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Autore: Lila May    14/09/2019    4 recensioni
{Gianluca centric} {Venezia} {presenza di una madre scatenata, una turista un po' strana e uno stendino retrattile poco simpatico.}
Dal testo:
"In ogni caso, che ci fosse il sesso o non ci fosse, che Gianlu avesse scoperto cose brutte o no, la cara màre aveva bisogno un attimo delle sue attenzioni – e le sue mani da uomo tuttofare, anche se non sapeva fare niente –, perché le si era di nuovo inceppata la rotella riavvolgibile dello stendibiancheria. Quello retrattile, bellissimo, che le era costato pure troppo considerata la sua scialba funzione.
Purtroppo si era bloccato. E per la sesta volta nel giro di un mese. -Gianluca- lo chiamò, e gli mosse la caviglia con veemenza. Zanardi le rispose infilandosi il ghiacciolo in bocca, fino alla gola, e quando lo estrasse fece schioccare la lingua rossa, mettendo su una faccia da furetto malizioso. -Dimmi, màre.
-Mi servi.
-Per cosa...?- chiese poi, e si leccò le labbra rese fucsia dal colorante dell'amarena.
-Ho bloccato lo stendino.
-Non ci credo.
-Eh. Credici."
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gianluca Zanardi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zelosia.


 
 



C'era un posto, in quella casa, che a Gianluca Zanardi piaceva persino più della sua camera.

Un posto dove le urla selvagge e isteriche di sua madre si attutivano armonicamente contro il muro ricoperto di glicine e salgemma, diventando musica. Dove fare i compiti estivi sembrava quasi bello, coi libri illuminati dai raggi del sole veneziano, e un piatto pieno di fette d'arancia succose sistemato accanto al braccio. Dove ti sentivi vivo, in pace col mondo e sempre felice. Esatto, diventavi una sottospecie di fesso cronico. Un po' come Paolo Bianchi.
Un po', perché Gianluca Zanardi non ci teneva affatto, a diventare fesso. Né a diventare Bianchi. Ma quello, era un altro discorso.

Un posto magico, così gli piaceva definirlo.
Dove davvero bastava prestare la minima attenzione al resto del mondo per poter captare ogni suo singolo respiro. Lo scandire delle stagioni sembrava quasi non sentirsi, lì dentro. L'inverno non filtrava mai, l'estate non scioglieva mai nulla col suo bollore afoso e salato. Nemmeno il gelato.
E Gianluca questo lo sapeva bene, disteso sul divanetto di vimini con un bel libro aperto in una mano e l'altra mollemente indaffarata a reggere con nonchalance il bastoncino di un ghiacciolo all'amarena appena morsicato sulla punta.
Non c'era niente di meglio che oziare rinchiuso nell'altana. Era il suo paradiso, il suo spazio aperto e allo stesso tempo chiuso, perché sì, era fuori, sul tetto, ma le piante floride e turgide d'acqua e sole proteggevano ogni cosa che accadeva al suo interno, come quattro mura di spesso cartongesso. Persino una sana scopata a tutto volume – non che lo avesse mai fatto, eh – sarebbe parsa semplicemente il suono più ovvio e scontato di un intero ecosistema. E gli piaceva quell'atmosfera di pace, il profumo dei fiori mischiato all'odore del Canal Grande che scorreva proprio accanto all'abitazione, ogni tanto attraversato da qualche coraggioso vaporetto porta stranier– ehm, turisti. Sarebbe voluto rimanere lì per sempre.
La cosa più buffa non era tanto il fatto che stesse leggendo da due ore, ma il fatto che fosse in mutande. E che nessuno avesse ancora gridato commentando con orrore la colorazione lilla dei boxer, le cuciture leggermente strappate intorno alle cosce. Che gioia.
Cristo, che bello.
Stava proprio per voltare pagina, tutto preso dalla vicenda del romanzo, quando una mano lunga e dura una frana di sassi a punta gli afferrò di sorpresa la caviglia nuda, stringendo la morsa di cattiveria. La sua pace venne disturbata all'improvviso, e per questo motivo e forse tanti altri Zanardi emerse dalla trama thriller e cacciò un mezzo grido di spavento. Sollevò le iridi sgranate per vedere chi avesse osato entrare nel suo Eden privato, per trovarsi dritto dritto con un paio di occhi identici ai suoi. Sospirò. Ma che sorpresa, la màre*. Per un attimo si era dimenticato che ancora non viveva da solo.
Tornò alla lettura, concedendosi un'altra leccatina al ghiacciolo.
La signora Zanardi tuttavia non demorse dinanzi alla studiata indifferenza del figlio, e si sedette sul bracciolo del divanetto, scansandogli i piedi di lato per farsi posto. -Cosa fai?- gli chiese poi, osservando con orrore che si era riempito di peli nelle gambe, e che come tutti i peli, gli facevano un orribile contrasto sulla pelle, bianca come il latte. Questo quando? Si era persa un passaggio.
-Prova ad indovinare.- fu la laconica risposta del corvino, e non si aspettò una risposta. Risposta che invece arrivò, piena di ironica saccenza. Ecco da chi aveva preso. -Leggi?
La guardò, sollevando un folto sopracciglio nero. -Mh, che donna perspicace.
Elena ignorò il dolce insulto alla sua intelligenza e si allungò per leggere il titolo, lievemente interessata. Quando lo lesse, tuttavia, il suo viso si adombrò come il sole quando si nasconde dietro ad un separé soffice di nuvole nere. Alché Gianluca fu costretto, di nuovo, ad interrompere la sua lettura. -Che è?
-Sesso a Mezzanotte?
-Mh?
-Ma che ti leggi!? I PORNO?!
-NO MAMMA, cielo, no.
-Dove l'hai preso!?
-Dalla tua libreria.
-Cos..!
-E' un giallo, stai calma.
-Non voglio che leggi queste cose.
-Non parla di sesso.
-SESSO a mezzanotte.
-Il titolo è metaforico. Lo hai mai letto, almeno?
La signora Zanardi arricciò il naso circondato di lievi rughe, in loop completo. No, in effetti non lo aveva mai nemmeno aperto. Non ricordava manco di averlo comprato, quel libro, insomma, non era una che leggeva. Forse glielo avevano regalato. In ogni caso, che ci fosse il sesso o non ci fosse, che Gianlu avesse scoperto cose brutte o no, la cara màre aveva bisogno un attimo delle sue attenzioni – e le sue mani da uomo tuttofare, anche se non sapeva fare niente –, perché le si era di nuovo inceppata la rotella riavvolgibile dello stendibiancheria. Quello retrattile, bellissimo, che le era costato pure troppo considerata la sua scialba funzione.
Purtroppo si era bloccato. E per la sesta volta nel giro di un mese. -Gianluca- lo chiamò, e gli mosse la caviglia con veemenza. Zanardi le rispose infilandosi il ghiacciolo in bocca, fino alla gola, e quando lo estrasse fece schioccare la lingua rossa, mettendo su una faccia da furetto malizioso. -Dimmi, màre.
-Mi servi.
-Per cosa...?- chiese poi, e si leccò le labbra rese fucsia dal colorante dell'amarena.
-Ho bloccato lo stendino.
-Non ci credo.
-Eh. Credici.
-Ancora...?
La donna scattò in piedi come una molla quando il figlio si sollevò stiracchiandosi pigro, e iniziò a riempirlo di spiegazioni. -Stavo tirando il filo per raccogliere i panni, quando all'improvviso la rotellina si è fermata. Ho provato a sbloccarla–
-Non dirmi che l'hai rotta.
-No, no. Almeno credo.
Gianluca la guardò preoccupato, il ghiacciolo in bocca e la frangia dispersa a ciocche disordinate sulla fronte ampia e lievemente corrugata.
-Vieni a vedere.- gli disse, e iniziò a fare strada dentro casa.
-Màre, perché devi sempre rompere le cose nuove...?
-Non è colpa mia se il coso è difettoso!
- Trenta euro ed è difettoso? O forse sei tu, la difettosa?
-Raccogliti quei capelli, mi fai venire caldo.
-Sono miei, li tengo come voglio.
-Sistemami la fottuta rotella.
-Eeeeeh, màre, mo' lo faccio!
Raggiunsero la finestra da cui partiva lo stendino retrattile nuovo di sei mesi, ove tre bellissimi vasi di calendule colorate prendevano il sole intenso del mezzogiorno appena sbocciato. La signora Zanardi incrociò le braccia al petto, imbronciata, e si fece da parte per permettere al figlio di dare un'occhiatina al danno che ella stessa, purtroppo, aveva combinato. -Se non riparte, sono fottuta. Le tovaglie si scoloriranno, sotto quel sole. E poi, questi altri panni- e indicò la bacinella piena di vestiti, come a voler dare man forte alle sue lamentele, -Come li stenderò?
-Ora ci penso io.- Gianluca squadrò la rotella, dubbioso, e un bell' “E ora?” gli trapassò la mente da parte a parte. In realtà, a differenza dell'ottanta per cento degli uomini esistenti in quel pianeta, lui era il tipo di ragazzo che come lo mettevi davanti ad un marchingegno, te lo danneggiava ancora di più. Esatto, proprio come la màre. Non era portato per riparazioni last minute, né per correggere difetti ai motori. L'unica cosa che sapeva fare era montare lampadine stando in equilibrio su una scala e controllare che le gondole altrui non cadessero a pezzi, visto che tra qualche anno avrebbe ereditato il mestiere. E, almeno per i primi mesi, anche una tra quelle imbarcazioni.
Il resto si risolveva a pugni. Se gli ingranaggi ripartivano, bene.
Altrimenti, amen.
E in effetti fu proprio quello che fece. Strinse le dita in un bel gancio destro, sollevando la nocca del medio, poi tirò un pugno alla rotella, causando un sussulto vocale – e qualche infarto – alla madre nascosta nella penombra dietro di lui. -Gianlucaaaaa!- fece, sconvolta. -l'hai rotta!
-Mphft- si limitò a bofonchiare Gianluca, quindi allungò due dita e mosse appena il manico della rotellina, per vedere se partiva o rimaneva inceppata come due minuti addietro. Questa girò su se stessa due volte, prima di fermarsi dolcemente in attesa di nuove spinte. Mh, sbloccata. Un gioco da ragazzi. -Et voilà- fece, e sorrise. -Bastava scuoterla un pochetto.
La signora Zanardi esultò contenta e venne a provarla di persona. Eh sì. Come se non si fosse mai bloccata, praticamente. -Bene- disse, e prima che Gianluca potesse tornare al suo dolce far nulla, la donna gli scaricò il compito di raccogliere i panni e stendere quelli nuovi, i quali emergevano dalla bacinella come acqua zampillante. -Ora che hai sistemato il coso, finisci l'opera.- Zanardi s'indignò, stupefatto. -Ma', non erano mica questi i patti!
-Sh, fai.
-Come sh! Ma–
-Vado a preparare la tola*!- fu l'ultima battuta della donna, per poi trotterellare tutta contenta in cucina, accendere il tg e iniziare ad apparecchiare la, appunto, tola.
Fanculo.
Gianluca guardò i panni riluttante, ma si disse che prima iniziava quella tortura, prima finiva. E quindi, prima sarebbe potuto tornare al suo ghiacciolo dimenticato sull'altana. Così si sporse col busto e iniziò a girare manualmente la rotella, per avvicinare i panni lontani e salvarli da possibili ematomi di bianco dovuti al sole cocente che brillava in mezzo all'azzurro del cielo di luglio. Li raccolse tutti, li lasciò cadere su una poltrona, e poi si occupò di stendere al sole quelli zuppi d'acqua. Afferrò una maglietta giallo limone, la sventolò. Un dolce odore di ammorbidente ai frutti di bosco gli coccolò le narici, spargendo goccioline di detersivo diluito nell'aria. Mh, buono.
Si accinse a stendere l'indumento, ricavando due mollette da un cestino appeso alla ringhiera che sorreggeva i vasi, quando i suoi occhi azzurri vennero catturati dalla presenza di una ragazza ferma proprio sotto la sua finestra. La guardò per un attimo, distratto dal suo vestitino verde fluo. Poi la riguardò ancora, con più attenzione, e si accorse che lei al contrario se lo stava letteralmente divorando con gli occhi.
Sì. Per quanto Gianluca non lo volesse ammettere, era davvero un bell'italiano. Faceva strage di cuori con poco, un'occhiatina di più, un sorrisetto posizionato al posto giusto, un po' tendente a sinistra, malizioso. Lo sapeva, e ne andava timidamente fiero. Forse erano i capelli neri, il suo essere veneziano, o forse la voce dolce e melodica, sta di fatto che lui e Paolo Bianchi, tra baci volanti e complimenti sussurrati piano, mietevano più vittime di una guerra combattuta in trincea. Così, conscio di essere meglio d'un capolavoro del Tintoretto, si sporse per osservarla, incuriosito, e la sua personalità da donnaiolo fuoriuscì dalla tempra seria e composta, mentre le labbra gli si piegavano in un sorriso divertito.
Gli piaceva vedere le femmine perdere il senso del tempo per lui. Perdere tutto, per lui, fino a sfiorare l'ossessione. Anche perché pure a Gianluca bastava un attimo, per smarrirsi in loro. Nei loro occhi da cerbiatta, nelle loro mani graziose. E la vocina sottile, oddio, che sapeva trasformarsi in una tempesta di tuoni se solo le facevi un po' incazzare. Era una cosa che lo faceva impazzire. Si disse che male non faceva provacchiarci di gusto con lei, visto che lo stava a fissare come una povera ebete rincoglionita. E lo fece davvero, perché solo dio sapeva quanto gli piaceva buttarsi e corteggiare.
Le fischiò dolce, anche se aveva già tutte le sue attenzioni. -Ti sei persa?- le chiese poco dopo, e lei capì, dimostrando di essere italiana. Poi arrossì vistosamente e si strinse il bordo del vestito, indecisa se rispondere o fingere di star guardando qualcosa vicino a lui, senza che dovesse essere necessariamente, per forza e per rigor di logica lui.
Gianluca posò il gomito sulla finestra e si cinse la guancia col palmo della mano. Che carina. Aveva due splendidi occhi castani.
-N-no, io...
Sì, si era persa. Persa e pure rintontita.
-Piccola, sei a Cannaregio*. Se segui il Canal Grande, sbuchi a Rialto.
-Ah. Ah, ehm- la osservò tirare fuori una cartina – come se ce ne fosse bisogno –, che però le cadde dalla mano. Uh, la bella bambolina doveva essere nervosa. Che amore. Il ragazzo avrebbe dato per scendere e indicarle la via anche sulla mappa, già che il Canal Grande sembrava così difficile da trovare a vista – stava dall'altra parte della casa –, ma i panni glielo impedivano. -Posso dirtela una cosa?
-Sì?
Le sorrise mostrando i denti, alché lei impazzì di rossore, e cominciò a fare smorfiette da gattina al centro delle attenzioni.
-Sei bella.
-O-oddio!
Bum, aveva fatto colpo. Questione di un po' di belle parole e le avrebbe persino sganciato il numero di cellulare. Oltre che aiutarla a tornare in società, poverina. Sembrava così persa lì. Le disse che il Canal Grande stava proprio dietro casa sua, e lei rispose così. “Chi ti ha detto che voglio cambiare posizione?”
Ohohoh.
Mh, ci stava pure. Si sarebbe smarrita a Cannaregio, piuttosto che smarrire quel bel corvino affacciato elegante alla finestra.
Gianluca si dimenticò dei panni, e si sporse ancora di più verso i fiori, lasciando che una folata di vento caldo gli facesse librare i capelli sulle gote e sulle labbra aperte in uno dei suoi sorrisi da casanova modello. -Ti piace il fissaggio oculare, piccola?
-Posso salire?- chiese lei, innamorata pazza.
-Ahahah! Sei precoce.
-Dai, fammi salire! 
-Aspettami qui- rispose lui, e in effetti aveva proprio voglia di farla salire su, quella ragazza. Avrebbe potuto pranzare con loro, e magari in tardo pomeriggio, Zanardi l'avrebbe potuta aiutare a trovare 'sto Rialto benedetto, che più iconico di così si muore e che persino un australiano avrebbe saputo trovare. Meglio non parlarle del vaporetto. Finché ne rimaneva mezza ignara, il suo corteggiamento si sarebbe potuto tranquillamente distendere di parecchio.
Ed era proprio ciò che Zanardi voleva.
Si voltò per raggiungere la màre in cucina, ma non servì fare un solo passo, perché la màre era proprio , dietro di lui, che chissà da quanto tempo stava orecchiando la loro conversazione.
Gianluca quasi non si prese un colpo al cuore, e rischiò di inciampare nella bacinella ancora piena. Ecco, per l'appunto.
Piena. Quando sarebbe dovuta già essere vuota.
-I PANNI, ZANARDI!- tuonò la signora di casa, fregandosene del fatto che la ragazza avrebbe potuto tranquillamente udire la sua cacofonia di scleri da madre over i quaranta e passa anni. Gianluca arrossì e si strinse nelle spalle, in evidente impaccio. -Màre, la facciamo salire la ragazza a pranzo?
-NESSUNO SALIRA' IN QUESTA CASA! RAZZA DI SBORON!
-Co...!
-Sloggia o ti disfo l'esistenza!
-Che?!
-VIA!
-MA–
E così la signora Zanardi scansò di mezzo il figlio, il quale volò fino alla porta della sala. Poi, per nulla tranquilla, si sporse dalla finestra. La ragazza era ancora lì, in attesa del suo novello ammmore e un po' di spaghetti al sugo che no, la donna non le avrebbe dato neanche a pagarla. Nemmeno per compassione. Se Gianluca voleva trovarsi una ragazza seria, e fare le cose per bene e in modo serio, lei sarebbe stata d'accordo, e non lo avrebbe ostacolato.
Ma i flirt così, no. No, perché suo figlio era una testa calda, e feriva sempre l'altra metà nel momento della rottura, o del disinteresse passivo che lo coglieva quando si stancava di una relazione. E poi chi è che doveva sorbirsi le lamentele dei genitori della tipa col cuoricino infranto?
Ma lei, ovviamente.
In più, era gelosa.
Perché era madre, e vedere il suo bambino cresciuto farsi spazio nel mondo la lasciava sempre un po' a bocca asciutta. Ma questo, contava molto poco. -Ehi, putea*! Aria!
Lei sgranò le iridi, cercando di capire se putea volesse forse dire puttana in dialetto veneziano, oppure qualcos'altro che al momento le sfuggiva. Miss Zanardi non le diede la soddisfazione di saperlo.
-Mi senti? Via!
-Ma signora...
Signora un bel niente. Serrò la finestra con rabbia, poi squadrò la bacinella piena di abiti ancora fradici. Li avrebbe stesi dopo pranzo, di sua mano, o quell'idiota di suo figlio avrebbe fermato tutte le passanti possibili ed immaginabili pur di farsi un po' ammirare di qua e di là.
Lo raggiunse in cucina e lo trovò appoggiato alla tavola. Sorrideva, ambiguo.
Gli diede di spalle e girò la pasta che brontolava nella pentola.
-Sei mica gelosa, màre?
Si vedeva così tanto? Non gli rispose, stupita del fatto che non fosse arrabbiato con lei vista la tremenda – e alquanto imbarazzante – intromissione che aveva appena portato a termine con successo.
Poi, proprio mentre stava per fargli la classica ramanzina da mamma traumatizzata, le sue braccia lunghe le cinsero affettuosamente la vita, abbracciandogliela con dolcezza, e il suo mento glabro le si posò adagio sulla spalla. La donna sospirò, voltò il capo e schiantò la guancia contro i suoi capelli neri, profumati e ancora caldi di sole. Il fastidio svanì, cedendo il posto ad un insormontabile senso di affetto e nostalgia, che la colse alla gola come una tentazione troppo grande.
Gianluca.
Cosa avrebbe fatto, lei, quando una ragazza se lo sarebbe portato via? Senza i suoi sorrisi, il suo amore per i gatti, il suo corpo steso sotto l'altana e il cervello perso nella lettura di un libro dal titolo un po' ambiguo – era ancora convinta parlasse di sesso –?
Erano sempre stati solo loro due, contro tutti e contro il mondo. Non era sicura di voler lasciare andare suo figlio, ora che cominciava ad essere grande e cosciente che, prima o poi, sarebbe dovuto volare via verso il suo destino. Se avesse potuto tenerlo con sé per sempre... -Chi mi riparerà lo stendino quando–
-Mamma.- Gianluca la costrinse a guardarlo in viso, sorridendo dispiaciuto. -Te lo riparerò io. Non ti preoccupare. … mamma.
-Non lo dire.
Sorrise ancora di più. -So che vuoi sentirtelo dire.
-No.
-Sì, lo so. Sei una donna prevedibile.
-Non dirlo lo stesso, anche se sono prevedibile.
-... rimarrai per sempre la donna che amerò di più a questo mondo.
-Gianluca...- la signora Zanardi sentì l'impellente impulso di abbracciarlo, e una flotta di lacrime accorse, pronta a inumidirle il viso di acqua calda e gonfia di un'insana gioia. Ma riuscì a trattenere tutta l'orda di dolcezza e amore che le aveva provocato quella frase, acciuffando un cucchiaio di legno e immergendolo nella pasta. Non si sarebbe mai stancata di sentirsela dire. Sperava potesse essere sempre così, potesse sempre, in qualità di madre, possedere quel valore speciale ai suoi occhi da bambino. Quel piccolo posto all'interno del suo cuore, che aveva lottato tanto per ottenere.
Custodire.
E proteggere, soprattutto.
-Assaggia- gli passò la pasta, e lui assaggiò, attento a non scottarsi. -E' pronta.- le disse, poi si allontanò per permetterle di scolare la spaghettata senza impiccio. -
La màre è gelosa, è gelosa, è gelosa - canticchiò ad un certo punto, battendo le mani, e la madre si voltò ridendo.
Se gelosa voleva dire sinonimo di tutto ciò, allora sì.

Era una madre davvero molto, molto gelosa.



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note.
*màre= in dialetto veneziano, mamma/madre.
*tola= in dialetto veneziano, tavola.
*Cannaregio= uno dei sestieri in cui è suddivisa Venezia.
*putea= in dialetto veneziano, ragazza.

eeee fatte queste piccole precisazioni, ciao a tutti quanti!
Si capisce che Zelosia è Gelosia in dialetto veneziano, no? No.Sì.  Non lo so. Lo specifico qui, comunque. Ma non tra le parole in rosso. No, perché Zelosia è abbastanza scontata come parola forse(?).
OK BASTA.
È da tantissimo tempo che non pubblico su Gianluca Zanardi, eppure avrei dovuto farlo già da quando esisto. Fa strano ammettere che lui alla fine è stato, è e sempre sarà il mio personaggio preferito dell'intero IE anche più di Kruger, chi mi conosce sa di cosa sto parlando XD. In realtà... tempo fa postai diverse shot/flash su di lui, ma poi per questioni mie le cancellai tutte, senza lasciare traccia. Ritorno mille secoli dopo con più coraggio, e con la speranza di non dovermi auto-costringere ad eliminare pure questa.
È una shot dell'anno scorso, ma solo adesso ho trovato la forza di fissarla qui, su EFP.
Perché ho aspettato così tanto? Perché sicuramente Gianluca non è lo stesso Gianluca che viene utilizzato dall'intero fandom, me ne rendo conto.
Però IO lo vedo in questa maniera, indipercui(?) non biasimatemi per la scelta fatta.
Vogliamoci tutti bene e voltiamo pagina(?). Oks?
Mi sono immaginata una situazione con una sua ipotetica mamma, e questo è il risultato! Storia senza pretese, assolutamente, però mi andava di condividerla con voi uwu. E anche un po' con la me stessa del passato.

In fondo, domani andrò a Venezia anche io. Eh sì. A viverci.
Non so quando tornerò a farmi viva qui, dunque mi son detta “e che cazzo, se dobbiamo eclissarci, FAMOLO CON UN VENEZIANO, E FAMOLO CON GIANGI ZANARDI”, e così è stato. E per chi non lo sapesse, l'altana è una specie di terrazzo che si trova sul tetto, comunissimo a Venezia, in legno, dove si possono tenere dei tavoli, vasi di fiori, sedie, insomma, una mini veranda con una vista pazzesca sulla città. Si trovano anche a Firenze, Verona, un po' ovunque. Però a Venezia ce ne sono a miliardi XD.
Grazie mille a chi leggerà, chi commenterà, chi metterà questa storia in una delle tre cartelline.
Per adesso, vi saluto. Sperando di poter tornare presto.

XoXo,
Lila
   
 
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