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Autore: Napee    15/09/2019    1 recensioni
[KageHina] [Tengu!AU]
***
Hai mai rinunciato a tutto per amore?
Hai mai rinunciato al tuo sogno per la persona che ami?
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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•          3. Solitudine






Trovare la casa di Hinata non fu difficile. Anzi, fu provvidenziale quando, arrivato quasi al limitare di quel paesino fatto di case isolate quanto diradate, il professor Takeda uscì da una di queste con un’espressione preoccupata sul volto.
Lesse sul campanello il cognome Hinata e attese che il professore lo notasse tornando verso la sua auto nel vialetto.
“K-Kageyama! Che… che ci fai da queste parti? Tu non abiti qui.” Gracchiò il professore preso alla sprovvista. Il suo sguardo correva lesto dall’alunno alla porta di casa.
Pareva incredibilmente nervoso e inconsciamente Tobio se ne chiese il motivo.
“No, infatti… sono passato a salutare Hinata, oggi non era a scuola.” Confessò semplicemente. Oscillò il peso del corpo da un piede all’altro. Si sentiva a disagio, sotto allo sguardo allarmato del professore.
“C-capisco, ma vedi, Hinata è molto malato, sarebbe meglio se non lo incontrassi, così eviteresti di ammalarti anche tu!” Rispose il professore concitato, ostentando un sorriso tirato e pregno di una tensione che Kageyama non riusciva a spiegarsi.
Lo stava spingendo ad andarsene o era una sua impressione?
“E lei invece?” Chiese curioso Kageyama corrugando le sopracciglia.
Se lui non poteva vedere Hinata, perché il professore invece sì?
“I-io?”
“Perché era a casa di Hinata?”
“Gli ho portato I compiti! Sì, I compiti!” Rispose il professore di getto, cingendolo con un braccio ed esortandolo ad andarsene.
Raggiunsero l’auto del professore e Kageyama si voltò indietro, verso la casa di Hinata.
Si sentiva osservato e, con lo sguardo, iniziò a cercare qualcuno alle finestre, ma senza risultato.
Un brivido gli corse comunque lungo la schiena e quella sensazione non se ne andò.
“Hai bisogno di un passaggio? Vieni, ti porto a casa.” Si propose solare il professor Takeda, ostentando un sorriso sereno ed amichevole.
Con un senso di disagio a contorcergli le viscere, Kageyama accettò l’offerta, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che era esattamente quello che voleva il professore.
Si sedette sul sedile e guardò verso la casa di Hinata. Un senso di sconfitta crebbe nel suo petto e, scocciato, sbuffò un sospiro.
Tanta strada per vederlo e poi finiva tutto così, in una nuvola di fumo…
Se Hinata era così malato, perché non aveva detto niente?
Perché non gli aveva detto niente?
E perché lui non riusciva a levarselo dalla testa?
Era come un tarlo nella mente, Hinata, anche se non ci pensava, anche se Kageyama riusciva a distrarsi, presto o tardi lui sarebbe tornato protagonista dei suoi pensieri.
Ultimamente non passava giorno che non trascorressero assieme. Si vedevano prima delle lezioni, durante la pausa pranzo, agli allenamenti del club e anche dopo, quando tornavano a casa, facevano consapevolmente la strada più lunga per poter stare più insieme. Ovviamente nessuno dei due lo aveva mai ammesso a parole. O meglio, per Kageyama era così, non sapeva se per Hinata valesse la stessa cosa. Semplicemente una sera gli aveva proposto di passare da una via diversa dal solito e così era divenuta consuetudine. Sicuramente Hinata aveva notato quei dieci minuti buoni in più di cammino, ma non aveva protestato e – ancora meglio – non aveva chiesto spiegazioni che sicuramente Kageyama non gli avrebbe saputo fornire.
Poter percorrere con lui anche solo un metro in più lo rendeva estremamente tranquillo. E sarebbe stato alquanto imbarazzante ammetterlo ad alta voce.
Non riusciva a spiegarsene il motivo, ma quel chiacchierone inarrestabile aveva un effetto calmante su di lui.
Gli argomenti con cui lo investiva erano dai più svariati e spesso convogliavano tutti sulla pallavolo. Kageyama non apportava un grande contributo alla conversazione, ma gli piaceva ascoltare Hinata e cosa pensasse.
Forse si sentiva così inquieto quel giorno solo perché non lo aveva visto… magari, in una strana e contorta realtà, era perfino preoccupato per lui.
Neppure si era reso conto che il professore aveva messo in moto ed era partito.
La strada che aveva fatto a piedi per tutto il pomeriggio, gli si parava davanti come nuovo panorama ammantato dall’imbrunire della sera.
Volse ancora lo sguardo verso la casa di Hinata. Solo la luce al piano superiore era accesa.
La voglia di scendere e andare a urlare qualcosa a quel cretino era tanta e aveva accarezzato la sua mente con fin troppa enfasi.
Non vederlo tutto il giorno si era rivelato inspiegabilmente spiacevole.
Pensava che, una volta liberato di lui, sarebbe stato meglio, i suoi allenamenti ne avrebbero giovato così come la sua concentrazione dato che non doveva più stare dietro a qualcuno che non giocava al suo livello.
Invece si era sentito solo. Dannatamente solo.
Non aveva mai avuto amici all’infuori dei compagni di squadra. E forse nemmeno loro lo erano davvero dato che erano costretti ad allenarsi con lui se volevano giocare, ma fuori dal campo facevano di tutto per evitarlo.
Solo Hinata gli stava appiccicato e Kageyama si era abituato talmente tanto a quella sensazione di perenne compagnia, che gli pareva strano non averlo intorno.
Piombare a casa sua era stata la sua prima idea.
Ma era da maleducati, se ci pensava bene.
Avrebbe dovuto chiamare ed avvisarlo, magari chiedere il permesso a sua madre…
Prese il cellulare dalla tasca e digitò velocemente un messaggio.

Domani posso venire a trovarti?

Niente fronzoli, niente preamboli, niente saluti. Diretto come una freccia appena scoccata da un arciere.
La macchina si arrestò proprio davanti al cancelletto del suo condominio. Kageyama neppure ci aveva fatto troppo caso, era stato il professore ad avvisarlo con un sospirato “siamo arrivati” che sapeva tanto di sollievo. 
Kageyama notò solo il quel momento che il professor Takeda aveva taciuto per tutto il tragitto. E adesso che stava per andarsene, gli sembrava estremamente sereno e soddisfatto. Quasi come se si stesse liberando di lui.
Scacciò quella strana impressione e bofonchiando un “grazie” striminzito uscì dall’auto.
Entrò in casa e la voce di sua madre che cantava una nuova canzone pop mentre cucinava lo accolse in modo decisamente singolare.
Si affacciò per salutarla e la vide intenta a prendere una nota alta con un braccio spalancato ed il mestolo da cucina nell’altra a farle da microfono.
“Mamma, hai finito?” Le chiese raggiungendo lo stereo solo per abbassare il volume ad un livello più consono.
“Ma no! Tobio, questa canzone mi piace un sacco!” Si lamentò lei squadrandolo con i suoi occhioni azzurrissimi gemelli di quelli del figlio.
“L’avevo capito.”
“Piuttosto dimmi…” iniziò lei assaggiando il brodo che stava cucinando e tenendosi i lunghi capelli scuri con l’altra mano affinché non cadessero nella pentola
“Hai una vaga idea dell’orario a cui stai rincasando? Non avevi neppure gli allenamenti, dove sei stato?”
“Da un amico.” Rispose semplicemente Kageyama alzando le spalle con innocenza.
Sua madre si voltò a guardarlo stupita. Suo figlio non era mai stato a casa di un amico… anzi, suo figlio non aveva mai avuto un amico!
“Oh… ok…” pigolò sconcertata in risposta.
“Fra poco si cena, vai a lavarti.” Liquidò la questione cercando di non farne un caso di stato.
Ma lo era! Cavoli se lo era!
Suo figlio Tobio aveva fatto amicizia con qualcuno!
Internamente gioiva come una pazza per quella scoperta inaspettata ed era curiosa da impazzire. Chissà chi era il povero martire che aveva scovato una sorta di simpatia in suo figlio?

Cenarono guardando la tv. La stupida telenovela che appassionava tanto sua madre, andava in onda proprio all’ora di cena e Kageyama non riusciva mai a sottrarsi a tale supplizio.
“Papà non torna nemmeno questa settimana?” Chiese a bruciapelo senza alzare gli occhi dalla sua ciotola di ramen.
“No… veramente no…” iniziò sua madre schiarendosi la voce. Una mano volò a sistemarsi i capelli nervosamente.
“Dov’è stavolta?” Sospirò Kageyama, stanco di quella situazione che ormai era divenuta una costante nella sua vita.
“In Scandinavia. Mi ha mandato delle foto stupende, vuoi vederle?”
“No, io…” sono stanco di questa situazione.
Non me ne frega niente, voglio mio padre!
“Vado a dormire.” Aggiunse infine dopo qualche secondo di silenzio.
Sua madre lo guardò con occhi tristi mentre si alzava dal suo posto e s’indirizzava verso la porta con sguardo vuoto e sconsolato.
Si sentiva impotente e sola in quei momenti. Cos’avrebbe potuto fare per suo figlio?
Cos’avrebbe potuto fare per fargli sentire meno la mancanza del padre?
“Fammi indovinare…” iniziò Kageyama soffermandosi sulla soglia della cucina.
“Prossima settimana?” Chiese con scherno. Il sorriso più triste che avesse mai visto si dipinse sulle labbra di suo figlio mentre pronunciava le solite parole con cui suo marito li salutava sempre quando chiamava a casa.
Trattenendo le lacrime, annuì e vide il ragazzo allontanarsi e dirigersi verso la sua camera.
Solo quando sentì la porta chiudersi, liberò le lacrime che a stento riusciva ancora a trattenere.

Kageyama si infilò pigramente sotto alle coperte. Il viso sconsolato e senza aspettative era divenuto la consuetudine ormai per lui ogni sera.
Mise il cellulare sotto carica sul comodino e gettò l’occhio alla casella dei messaggi.
In quel momento in cui si sentiva più solo che mai, persino Hinata gli voltava le spalle.

  
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