.”

Peter apprezza l’intenzione, ma quest’idea gli strizza lo stomaco. “Non… non farti male,” si raccomanda.

“No,” gli assicura lei, sorridendo dolcemente. I suoi occhi indugiano sul suo volto per dei lunghi secondi, e lui sente, per un momento, che potrebbe arrivare qualcos’altro. Ma lei rilascia solo un piccolo respiro, gli stringe la mano e si alza, avviandosi alla stanza dei giudizi.

Si aggrappa più forte alla propria speranza. Pensa a cose a cui non dovrebbe pensare, in cui potrebbe perdersi. Momenti di pace, in un posto lontano da qui. Cosa potrebbe guadagnare, se vivesse. Se diventasse il volto che vogliono. Può diventare un simbolo di speranza? Non lo sa, non ne ha idea, ma per qualche ragione loro pensano di sì. Sa che ci sono molte cose più grandi di lui. Così tante cose che sono più importanti, e forse, solo forse, potrebbe esserne parte. Può contribuire, può… fare qualcosa, qualunque cosa, per rendere migliore il mondo. Le loro vite. Smontare pezzo a pezzo ciò che Capitol ha costruito per fare del male a tutti gli altri.

Sta seduto e pensa in silenzio, nella stanza quasi vuota. Lui, e un Pacificatore. La loro perenne oppressione.

“PETER PARKER, DISTRETTO DODICI.”

Peter rilascia un respiro e si alza in piedi.

Quando entra la stanza è la stessa, eccetto per un dettaglio: il gruppo di spettatori nella zona d’osservazione è molto più numeroso, e non prestano la minima attenzione a lui. Bruce è l’unico a non parlare ad alta voce, l’unico rivolto verso la stanza, ma il resto di loro… mangiano, parlano, giocano a biliardo, a freccette, se ne stanno spaparanzati negli angoli e ridono sguaiatamente. Peter fa il suo ingresso, le sopracciglia corrugate, e anche quando si arresta nel punto indicato nessuno si volta a guardarlo. Nessuno sembra avere intenzione di interessarsi a lui.

Cerca gli occhi di Bruce, e lui sorride appena, con un cenno del capo. Peter non sa cosa diavolo voglia dire… e non c’è neanche una voce sopra di lui che gli dica di iniziare. È intenzionale? Bruce è l’unico che sia incaricato di osservarlo? È questo quello che hanno visto tutti gli altri, quello che hanno dovuto sopportare? Hanno davvero ignorato Natasha allo stesso modo? MJ? Tutti coloro che stanno spedendo a morire tra due giorni?

Peter rimane fermo, fumante, stringendo i pugni. Sente la voce di Stane nelle orecchie, le sue provocazioni, le minacce, tutto ciò che ha detto sui suoi genitori. Ci sono degli uomini dell’età di Stane, lassù, che chiacchierano, muovendosi qua e là con calici di vino in mano. Peter si chiede quanti di loro abbiano contribuito a quello che è successo ai suoi genitori. Quanti di loro l’abbiano visto, quanti di loro abbiano riso.

Non guarda di nuovo Bruce. La sua mente si annebbia, come se fosse bloccato in una palude profonda con un singolo raggio di luce a guidarlo, e rompe gli schemi. Vede lì i materiali per assemblare dei rozzi spara-ragnatele, come si è allenato a fare con Tony. Non sono neanche lontanamente all’altezza di quelli che gli ha procurato Sam, ma serviranno allo scopo e si mette al lavoro. Li assembla, lanciando occhiate al tavolo e al resto dei materiali forniti, e per fortuna può fabbricare anche il fluido. Ignora il palmare, non pensa neanche alle simulazioni, e impiega la maggior parte del tempo concessogli a rifinire gli spara-ragnatele e a srotolare i fili.

Estrae il materiale appiccicoso, testandone la resistenza, e si allunga e si torce esattamente come vuole lui. Ne ha fabbricato abbastanza nelle scorse due settimane da sentirsi esperto, ed è suo, è qualcosa che ha creato lui, qualcosa che conosce e di cui di fida.

Tutti stanno ancora ridendo. Nessuno a parte Bruce lo sta guardando, e si sente bloccato tra una rabbia bruciante e l’accasciarsi in ginocchio per vomitare.

Concentrati, concentrati.

Carica il fluido dentro gli spara-ragnatele, e si assicura che la traiettoria sia diritta. Una voce in fondo alla sua testa gli dice di non farlo, un misto della sua voce, di quella di May, un pizzico di quella di Tony. Ma quella di Ben no, e ciò lo fa osare ancor di più, quasi ebbro all’idea di ottenere la loro attenzione.

Assicura gli spara-ragnatele ai polsi quando è pronto, e mira a uno degli uomini più anziani nell’angolo, che continua a tener sollevato il bicchiere in un eterno brindisi. Peter spara e la ragnatela decolla, inchiodando la mano dell’uomo al muro. Peter si sente il cuore in gola, perché adesso lo stanno guardando tutti, e spara di nuovo, staccando la decorazione in cima alla fontana e appiccicandola al petto di un uomo. Riempie di ragnatele il bersaglio delle freccette, e appiccica l’estremità di una stecca da biliardo alla mano di un altro.

C’è silenzio, adesso. Lo sgomento li avvolge come fosse tangibile, e Peter cerca di impedirsi di tremare. Si toglie gli spara-ragnatele, sapendo che questa potrebbe essere l’ultima volta che gli è permesso di usarli, e li posa sul tavolo. Si fa indietro di qualche passo e allarga le braccia, inchinandosi.

“Grazie per la vostra attenzione,” dice, deglutendo a fatica.

Intercetta l’ombra di un sorriso sul volto di Bruce.

Peter si volta per abbandonare la stanza, lasciandosi dietro un silenzio nuovo e denso, e cerca di rimanere impettito mentre si avvicina alla porta, cerca di tenersi alto e fiero, senza vacillare. Il Pacificatore la apre, e stavolta quando la attraversa c’è luce, tutte le lampade sono accese, e c’è un altro Pacificatore in piedi di fronte alla porta successiva.

Peter contrae la mascella, fissandolo. Fa qualche passo avanti, a mento alto, e non esita. Sii come Iron Man. Sii come Iron Man. No… sii come Spider-Man. Sii la persona che pensano che tu sia. Sii colui che ammirano.

Si avvicina, abbastanza da trovarsi faccia a faccia con quel tizio, se non si nascondesse dietro a una maschera. Continua a fissarlo e, finalmente, il Pacificatore si fa da parte. Peter afferra la maniglia e cerca di non muoversi troppo in fretta, dando l’impressione di scappare, e la spinge oltrepassandola.

MJ lo sta aspettando, con un altro Pacificatore accanto. I suoi occhi si illuminano nel vederlo e gli si fa incontro; entrambi si avviano immediatamente all’uscita alla fine del corridoio.

“Stai bene?” chiede lei. “È successo qualcosa?”

“Uh, ho fatto qualcosa di stupido,” dice lui, tornando in sé e riavvolgendo in testa la pellicola propria sessione.

“Cosa?” chiede lei, brusca.

“Te lo dico fuori,” dice lui, con un sospiro.

Non sa dire se lo stia fissando mentre camminano, ma non si guarda indietro per paura di ciò che potrebbe dire. “Qualunque cosa tu abbia fatto,” dice lei, “sono fiera di te.”

Stavolta la guarda, proprio prima di raggiungere la porta, e la vede sorridere, fissandolo intentamente. Sorride di rimando, godendosi il momento prima di dover affrontare le conseguenze delle proprie azioni, che, innegabilmente, sono state stupide. Prega che non risulteranno in nulla di troppo serio.

Attraversano la porta e Peter vede Tony e Janet là di fronte, con Hammer a un paio di passi di distanza, chinato su un palmare. Tony gli si fa incontro all’istante, e quando è abbastanza vicino lo prende per il mento, girando e rigirando il suo volto per esaminarlo.

“Io sono andata bene,” dice MJ a Janet.

“Davvero?” chiede lei di rimando.

“E non hanno fatto come l’altra volta,” dice Peter, con un cenno a Tony.

“Quindi cosa è successo?” chiede lui, assottigliando gli occhi. “È andata bene?”

“Porca troia,” esclama Hammer. Si gira, riunendosi al gruppo, tenendo stretto il suo palmare. “Non l’hai fatto davvero,” dice, guardando Peter.

“Invece sì,” dice Peter, sentendo freddo.

“Aspetta,” interviene Tony, e prende il palmare dalle mani di Hammer. I suoi occhi scorrono qualunque messaggio ci sia là dentro, e Peter aspetta con ansia, con troppe cose che gli passano per la testa. Non li ha feriti, questo è certo. Li ha solo… immobilizzati. E le ragnatele si possono tagliare con dei coltelli… con dei coltelli molto affilati, quindi dovrebbero liberarsene senza problemi.

Da una parte vorrebbe non averlo fatto, perché è stato rischioso e ha corso troppi rischi, ultimamente. Ma si è infuriato, è entrato in quello stato d’animo in cui si trova spesso qui, quando la loro insensibilità e palese disgusto per tutti quelli dei Distretti lo fa sentire come se non potesse fare altro che combattere. Deve controllarsi. Mancano solo due giorni.

Ma quelle persone non saranno nell’arena. E la sua rabbia si riversa su di loro, erompe a tutta forza quando ci sono loro di mezzo. Il governo, i Pacificatori. Stane.

“Cristo,” dice Janet, leggendo da sopra la spalla di Tony.

“Va tutto bene?” chiede Peter. “Sono… sono nei guai, oppure sta arrivando qualcuno a prendermi, o qualcosa del genere? Dio, non se la prenderanno con May o Ned per questo, vero? Posso scusarmi, posso rientrare là dentro proprio–”

“No,” dice Tony, alzando lo sguardo su di lui. Un piccolo sorriso si sta facendo strada sul suo volto. “No, questo… avviene a porte chiuse, quindi non renderanno niente pubblico.” Trattiene una risata nasale, coprendosi la faccia col palmo, e non c’è rabbia né preoccupazione nei suoi occhi. “Per la miseria,” dice, scostando la mano. “Le ragnatele, erano… erano così forti?”

“Sì,” replica Peter, timidamente. “Non l’avevo pianificato, stavo… stavo per fare quello che avevamo concordato, ma poi tutti stavano… parlando e facendo casino e giocando e bevendo e… e mi sono arrabbiato.”

“Wow, Peter,” esclama MJ, alzando anche lei lo sguardo dal palmare.

Si sente scaldare le guance, e abbassa gli occhi.

“Dio, avrei dato di tutto per vederlo,” dice Tony, schioccando la lingua.

“Sei sicuro che sia tutto a posto?” chiede Peter, alzando le sopracciglia verso di lui.

“Oh, sì,” dice Tony, dandogli una pacca sulla spalla. “Più che a posto. Potresti aver messo a rischio il tuo secondo tredici, ma chi se ne frega dei loro voti. Le scommesse sono già avviate.”

“Torniamo a casa,” dice Janet. “In teoria stanno preparando qualcosa di speciale da mangiare per quando guarderemo i punteggi.”

Si dirigono insieme all’uscita e Peter prende il palmare di Tony, dando un’occhiata ai commenti sulla sua sessione prima di restituirlo ad Hammer. Hammer gli fa un cenno del capo, facendolo scivolare nella borsa.

“Hai le palle, ragazzo,” commenta poi.

“È solo che non penso prima di fare le cose,” dice Peter, liberando un respiro mentre si accodano agli altri. “Io, uh, avevo intenzione di ringraziarti, qualche tempo fa.”

“Ringraziarmi?” chiede Hammer. “Per cosa?”

“Per quello che è successo alla festa in giardino,” risponde Peter. “Hai cercato di aiutarmi, ti hanno ferito per questo e, insomma… grazie.” Abbassa lo sguardo sulle proprie mani, per poi rialzarlo su Hammer. “Sei migliore di loro, sai.”

“Certo che lo so,” ribatte Hammer. “Sono migliore della maggior parte della gente che incontro. E prego. Quelle teste di cazzo devono darsi una calmata.”

Nonostante molte delle mancanze di Hammer, nonostante sia uno di Capitol dalla testa ai piedi, Peter vede in lui qualcosa di più, dopo averci passato un po’ di tempo insieme. Pensa con la sua testa, non li segue ciecamente in ogni decisione e scelta. Vorrebbe far evadere anche lui, ma non sa come. Non sa come apparirebbe, a un occhio esterno. E non sa come reagirebbe Hammer di fronte a una cosa del genere.

Continuano a camminare, e cerca di non pensare troppo.
 
§
 

Si siedono davanti alla TV con piatti colmi di aragosta e zampe di granchio direttamente dal Distretto Quattro, e guardano i punteggi man mano che vengono trasmessi. La maggior parte non cambia molto, solo uno o due punti in meno o in più, e molti rimangono gli stessi. Steve arriva a un dodici, Natasha rimane dov’è. Ancora nessun tredici, e Peter conclude che non ve ne saranno affatto, perché si è sicuramente giocato il suo. Sorprendentemente, si mette il cuore in pace. Non pensa che ne soffrirà molto in ogni caso.

“Michelle Jones, Distretto Dodici, la nostra bellissima Dalia Nera,” annuncia il Gran Maestro. “Ha ottenuto un punteggio di… dodici.”

La stanza si colma di respiri trattenuti e di un piccolo applauso da parte di Tony.

“Michelle, è meraviglioso,” dice Janet.

“Ben fatto, ragazza,” dice Tony, rivolgendole un gran sorriso.

“Sei salita,” commenta Peter, e avrebbe la tentazione di abbracciarla, come ha già fatto, di stringerle la mano, qualunque cosa, ma si limita a un sorriso.

Lei scrolla le spalle. “Di nuovo, non me ne frega nulla di quello che dicono. E neanche a te dovrebbe,” dice, spaccando una zampa di granchio.

“Ha ragione, Pete,” dice Tony. “Qualunque cosa dicano, non ha importanza.”

“E dulcis in fundo, il nostro fantastico Spider-Man,” dice il Gran Maestro.

Peter trattiene il fiato, preparandosi.

“Ha ottenuto un punteggio di… wow, tredici. L’unico tredici di oggi e l’unico doppio tredici sul tabellone. Spero che tutti abbiano scommesso di conseguenza!”

Peter guarda fisso di fronte a sé, a bocca aperta ma con tutte le parole bloccate da qualche parte in gola. Sente un altro assurdo fischio nelle orecchie.

“Woha,” esclama MJ.

“Ma che cazzo…” esala Peter, interrompendosi, e si gira verso Tony.

Lui sta ancora guardando la TV, con lo shock che trapela anche dalla sua espressione. “Quindi, uh. Insomma.”

“È un… è un bersaglio, vero?” chiede Peter, con la pelle d’oca sulle braccia.

“Credo di sì,” replica Janet, picchiettando delicatamente la forchetta sul bordo del piatto. Scambia un’occhiata fugace con Tony, per poi continuare: “L’Uno e il Due faranno probabilmente gruppo per darti la caccia.”

Peter annuisce, mordicchiandosi l’interno della guancia, e ripensa a Beck.

“Ma lo sapevamo,” dice Tony, rapido. “Lo avevamo previsto.”

Peter si chiede se gli avrebbero dato un tredici a prescindere dalla sua performance, ed è lieto che, almeno, è stato in grado di mostrare loro qualcosa. Qualcosa che li ha colti di sorpresa.

“È andata come è andata, e va bene, è tutto a posto,” dice Tony, stringendogli la spalla. “Finisci di mangiare, su. Questo è uno dei pasti migliori che faremo per un po’ di tempo, se tutto va come deve andare.”

Peter irrigidisce la mascella e annuisce, pensando di nuovo al Dopo. Si chiede come sia il cibo nel Tredici. Riesce a malapena a immaginarlo, perché il Tredici fino a poche settimane fa non era neanche reale nella sua testa. “Andrà tutto come deve andare,” dice poi. “Tutto… tutto andrà come vogliamo noi.” Cerca di costringersi a crederci. Sarà il loro testimonial, se significherà l’inizio della fine per Capitol e ciò che hanno fatto a Panem. Lo sarà per tutto il tempo necessario.

“Giusto,” dice Tony. “Andrà tutto bene.”
 
§
 

Gli Hunger Games sono domani. Peter continua a pensarci, ancora e ancora, come i versi di una canzone che non vuole conoscere. Fa colazione, gli Hunger Games sono domani. Ha un incontro con i fan, gli Hunger Games sono domani. Un uomo di nome Sinclair gli fa delle domande, gli Hunger Games sono domani. Una bambina gli sussurra all’orecchio che spera che vinca lui, gli Hunger Games sono domani. Ogni minuto gli sembra rubato, ed è furioso che passi, e cerca di ripetersi che è fortunato se l’intervista del Gran Maestro è nel pomeriggio, così avranno la sera e la notte libere.

La sua ultima notte. Vorrebbe pensare che sia la sua ultima notte da persona libera, ma non è mai stato libero da quando è arrivato qui. In realtà, non sono mai stati liberi. Peter pensa a tutti gli infiltrati di cui gli hanno parlato Thor e gli altri. Si aggira sul territorio di Capitol e pensa alla rivoluzione che cova. Pensa che presto tutto sarà diverso. Presto, se le cose andranno per il verso giusto, ne farà parte. Combatterà come hanno fatto i suoi genitori, contro coloro che li hanno oppressi, costretti in situazioni di cui non volevano far parte.

Peter vuole una vita vera.

E prega e prega e prega. Soffoca gli Hunger Games sono domani con le preghiere. Con pensieri di come potrebbe essere la vita, se riusciranno a raggiungere la vera libertà. Una vera vita, senza tutto questo. Riesce a malapena a immaginarselo, e allo stesso tempo se lo immagina troppo.

È dietro le quinte con indosso il nuovo costume di Spider-Man, spalla a spalla con Sam, e c’è troppo silenzio quaggiù. Scocca un’occhiata laterale e vede Steve, affiancato a Natasha; lui è vestito di rosso, bianco e blu, lei completamente di nero. Shuri intercetta il suo sguardo e gli fa un cenno di saluto, che lui ricambia, prendendo nota del sogghigno che M’Baku invia nella sua direzione.

“Tony mi ha mandato un messaggio, dice che Beck ha parlato di te nella sua intervista,” dice Sam.

“Cosa?” chiede Peter, stringendo gli occhi e preso alla sprovvista dalla notizia.

“Niente di troppo strano, ha detto solo che ti terrà d’occhio nell’arena,” dice Sam. “È stato piuttosto ambiguo, nel senso… tenerti d’occhio o… tenerti d’occhio, non so se mi spiego.”

Peter sospira.

“Sarai perfetto,” dice Sam, dandogli una pacca sulla spalla. “Questa è l’occasione per giocare sul senso di colpa. Fa’ capire loro che tutto questo non va bene, che non vuoi morire. Conquistali a suon di umanità. Le domande si concentreranno più sui Giochi, sulle famiglie e la possibilità di vincere, o di, uh, non vincere, e te la cavi molto bene con gli occhi dolci.”

Peter sorride, scuotendo la testa. “Non lo faccio apposta,” ribatte.

“Già, è per questo che funzionano,” dice lui. “Ehi.”

Peter si gira per guardarlo.

“Uh, quello a cui stai pensando, che hai in testa, riguardo ad ora, a quando sarai lì, al dopo, riguardo a– a ciò che dovrai fare, quello che avete pianificato… so tutto,” dice, e i suoi occhi sono acuti, le sue intenzioni chiare. “E non mi è permesso scommettere, ma se potessi, scommetterei su di te. Capisci quello che intendo? Sto con te. Okay?”

Peter ha un brivido e annuisce, perché sa ciò che intende.

“Tutti gli stilisti sono con te,” dice Sam. “E la maggior parte degli accompagnatori. Incluso Hammer. Siamo con te.”

“Oh,” esala Peter, sentendosi girare la testa. “Wow, uh.”

“Già,” replica Sam. “Tutti sanno cosa dire e cosa fare. Okay?”

“Okay,” mormora Peter. Gli fa venire i brividi. C’è così tanta gente che conosce. Molta di più che non conosce.

Sam gli fa un cenno, rivolgendogli un sorrisetto storto, poi abbassa lo sguardo sul bracciale che ha al polso. “Mi hanno dato il segnale,” annuncia. Gli dà un’altra pacca sulla spalla, accompagnata da un ultimo sguardo eloquente. “Ce la puoi fare, Peter. Fai come abbiamo detto, sii sincero, scioccali. Butta giù quel palco, cazzo. Non preoccuparti di sembrare tenero. Va bene così, fai come ci siamo allenati a fare. Ti amano già. Ricorda loro perché.”

Peter annuisce, per poi abbracciarlo con slancio, stringendolo forte. Sam ride, dandogli una pacca sulla schiena e cingendogli la nuca.

“Sei un bravo ragazzo,” dice Sam, con la voce che gli si incrina un po’. Si ritrae, con un ultimo cenno d’assenso per rassicurarlo. “Vai, prima che il Gran Maestro invii una squadra di ricerca.”

“Va bene,” mormora lui. “Va bene, va bene.” Si volta e sale gli scalini, preparandosi alle luci accecanti. E lo accecano, facendo scomparire ogni cosa, ma cerca di non trasalire e avanza con più sicurezza dell’ultima volta.

Il pubblico è impazzito.

“Eccolo qui, eccolo qui, eccolo qui, signore e signori!” esclama il Gran Maestro, e le luci si inclinano verso l’alto, permettendogli infine di vedere. Sembra esserci molta più gente rispetto alla prima intervista: il pubblico straborda nei corridoi tra i sedili, altri sono quasi uno sopra l’altro, e Peter individua subito Tony, Janet, Thor e Carol proprio in mezzo alla folla, mentre lo applaudono e lo salutano.

“Fatti avanti, fantastico Spider-Man,” lo esorta il Gran Maestro, facendogli strada verso la nuova poltrona sul palco, più alta dell’ultima e di un bianco candido. “Siedi, siedi, siedi, mettiti comodo.”

“Grazie,” dice Peter, sorridendogli e accomodandosi nella poltrona dallo schienale rigido mentre gli applausi si smorzano. “È, uh, bello vederti di nuovo.”

“È bello vedere te, con un bel completo nuovo, vedo,” dice il Gran Maestro, e la gente riprende a esultare. “Sam Wilson è semplicemente… insomma, non potrei lodarlo abbastanza, ad essere sinceri.”

“Vorremmo davvero poter indossare i suoi lavori nell’arena,” tenta Peter.

“Oh, sì, quello sarebbe meraviglioso,” dice l’altro. “Sfortunatamente nell’arena preferiamo il pendant, ma magari un giorno potremo offrire più scelta in questo ambito. Presidente Stane, ha sentito?” guarda in alto, ridendo, e qualcuno applaude.

“Già,” replica Peter. “Magari un giorno.”

“Sì, sì,” concorda il Gran Maestro, chiaramente pensando a molti altri Hunger Games futuri. “Adesso, Peter, tu sei l’unico Tributo quest’anno ad aver ricevuto un punteggio di tredici, e in entrambi i giudizi, inoltre. Come diavolo ci sei riuscito?”

“Non so se me lo merito,” dice Peter, abbassando lo sguardo sulle proprie mani in grembo. “Non sono sicuramente meglio della maggior parte degli altri Tributi, soprattutto non di Michelle.”

“Beh, il consiglio non sembra pensarla così,” dice il Gran Maestro. “Anche se lei c’è andata vicina.”

“Non so come ho fatto,” ripete Peter, chiedendosi che impressione stia dando. “Ho solo… fatto del mio meglio.”

“Ma guardatelo, signore e signori, il nostro ragazzo è così umile.”

Una serie di applausi tonanti segue quell’affermazione, e Peter sorride appena tra sé.

“È tutto merito di Tony,” dice Peter, cercandolo con lo sguardo nel pubblico. “Mi ha insegnato tutto ciò che so, e… e sta facendo del suo meglio per tenermi vivo. Non vuole perdere qualcun altro. Vuole salvarmi, aiutarmi a salvare me stesso.”

Il pubblico reagisce alle sue parole, e all’increspatura nella sua voce.

“Lo vogliamo tutti,” dice il Gran Maestro. “Tutti, tutti quanti. Dio benedica Tony Stark.”

Peter annuisce mentre il pubblico grida il proprio consenso, e vede Tony ricambiare, indicando però lui sul palco.

“Quanto ti senti preparato per l’arena?” chiede il Gran Maestro. “Sappiamo tutti che è spaventoso, pensare di andarci, soprattutto considerando che non sappiamo nulla di ciò che vi aspetta. La sorpresa è sempre incredibile, ogni anno.”

“Non so se qualcuno possa sentirsi pronto, anche se dice di esserlo,” dice Peter, cercando di inghiottire la paura. “Non possiamo fare piani in anticipo, possiamo solo allenarci, cercare di migliorare, ma è… impossibile essere davvero preparati, considerando che andiamo alla cieca. Riesco solo a pensare a cosa potrebbe succedere se… se, beh, accadesse il peggio.”

“Il peggio.”

“Mia zia ha già perso suo marito,” dice Peter, e le lacrime che arrivano sono vere, per fortuna. “Mio zio. E io… Dio, non voglio… non voglio lasciarla sola. Non voglio che si trovi costretta a seppellirmi.” Non sa nemmeno se alle famiglie sia concesso seppellire i corpi. Pensa proprio di no. Scommette che non glieli fanno neanche vedere.

La gente inizia a mormorare, alcuni gridano cose che Peter non riesce a sentire chiaramente, e c’è molto movimento. Il Gran Maestro sembra scioccato, e si sporge in avanti, prendendogli la mano.

“L’ultima volta ho detto che non voglio lasciarvi,” continua Peter, “e non voglio, ma… ma non so se i regali degli sponsor saranno abbastanza. Con quello che ci manda contro Capitol, quello che ho visto negli scorsi Giochi…”

Sente qualcuno che urla NIENTE PIÙ MUTANTI, e ci sono altri mormorii, più agitazione.

“… insomma… non mi sento preparato,” dice infine. “Non credo ci sia modo per nessuno di noi di esserlo. È come un incubo. Non sai mai quello che faranno.” È sul bordo, in equilibrio sull’orlo del precipizio. Ogni parola è un’arma.

Il Gran Maestro sembra preso alla sprovvista, il che è raro da vedere, e Peter cerca di sfruttarlo a proprio vantaggio.

“Se ci ripensate, in tutti gli anni passati, ci sono stati… così tanti morti,” dice Peter, rivolgendo lo sguardo al pubblico. “Ventitré, ogni anno, per sessant’anni. Non voglio essere fra loro. È questo che continuo a pensare. Morto, andato.”

“No, no, Peter,” dice il Gran Maestro, stringendo la mano di Peter. “Hai ottenuto quei tredici per una ragione.”

“Temo che qualcuno potrebbe considerarli una ragione per prendermi di mira,” dice Peter, e c’è ancora qualche richiamo da parte del pubblico. Vede dei palmari che spuntano fuori, e si chiede cosa stiano facendo. “E lo capisco. Anche loro vogliono vivere.”

“Ma tu sei forte,” dice il Gran Maestro. “Sei in grado di farcela.”

“Siamo solo persone,” replica Peter. “Persone che vogliono rimanere in vita. Non voglio uccidere nessuno. Penso che potrei, penso davvero, adesso, di… come hai detto tu, di essere in grado, ma semplicemente… non voglio farlo. Come si può? Riuscite a immaginarlo?”

Altri mormorii, altri palmari, e Tony lo sta guardando fisso.

“È molto difficile,” dice il Gran Maestro. “È per questo che tutti i Tributi vengono addestrati ad essere così… così forti, così abili, i cittadini di Capitol potrebbero… insomma, non potrebbero… neanche provarci, ne sono sicuro…”

“Come ho detto in precedenza,” riprende Peter, “farò tutto ciò che posso per… per sopravvivere. Ma so che tutti gli altri faranno esattamente la stessa cosa, non li biasimo, è solo che… quanta morte possiamo sopportare? Prima che il suo fetore rimanga con noi, per sempre?” Scuote la testa in direzione del pubblico, e alcuni di loro sembrano orripilati, alcuni digitano sulle tastiere. Peter vede Tony controllare il proprio palmare e scorrere qualcosa. “Tutti vogliamo soltanto vivere. È ciò che ci motiva. Vogliamo uscire dall’altra parte.”

“È molto difficile, questo è certo,” dice di nuovo il Gran Maestro, chiaramente impaziente di dirottare il discorso. “Ma io so – riesco a vederlo – che tu riceverai tutto ciò che ti servirà.”

“Lo spero,” dice Peter, e abbassa di nuovo lo sguardo non appena il Gran Maestro gli lascia la mano. “Vi ho detto che Tony è stato il mio eroe sin da quando ero bambino e… e non voglio che mi veda morire. Voglio vivere la mia vita e riuscire a conoscerlo al di fuori di tutto questo… voglio che sappia chi sono veramente, senza che debba farmi da mentore. Vorrei… vorrei averne la possibilità.”

Il pubblico mormora, alcuni si asciugano gli occhi, e Carol si sporge per sussurrare all’orecchio di Tony.

“E la avrai,” afferma il Gran Maestro. “Ho in te la più assoluta fiducia, Peter Parker. Ti immagini come sarà, vincere? Uscirne vivo, come vuoi fare così disperatamente?”

“Sarebbe molto... silenzioso,” dice Peter, con una lacrima che gli riga il volto. “Mi chiedo quanti di voi abbiano perso delle persone. Quanti le abbiano viste andarsene. È una… cosa difficile da accettare. Essere la persona che sopravvive agli altri.”

“Certamente,” concorda il Gran Maestro. “Certamente, è così.”

Peter non sa se stia dando l’impressione che dovrebbe dare, e si sente in trance, spezzato e abbandonato ai propri pensieri, dando loro forma nel posto sbagliato. Non sa se l’impatto che sta avendo sia giusto. Sta parlando in codice, raccontando metà della storia. Perché sa che, anche a questo punto, non può spingersi troppo oltre. Non può spingersi oltre.

“Voglio solo… essere al sicuro,” dice. “Voglio che le persone siano al sicuro.”

“Assolutamente,” replica il gran Maestro.

“Ma quello che voglio dire,” continua Peter, “è che non importa cosa accadrà, come andranno le cose, voglio essere qualcuno che… qualcuno che potrà essere ricordato.” Sente qualcuno che piange, alcuni stanno scattando delle foto, anche se non è permesso. “Voglio essere qualcuno che possa… dare l’esempio. Non– non ho mai voluto essere qui, mi sono offerto volontario senza pensare perché voglio bene al mio migliore amico e non volevo vederlo morire, ma non– non voglio essere perduto, come tanti altri.”

“Non potremmo mai dimenticarti, Peter,” dice il Gran Maestro. “Non potremmo mai.”

Sente qualche coro di mai! Mai! e hanno un seguito, diventando più sonori.

“Vorrei solo che le cose fossero diverse,” dice Peter. “Ma adesso sono qui.”

“Adesso sei qui.”

“Se vinco…” comincia, interrompendosi. “Beh, se vinco, spero che… vinceremo tutti. Perché sarò qui per voi, e per tutti coloro che mi hanno aiutato a sopravvivere.”

Qualche fischio, qualche esclamazione.

“Vorrei solo che le cose fossero diverse,” ripete Peter. Vuole che quel concetto sia chiaro. Diverso. Perché se il piano funziona, tutto sarà diverso.

ANCHE NOI! ANCHE NOI! LO VOGLIAMO!

“Stai pensando a Michelle?” chiede il Gran Maestro.

“Sì,” dice Peter, senza fiato. “Ci penso ogni giorno. Ogni volta che mi tiene la mano o mi guarda. Penso a tutti loro, a tutti i loro volti, tutti quelli di quest’anno. E degli anni passati… James Rhodes, Maria Rambeau. Danny Rand. Hank Pym. Hope Van Dyne. Ci sono così tanti nomi. Non voglio… non voglio che nessuno di noi finisca su quella lista.” Sta ondeggiando sull’abisso. Pericoloso. “Voglio solo… che ci sia una luce in fondo al tunnel.” Una vita diversa, per tutti. Niente più Hunger Games. Vuole dirlo. Vuole che lo sentano tutti.

“Ma ti difenderai, vero?” chiede il Gran Maestro. “Ti ho già chiesto una cosa simile, in precedenza, e sei stato… intrigantemente vago.”

“Sarò sincero con voi, non riesco ad accettarlo,” dice Peter. E poi cambia la sua linea di pensiero – fa un’inversione a U rispetto al destinatario del messaggio, di chi immagina, e spera che gli infiltrati là fuori stiano guardando, quegli influenzabili cittadini di Capitol che potrebbero essere dalla loro parte se spinti nel modo giusto. Pensa al governo, al Consiglio dei Giochi, ai Pacificatori. Stane. Le persone che vuole combattere. “Ma mi difenderò. Sì. Farò tutto ciò che posso per difendermi. Cosa non faremmo, per essere liberi? Di tutto. Non se lo aspetteranno mai, da me.”

“Wow,” esclama il Gran Maestro. “Eccolo qua.”

Peter annuisce, deglutendo a fatica.

“So che c’è molta emozione al momento,” continua poi. “Comprensibilmente–”

E poi il clamore del pubblico diventa troppo forte, e cominciano tutti a dire la stessa cosa. In coro, ripetendola all’infinito:

“SALVATE PETER PARKER! SALVATE PETER PARKER! SALVATE PETER PARKER!”

A Peter cade la mandibola, e li fissa ad occhi sgranati. Gli si secca la bocca e sente i brividi attraversagli tutto il corpo, sotto il costume.

“Li senti?” chiede il Gran Maestro, cercando di farsi sentire. “Stai tranquillo, signor Parker. Penso proprio che siano dalla tua parte.”

Il Gran Maestro gli prende la mano e lo fa alzare in piedi, presentandolo a tutti, e loro continuano a urlare in coro, non si fermano, non si fermano, e le parole quasi non sembrano più parole.

Anche Tony, Carol, Thor e Janet si uniscono al coro.

 
§
 

Salgono in macchina subito dopo le foto di gruppo dei Tributi, e fuori c’è ancora il sole. Ancora qualche ora di luce.

“Sei andato bene,” dice Tony, dandogli una pacca sul ginocchio. “Sei andato davvero bene.”

“Stavo dicendo quello che volevo dire, ma non stavo comunque dicendo quello che volevo dire,” dice Peter. “Sembravo per metà egoista, per metà spaventato, e il resto era… a un passo così da cose che non avrei il permesso di dire. Cose per cui ti uccidono e torturano. Avevo già un bersaglio sulla schiena e adesso è ancora più grande.”

“Invece no,” ribatte Tony. “Andava bene, okay? Hai guadagnato simpatie. Sei qualcuno in cui tutti si possono rispecchiare. Vuoi sapere cosa stavano facendo coi palmari mentre parlavi? Eh?”

“Cosa?” chiede Peter. “Parlavano di me sulle chat?”

“No,” replica Tony. “Anche se sono certo che lo stiano facendo adesso. No, si stavano iscrivendo per diventare sponsor. Alcuni di quelli che ho ricevuto non si schierano mai coi distretti minori. Mai. E ho ricevuto ventisei sponsor in quei dieci minuti, ragazzo. Sei vero, sei schietto, dai loro speranza, li stai facendo pensare a cose che probabilmente non hanno mai considerato. A volte devi aggirare le regole del loro gioco per ottenere qualcosa. Alcuni ci hanno provato prima, ma… tu lo fai e basta. Non fai finta.”

Peter si asciuga gli occhi, annuendo. Dà un’occhiata a Janet e MJ, e MJ lo sta guardando. Ha sempre paura che gli volti le spalle per via di tutta la stupida attenzione che attira, ma lei non lo fa mai. Sorride e basta, rispondendo con un cenno a qualcosa che le ha detto Janet.

“Fai finta che non sia domani,” dice Tony, mentre la macchina fa una curva. “Fai finta che non esista. Stanotte è la nostra notte, della nostra squadra. Non accadrà nient’altro.”

“Non so se ne sono in grado,” replica Peter.

“Certo che lo sei,” dice Tony. “Ci sono tre tipi di stufato di mais che ci aspettano nell’attico, ragazzo. Tre.”

Peter sorride tra sé. “Okay,” cede. “Insomma, è… è un inizio.”
 
§
 

“E se ne stava là di fronte al Pacificatore,” dice Peter, ridendo così forte da riuscire a malapena a respirare, “e gli fa: ‘scusi, è solo… che è finita oltre il confine. E so che noi non possiamo andarla a prendere…
’ 

“E ci è andato lui?” chiede MJ, sogghignando.

“Sì,” ride Peter, prendendo un’altra cucchiaiata di stufato. “Ben è rimasto lì, si è… radicato sul posto, e May era sul retro a riparare la sedia del portico cercando di non ridere…”

“Quello stronzo,” dice Tony, interrotto da una risata nasale, “pensava che tuo zio avesse lanciato un pallone da calcio a centocinquanta metri da là? Come minimo?”

“Sono scemi come polli,” sorride Janet.

“Oh, questo qua sì,” dice Peter, ridendo ancora nel ricordare la faccia di Ben. “Quindi se n’è… andato via marciando nella foresta, e ha lasciato aperta la porta del bar, così i proprietari sono riusciti a dare a noi tutto quello che voleva far loro buttare.”

“Bravi,” conviene MJ. “Che idiota.”

“Già, e poi abbiamo distribuito tutto,” continua Peter, sorridendo a tutto spiano. “A quel tipo ci sono voluti cento anni per andare là fuori e trovare la palla. Ben era così felice.”

“Lo adoro,” dice Tony, ridacchiando tra sé. “Jan, tutto questo mi ricorda quello che hai fatto al Giorno di Festa…”

“Il Giorno di Festa,” sbuffa Janet. “Ovvero il giorno del ‘date a tutti una patata extra’”

“Aspetta,” dice MJ, chinandosi sui gomiti. “Aspetta, aspetta, sei stata tu? Quella volta?”

“È stata lei,” dice Tony, con orgoglio. “Era la nostra Janet.”

Janet prende un sorso di sidro e solleva le sopracciglia. “Ho dovuto solo distrarne tre, scalare un recinto, prendere tre sacchi pieni di patate dal loro posto e ammassarli…”

“Me ne ha tirati addosso quattro, da sopra il recinto,” interviene Tony. “Mi ha quasi steso, cazzo.”

Peter quasi si piega in due dalle risate, immaginandosi la scena. Si ricorda quell’episodio delle patate, circa tre anni fa. Avevano avuto la pancia piena per davvero, quel giorno di festa, a differenza di tutti gli altri.

“Ehi, prendi,” recita Janet, e lancia una pagnotta a Tony.

“Ehi, ehi,” protesta lui, deviando il colpo, e tutti e quattro guardano il pane rotolare e fermarsi al centro del tavolo.

MJ chiude gli occhi, sorridendo tra sé. “Sto pensando al piano che funziona,” dice. “A tutti quelli del Dodici che si trasferiscono nel Tredici. O in qualche posto migliore. Un posto dove nessuno dovrà più avere fame.”

“Un posto dove non dobbiamo rubare patate,” dice Janet.

“Un posto senza Pacificatori,” esala Peter.

“Funzionerà,” dice Tony. “Immaginate una vita senza le loro regole. Potersene stare seduti al sole nei campi quanto ti pare. Indossare ciò che vuoi, quando vuoi. Non doversi preoccupare di ogni parola che dici. Niente polizia di stato. Solo… solo…”

“Libertà,” completa Peter. “Pace.”

“Tutto lo stufato di mais che vuoi,” dice Tony, dandogli una spinta sulla spalla.

Peter sorride al solo pensiero.

“Potrei avere un giardino,” dice MJ. “Potrei leggere quello che voglio.”

“Potreste studiare quello che volete,” dice Janet. “Non solo quello che vi impongono.”

“May non dovrebbe preoccuparsi così tanto,” dice Peter. “Ned potrebbe essere felice.”

“Mia sorella non sarebbe in pericolo,” continua MJ.

“Potremmo scoprire com’era prima il mondo,” dice Peter. “Prima di tutto questo. Prima che arrivassero loro a prenderselo.”

“Niente più uccisioni,” dice Tony. “Niente morti.”

“Niente più Tributi,” aggiunge Janet. “Niente più Giochi.”

È come se un peso fosse scomparso dalle spalle di Peter, e per un lungo momento gli sembra possibile. Si sente in grado di respirare, riesce a immaginarsi il tutto, possono farcela, possono vivere.

La TV si accende rumorosamente sul muro opposto.

“ATTENZIONE, CITTADINI. QUESTO È UN MESSAGGIO RIVOLTO A TUTTA PANEM. LA VISIONE DEGLI HUNGER GAMES È UN EVENTO OBBLIGATORIO. SARANNO TRASMESSI IN TUTTI I DISTRETTI E IN TUTTA CAPITOL. I GIOCHI COMINCERANNO DOMANI ALLE 15 IN PUNTO. FELICI HUNGER GAMES, E POSSA LA FORTUNA ESSERE SEMPRE A VOSTRO FAVORE.”

Il frastuono si dissolve e nessuno di loro parla, col loro discorso, le speranze e i sogni che si spengono in uno sfrigolio come se non fossero mai neanche stati espressi.

Gli Hunger Games sono domani.

Domani, Peter potrebbe essere morto.



*


 
   Tradotto da: ever in your favor: the beginning of the end, di iron_spider da _Lightning_


Note:

[1] Ho utilizzato la traduzione del film poiché la preferisco, in quanto quella del libro, almeno dal punto di vista metrico, non coincide affatto con quella inglese.
[2] Il gioco di parole poster-posteri è voluto, in linea con l'inglese poster-posterity.

[3] Questa frase è stata un incubo di traduzione; l'originale era "Peter-Pick-me-up", letteralmente "consolazione di Peter/tirare su Peter". Pick-me-up è anche un modo informale per chiamare il tiramisù in inglese, quindi ho optato per renderlo così, mantenendo il significato letterale del dolce anche nell'espressione italiana.

Note della traduttrice:

Cari Lettori,
Eccomi qua, sebbene un po' in ritardo, ma è stata una settimana piuttosto piena e ci sono un paio di passaggi che mi hanno fatto leggermente uscire di testa nel tradurli. Spero che il capitolo vi sia piaciuto <3
Un grazie enorme a Eevaa e Paola Malfoy per aver commentato gli scorsi capitoli, e a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle loro liste!
Alla prossima (stavolta spero puntualmente),

-Light-
   
 
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