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Autore: Melanto    16/09/2019    11 recensioni
[ATTENZIONE! GENDERSWAP! XD]
«Nella mia testa un corno! Non è affatto un caso se Izawa spunta come unfunghettotrallalà praticamente ovunque! Dove c’è la nostra Yu-chan, ecco che il Raperonzolo Moro della Nankatsu compare per magia.»
La stessa storia, gli stessi personaggi, la stessa OTP... o forse non proprio e qualcosa è stato mischiato?
(...ooops! Qualcuno ha detto 'tette'?!)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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When you look at me - III

Note Iniziali: : e finalmente, dopo TROPPO tempo, si arriva alla chiusura di questa piccola easylong.
Vi lascio subito alla lettura e ci ritroveremo alla fine con le note di chiusura :*

 

When you look at me

- III -

 

 

 

 

 

Giovedì.

Così vicino alla fine della settimana e alla partita di campionato che avrebbero disputato domenica e così vicino al terzo appuntamento che Mamoru avrebbe avuto con Yuzuriha, ma Hajime non riusciva a credere alle parole del suo migliore amico.

Seduti in una piccola caffetteria del centro di Nankatsu, dove si erano rifugiati dopo la scuola, Mamoru aveva le mani nei capelli e la faccia quasi affondata nel milkshake tripla panna che aveva davanti.

Hajime lo fissava sorreggendosi il capo con tre dita e tirando su sorsi piccoli e frequenti di frappuccino alla nocciola. La testa della cannuccia era stata tutta mordicchiata.

«Quindi ripeti,» disse solennemente. «Il sunto del discorso.»

«Non l’ho baciata… non l’ho baciata un’altra volta!» Mamoru sollevò la testa tirando in basso la pelle del viso; sembrava uscito da un horror di serie z. «Sono un deficiente!»

«Ci sei uscito due volte, con domani saranno tre, e non l’hai mai baciata. Non ci hai nemmeno provato.»

«No!» Mamoru era disperato. Perfino il milkshake con tripla panna sembrava non sortire alcun tipo di effetto, quando era sempre stato capace di far dimenticare ogni cosa. Questo la diceva lunga sulle conseguenze che la prosperosa Morisaki aveva sul suo migliore amico. «Io non ci riesco. Ce l’ho lì, a un passo… e non ci riesco.»

«Ma che diavolo ti prende?»

Per Hajime era solo una domanda di circostanza, perché tanto l’aveva capito; cercava di fare in modo che anche Mamoru ci arrivasse, ma non l’aveva mai visto così nel panico. Un po’ gli veniva da ridere, però scelse di non inferire e godersi lo spettacolo.

«Non lo so! Ho come la sensazione che rovinerei tutto, capisci? E io non voglio. Non voglio rovinare nulla!» Mamoru sospirò, rilassandosi contro lo schienale della sedia e dando finalmente un po’ di pace ai capelli in disordine. Li tirò indietro e poi incrociò le braccia. «Non mi era mai capitato… non così. Mi sento…»

«Idiota.»

«Tanto! Ma non quando sono con lei. Quando sono con lei è tutto naturale, come se l’avessi sempre fatto. E lei è…»

«Bella?»

«Bellissima! Ma non è solo quello.» Mamoru abbozzò un sorriso. «Martedì ha scelto dove andare e sai dove siamo finiti? In sala giochi. Io non ce l’avrei mai portata una ragazza in sala giochi… e invece mi ci ha portato Yu.» Erano già ai diminutivi: male, male, MALE! «Cazzo, se ci sa fare con gli sparatutto!»

Hajime si portò una mano al volto. Non era così che si rimorchiavano le ragazze o i ragazzi, ma sia Mamoru che Morisaki parevano quasi non volersi rimorchiare e rimanere indietro di un passo rispetto allo stadio successivo: quello in cui si parlava un po’ meno e si limonava di più. Per gli dèi, ma doveva insegnargli tutto lui?

«E domani che hai intenzione di fare? Progetti per la serata?»

Mamoru sollevò le spalle, si decise a bere un po’ di milkshake. «Si accettano suggerimenti.»

«Ecco, perfetto, allora ascoltami: tu e la tua bella andate sul lungo fiume, okay? Fate una passeggiata, crei l’atmosfera e poi metti in moto la lingua prima che ti si arrugginisca.»

Mamoru gli allungò un calcio da sotto al tavolo. «Non credo di riuscirci.»

«Oh, andiamo! Queste cose le hai sempre fatte anche a occhi bendati!»

«Non so come spiegartelo, ma quando sono con lei non è solo il contatto fisico che voglio.»

«Okay che non vuoi solo quello, ma se nemmeno provi a baciarla è grave!»

«D’accordo, d’accordo! Vada per il fiume e la passeggiata e… vediamo come va a finire.»

«Bravo. Impegnati!»

«M’impegnerò.»

Ma nell’osservarlo mentre di tanto in tanto guardava fuori e poi faceva cadere l’occhio sul cellulare, come se aspettasse di vederla passare per caso o di ricevere un messaggio, Hajime ebbe la riconferma di quanto aveva capito durante il famoso appuntamento al Luna Park: Yuzuriha Morisaki aveva fatto centro e Mamoru non se n’era ancora reso conto.

 

Yuzuriha aveva scoperto che il turno di aprire la palestra il mattino presto non le pesava più da quando aveva capito che le piaceva Mamoru Izawa.

Fino a prima di quell’istante, aveva sempre pensato che alzarsi prestissimo per andare ad aprire la struttura, con qualsiasi clima o intemperia, fosse una sorta di castigo che la Strega d’Acciaio infliggeva a tutte loro prima ancora che potessero fare qualcosa di male. Una sorta di punizione preventiva.

Ritrovarsi a scuola che il sole stava sorgendo, col caldo o col freddo, con la pioggia o la neve, non faceva differenza: andava fatto, mentre tutt’attorno regnava il silenzio. Le prime volte le aveva trasmesso inquietudine: non si sentiva niente, la scuola dormiva e solo pochi, sporadici alunni vi si aggiravano come spettri assonnati, assieme al custode; ragazzi dei club, come lei, che preparavano campi e attrezzature per le attività giornaliere e pomeridiane.

Poi aveva perso la testa per Izawa e le sue mattine erano state un camminare più piano per osservare il campo da calcio e immaginare il ragazzo mentre correva, con la nebbiolina che saliva e sembrava si potesse attraversare e toccare. La nebbiolina che correva attorno alle sue caviglie, mentre le gambe muscolose lo facevano muovere più veloce del vento, più leggero, e i suoi capelli erano seta e inchiostro.

Infine, una di quelle mattine i loro turni si erano incrociati e Izawa era stato lì, per aiutare le manager. Anche i loro sguardi si erano incrociati per caso. Un attimo solo, che lei aveva infranto svelta, girando la faccia, ma era stata la prima volta che aveva pensato che quella della Strega d’Acciaio non fosse una punizione.

La sensazione di piacere era rimasta e anche adesso, che lei con Mamoru ci era addirittura uscita, quel trovarsi a scuola all’alba non aveva perso il piacere legato a quel ricordo e la speranza di potersi ritrovare ancora.

Come sempre e con un atteggiamento diverso, guardò verso il campo da calcio, ma scorse solo una delle manager e Ishizaki che già faceva casino. Yu sorrise, ne invidiò la vitalità.

Quando raggiunse la palestra, le porte erano ancora chiuse e non se ne stupì: aveva turno con Teiko, ma quella pigrona della sua migliore amica non era mai puntuale e di sicuro si sarebbe presentata quando lei sarebbe stata già a metà del lavoro.

Non posso interrompere troppo bruscamente il mio sonno di bellezza, si era giustificata più volte, poi mi vengono le rughe!

Yuzuriha ridacchiò tra sé nell’immaginare, invece, come dormisse scomposta, con la bocca aperta e con i capelli intricati come un nido di piccione. Lasciò borsone e cartella accanto all’ingresso e avanzò per la struttura dando un’occhiata generale all’ambiente per verificare che fosse tutto in ordine come era stato lasciato la sera precedente.

Dagli alti lucernai entravano i primi raggi del sole. Fendevano gli aerosol sospesi nell’aria come spade di luce.

«Finalmente riesco a beccarti da sola.»

Yuzuriha si girò di scatto. Naoji avanzava con passo lento, emergendo dalla penombra dell’ingresso verso la luce. Le labbra erano storte, ma non nella solita presunzione, quanto in una brutta espressione di fastidio.

«Pare essere divenuto difficile, c’è sempre qualcuno che ti ronza intorno…» Calcò con una nota dispregiativa su ‘qualcuno’, e passò la mano sul bordo della cesta dove giacevano i palloni ammonticchiati. Quando si fermò, la strinse con forza.

«I miei amici non ronzano, e la questione non ti riguarda perché non abbiamo niente da dirci.»

«Invece il discorso mi sembrava fosse rimasto in sospeso.»

«Solo nella tua testa. Era stato chiuso dietro la scuola.»

«Ah, già. Izawa.»

Yuzuriha non aveva avuto dubbi che si fosse legato al dito la faccenda della pallonata, ma era stata così presa da Mamoru da dimenticarsene e abbassare la guardia.

«So che siete usciti più volte.»

«Sei diventato la pettegola della scuola?» ironizzò, mentre raggiungeva le due lavagne appese alla parete.

«Ne parlano tutti, sono solo informato.»

«Sugli affari che non ti riguardano, quindi sei una pettegola.»

Quando si girò per andare a recuperare i gessetti, si trovò Keigo davanti, con le spalle alla luce e il volto ancora più scuro. Yu non trattenne un sussulto, e a Naoji piacque; gli piaceva sempre avere il controllo sugli altri, fisico e mentale. Yu lo sapeva, perché ci aveva provato anche con lei in maniera subdola, ma quando aveva capito il gioco gli aveva sbattuto la porta in faccia e l’aveva mollato.

Sul guercio del capitano della squadra di baseball si aprì la piega d’un sorriso.

«Ci sei stata?»

«Figurati se lo vengo a dire a te!»

«Mh, secondo me no.» Naoji fece un passo avanti. Abbassò gli occhi sulla sua giacca della tuta e la piega divenne più profonda e rapace.

Yu incrociò le braccia per nascondere le forme: quel modo che aveva di guardarla le fece accapponare la pelle.

«Anche se Izawa ha la fama di essere uno che non bada troppo ai convenevoli, tu sai come fargli tenere a posto le mani.»

«Vuoi che lo ricordi anche a te?!»

«Me lo ricordo bene già da solo. Mi hai fatto aspettare due mesi prima di farti toccare un po’. Ho ancora un vantaggio su quel bell’imbusto. Scommetto che credeva che ci sarebbe affondato in un attimo in tutto quel ben di-»

Lo schiocco dello schiaffo riecheggiò per la palestra, e dopo cadde un silenzio rotto solo dal respiro pesante di Yuzuriha dalle labbra serrate. Strinse gli occhi mentre Naoji si portava le dita alla guancia e girava piano la testa; aveva due occhi pallati da psicopatico.

«Non azzardarti a paragonarlo a te! Mamoru è tutto quello che tu non potrai essere neppure pregando in ginocchio. Lui mi rispetta, tu non lo hai mai fatto. Mi fai schifo. E puoi star certo che le mani, addosso a me, non le metterai mai più.»

«Ah, davvero?» Naoji l’afferrò per un braccio non appena tentò di sgusciare via. La strinse contro il muro, infilando una gamba tra le sue per impedirle di muoversi o tirare calci.

«Lasciami subito! Ti ha dato di volta il cervello?! Naoji, lasciami!»

«Non sono più ‘Keigo’ per te? Mentre Izawa è subito diventato ‘Mamoru’, guarda un po’. Io non mi faccio scaricare da nessuno, Yu.»

Naoji le arpionò il viso, affondando le dita nelle guance e provocandole dolore fin nei denti; poi la baciò, e a nulla servì colpirlo al fianco con un pugno, perché il ragazzo le afferrò il polso e lo torse tanto da farle esalare un lamento. Naoji ne approfittò per approfondire il bacio.

Yuzuriha avvertì un misto tra vomito e paura arrivarle alla bocca, seguito da una vampata di collera che le fece serrare i denti d’istinto. Il sapore delle sangue aveva un retrogusto di ferro.

Il giocatore di baseball emise un verso di dolore e la lasciò, tirandosi indietro di un passo. Mano alle labbra per toccare lì dove i denti avevano lacerato la carne.

«Mi hai morso…» Lui era incredulo, lei spaventata a morte. «Stronza.»

Il manrovescio fu così forte che le fece perdere l’equilibrio. Yuzuriha si trovò seduta a terra, con la guancia che pulsava forte e quel sapore orribile ancora in bocca. Avrebbe vomitato anche la colazione del Tanabata Matsuri dell’anno precedente.

«Ehi! Che stai facendo?!»

La minuta figura di Teiko, con i suoi ricci da Gorgone spettinata, per Yu fu come un’apparizione celestiale. E, proprio come le Gorgoni, si scagliò contro Naoji.

«Vattene subito, hai capito?! Vattene o chiamo il custode e ti faccio fare il culo!»

Keigo sbuffò un sorriso di sdegno e poi lanciò a lei un’ultima occhiataccia. Infine, se ne andò, con Teiko che ancora gli inveiva dietro.

«E se ti sogni di mettere di nuovo piede in palestra o di avvicinarti a Yu-chan, dovrai vedertela con Takasugi!»

In un’altra circostanza, se la discussione tra lei e Naoji fosse rimasta solo sul limite delle parole, di sicuro avrebbe riso di come Teiko avesse mandato avanti Shiho come scudo-umano; invece era ancora a terra, la faccia le faceva male e quel maledetto sapore di ferro non voleva andarsene. Era stata costretta a buttarlo giù e ora aveva una nausea fortissima che le faceva girare la testa.

«Va tutto bene? Che ti ha fatto quel microcefalo?!»

L’amica le si accucciò davanti, mentre lei si prendeva qualche altro momento per recuperare fiato e buttare giù la sensazione di disgusto; per un attimo fu tentata di arrabbiarsi perché Teiko avrebbe dovuto essere lì, avrebbero dovuto aprire la palestra insieme e invece l’aveva lasciata da sola. L’aveva lasciata da sola con Naoji.

«Ma è sangue?!» Kisugi le sollevò il viso per vedere meglio e Yu si ripulì la bocca col dorso della mano.

«È suo…» mormorò, «l’ho morso.» E poi, poco alla volta, raccontò quello che era accaduto a una Teiko sempre più arrabbiata e sconvolta.

«Devi dirlo a Izawa,» sentenziò alla fine, come un giudice.

«Sei impazzita?!»

«Devi dirglielo, ci penserà lui.»

«No, invece! Non ho bisogno di qualcuno che mi difenda, posso farlo da sola!» Yu sentiva il viso caldo sulle guance. Era arrabbiata e cercò di alzarsi, ma Teiko la trattenne.

«Non si tratta di difendersi o meno: lui deve sapere cosa sta facendo quello stronzo! Insomma, è il tuo ragazzo o no?!»

«No che non è il mio ragazzo! Siamo usciti solo due volte…»

«Dettagli.»

«Promettimi che non ne farai parola con nessuno, men che meno con Mamoru e Shiho. Se Mamma Orsa dovesse venire a sapere cosa ha fatto Naoji, gli cambierebbe i connotati e domenica ci sono le partite, sono importanti! Anche Mamoru! Non devono distrarsi con nient’altro e pensare a giocare.»

«Chi se ne frega delle partite se-»

«Promettimelo!»

«E tu come glielo giustificherai quel segno? Non dovevi uscire con lui, stasera?»

Yu si portò la mano al viso. Aveva atteso quell’appuntamento con trepidazione, sarebbe toccato a Mamoru decidere dove andare e lei aveva creduto di poter sfruttare quel tempo insieme per lasciarsi caricare dalla sua presenza e affrontare meglio l’incontro di domenica. Adesso era tutto rovinato. Con quel segno in faccia, trovare una scusa sembrava impossibile.

«A quello penserò io. Adesso finiamo di preparare la palestra, tra un po’ cominceranno le lezioni.»

 

«Ed ecco il nostro Romeo!»

Hajime lo accolse in classe spalancando le braccia e con una svelta alzata di sopracciglia che gli fece trattenere un sorriso.

«Allora, pronto per stasera? Non ti sei voluto nemmeno far aiutare dal tuo bestie

«Piantala, idiota.»

Hajime gli diede di gomito appena prese posto nel banco dietro al suo. «Dai, dai! Condividi i segreti di quest’appuntamento ultraromantico e progettato ad arte per vincere il premio di Miglior Limone della storia!»

Mamoru mollò un calcio alla sedia dell’amico che rise forte, crollando sul banco.

«Tu sfotti, ma io stanotte non c’ho dormito.»

«Cazzo dici?»

«Sì, per il discorso che abbiamo fatto ieri. Vorrei fare qualcosa, ma non vorrei esagerare. Senti qua…» si sporse, tenendo le braccia conserte sul banco e guardando Hajime nell’occhio non coperto dal ciuffo ribelle. Poteva sembrare assurdo, ma il solo pensiero che quella sera avrebbe provato a baciarla l’aveva lasciato nel letto con gli occhi spalancati come bottoni a immaginare tutto e il contrario di tutto; e chissà perché il contrario era sempre peggio. «Ci incontriamo alla fine degli allenamenti, andiamo in centro e le offro qualcosa che possiamo mangiare passeggiando… che so, un gelato. E poi ce ne andiamo al parco Hikarigaoka-»

«Belvedere?»

«Belvedere.»

Hajime approvò con un cenno del capo.

«Poi andiamo sul lungo fiume.»

«Aspetta, puoi baciarla già sul belvedere, no?»

«No!» A momenti saltava dalla sedia, però fece girare mezza classe assonnata. Mamoru tossicchiò. «No. Non voglio affrettare.»

«Affrettare?! Sei al terzo appuntamento! Tu non affretti: hai spento il motore!»

«Non voglio che pensi che io sia interessata a lei solo per quello.»

«E quindi che vuoi fare?»

«Andremo al belvedere, poi cammineremo sul fiume e volevo portarla sulla ruota panoramica che c’è alla fine…»

Hajime annuì severamente. «E ci proverai lì.»

«No…»

«Cosa ‘no’?! Mamoru!» Hajime lo prese saldamente per le spalle. «Cazzo, ma ti senti bene, amico? Non ti ho mai visto così insicuro con una ragazza in vita mia.»

«Lo so… è solo che… vorrei che non sembri forzato.» Sospirò e si passò le mani nei capelli. Deviò lo sguardo alla finestra e tutti i dubbi della nottata tornarono a valanga. «Forse dovrei lasciare fare a Morisaki il primo passo. A ogni uscita mi sembra di capire un po’ di più le sue diffidenze verso i ragazzi.»

«Le ragazze si fanno un sacco di problemi, ma non siamo noi i complicati!»

Il telefono abbandonato sul banco vibrò prima che potesse replicare qualcosa. Mamoru vide solo l’espressione incredula di Hajime e poi mise mano al cellulare. Era arrivata una mail… da Yuzuriha.

Drizzò la schiena e la lesse in fretta.

«Ah.»

«Cosa?»

Sospirò di nuovo e non sapeva se esserne più deluso o sollevato, di sicuro ne rimase sorpreso. «Pare che le chiacchiere stanno a zero, perché Morisaki si è ricordata di avere un impegno con i suoi e quindi l’appuntamento è saltato.»

Hajime storse la bocca, mentre incrociava le braccia sulla sommità della spalliera della sedia.

«E se lo ricorda adesso?»

«Non so che dirti.»

Mamoru rilesse la mail. Non aveva nulla che non andava: Yu si scusava e parlava dell’impegno. Niente di più, niente di meno. Dopo la sorpresa, il sapore che aveva preso la notizia gli divenne più chiaro e tra delusione e sollievo vinse la prima. Poteva essere stato confuso e indeciso su come comportarsi, ma non sul fatto di volerla vedere. Quello era chiaro come il sole e aveva aspettato quel venerdì con una piacevole sensazione di formicolio sotto la pelle. Vedersi a scuola non era poi così ovvio, erano in classi separate e l’unico momento davvero buono – oltre alla pausa pranzo in cui si incrociavano per i corridoi e si scambiavano un sorriso e un saluto – era quando ognuno di loro raggiungeva gli allenamenti. Il campo da calcio era davanti alla palestra, ma più in basso, ed era una fortuna perché le ragazze della squadra di volley sarebbero dovute passare di lì.

«Non suona come un ‘due di picche’, vero?» Hajime affilò l’occhio scoperto e tese anche le labbra. Lui alzò la testa di scatto, colpito nel centro dell’orgoglio e qualcos’altro.

«Perché avrebbe dovuto?» Non aveva fatto nulla per meritarsi d’esser scaricato, non dopo il loro secondo appuntamento in cui avevano riso così tanto da trovarsi con le lacrime. Mamoru si era sentito come in compagnia di un amico d’infanzia che però gli scombussolava tutto: avevano una sintonia perfetta che li faceva capire al volo, bastava un cenno del capo o uno sguardo diverso e subito lui sapeva come reagire, cosa dire. Non pensava di aver sbagliato qualcosa, quella non era di sicuro una scusa per non vedersi.

«Magari a pranzo le chiedo che è successo.»

Hajime mugugnò e non si tolse dalla faccia l’espressione sospettosa che lui conosceva bene.

Ogni chiacchiera venne però interrotta dall’arrivo del professore, per una nuova giornata di scuola che Mamoru trascorse più con la testa immersa nei fatti suoi che non nelle lezioni. Durante gli stacchi tra le ore si affacciò nel corridoio, nella speranza di vedere Yuzuriha fare capolino dalla classe, ma la porta era rimasta chiusa, quasi che i tempismi gli remassero contro.

Si convinse a rimandare tutto per pranzo come da programma, ma si rivelò un buco nell’acqua altrettanto inaspettato.

«È corsa via per raggiungere le sue compagne.» Taro sollevò le spalle quando gli chiese di Morisaki. Con i bento si erano incamminati adagio, mantenendosi in coda al loro solito gruppetto per parlare con più tranquillità.

«Ma si comportava in maniera strana, sai?» Misaki lo disse con espressione tesa e sopracciglio inarcato. Si teneva il mento con due dita e guardava a terra.

«In che senso?»

«Ha evitato il contatto con gli altri per tutto il tempo, quando di solito è molto socievole. E poi… ho avuto l’impressione che si fosse fatta male: si è tenuta la guancia per l’intera durata delle lezioni. Pareva volesse nascondere il cerotto che c’era sotto.»

«Cerotto?!» Mamoru tirò indietro la testa. «Si è fatta male in allenamento?»

«Ah, non saprei. Quando ho provato a chiederle se fosse tutto okay, mi ha liquidato in un attimo con un sì e un sorriso tirato.» Misaki girò il capo per guardarlo in viso. «E quando le ragazze fanno così, significa che non va bene niente.»

 

Mamoru non faceva che ripensare alle parole di Taro e a quelle della mail. Si sommavano al comportamento evasivo di Yuzuriha, cui aveva mandato un paio di messaggi, ma senza ottenere risposta, come se lo stesse evitando, ma senza dirglielo chiaramente. O forse erano le paranoie di Hajime e Taro a influenzare il suo giudizio? Non ne aveva idea, l’unica cosa certa rimaneva che le lezioni erano terminate, lui era stato trattenuto nel sistemare la classe perché era il suo turno, e durante tutta la giornata non era riuscito a vedere Morisaki neppure di sfuggita.

L’ultima possibilità rimasta era quella di presentarsi in palestra, e lì si che non avrebbe potuto evitarlo, ma se ne sarebbe dovuto parlare dopo gli allenamenti perché era già in ritardo.

Mamoru guardò l’orologio al polso e sbuffò. Se non l’avessero trattenuto sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per passare subito in palestra, ma se avesse tardato ancora il mister gli avrebbe fatto il culo a strisce.

Alzò gli occhi e l’immagine del campo da calcio con la palestra subito alle spalle scomparve nel giro di un attimo, quello necessario a venire strattonato per il colletto del gakuran e trascinato nello stretto spazio che separava il deposito degli attrezzi del club di atletica dall’ultima struttura scolastica.

Il commento pregnante che riuscì a emettere fu un decisivo: «Woah!» e poi un «Ouff!» quando venne sbattuto con le spalle al muro del deposito. Il borsone cadde a terra, lui non lo trattenne.

Mamoru si trovò davanti la faccia incazzata di Shiho ‘MamaBear’ Takasugi.

Avevano la stessa età, ma lei era più alta e con una struttura fisica che aveva sempre messo in soggezione un po’ tutti a scuola. Per la squadra di volley giocava come centrale e quando metteva le mani a rete, si diceva che alzasse un ‘muro di mattoni’.

Adesso aveva i suoi occhi, dal taglio molto sottile e stretto e l’iride scuro, che lo fissavano quasi avessero dovuto farne un solo boccone.

«Chiariamo subito, ciccino: io farò le domande e se non mi piaceranno le risposte, ti cambierò la faccia.»

«Possiamo anche discuterne con calma.»

«Io non discuto con chi alza le mani sulle mie ragazze.»

«…cosa?!»

Shiho lo strattonò ancora. «Che cosa hai fatto a Yu?!»

«A Yu?!»

«La bimba potrà anche averci messo un cerotto, ma i segni di una manata li so ancora riconoscere.»

«Non mi sognerei mai di fare una cosa del genere! Ma per chi mi hai-»

D’improvviso a Mamoru sembrò che tutti i pezzi di quella giornata strana andassero a posto o trovassero comunque un collegamento che li unisse. «…quindi è per questo che ha rimandato il nostro appuntamento.»

Shiho allentò la presa sulla divisa. «Dovevate vedervi?»

«Sì. Ma lei mi ha scritto stamattina dicendo di avere un impegno. E Taro mi ha detto che si teneva il viso ed era… strana…»

Tutto in ordine, come una partita a tetris in cui le fila di mattoncini venivano completate l’una dopo l’altra. La soluzione non gli piacque.

«Non sono stato io. Non l’avrei toccata neppure con un dito.» Mamoru guardò Shiho negli occhi, e lei lo valutò per una manciata d’istanti, poi lo lasciò andare del tutto e si tirò indietro.

«In pausa pranzo è stata evasiva quando le ho chiesto spiegazioni, ed è arrivata di corsa e più presto del solito.» Mamma Orsa incrociò le braccia al petto e iniziò a battere a terra la punta del piede.

«Pensa che io non sono riuscito a incrociarla per l’intera giornata, e le nostre classi sono vicine. Durante il pranzo non l’ho vista neppure di sfuggita. Credo mi stia evitando.»

Shiho ci pensò ancora un po’, poi mise mano al cellulare e iniziò a comporre un messaggio. «Ce li hai cinque minuti?»

«Sì.» L’allenamento era già passato in secondo piano. 

«Allora vediamo di risolvere la faccenda.»

 

Quando Teiko lesse il messaggio sul cellulare, che aveva vibrato mentre cercava di barcamenarsi tra la borsa scolastica e quella della palestra, alzò gli occhi al cielo.

«Orsa! Ma non possiamo vederci direttamente in palestra?!»

Affrettò il passo, perché aveva già fatto tardi e di sicuro la Strega d’Acciaio non gliel’avrebbe fatta passare liscia: per ogni minuto in più, un giro di campo di corsa. Li sentiva già tutti nell’aria i giri che avrebbe dovuto fare, l’aspettavano come i cerchi alla testa dopo una bevuta fuori programma.

‘Vediamoci in palestra’ dettò in fretta alla scrittura automatica.

‘No. Ti giustifico io con la Strega.’

Teiko prese un profondo respiro. Non aveva idea di cosa volesse Shiho, anche se un pochino avrebbe potuto immaginarlo: durante il pranzo aveva visto che occhiata penetrante avesse rivolto a Yuzuriha quando si era giustificata per il cerotto. Era stato lo sguardo di chi non ci aveva creduto neppure per mezzo secondo.

A lei sarebbe dovuto toccare sfoderare tutta la sua poker face per cercare di convincerla almeno ad aspettare fino a dopo le partite di domenica; mancavano solo due giorni, avrebbero potuto resistere. Yuzuriha, poi, le aveva assicurato di aver risolto con Izawa e di aver fatto di tutto per non vedersi, quindi almeno di quello non dovevano preoccuparsi.

Teiko aumentò il passo quando vide il campo da calcio e la palestra. I ragazzi del club erano già arrivati e si stavano riscaldando.

Costeggiò la struttura scolastica e girò nel piccolo vicoletto di separazione tra l’edificio principale e il capanno degli attrezzi, luogo dell’appuntamento. Arrivò spavalda, convinta di risolvere tutto in poco tempo, ma quando vide che Shiho non era da sola e, soprattutto, aveva un’espressione da guerra in viso, Teiko si fermò e perse tutta la propria confidenza.

«I-Izawa… ciao! Come mai anche tu qui?» Guardò Shiho, cercò di esibire il sorriso più convincente che potesse fare, ma i suoi passi erano rallentati allo stremo, nemmeno avesse paura ad avvicinarsi toppo a tutti e due: avevano l’aria di chi avrebbe voluto fare del mondo intero un banale antipasto. «Cos’è, una riunione segreta?» rise da sola, ma era l’unica, così finì col tossicchiare in una mano.

«Poche palle, cucciola, e dicci che succede. Perché lo sappiamo che c’è in ballo qualcosa.»

Teiko sentì il sudore scivolarle tra i seni come una formica e ghiacciarsi all’altezza della pancia. Sorrise ancora, perché non sapeva che fare. O, almeno, sperò che il suo capitano capisse che non era il caso parlarne davanti a Izawa, per questo guardò prima lei e poi lui con fare allusivo.

«Ma di cosa stai parlando? Quale faccenda-»

«Teiko, ho detto poche palle.»

Lei incassò il rimproverò e tenne stretta la tracolla della borsa della palestra. Spostò lo sguardo a terra e poi rivolse occhiate sbilenche a Mamoru: la sua espressione era caustica come quella di Shiho. Qui la faccenda non si metteva bene; Yuzuriha non aveva convinto proprio nessuno e adesso la patata bollente era stata smollata a lei.

«Kisugi, se è successo qualcosa ce lo devi dire,» disse proprio Izawa. «Misaki ha detto che Morisaki si comportava in maniera strana. Senza contare che mi ha evitato tutto il giorno.»

«E io gli ho quasi cambiato i connotati,» aggiunse Shiho, indicando Mamoru. «Ma sono sicura non sia stato lui a colpire la nostra Yu-chan.»

«E tu come-!» Teiko si coprì la bocca quando ormai era troppo tardi. Vide chiaramente Mamoru cambiare espressione: da tesa, gli occhi si spalancarono e disincrociò le braccia, la schiena dritta.

«Allora è vero?! Chi è stato?!»

Izawa era pronto a fare un balzo per afferrarla; Shiho, per quanto restasse a braccia conserte, aveva un’espressione che diceva tutto e rispondeva a ‘parla o ti faccio parlare io’.

Teiko rimbalzò lo sguardo dall’uno all’altro, non sapendo che fare, perché da una terza parte ancora c’era la promessa scambiata con Yu.

«Dillo, bimba.»

«Mi ha fatto promettere di non farne parola… per le partite… se ve lo dicessi lunedì? Lei non voleva che vi distraesse, bisogna pensare al campionato!»

«Te lo sto ordinando da capitano.»

E in questo caso era impossibile rifiutare, perché era in una posizione che non riguardava più solo Yuzuriha, ma tutta la squadra. Teiko alzò il viso al cielo.

«Non dite che ve l’ho detto io…»

«Stai tergiversando.»

«Rimandate a lunedì ogni discussione, okay?»

«Teiko!»

Strinse i denti. «È stato Naoji!»

«Quando?!» tuonò Izawa e lei serrò anche gli occhi per un attimo, facendosi ancora più piccola, con la testa affondata tra le spalle incurvate in avanti.

«Stamattina… È geloso di te.»

Mamoru accusò il colpo, perché si contrasse dalla testa ai piedi.

«Spiega,» incalzò Shiho con voce controllata e severa. «Voglio sapere tutto.»

«Quando io sono arrivata per aprire la palestra era già successo. Loro erano lì, Yuzuriha era a terra, lui l’aveva colpita. L’ho mandato via subito e Yu mi ha raccontato che Naoji aveva iniziato a straparlare così lei lo ha preso a schiaffi. Allora Naoji l’ha chiusa al muro e l’ha baciata, Yu lo ha morso… e lui l’ha colpita.»

Shiho e Mamoru presero entrambi un momento di silenzio a ciascuno e se sul volto del capitano, Teiko non vide guizzare nulla, su quello di Izawa ci fu un accavallarsi di espressioni che la intimorì: sembrava dovesse scattare da lì al secondo successivo per andare a prendere Naoji e batterlo come la pasta dei mochi.

«Quel bastardo-!»

Shiho fermò con un braccio lo scatto di Mamoru.

«Non adesso.»

«E fargliela passare liscia?!»

«Sei troppo arrabbiato, ti metteresti dalla parte del torto.» Poi il Capitano guardò lei. «Perché non siete andati dai professori? O almeno dal custode. Questa cosa non si deve ignorare.»

«Yu non ha voluto. Lo sai anche tu quanto sia testarda, certe volte. Si è impuntata che avrebbe creato problemi alla squadra e ha tirato ancora in mezzo le partite di domenica. Ci ho provato a convincerla, non ne ha voluto sapere.»

Mamoru sbuffò e girò il viso di lato, allontanandosi di qualche passo. Si era portato una mano ai fianchi e l’altra veniva passata tra i capelli per tirarli indietro. «E noi che dovremmo fare?»

«Aspettiamo, come ha voluto Yuzuriha. Aspettiamo la fine delle partite, ma lunedì…» concluse l’Orsa, trapassando Teiko con uno sguardo ridotto in spilli sottili. «…darò a quell’idiota una lezione su cosa significhi stare al mondo, e poi lo trascinerò dai professori.»

Teiko non ebbe dubbi sulla certezza che l’avrebbe fatto, ma la sua preoccupazione maggiore, al momento, era Izawa: perché se aveva accennato col capo alle parole di Shiho, sul suo viso, nei suoi occhi, c’era un’irrequietezza che diceva altro e non erano parole d’amore.

 

«Izawa, che diavolo stai facendo?! Vattene a bordo campo per qualche minuto e schiarisciti le idee!»

L’aspro richiamo del mister Furuoya confermò una volta di più che lui non ci stava dietro e quell’allenamento era un disastro.

Mamoru aveva la testa altrove, e la rabbia gli stava fottendo ogni capacità di ragionamento, piccola o grande che fosse stata. I suoi passaggi erano sbagliati, i tempi asincroni, le entrate fallose. Stava correndo come un disperato avanti e indietro e l’unica cosa che era riuscita a collezionare erano stati richiami e un paio di imprecazioni da parte dei suoi compagni che si erano trovati graffiati dai tacchetti o con una gomitata nella schiena.

Lui non c’era, semplicemente non c’era.

Non era lì perché ripensava alle parole della riccia e a quelle di Takasugi. Ripensava che avrebbe dovuto far passare due giorni e concentrarsi sulle partite, ma davanti riusciva a vedere solo sprazzi del campo e poi la faccia di quel bastardo alternata al viso di Yuzuriha.

Era in blackout.

Raggiunse la panchina di legno e Sanae gli allungò una fettina di limone e zucchero che però lui rifiutò, agguantando solo l’asciugamano con malagrazia. Ci si coprì la faccia e poi la passò sulla testa, mentre teneva lo sguardo in basso e le mani ai fianchi.

«Due minuti per dirmi che cazzo succede ancora.» Hajime comparve come un fantasma. «È da quando sei arrivato – in ritardo, per giunta! – che non spiccichi parola con nessuno e sembra che vorresti accoppare tutti.»

«Niente.»

«Puttanate.»

«Ho detto niente, Hajime. Non rompere.»

«Mi pare un po’ troppo essere tanto incazzato per il due di picche di una ragazza.»

Lui sbuffò e alzò la testa, togliendo l’asciugamano con un gesto infastidito. I capelli emersero tutti spettinati, in un codino mezzo sciolto.

«Naoji ha picchiato Morisaki,» disse di getto, guardandolo negli occhi. Li vide perdere l’ironia per aprirsi sulla sorpresa. «Quello stronzo l’ha presa a schiaffi, per questo ha cancellato il nostro appuntamento.»

«Scherzi?! Chi te l’ha detto?!»

«La sua amica con i capelli ricci. Ero con lei e Takasugi, per questo ho fatto tardi. L’Orsa credeva che l’avessi picchiata io…»

«Hai visto Kisugi?» Hajime accennò un sorriso malizioso. Mamoru alzò gli occhi al cielo e l’altro cambiò subito tono alla conversazione. «Non è andata dai professori?»

«Non ha voluto, per non creare casini con le partite…»

«Per questo ti ha evitato. Sapeva che ti saresti arrabbiato.»

«Già.»

«E quindi?»

«Niente, si vedrà lunedì.»

«E tu vorresti restare in questo stato fino a lunedì?! Ah, auguri,» ironizzò Taki, dandogli una pacca sulla spalla, ma il gesto riuscì a strappargli un accenno di sorriso. Hajime aveva ragione, fare finta di niente per due giorni interi non era possibile, la sua sanità mentale non sarebbe sopravvissuta e non sopportava quando le faccende rimanevano in sospeso. Soprattutto se di quella portata.

Mamoru raccontò per intero la vicenda, menzionando anche il bacio strappato con la forza e Hajime scosse il capo.

«Non ci si può passare sopra.»

«Lo so. Per questo ci parlerò.»

«Quando? Con chi?»

«Con Morisaki. Dopo gli allenamenti. Col cazzo che aspetto fino a lunedì.»

Mamoru gettò l’asciugamano sulla panchina e superò il compagno. Adesso che aveva preso la decisione, era pronto per tornare in campo e riuscì anche a completare l’allenamento senza più i problemi avuti fino a quel momento.

Una volta che aveva focalizzato cosa avrebbe dovuto fare, e se l’era fissato ben chiaro in mente, anche concentrarsi sul calcio gli era risultato più semplice. Aveva smesso di correre a caso per il campo, e i contrasti, più che duri, divennero decisi, ma perfettamente puliti e regolari.

«Tu sei posseduto.» Gli aveva detto Ishizaki a un certo punto, dopo che si era visto rubare palla con un tackle da manuale, e lui aveva sorriso dandogli una manata sulla spalla.

Anche il mister si era accertato che fosse tutto okay, prima che entrasse negli spogliatoi e lui aveva assicurato che era tutto a posto: i problemi personali non avrebbero dovuto interferire sulla sua tenuta in campo e non erano questioni che Furuoya avrebbe potuto risolvere al posto suo. Per questo si limitò a scusarsi e a rivolgere un inchino all’allenatore, prima di sparire negli spogliatoi e uscirne anche piuttosto in fretta: se Yuzuriha l’aveva evitato per tutta la giornata, di sicuro avrebbe tentato di farlo anche una volta finiti gli allenamenti di pallavolo e non voleva darle modo di fuggire. Dovevano invece parlare e affrontare il problema.

Voleva che si fidasse e che capisse che gli importava… gli importava veramente.

Per questo uscì quasi correndo dagli spogliatoi, rivolgendo ai compagni solo un saluto sommario. Qualcuno gli fischiò dietro, parlando di chissà quale appuntamento con chissà quale giocatrice della squadra di pallavolo.

«Ehi, scappi già?»

Hajime gli tenne dietro, Mamoru rallentò.

«Sì, prima che a scappare sia lei.» Poi assottigliò lo sguardo e abbozzò un sogghigno. «E tu perché mi segui? Hai qualcosa da dire a qualcuna della squadra di volley?»

Hajime fece vento con la mano. «Io? Figurati! E che dovrei dire? A chi? Venivo solo ad accertarmi che andasse bene. Tranquillo che non resto a fare il terzo incomodo.»

«Sai, credevo volessi parlare con la riccia. Com’è che si chiama?»

«Kisu-… merda.» Hajime prese tra i denti il labbro inferiore e gli lanciò un’occhiataccia. «Stronzo.»

«Fesso.» Mamoru ridacchiò. «Lei ti piace?»

«È carina. Un po’ snob, ma sono sicuro che troveremo modo di andare d’accordo. Ci siamo fatti un sacco di risate quando vi abbiamo seguito al Luna Park.»

«Voi avete fatto cosa?!» Mamoru strabuzzò gli occhi e Hajime si strinse nelle spalle.

«Ops

«Ma ops un corno! Ci avete seguito?!»

«Lo sai come sono Sanae e Yukari, dovevano ficcare il naso. Io le ho accompagnate per intervenire in caso di bisogno.»

«Sì, certo. L’altruismo, come no.»

«Lì abbiamo trovato le amiche di Morisaki… che, guarda caso, avevano avuto lo stesso pensiero di Sanae.» Hajime allargò le braccia. «Donne!»

Mamoru scosse il capo, e quel Giuda del suo migliore amico che non glielo aveva neppure detto. Il giorno dopo ne avrebbe dovute cantare quattro alle manager, questo era certo, ma quando vide le ragazze della squadra di pallavolo arrivare dalla palestra tutto il resto passò in secondo piano. Tra le teste filtrò subito quella di Yuzuriha, che camminava un po’ più arretrata proprio assieme alla riccia. Notò subito il cerotto sulla guancia e l’istinto collerico che era riuscito a reprimere con fatica tornò alla carica, come il rigurgito di un vulcano: salì fino all’esofago, gli invase la bocca con un sapore acido…

…perché Yuzuriha rideva con le sue compagne, parlava come se non fosse accaduto niente, come se non fosse importante. E invece era importante, per lui, importantissimo. Perché si sentiva responsabile di quello che era accaduto, perché magari avrebbe dovuto essere più chiaro con Naoji e fargli capire di starle alla larga, o perché avrebbe dovuto capirlo prima che si sarebbe vendicato per quanto accaduto dietro la scuola, ma aveva creduto che, nel caso, sarebbe andato da lui a battere cassa. L’aveva fatto più coraggioso di ciò che era. E adesso si sentiva responsabile perché non aveva dimostrato a Morisaki di potersi fidare, di credere che l’avrebbe aiutata o anche solo che avrebbe potuto essere di supporto.

Si sentì responsabile perché nel momento in cui Yuzuriha lo vide, lei si tirò subito sul viso il colletto della giacca della tuta, per coprirsi guancia e cerotto.

Nello stomaco, che si allargava verso il petto, Mamoru avvertì il formicolare di un desiderio troppo plateale: quello di raggiungerla di corsa e abbracciarla, chiederle se fosse tutto a posto, farsi raccontare cosa era accaduto e dirle di andare subito dai professori; ce l’avrebbe accompagnata lui di persona. Il desiderio di proteggerla, in qualche modo, ma Yuzuriha deviava i suoi sguardi e poi gliene rivolgeva qualcuno di sottecchi, si preparava a sfoggiare un sorriso di circostanza con cui avrebbe voluto fargli credere che era tutto a posto e che ‘oh, scusa, sai, un impegno improvviso. Cerotto? Ah! Pallonata agli allenamenti!’, e che ‘pensa alla partita di domenica! È importante’.

Al diavolo la partita.

Al diavolo qualsiasi cosa.

«Che devo dirvi? Non sa stare lontana da me!»

Mamoru si girò di scatto. Quella voce dal tono beffardo gli trapassò la testa da un orecchio all’altro.

«È tutta una tattica, capite? Ormai lo so come fanno le ragazze.» Naoji era attorniato da cinque dei suoi compagni di squadra, portavano le borse sulle spalle. Naoji parlava a voce alta; si faceva sentire, era quello che voleva: che lui ascoltasse, che lui sapesse.

«Vuole farmi ingelosire per questo esce con quello lì, ma insomma, è chiaro che vuole tornare con me. Me lo ha fatto capire stamattina, ehi! In palestra eravamo solo noi due, se capite che intendo…» Si passò un dito sulle labbra.

Mamoru vide un segno rosso, quello del morso. Naoji gli lanciò un’occhiata e un mezzo sorriso, mentre tutti attorno a lui starnazzavano come gallinacci, qualcuno fischiava.

«Capitano, ne sai una più del diavolo!»

«Ma è ovvio, andiamo!»

«Falla penare!»

Mamoru si fermò. Nella sua testa esplose l’immagine orribile di Naoji che metteva Yu al muro…

«Mamoru, lascia stare.»

…che le metteva le mani addosso…

«Lo sta dicendo per provocarti, non cagarlo.»

…che la baciava di prepotenza…

«È un idiota! Lui vuole solo…»

…che la colpiva.

«…Mamoru? Mi hai sentito?»

La voce di Hajime ronzava come un sottofondo fastidioso e senza significato. Mamoru poteva averlo sentito, ma non gli stava dando alcun peso, le sue parole erano suoni messi in fila.

Gli mollò il borsone con una spinta e partì di corsa; alle sue spalle sibilava l’eco di un ‘merda!’.

Pochi passi, i giocatori di baseball spostati come birilli e lui la palla da bowling lanciata a tutta velocità. Colpì Naoji in faccia con tutta la forza che aveva e la soddisfazione di vederlo andare a terra gli arrivò al cervello.

«Perché non lo fai capire a me, uh?! Forza! Fallo capire a me, se hai abbastanza fegato! O preferisci prendertela con le ragazze, stronzo?!»

«Mamoru! Mamoru, cazzo!»

Le braccia di Hajime lo agguantarono alle spalle, lo tirarono indietro, anche se oppose tutta la resistenza di cui era capace. Attorno grida confuse, qualcuno gli dava del pazzo e cercò di restituire il pugno, ma Ishizaki, spuntato da gli dèi solo sapevano dove, si mise di mezzo, spinse lui indietro con una mano e con l’altra teneva a bada il resto dei contendenti.

Non capiva bene cosa si stessero dicendo, aveva il cuore che gli pompava nelle orecchie, vedeva solo Naoji a terra, che si toccava il naso sanguinante e da sotto le mani sorrideva. Il bastardo sorrideva soddisfatto.

«Ma che diavolo t’è preso, Mamoru?! Non eri tu quello che mi ha impedito di fare a pugni con Kanda?! Che ti dice il cervello?! E voi, oh!, indietro, okay? Indietro!» Ryo cercava di parlare a lui e poi agli altri.

Mamoru si sentì tirare da altre braccia e i suoi compagni continuavano a inveire: Nitta era pronto per fare questioni con i giocatori di baseball, Sanae e Yukari cercavano di calmare tutti, ma solo una voce fece cadere il silenzio di schianto.

«Izawa!» Mister Furuoya arrivò che pareva una belva, tanto che anche lui si riscosse, tornò in sé. «Io non lo so che diavolo ti è preso oggi, ma questo è inaccettabile.»

«Mister-»

«Fa’ silenzio! Sei fuori dalla squadra, scordati la partita di domani.»

«Ma-»

«E ora andiamo dritti in presidenza. Un’espulsione non te la leva nessuno. Non tollero simili atteggiamenti nella mia squadra, sono stato chiaro?» Mamoru abbassò lo sguardo senza rispondere. Furuoya si rivolse agli altri. «Il discorso vale per tutti. Tornate a casa, voi. E tu vai in infermeria, ma poi passerai anche in presidenza, perché dovete spiegare che vi passa per la testa. Andiamo.»

Il mister si avviò a passo deciso verso la scuola, lasciando tutti gli altri dov’erano.

Mamoru si divincolò dalla presa di Hajime con uno strattone e fissò Naoji che si faceva aiutare a rialzarsi. Il ragazzo affrontò il suo sguardo e sorrise allo stesso modo di prima, con quella smorfia soddisfatta di chi non aveva aspettato altro. Si era preso la sua vendetta, l’aveva fatto estromettere dalla squadra e si sarebbe beccato anche un’espulsione. Perfetto. E lui c’era cascato come un fesso.

Poi si volse e le ragazze del volley erano ferme ad alcuni passi. Yuzuriha aveva le sopracciglia aggrottate e le labbra strette; muta tra il brusio delle compagne.

Mamoru raccolse la borsa da palestra, le volse le spalle e seguì l’allenatore.

 

Era stato tutto lento, dapprima, e poi tutto così veloce da rimanerne stordita.

Quando si era accorta di Mamoru, Yuzuriha aveva sentito il tempo fermarsi. Uno strappo nel fiato, un rallentamento nel battito che era precipitato in fondo alle caviglie. Si erano guardati, Mamoru aveva dato l’impressione di stare cerando proprio lei e la prima emozione che Yu aveva provato era stata di paura.

Paura che la bugia finisse per crollare subito, perché era così con Mamoru, non era capace di mentirgli guardandolo negli occhi. E allora si era tirata su il colletto della felpa per riflesso, in modo da nascondere il cerotto, mentre desiderava di andare via, voltare le spalle a tutti per non dover dare spiegazioni. Non dover dire, a denti stretti e un sorriso teso da fare male, che ‘era stato un incidente’ e che ‘avevo dimenticato l’impegno con i miei’.

Si era tenuta la tuta più su, fino quasi a coprire tutta la guancia, mentre la vergogna saliva come seconda emozione, sopravanzando la paura.

Vergogna di quello che era accaduto, di aver permesso a Naoji di arrivare a baciarla, vergogna di non essersi difesa abbastanza, di non essere stata forte abbastanza.

Vergogna di aver pensato di aver bisogno di aiuto. Il suo.

E non sapeva con che faccia mostrare tutta quella vergogna che le si sarebbe letta negli occhi, che Mamoru avrebbe capito… e che avrebbe pensato?

Per questo Yuzuriha si era nascosta, e aveva deviato il suo sguardo fisso. La sensazione che Mamoru sapesse l’aveva attraversata per un attimo ma era stata scacciata perché Teiko aveva promesso, e lei si fidava della sua migliore amica.

Poi tutto era precipitato.

La sensazione del vuoto prima della discesa folle sulle montagne russe.

Naoji, di cui non si era minimamente accorta perché talmente concentrata su Mamoru da non vedere né sentire altro, che straparlava come al solito si era intromesso nella loro discussione silenziosa. Pensare che l’avesse fatto di proposito era stato tanto naturale quanto ovvio, conoscendo il soggetto.

Dèi, come diavolo aveva permesso che uno come lui potesse toccarla? La vergogna verso Mamoru era anche quella, emersa prepotente quando si era trovata spalle al muro della palestra, e dopo le parole sbagliate, a sbagliare erano state le azioni. Mamoru era stato così veloce che tra il prima e il dopo aveva fatto solo in tempo a prendere fiato e poi l’aveva perso e non se n’era accorta, gelata sul posto.

Mamoru aveva già dato prova di preferire più un confronto ironico che fisico, non era un tipo facile a cadere nelle provocazioni e Yu non aveva capito perché, invece, fosse scattato come la molla di una penna rotta.

L’espressione, già tesa, trasfigurata in una così arrabbiata come non gliel’aveva mai vista; e lei sì che l’aveva osservato a lungo, ma quella smorfia lì, quelle labbra aperte a snudare i denti in un ringhio, quegli occhi bellissimi ma spalancati come quegli degli squali erano stati una novità.

«Che sta succedendo?»

«Quello non è Izawa della squadra di calcio?»

«Si stanno picchiando!»

«Yuzuriha, che significa?»

Il richiamo di Takeko fece da ponte alla realtà, riportandola nello scorrere normale del tempo che era davvero troppo veloce.

«Izawa! Io non lo so che diavolo ti è preso oggi, ma questo è inaccettabile.»

«Mister-»

«Fa’ silenzio! Sei fuori dalla squadra, scordati la partita di domani.»

«Ma-»

«E ora andiamo dritti in presidenza. Un’espulsione non te la leva nessuno. Non tollero simili atteggiamenti nel mio club, sono stato chiaro?»

Il gelo azzannò i fianchi di Yuzuriha. Mordevano voraci con brividi che le arrivavano alle ossa, fecero male e ancora peggio fece lo sguardo che Mamoru le lanciò prima di raccogliere il borsone e andarsene.

Lo sguardo della colpa, quella che le aveva appena scaricato addosso.

È colpa tua se è finita così.

È colpa tua se sono stato messo fuori.

È colpa tua se sarò espulso.

E con la colpa arrivò la certezza che Mamoru era a conoscenza di tutto. La reazione avuta era stata la conferma alla sensazione che aveva bollato come impossibile e che di colpo la fece sentire tradita.

«Glielo hai detto?»

«Yu…»

«Ti avevo chiesto di non farlo.» Serrò la mascella, sentì l’amaro sotto i denti.

«Non ho potuto-»

«Perché credi che te l’abbia fatto promettere?! Per evitare questo! Ma tu la lingua proprio non la sai tenere a freno, vero?! Brava, bell’amica sei… proprio una bella amica.»

«Fammi almeno-»

«Vai al diavolo!»

Yuzuriha si fece spazio tra le compagne e si allontanò, dapprima a passo svelto e testa bassa per non incrociare le occhiate di nessuno, ma quando sentì che a richiamarla fu l’Orsa, si mise a correre lasciando tutti indietro, amici e nemici.

 

Hajime calciò un sassetto lungo la strada che l’avrebbe portato a casa, era quella che costeggiava il fiume. Ci era passato tante volte, la conosceva come le sue tasche e ne conosceva il valore romantico, visto che l’aveva suggerita a Mamoru.

Ed era proprio da casa dell’amico che stava tornando, perché non era bastata l’espulsione dalla squadra e i tre giorni da scuola, ma con presenza: i suoi genitori l’avevano punito vietandogli di mettere il naso fuori per quel week-end. Ma Mamoru non era apparso tanto turbato per la breve reclusione, né per l’espulsione da scuola: era l’esclusione dalla squadra a pesargli di più. Per l’amico, ogni partita era importante allo stesso modo se volevano di nuovo trovarsi in finale per chiedere la rivincita alla Toho.

Questo valeva anche per lui, per tale motivo era andato a trovarlo in quel sabato pomeriggio, che ormai volgeva alla sera, e vedere come stava, dirgli che poteva stare tranquillo, che avrebbe lavorato il doppio per riuscire a coprire la sua assenza.

Mamoru aveva accennato un sorriso e si erano battuti un pugno d’intesa.

«Anche perché, se dovessi giocare una merda, lunedì ti farò il culo.»

Mamoru non era pentito del pugno mollato a Naoji. Glielo aveva detto tra una stronzata e l’altra, ma lo aveva ringraziato di averlo trattenuto, perché avrebbe finito col dargli anche il resto.

Hajime non aveva faticato a credergli e forse era stato questo a sorprenderlo. Anche senza dirlo a parole, Mamoru aveva segnato il confine tra la cotta stupida della loro età e qualcosa di più.

Morisaki era qualcosa di più.

Aveva un sapore che avresti ricordato tra tutti e che dalla bocca non si sarebbe mai tolto del tutto. Un sapore definitivo.

Con le altre ragazze Mamoru non era mai stato geloso, le provocazioni stavano a zero nella sua scala d’interesse e tutto si rivolveva con un’alzata di spalle e una risata. Con Naoji non ci aveva visto più, aveva assaggiato cosa significasse quando facevano del male a qualcuno d’importante. Hajime aveva pensato che avesse un sapore amaro come il veleno.

Con l’ennesimo calcetto mandò avanti il solito sassolino, come fosse un pallone.

Lui non ce l’aveva mai avuto qualcuno di simile, che gli facesse provare quel sapore tanto buono quanto persistente, che avrebbe finito per influenzare tutti gli altri; e forse una parte di sé stesso non avrebbe voluto provarlo mai.

Hajime era per il mordi e fuggi, per la libertà, per il rotoliamoci insieme dove vuoi, ma a ciascuno i suoi problemi. A ciascuno i suoi dolori, le sue solitudini. Insieme ci si poteva divertire, ma ancora non se la sentiva di avere a che fare con una cosa tanto grande da mandarti fuori di testa.

E poi c’era l’altra parte che, invece, gli borbottava che aveva solo paura di essere rifiutato. Che, sì, per un po’ di sesso andava bene, ma che per stare insieme noooo; mica era Mamoru, lui. Non aveva le sue stesse maniere, lo stesso appeal e il viso da idol. Lui era scarmigliato anche se si pettinava, dei modi non gli fregava niente e quegli incisivi troppo sporgenti per cui spesso l’avevano preso in giro erano il suo ‘diffidometro’.

Stare con qualcuno, qualcuno d’importante, significava anche cambiare un po’ e lui non voleva. Lui non sarebbe cambiato per nessuna ragazza.

Diede un ultimo calcio più forte e il sasso si allontanò di parecchio.

Hajime alzò la testa e gli occhi catturarono il movimento di capelli troppo mossi che negli sgoccioli del tramonto avevano luci di bronzo mentre si sollevavano e abbassavano a causa del vento.

Li fissò, fermandosi a qualche passo di distanza, quelli giusti per essere al contempo dentro e fuori delle percezioni delle persone. E da quelle di Teiko Kisugi era decisamente fuori, perché non diede alcun segno di aver notato di non essere più da sola a guardare la fine del tramonto e l’avanzare della sera.

Erano intrappolati in un equilibrio perfetto e fragilissimo.

Hajime si prese il suo tempo per rubare ogni riflesso di quei capelli.

Il suo nome era circolato spesso negli angoli più bui dei corridoi, quelli dove i ragazzi si raccontavano le conquiste, le sfoggiavano come trofei e poi si dicevano a vicenda come fare ad approcciare Tizia o Caia perché ci sarebbero state: se le passavano come figurine.

Kisugi era una che ci sapeva fare, aveva detto qualcuno, una che sapeva come divertirsi e far divertire. Pareva fosse stata con uno dell’università e poi? Com’era finita? Non lo sapeva, non si era mai interessato al passato, era una perdita di tempo.

Hajime l’aveva vista spesso e trovata carina subito. Tanto carina. Ma troppo in alto per lui, troppa puzza sotto al naso. Una che poteva permettersi parecchio e non ne faceva mistero.

Doveva ammetterlo, aveva un po’ fatto lo gnorri quando era venuto fuori che a Mamoru piaceva Morisaki, aveva finto di non sapere chi fosse, ci aveva girato intorno e l’aveva stuzzicata di proposito per osservare le reazioni, e poi aveva pensato avesse delle fossette deliziose e uno spirito pratico e schietto che la rendevano non così distante come creduto. Parlava in faccia con la scusa di fare la snob, sapeva rispondere per le rime ed era consapevole di sé stessa abbastanza da non aver paura ad ammettere che le piaceva divertirsi. Non temeva cosa avrebbero potuto pensare gli altri, perché avrebbe sempre avuto la risposta a portata di lingua.

Era carina.

Era troppo carina.

In quella maniera pericolosa che avrebbe potuto incastrarsi tra il sé che chiedeva un legame e quello che invece voleva rimanere libero.

E ora le scelte erano due: tirare dritto e fingere di non averla vista o domandarsi perché fosse lì da sola a guardare il tramonto con l’aria abbattuta. Dov’erano le sue amiche e le compagne di squadra? L’allenatrice Shiroyama era dura più di Furuoya e sapendo che il giorno dopo avevano anche loro la partita era strano che le permettesse di andare in giro invece di dirle di riposarsi e stare concentrata. Poi la brezza smosse i riccioli di bronzo e ne scoprì con maggiore chiarezza un profilo che sembrava perso a non guardare nulla; si ricordò di come Morisaki fosse scappata via il giorno prima lasciandola indietro con aria smarrita e colpevole.

Hajime la fissò per un momento più lungo, infine abbassò lo sguardo sulla punta delle scarpe e si ricordò anche di non essere un tipo che passava sulle cose fingendo di non vederle.

Infilò le mani nelle tasche e sorrise a sé stesso prima di raggiungerla e sedersi sul muretto al suo fianco, ma dando le spalle al fiume e al tramonto. Le loro braccia si sfiorarono e solo allora, quando era ormai dentro il suo spazio, Kisugi si accorse della sua presenza.

Lei si volse, lui se ne accorse con la coda dell’occhio perché ne stava ancora guardando i capelli.

«Non credevo che la Strega d’Acciaio fosse tanto buona da lasciarvi la libera uscita prima di una partita.»

«Sì, figurati.»

«Oh. Stai disertando?» Hajime la guardò, accennando un sorriso. «Mi piace.»

Teiko dondolò i piedi nel vuoto che li separava dall’erba del declivio. «Non avevo voglia di stare a casa.»

«E di cosa avevi voglia?»

«Di non avere ficcanaso intorno, sciattoni e spettinati.»

Hajime rise. Incrociò le braccia al petto e le diede una spallata. «Anche imbronciata non perdi l’occasione.»

«Non sono imbronciata.»

«Sì che lo sei.»

Teiko girò il viso dall’altra parte e ad Hajime non rimase che fissare le onde dei capelli, profumavano di mandorle.

«E anche se sono imbronciata che ti frega?»

Era una bella domanda, quella. Hajime era incerto sulla risposta.

«È stata una pessima giornata.»

«Puoi dirlo forte…»

«Hai fatto bene a dire a Mamoru cosa è accaduto.»

«Sì, certo. Lo pensi solo tu, mi sa.»

«Lo pensa anche Mamoru.»

«Di sicuro non Yuzuriha… Avrei dovuto farmi i fatti miei, è successo un casino. La mia migliore amica non mi parla più, Izawa è stato espulso. Perfetto.»

«Puoi vedere solo il risvolto negativo, ma lo sai anche tu che dirlo è stata la cosa migliore.» Dallo zainetto che aveva sulle spalle cavò una bottiglietta mignon con tappo svitabile in metallo. Gliel’allungò. «Fatti un goccio e tirati su.»

Kisugi guardò prima la bottiglia e poi lui; un sopracciglio le saettò in orbita sugli occhi che sembravano cioccolato fondente e lucido che Hajime rimase a fissare senza timore d’apparire molesto.

«Che roba è?»

«Sakè.»

«Il solito cafone! Non abbiamo l’età per questa roba!»

«Non farla tanto lunga e bevi. Non ci credo nemmeno se lo giuri in ginocchio che non hai mai toccato dell’alcool.»

Teiko gonfiò le guance e girò la faccia con un moto stizzito e un’arricciata di naso. Hajime trovò che fosse bella e fiera; la bilancia dei suoi desideri iniziò a pendere pericolosamente da una parte e per equilibrare le parti avrebbe dovuto lasciare un po’ la presa, ma poi Teiko si volse e gli tolse la bottiglietta dalle mani, bevendone quasi metà in un sorso prima di restituirgliela.

«Non è un Kokuryu,» sentenziò con una smorfia che accompagnò il forte dell’alcool.

Hajime sorrise, lasciò un dito di fondo alla bottiglietta, mentre la bilancia cadeva inesorabilmente e lui non fece niente per tornare a metterla in equilibrio.

«La solita snob.»

«Sì, un po’ lo sono.» Teiko si lasciò sfuggire un sorrisino. «Se non avessi detto nulla, voi non avreste perso uno dei vostri giocatori migliori per la partita di domani.»

«Ehi! E noi altri?!» Hajime allargò le braccia. «Non prendermi per scarso! Io sono una delle punte d’attacco! Ce la caveremo.»

Ma il sorriso di Kisugi venne divorato in un’altra smorfia, la stessa che le fece stringere gli occhi e girare altrove la faccia. In quel gesto, Hajime vi lesse tutte le lacrime che non gli aveva mostrato e allora distolse lo sguardo per rispetto nelle sue decisioni.

Tra le altre cose, Teiko era una che non ci stava a esibire le proprie debolezze. E anche quello gli piaceva. C’erano troppe cose che gli piacevano di lei e il ‘troppo’ era sempre pericoloso.

Avvertì il peso della sua testa sulla spalla e seppe che il piatto di uno dei bracci della bilancia era andato a fondo del tutto.

«Ti spiace se resto un po’ così?» chiese, la voce leggermente nasale e il profumo di mandorle che addolciva l’aria. «Solo un pochino…»

Ma per Hajime sarebbe potuta rimanere anche tutta la sera.

 

Mamoru guardava il soffitto, con le mani intrecciate sotto la testa. Era in quella posizione da che Hajime se n’era andato e almeno fino a che i suoi genitori non l’avessero chiamato per cena, non era intenzionato a muoversi.

Dell’espulsione, sua madre e suo padre non ne avevano fatta una tragedia, ma erano rimasti delusi, quello sì. Glielo aveva letto nelle espressioni e nelle parole asciutte.

«Non mi sembra d’averti mai insegnato a risolvere in questo modo i tuoi problemi, Mamoru.» Suo padre l’aveva detto con un sopracciglio inarcato e settato su rimprovero duro. «Cosa ti è venuto in mente?»

«Quello lì ha alzato le mani su un’altra persona.»

«Saresti dovuto andare dai professori, allora.»

«Non potevo, ero… ero arrabbiato.»

«E ora sei in punizione, perché il naso fuori di casa non ce lo metterai per tutto il week-end. Spero ti sia chiaro e ti aiuti a riflettere su quello che hai fatto.»

E a riflettere certo che ci aveva riflettuto, ma ogni volta che faceva scorrere le sequenze nella testa, la soluzione non cambiava mai, e neppure la sua reazione: perché quel pugno in faccia era l’unica cosa che era in grado di desiderare al momento e l’unica cosa che riusciva a dargli un senso di soddisfazione e giustizia. Che fosse sbagliato lo sapeva anche da solo, ma quel bastardo aveva messo le mani addosso a…

Mamoru emise uno sbuffo a le labbra serrate. Il cellulare l’aveva guardato distrattamente, ma non aveva ricevuto alcun messaggio da Morisaki, né telefonata. Nemmeno lui le aveva scritto e sapeva che non l’avrebbe fatto, in parte perché non avrebbe saputo che dire o come cominciare, e in parte perché il suo orgoglio lo faceva ancora sentire messo da parte.

Yuzuriha l’aveva guardato quasi fosse stato un mostro, anche quello lo frenava.

Quel venerdì aveva davvero toppato su tutta la linea, non ne aveva imbroccata una neppure pregando, e adesso era chiuso in casa a pensare a tutto, compresa la partita del giorno dopo, ma senza poter fare nient’altro. Solo pensare.

«Mamoru! Scendi!»

La voce di sua madre arrivò forte e chiara e lui si tirò a sedere. L’immobilità di restare a letto lo faceva sentire inquieto; almeno la cena sarebbe riuscito a distoglierlo da tutto il resto, mentre la domenica l’avrebbe passata in attesa di sapere il risultato della partita. Dal lunedì sarebbero iniziati i suoi tre giorni di sospensione con presenza scolastica: danno e beffa, neppure a casa se ne sarebbe potuto rimanere. Avrebbe visto quella faccia da bastardo di Naoji e non avrebbe potuto neppure mandarlo al diavolo, per non incorrere in un altro provvedimento.

«Eccomi!»

Mamoru scese le scale senza fretta, stropicciandosi i capelli schiacciati dal cuscino.

«Hai di nuovo visite.» Ai piedi della scalinata che portava ai piani superiori, sua madre lo aspettava appoggiata al caposcala con entrambe le mani. «Anche se non te le meriteresti, dopo quello che è successo, ma credo che restare a casa sia più che sufficiente.»

Mamoru accennò un sorriso e pensò che Hajime si fosse scordato qualcosa, o che fosse qualcun altro della squadra, ma quando passò accanto a sua madre, questa incurvò le labbra in un sorrisino malizioso.

«E poi non avrei mai rimandato a casa una così bella ragazza. E tanto alta!» mormorò, strizzandogli l’occhio e accennando col capo alla cucina.

Mamoru tirò indietro il mento e la seguì con lo sguardo mentre si allontanava verso il salotto.

Bella ragazza?

Ci mancava solo una di quelle che a scuola gli facevano il filo; proprio non aveva voglia di vederle. Ma la seconda parte della frase pronunciata da sua madre gli fece drizzare la schiena.

E tanto alta!

E di ragazze alte lui ne conosceva pochissime.

Mamoru raggiunse la cucina quasi correndo. La sensazione di attesa gli aveva fatto salire lo stomaco alla gola, dove lo sentì battere assieme al cuore quando riconobbe la figura di Yuzuriha, ferma con le mani nelle tasche della tuta e la fronte imperlata di sudore.

Ecco e ora lo stomaco e il cuore erano stati attorcigliati stretti stretti dalle budella.

Yuzuriha fece un passetto indietro e il sorriso a labbra chiuse venne diviso equamente tra lui e il pavimento.

«Ciao. Scusa l’ora…»

Mamoru avanzò del passo che Yu aveva fatto indietro, più altri due, ma poi si fermò di colpo. Le mani anche nelle sue tasche, come se tenerle appese lungo i fianchi potesse infrangere ogni equilibrio.

«Figurati.»

«Ho interrotto la cena? Ci ho messo un po’ ad arrivare…»

«Hai corso fin da Mizukoshi?»

«Non è tanto lontano, si può fare.»

«Ti stavi allenando?»

«Un pochino, anche se il mister dice che dovremmo riposarci, solo che… Non avevo tanta voglia di stare a casa.»

«Anche io prima di una partita faccio sempre una corsetta o qualche esercizio che non mi affatichi troppo e non mi faccia sentire ‘fermo’.» Si passò due dita sulla nuca, piegò un sorriso.

Erano ciascuno nel proprio spazio sicuro, anche se Mamoru sentiva il magnetismo attirarlo verso Yuzuriha, rendere più stretti quegli spazi che, sì, li tenevano protetti ma a distanza tra loro. Non gli piacevano tanto, lo infastidivano e lo rendevano inquieto.

«Mi dispiace per oggi. Lo so che sono l’ultima persona che vorresti vedere.» Yu non lo guardava in faccia. «Teiko non avrebbe dovuto dire niente, mi aveva fatto una promessa.»

«E pensavi che non me ne sarei accorto? Non è stata colpa di Kisugi: io e Takasugi avevamo capito che c’era qualcosa che non andava. La tua amica ci ha provato a tenere il segreto, ma non puoi dire di no a Takasugi quando si incazza. Dovresti saperlo.»

«Già…»

«Comunque, ha fatto bene a dircelo.»

«Come no.»

«E quindi credi che stare zitta sarebbe stato meglio?!»

«Almeno nessuno sarebbe finito fuori squadra!» Yuzuriha alzò la testa con decisione. «Ti hanno sospeso?»

«Tre giorni, con presenza.»

«Scommetto che a Naoji non hanno fatto niente,» sbuffò Yu. A lui non rimase che confermare e ricordare con quanta soddisfazione Naoji l’avesse fissato mentre gli veniva comunicata la sospensione, quanta sicurezza. Mamoru aveva desiderato fargliela mangiare fino a strozzarcisi, perché sapevano entrambi chi fosse davvero dalla parte del torto e chi meritava di essere sospeso.

«No.»

«Avete detto perché vi siete azzuffati?»

«No. Non spettava a me, e di sicuro quell’idiota non si sarebbe messo nei casini da solo.» Tenne le braccia conserte. «Saresti dovuta andare subito dai professori, o almeno dirlo a qualcuna delle tue compagne. Che ti è preso?! Quello ti ha picchiata!» e baciata. Cazzo, ti ha baciata contro la tua volontà!

Yu affrontò i suoi rimproveri a testa alta con occhi brillanti. Difendeva le proprie posizioni senza paura; si domandò se si fosse battuta allo stesso modo contro Naoji e quanto quell’infame dovesse esserci andato fisicamente duro per farla soccombere.

«So difendermi da sola, non ho bisogno del cavaliere che venga a salvarmi, mi pare di avertelo già detto una volta!»

«Sì, si vede come sai difenderti. Perché non sei andata dritto e di filato dal mister?! Ti avrebbe portato lei dal preside!»

«Certo, per te è tutto facile, vero?»

«Sì che lo è!»

«Ovvio, perché sei Mamoru Izawa. Per te non ci sono problemi.» Le labbra di Yu si piegarono, conferendole un’espressione di scherno, mentre indicava sé stessa. «Ti dimentichi che io sono solo Morisaki, e per una come me, dire di essere stata molestata da Naoji sai che risposta fa ottenere? ‘Ma non è che lo hai provocato?’. Dopotutto, noi stavamo insieme fino a poco tempo fa, quindi la colpa è anche un po’ mia, no? ‘Ma sì, uno screzio tra innamorati. Non c’è bisogno di fare tutto questo rumore, risolvetele fuori dalla scuola’. Continua a pensare per te stesso, bravo. Sarà sempre tutto più facile così.»

«Dovresti avere più fiducia negli altri.»

«Riparliamone quando lunedì sarò sulla bocca di tutti come quella che ti ha fatto espellere.»

Yu girò il capo con stizza e Mamoru si sentì pungere sul vivo.

«E poi perché diavolo ti sei scaldato tanto? Alla fine, io e te siamo solo amici. Siamo usciti un paio di volte, non ci siamo nemmeno mai baciati. Che ti importa se ho un problema con Naoji? Avresti dovuto pensare alla squadra e alla partita… ed è per questo che sono venuta. Mi spiace che dovrai saltare l’incontro di domani.»

Ma a Mamoru della partita fregava meno di zero, perché i pensieri si erano aggrappati a una frase in particolare che gli aveva battuto un gong nel petto senza prima avvisarlo.

Non ci siamo nemmeno mai baciati.

Già, dopotutto che cosa voleva da lei?

Erano amici… e nient’altro?

Non l’aveva mai baciata… non ci aveva provato e non perché non volesse, ma questo non riuscì a dirglielo, perché non avrebbe saputo spiegare il timore di poter passare per uno come gli altri. Uno come Naoji.

«Anche tu hai la partita. Dovresti tornare a casa, Mizukoshi è distante da qui e non posso accompagnarti… Punizione.»

Anche se non poteva riportarla fino al suo quartiere, Mamoru la scortò per il giardino di casa fermandosi davanti al cancelletto. Lo aprì e si fece da parte, aggrappandosi con la mano allo stipite di legno spesso che impediva di vedere l’interno.

Yuzuriha uscì dalla loro proprietà solo di un passo e si volse a guardarlo, stringendosi nelle spalle. «Non volevo che finissi in questo casino.»

«Ormai è andata.»

E anche lei stava per andarsene, per questo la fermò per un braccio prima che facesse quel passo con cui si sarebbe allontanata.

L’afferrò, senza stringere, solo per farle capire di non scappare, perché aveva ancora un’ultima cosa da dire e non era fatta di parole.

Mamoru avvicinò il viso, con gli occhioni di Yuzuriha pieni di sorpresa. Appoggiò le labbra contro la pelle morbida della guancia, affondarono appena e inspirò il suo odore. Chissà perché, aveva sempre creduto sapesse di zucchero filato, come quello del Luna Park in cui erano stati insieme la prima volta. Quell’odore gli si era piazzato nelle narici e lo associava a Morisaki per istinto in un gioco stupido di idee.

Contro la pelle appoggiò anche la punta del naso, poi la fronte contro la tempia e si godette il momento con il cuore che batteva nella gola e gli occhi chiusi. La testa di Yu pendette appena verso la sua, per quel secondo che si concessero insieme e poi entrambi tornarono a riprendere le distanze conosciute. Eppure, Mamoru sentì che andava bene così. Per una volta ne ebbe la certezza, stavano percorrendo la strada giusta, pur con gli imprevisti e i problemi che avevano nomi e cognomi e collera. Pur con le punizioni e le espulsioni, non stavano sbagliando nulla.

«Ci vediamo lunedì,» disse e Yu annuì e basta, deviando il suo sguardo ovunque, fino a nascondere mento e bocca dentro al colletto alto della felpa chiusa fino in cima, ma i suoi occhi avevano fatto in tempo a scorgere il fenicottero della collanina che le aveva regalato.

Trattenne un sorriso: una partita saltata e una punizione erano un buon prezzo per quel momento che avevano condiviso.

Poi lei si volse e riprese a correre lungo la strada illuminata dai lampioni, mangiandola con l’ampia falcata delle sue gambe lunghe.

 

Yuzuriha si asciugò il sudore dal mento con il dorso della mano.

Ancora non si capacitava come avessero fatto a vincere il primo set, visto quanto stavano giocando male: la squadra era disomogenea, come una vernice asciugata e poi crepata. Lei non c’era con la testa, sbagliando i tempi delle veloci una volta su tre e quello era l’ultimo set. Il tabellone segnava uno pari e un punteggio corrente di ventitré a venti per le avversarie. La vittoria era tanto vicina quanto lontana, anzi, più lontana in quel momento; fare due punti era un attimo, bastava l’ennesima distrazione, una palla alzata male, un attacco murato, una battuta sbagliata. La sicurezza che aveva in campo e le percezioni che l’avevano sempre ben indirizzata, che a volte le avevano anche fatto ‘sentire’ la sconfitta o la vittoria, non erano buone. Sentiva di camminare sulle uova e Teiko era in posto quattro, lei si era spostata in posto due appena le avversarie avevano battuto. Takeko ricevette la battuta in maniera impeccabile; la palla sarebbe caduta tra le sue mani quasi che qualcuno l’avesse accompagnata. In quel momento avvertì che non avrebbe voluto alzare per Teiko, non si sentiva a suo agio a farlo; nessuna delle due aveva tentato di chiarirsi, non si parlavano da venerdì e l’allenamento del sabato mattina era stato caratterizzato da un silenzio che aveva lasciato interdette compagne e allenatrice. La Strega d’Acciaio aveva blaterato di non far partire titolare una delle due e lei era stata sostituita dall’altra alzatrice all’inizio del secondo set, dopo la terza battuta sbagliata di fila. Era rientrata solo perché la sua compagna era meno esperta e aveva sentito la pressione della responsabilità. Con Teiko a stento si erano rivolte un saluto a inizio incontro o una parola di incoraggiamento; anche per questo non voleva alzare per lei, non ne aveva tirata su una come al solito, tutte imprecise, ma aveva già chiamato lo schema e cambiare all’ultimo momento avrebbe disorientato le compagne. Alzò comunque e si rese conto subito di averla spinta troppo; Teiko avrebbe potuto solo appoggiare per riuscire a mandarla almeno dall’altra parte del campo, magari con un pallonetto. Ma così come lei era distratta e sbagliava anche le cose più semplici, altrettanto Teiko era fuori fase e invece di accompagnare la palla provò a schiacciare comunque ottenendo solo di mandarla fuori sulla linea di fondo senza trovare il tocco del muro.

Ventiquattro a venti. Match point per le avversarie.

Teiko imprecò e poi le lanciò un’occhiataccia che incassò con sufficienza e un’alzata di mento.

Come diavolo me le alzi?!

Che vuoi? Sei tu ad aver schiacciato di merda!

La conversazione tra loro avrebbe potuto essere ridotta a questo sprezzante scambio di battute.

Yuzuriha non c’era. Teiko non c’era. E non c’era il loro legame che le aveva sempre viste lavorare in coppia con affiatamento e cooperazione: dove una sbagliava, l’altra metteva una pezza, ma adesso sembrava che ognuna giocasse una partita solitaria.

Entrambe tornarono in posizione senza degnarsi più di uno sguardo, chiuse nelle rispettive certezze che non sapevano comunicare.

Yuzuriha cercò di pensare a qualcosa di positivo che potesse farle trovare un minimo di concentrazione e la prima cosa che le venne in mente fu il bacio che Mamoru le aveva stampato sulla guancia la sera prima. Sentì di nuovo lo stesso calore risalire dal collo. Pochi attimi prima di quel momento aveva detto delle cose che non pensava sarebbero mai uscite dalla sua bocca e poi… non se l’era aspettato. Aveva sentito tutto il corpo bruciare per un semplice e casto bacetto sulla guancia. Quando era corsa via, ringraziando l’aria in viso per riuscire a sedare il calore, e aveva ripreso un po’ di lucidità, si era resa conto della differenza abissale tra i baci di Naoji e quello di Mamoru. La differenza che i due contatti le facevano.

Fin dall’inizio, con Naoji aveva sempre provato un certo fastidio che non aveva saputo spiegarsi se non con la propria inesperienza. Aveva creduto fosse normale e che dipendesse da lei. Invece era solo che Naoji le faceva ribrezzo e timore; l’esperienza nella palestra era stata illuminante per quanto terribile.

Con Mamoru… non sapeva che dire. Anche solo un bacio sulla guancia l’aveva fatta sentire sulla graticola, dalle piante dei piedi fino alla punta dei capelli. Aveva sentito il cuore batterle come non aveva mai fatto e le aveva ricordato i momenti al Luna Park, quando avevano ballato il rockabilly e alla fine si erano trovati stretti l’uno all’altra.

Era proprio Mamoru a farle questo effetto, perché le piaceva davvero, perché le piacevano i suoi modi e come sorrideva quando si divertiva. Innamorarsi, alla loro età, era facile, il difficile era far durare quel sentimento per una stessa persona per tanto tempo quando i cambi di scuola, di classe e di città facilitavano i distacchi e il formarsi di diverse compagnie. Lei aveva tenuto sempre nel cuore il sentimento che provava per Mamoru fin dalle medie. L’aveva tenuto conservato e non avrebbe mai pensato che le cose sarebbero potute andare così.

Takeko ricevette la nuova battuta e nel pensiero positivo di Mamoru che era riuscito a darle una punta piccina di sicurezza, balenò quello nefasto di Naoji: la sensazione di venire chiusa al muro, di non essere abbastanza forte, di sentirsi tradita da Teiko, Mamoru che veniva messo fuori squadra.

Alzò per Shiho, al centro, ma il passaggio fu troppo basso e venne murata.

Venticinque a venti.

Nemmeno la pallavolo era riuscita a creare una nuvola salvifica attorno a lei. La partita era finita, avevano perso e sapeva di averne almeno un settanta per cento di responsabilità: era l’alzatrice, le sue mani decidevano il buon fine di un’azione, l’impostazione; se lei sbagliava, allora anche le altre avrebbero sbagliato.

«Dannazione…»

«Non è una sconfitta importante.» Shiho le poggiò il palmo a metà schiena e poi strinse sulla nuca, nella presa da Mamma Orsa con i piccoli. «Ma scordati di continuare così con Teiko anche la prossima settimana. Chiaritela, o ve la faccio chiarire io. Siamo intesi, cucciola?»

L’ultima frase fu un mormorio che, a occhio esterno, avrebbe potuto sembrare un tentativo di consolazione, però lo sguardo severo di Shiho e le sue labbra dritte non lasciavano scampo: le aveva dato un ordine e un tempo entro cui eseguirlo, non c’era spazio per compromessi e contrattazioni.

Poi la lasciò indietro, e andò sotto rete per il passaggio dei saluti.

Yu trovò Teiko all’angolo opposto del campo, e con un broncio insoddisfatto tale e quale al suo. Quella partita avrebbero potuto vincerla in fretta, ma erano state egoiste e questo era il risultato. Eppure, saperlo servì a poco se nello sguardo che si scambiarono c’era accusa reciproca. Infine, anche loro si misero in coda per la stretta di mano alle avversarie, recuperarono le loro cose abbandonate in panchina e raggiunsero lo spogliatoio senza dire niente, né cercarsi più.

«Brave. Avete proprio dimenticato tutto quello che vi ho insegnato, giocando come non avreste dovuto. Brave davvero, ci vuole arte anche per involversi come avete fatto.» La Strega d’Acciaio non stava urlando come si era aspettata, e forse questo era peggio: guardò loro tutte con sufficienza e poi volse le spalle allo spogliatoio.

«Fatevi una doccia e rimettetevi in sesto. E meditate, nel frattempo, meditate.»

Se ne andò, lasciandole da sole a borbottare, tutte a bassa voce, tanto che lo spogliatoio venne riempito di brusii di cui a volte faticava a capire la pronuncia.

Yu rimase per un po’ con la schiena appoggiata al legno della panca e neppure le altre erano sveglie come al solito; la pigrizia da sconfitta regnava.

«Be’, a loro non è andata poi tanto meglio…»

Yu si volse, Takeko stava smanettando con il cellulare, scorreva qualcosa.

«Di che parli?» Shiho l’anticipò.

«Della maschile di calcio. Hanno pareggiato.»

Il senso di responsabilità si moltiplicò a dismisura. Yuzuriha nascose la testa tra le spalle e si alzò per dirigersi alle docce.

«Be’, con Izawa in panchina…»

«Non c’è mica solo Izawa in squadra.» Alla risposta aspra di Teiko, Yu si fermò e si volse. «Se hanno pareggiato è perché non si sono impegnati abbastanza.»

Che avrebbe dovuto risultare come un’accusa, ma detto da lei, quella che non arrivava mai puntuale alle aperture della palestra faceva un po’ ridere.

Yuzuriha tenne per sé qualsiasi commento, e raggiunse le docce: lunedì sarebbe stata una giornata d’inferno.

 

Per un attimo era stata tentata di non andare a scuola, far passare un paio di giorni e rimanere rintanata sotto le coperte, ma sua madre – che aveva capito fosse accaduto qualcosa di importante – sarebbe stata capace di trascinarla fin davanti ai cancelli. E più delle ragazze stupide a scuola, temeva sua madre quando si incazzava, perché ci avrebbe messo un attimo a farle fare figure di merda epocali per le quali sotterrarsi non sarebbe stato abbastanza.

E poi… e poi non voleva passare per una codarda oltre che debole. Di difficoltà, sfottò e stupidi scherzi ne aveva affrontati parecchi in passato e sempre a testa alta. Avrebbe superato anche quello.

Così, stringendo forte la tracolla della borsa, varcò i cancelli. I brusii le furono subito attorno, così come gli occhi degli altri che sentiva seguirla a ogni passo, ma lei tirò dritto e dritta era la schiena, dritta era la testa. Tentare di incurvarsi per passare inosservata nel suo caso era tanto inutile quanto grottesco. Nella testa e attraverso gli sguardi degli altri il senso di colpevolezza non voleva andarsene, sussurrava alle orecchie, pizzicava sotto la pelle.

Yuzuriha provò a essere sorda, continuò a camminare fino all’atrio della scuola. Raggiunse il proprio armadietto per cambiare le scarpe. Metà del lavoro era fatto, doveva solo arrivare in classe e sarebbe stata al ‘sicuro’. Avrebbe potuto chiedere a Misaki della partita e avrebbe potuto chiedere di Mamoru, ma poco poco, in maniera discreta. Chissà come aveva preso la notizia del pareggio…

…chissà se si fossero incrociati nei corridoi, avrebbe potuto affacciarsi, e…

Yu sospirò, riponendo le scarpe da ginnastica dopo aver estratto quelle per la scuola.

‘E’ cosa?

Metterlo ancora più in difficoltà?

Dare modo agli altri di parlare alle sue spalle più di quanto giù non stavano facendo?

Meglio tenersene alla larga, meglio non dargli altri problemi.

Yuzuriha batté al suolo la punta delle scarpe per farle calzare meglio, poi richiuse lo sportello dell’armadietto e si accorse di essere accerchiata: erano state così silenziose da sembrare giaguari.

Lei ebbe un leggero sussulto per la sorpresa, ma non si stupì affatto delle espressioni minacciose, tra rimprovero e fastidio.

«Eccola qui la star del momento. Non pensavo avessi tanto fegato da mettere la faccia fuori di casa.»

A capo del gruppo ben nutrito, Ritika aveva le braccia conserte sulla sua educata seconda di seno che veniva buttata in fuori come fosse un trofeo e potesse darle importanza.

Ritika era stata una fiamma di Mamoru durante il primo anno di liceo. Una fiamma che per Izawa si era spenta pure piuttosto in fretta, ma non per lei.

A Yuzuriha era capitato di ascoltare alcune conversazioni tra la ragazza e le sue amiche. La condizione di ex di Mamoru segnava uno stato sociale di una certa importanza: lei era una che ce l’aveva fatta, che aveva avuto le attenzioni di Izawa per più di un ciao ma meno di una settimana. Nel suo caso non erano arrivati a sei giorni, ma tra tutte le ragazze della scuola era durata di più.

Quando le aveva sentite parlare, discutevano di sesso. Argomento abituale quando in mezzo c’era Mamoru. Le era sempre sembrato che nessuna lo conoscesse davvero al di fuori di quello. Lei invece si era chiesta spesso cosa gli piacesse, che interessi avesse, come si comportasse con le amiche e gli amici. Come fosse, davvero, Mamoru Izawa. Osservandolo a distanza aveva solo potuto idealizzarlo, e quando era capitata in mezzo a discorsi come quelli di Ritika e le altre, era diventata bordeaux e si era allontanata in fretta.

«Che vuoi?» domandò, caricandosi la borsa sulla spalla e pronta a superare Ritika, ma la giovane le chiuse il passaggio.

«Che lo lasci in pace.»

«Non so di che parli e neppure mi interessa.»

«Per colpa tua Izawa-kun ha saltato la partita. Lo sai che hanno pareggiato senza di lui?»

«E noi abbiamo perso, quindi?»

Ritika sogghignò. «Ben ti sta. La prossima volta pensi a giocare invece di infastidire gli altri. O sono altri i giochi che ti interessano?» la ragazza assottigliò lo sguardo, accompagnando una squadrata che si focalizzò sul seno. «Non credevo che le voci che giravano su di te fossero vere, non ti facevo il tipo. Ma dopotutto, una col fisico volgarotto come il tuo non poteva essere altrimenti. Se vuoi un consiglio, smetti di tenere il piede in due scarpe. Quando si cerca di raggiungere qualcosa fuori dalla propria portata si rischia di fare brutte figure.»

«Oh, allora tu dovresti mollare il club di atletica. È dall’inizio dell’anno che stai a scaldare la panchina, ma forse è quello che vuoi così non ti si rovina la french

Teiko, due armadietti più avanti, richiuse lo sportellino con forza. Yu, più alta di tutte, sgranò gli occhi. Un po’ perché non si era accorta di lei e un po’ perché non si era aspettata un suo intervento.

«E per quanto riguarda Izawa, cos’è che davvero ti rode? Il fatto che lui abbia difeso Morisaki da un idiota o il fatto che per te non l’avrebbe fatto nemmeno tra un paio di secoli?»

Con un sorrisino, Teiko si appoggiò con la spalla agli armadietti e incrociò le braccia.

«Pensa agli affari tuoi, Kisugi. Nessuno ti ha interpellata.»

«Questi sono affari miei, perché ero presente. Parlo con cognizione di causa, tu per dare aria alla bocca.»

Ritika sollevò il mento. «E tu su come si usa la bocca ne sai parecchio.»

«Che dirti, nessuno si è mai lamentato. Non posso dire lo stesso di te, però. Mi spiace, Ritika, sarai sempre seconda, o anche terza, quarta…»

«Sei solo una-»

«Ehi!» Yuzuriha afferrò Ritika per il braccio che la giovane aveva sollevato, con fare minaccioso. La strattonò indietro e si frappose tra lei e Teiko. «Era con me che stavi parlando. Hai qualcos’altro da dire?» con la schiena dritta e senza nascondersi come al solito, Yuzuriha mandò avanti le curve, tanto da respingere Ritika di un paio di passi. «Altrimenti gira al largo, secca. E lo stesso vale per voi.» Concluse, con un’occhiataccia circolare di monito.

Ritika si allontanò con un’imprecazione tra i denti, seguita dalle compagne. Yuzuriha le osservò andare via per l’atrio e solo quando imboccarono le scale sgonfiò il petto, incurvando le spalle.

Solitamente lasciava che le altre avessero sempre l’ultima parola, ma quando avevano quasi insultato Teiko non ci aveva visto più: passi prendersela con lei, ma le sue amiche doveva essere lasciate stare, senza contare che Teiko ne aveva passate pure troppe per le dicerie. La gente non aveva proprio niente di meglio da fare che giudicare gli altri.

«‘Secca’

Kisugi alzò un sopracciglio e Yu si grattò la nuca.

«Be’, è un chiodo in confronto a me.»

Si guardarono, sorrisero. Le ultime parole che si erano scambiate erano state solo per recriminarsi gli errori di gara. Yuzuriha aveva avuto modo di pensare a quanto fosse stata ingiusta, anche perché Shiho le aveva spiegato per bene cosa era accaduto: Teiko aveva cercato di coprirla e Mamoru aveva ragione, ma la paura e la vergogna l’avevano frenata.

«Andiamo? Altrimenti facciamo tardi. Ho storia alla prima ora, chi se lo vuole sentire il prof?»

«Io ho matematica, che è la stessa cosa.»

«E buon lunedì.»

Si avviarono fianco a fianco, pronte a separarsi una volta raggiunto il piano.

«Grazie…»

Teiko ravviò i ricci. «Grazie a te: si fosse avvicinata di un altro passo le avrei strappato i capelli. Insomma, l’hai sentita? Voleva sminuire le mie capacità orali! Che ingenua!»

Si guardarono di nuovo e stavolta risero come avevano sempre fatto.

 

«E quindi ci siamo scoperti troppo all’inizio del secondo tempo e loro ne hanno approfittato. È stato un errore da fessi, gli avversari non erano stupidi, ma abbiamo contenuto il danno. Un pareggio non è male.»

Fuori dalla porta della classe, mentre aspettava che anche Teiko uscisse per andare a mangiare insieme, Yu ne aveva approfittato per scambiare due parole con Misaki.

«Mi spiace non siate riusciti a vincere.»

«Spiace di più a me per voi. Avete perso. Che è successo?»

Yu strinse il laccio del sacchetto che conteneva il bento e sollevò le spalle. «Non eravamo molto sincronizzate. Colpa mia.»

«Ti ho vista di sfuggita questa mattina con Kota Ritika. Tutto a posto?»

«Niente che io e Kisugi non abbiamo saputo risolvere,» rispose accennando un sorriso e Misaki annuì. Lei distolse lo sguardo per un attimo, le sembrò che fosse il momento migliore. «E Izawa come l’ha presa? Il pareggio, dico.»

Taro aprì le labbra, ma non rispose. I suoi occhi saettarono oltre la spalla.

«Perché non glielo chiedi di persona?»

Yu fece solo in tempo a girarsi: Mamou era già lì. La mattina, appena entrati in classe, non lo aveva visto neppure di sfuggita e trovarsi ora i suoi occhi addosso le fece salire un calore al petto che arrivò a stringere la gola. Ricordò l’effetto delle labbra sulla guancia.

«Chiedermi cosa?»

Anche la sua voce le fece effetto, forte, allo stomaco.

«Ah, no. Niente, non importa, io… devo andare. Le mie compagne mi aspettano. Scusate.»

Yuzuriha si infilò nello spazio tra i due calciatori e scappò prima di poter essere fermata. Per sua fortuna, Teiko uscì in quel momento dall’aula e lei la travolse prendendola per un braccio.

«Pranzo. Subito.»

«Ehi! Cos’è sta fretta?» Kisugi si guardò attorno e poi guardò alle loro spalle. Yu glielo lesse negli occhi che aveva fatto due-più- due nel vedere Izawa. Non ebbe quindi bisogno di aggiungere altro allo sguardo supplichevole che le rivolse e che diceva: ‘andiamo, non ti fermare, fammi scappare perché non so che dire e non so che fare’.

 

«Oh, ma su che pianeta sei? Mandami una cartolina o almeno dimmi se le ragazze sono carine.»

Hajime gli diede di gomito in maniera decisa all’ennesima volta che si estraniava da un discorso.

Aveva pastrocchiato solo con metà pranzo e di certo non l’avrebbe terminato.

La testa di Mamoru era ancora un discorso non pervenuto.

«No, niente ragazze, qui. È un pianeta di merda.»

«E allora come non detto, ma vedi tornare in tempo per l’allenamento del pomeriggio.»

Mamoru sorrise e mise via quello che restava del proprio pranzo.

Morisaki lo stava evitando e lui non aveva fatto molto per cercare di accorciare la distanza. Aveva saputo fin dalla domenica che avevano perso e non aveva neppure tentato di chiederle come era andata, anche se avrebbe voluto farlo. Taro gli aveva accennato che aveva avuto problemi con una delle sue ex.

Yu glielo aveva detto che sarebbe accaduto e lui non ci aveva dato peso. Non aveva dato peso a un sacco di cose; il mondo delle ragazze era più complesso e delicato di quanto creduto.

«Avete intenzione di restare a ponente e levante ancora per molto?»

«Di che parli?»

«Me lo stai chiedendo davvero?»

«È venuta da me sabato sera…»

«Questa non me l’aspettavo.»

«Nemmeno io,» sorrise Mamoru. «Abbiamo discusso.»

«Non mi sembra ne sia nato qualcosa di buono.»

«Ci ho ripensato per due giorni interi.»

«Ecco perché sei su un pianeta di merda: quelle mentali, di seghe, non portano mai a un cazzo. Te l’avrò detto mille volte.»

Mamoru rise, si diedero una spallata.

«Ho capito qual è il problema che ho con lei, perché non sono riuscito a baciarla.»

«È un problema che si può risolvere?»

«Dipende. Come la vedi se le soluzioni sono tra starci male e combinare un casino

«La vedo di merda.»

«Appunto.»

«Per quale delle due ti senti preparato?»

Quella era l’unica cui Mamoru non era riuscito a darsi una risposta; le opzioni avevano implicazioni diverse e definitive e lui temeva di non essere pronto per nessuna delle due, di non essere certo di voler rischiare tanto visto che non aveva messo in conto di arrivare a questo punto. Credeva sarebbe stato come con le altre, più o meno, e solo adesso aveva capito che non avrebbe mai potuto esserlo. Fin dall’inizio la forza che lo aveva spinto verso Morisaki era stata differente e durava da più di quanto immaginato. I suoi occhi avevano trovato Yuzuriha da tempo, ne avevano apprezzato l’atletismo, le forme generose, le gambe lunghe, lo spirito sportivo. Aveva percepito l’affinità, ma aveva continuato a circondarsi di altro che durava poco, ed era senza impegno. Uscire con lei l’aveva messo davanti a una situazione che aveva ignorato e minimizzato, fino a che non l’aveva invitata fuori, e che non aveva più potuto mettere da parte quando si era scoperto a provare una certa ansia nell’aspettarla. Mamoru l’aveva capito da subito che Morisaki era diversa, ma non si sarebbe aspettato che anche tutto il resto sarebbe cambiato nell’avvicinarsi a lei. Quando lo aveva fatto, le percezioni e i dubbi erano aumentati tanto da non poter più fare finta di nulla. E ora anche Hajime gli aveva posto la domanda che richiedeva una sola risposta: scegli.

Teiko Kisugi piombò tra loro prima che potesse tentare di rispondere. In una diversa occasione l’avrebbe vista come un’ancora di salvezza, ma l’espressione scura che la ragazza portava con sé, unita alle mani piazzate sui fianchi, parlò di tutt’altro.

«Chiariamo una cosa, moscone, non ho la minima idea di cosa tu voglia fare con Yu-chan, se ci tieni sul serio o se è solo il passatempo dei prossimi giorni, ma vedi di essere chiaro, perché se fai poco poco lo stronzo, Shiho Takasugi ti sembrerà la cosa migliore che possa capitarti.»

Mamoru aggrottò le sopracciglia, ignorò l’appellativo di ‘moscone’ che non aveva capito e fissò intensamente il modo in cui la ragazza stringesse le labbra e poi guardasse in giro, quasi con paura di venire scoperta a vederli parlare.

«Non lo sa che mi stai dicendo questo, vero?»

«Figurati! Se lo sapesse mi ucciderebbe! E questa volta per davvero! Abbiamo già passato un week-end del cavolo…» Teiko lanciò un’occhiata fugace ad Hajime e poi sospirò. «Abbiamo perso la partita.»

«Lo so. E tu sai che mi sono preso un’espulsione per lei.»

«Sì, ma continuate a girarci intorno senza dire le cose come stanno. E da lei tutta questa timidezza me l’aspetto pure, ma non da te!»

Mamoru abbassò lo sguardo alle proprie scarpe.

«Quindi deciditi. Perché lei stravede per te, ma si sente responsabile di quanto accaduto e non vuole causarti altri problemi. Si terrà alla larga, e finirà che vi perderete.»

Tra lo stare male e il combinare un casino, il perdersi era forse la soluzione accettabile?

Mamoru la valutò, con gli occhi ancora fermi alle scarpe.

Perdersi e lasciare tutto come era stato, ma un po’ peggio. Magari non parlarsi più.

Ma la sensazione della guancia contro le sue labbra poteva dimenticarla come niente fosse? Il modo in cui avevano riso e si erano divertiti, avevano parlato come si fossero sempre conosciuti, poteva dimenticare anche quello?

O forse anche perdersi scivolava sempre di più verso la sfumatura dello ‘stare male’?

«Se lei non si facesse tutte quelle paranoie del cavolo la sua decisione l’avrebbe già presa. Ma visto che è dura come i muli…»

Kisugi gli stava chiedendo di farlo lui, prendersi la responsabilità per entrambi.

Alzò lo sguardo e la sentì imprecare tra i denti.

«Uuuh, che linguaggio poco snob.»

«Pensa ai fatti tuoi, carino!» Teiko rimbeccò Hajime.

«Oh! È la seconda volta che mi dai del ‘carino’. Devo forse iniziare a illudermi?»

«Non ho tempo di stare a battibeccare con te! Yu mi sta cercando, devo andare! Pensaci, Izawa. E deciditi!»

Scappò in fretta, cercando di non farsi vedere dalle compagne di squadra che si guardavano attorno per vedere dove fosse finita.

Il suo sguardo incontrò quello di Morisaki, ma lei lo distolse subito e poi si girò di spalle.

Prendersi la responsabilità… non era una cosa che poteva fare da solo, in quel caso, ma poteva scegliere, quello sì, e poi fare in modo che anche lei scegliesse.

Lei che non aveva bisogno di cavalieri a difenderla e lui che aveva paura di compiere il primo vero casino della sua vita.

 

La Strega d’Acciaio le aveva fatto una parte che sembrava non volesse finire più.

Lunga, dettagliata, affilata e definitiva, ma tra le cui righe era riuscita a leggere una certa preoccupazione per un comportamento anomalo da parte sua: lei, che era sempre stata ligia e concentrata quando si trattava della pallavolo, sembrava persa in altro. I sottili – nemmeno tanto – riferimenti ai ragazzi, Yuzuriha li aveva colti come stilettate date con precisione chirurgica.

Per un attimo era stata quasi tentata di dirle cosa stava accadendo, ma si era sentita una vigliacca a dover ricorrere all’aiuto del mister: il danno a Mamoru era già stato fatto, lei doveva risolverla da sola. E di certo non l’aveva risolta durante l’allenamento, in cui aveva giocato male, nonostante la riappacificazione con Teiko. Era proprio Yuzuriha a essere fuori fase; la sua mente rincorreva Mamoru in pensieri in cui non riusciva ad afferrarlo, ma che lo vedevano allontanarsi sempre di più. Sentiva già il sapore del rassegnato ‘è stato un bel sogno’.

Un sogno in cui aveva avuto molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare: la sua compagnia, le sue risate, la sua gentilezza, quel bacio sulla guancia. Non aveva smesso di bruciare sotto la pelle e non sapeva spiegarsi come potesse riuscirci ancora. Passandosi la mano sul viso, si disse che era solo questione di tempo prima che si affievolisse fino a sparire, e di quel bacio non sarebbe rimasto che un dolce ricordo e nulla più.

Tra l’atteggiamento molesto di Ritika e la sensazione di panico che le era presa quando Mamoru si era avvicinato mentre parlava con Misaki, restare separati le era sembrata la soluzione migliore per tutti.

Non proprio una scelta da cuor di leone, come le aveva fatto presente anche Teiko, ma Yuzuriha non ne aveva trovata un’altra accettabile, anche se avrebbe significato darla vinta a Naoji. Ma qui non si trattava più di vincere o perdere, ne andava della serenità di terze persone che non dovevano finire in quella specie di guerra sull’onore ferito che il Capitano della squadra di baseball stava portando avanti.

La ramanzina e poi la sistemazione della palestra le avevano rubato molto più tempo del previsto, ma tutta la squadra era rimasta per darle una mano, tra sorrisi complici e abbracci estemporanei. Le avevano fatto sentire la vicinanza e la compattezza del gruppo.

La Nankatsu di pallavolo era unita, anche se non tutte conoscevano la faccenda nel dettaglio, ma era sufficiente sapere che una delle compagne aveva bisogno di aiuto e supporto per fare cerchio e tenerla al sicuro. Shiho, nel ruolo di Capitano, aveva battuto molto su questo spirito di unità, aveva dato l’esempio, per questo la chiamavano Mamma Orsa.

Yuzuriha vide lei, Takeko e Teiko sulla soglia della palestra che la aspettavano per tornare a casa insieme, mentre le altre erano sparse per le scalette e facevano confusione. Si sentì fortunata, nonostante Naoji cercasse di farle attorno terra bruciata: le sue compagne si fidavano e non stavano a sentire le chiacchiere.

Uscì, col borsone sulle spalle, e tutte insieme si mossero per allontanarsi dalla palestra e dalla scuola. Chi proponeva di andare a mangiare qualcosa in centro, chi cercava di farsi spiegare matematica, chi si organizzava per il prossimo weekend. I club stavano a poco a poco terminando le attività a quell’ora, e lei aveva sperato di essere tra gli ultimi a lasciare il cortile, ma di lontano scorse che anche quelli della squadra di calcio avevano tardato.

Il gruppetto di giocatori e manager era nelle loro condizioni: borsoni sulle spalle, rumorosi e uniti. Avevano uno spirito di squadra che le era sempre piaciuto, le ricordava il loro ed era uno spirito vincente, visti i risultati. I suoi occhi trovarono Mamoru quasi subito, l’avevano cercato senza dire niente alla sua testa, perché mossi dal cuore, e l’avevano trovato sorridente, rilassato.

«Non sarebbe il caso di parlarci?» borbottò Teiko.

«Se lo meriterebbe,» aggiunse Shiho, dietro di loro assieme a Takeko di un paio di passi.

Yu ne fissò intensamente il profilo, la luce del sole che brillava sui capelli neri e il sorriso che gli apriva le labbra mentre dava una spinta a Ishizaki.

«No. Lasciamo che le cose muoiano così, un po’ alla volta.» Proprio come erano nate.

«Non devono morire per forza. Si possono sempre sistemare.»

Yuzuriha sorrise alle parole di Kishida, di solito la più pratica e pessimista del loro quartetto, ma che cercava di incoraggiarla comunque. In un’altra occasione avrebbe ascoltato le sue amiche o, meglio, si sarebbe fatta trascinare da loro che prendevano sempre il timone con prepotenza quando lei tentennava. Ma quella volta era sicura di cosa fare, e non c’era spazio per slanci romantici dell’ultimo momento e finali da film. Semplicemente, ci si faceva da parte in silenzio, nella normalità di tutti i giorni che li avrebbe visti di nuovo nei ruoli che avevano sempre ricoperto, da liceali quali erano. Gli impegni quotidiani li avrebbero assorbiti e si sarebbero dimenticati in fretta di quella fugace parentesi.

Questo fino a che non comparve Naoji. Di nuovo.

«Possibile che quello lì stia sempre tra i piedi?! Cazzo, fa?! Ti stalkera?!»

Teiko parve leggerle nella mente, perché lo pensò nel momento in cui lo vide fermo a parlare con alcune ragazze e i suoi compagni di squadra. I team sportivi della scuola Nankatsu erano molto popolari in città, grazie agli ottimi risultati raggiunti nei vari campionati, e non era una novità trovarli spesso a intrattenersi con gli studenti che facevano parte delle tifoserie. Anche la loro squadra femminile ne aveva una, e la maschile di calcio. Figurarsi quella di baseball, tra le più premiate nella storia della scuola. Tra le ragazze, Yu riconobbe anche alcune che erano amiche di Ritika. La sua solita fortuna.

«Non calcolate quell’ameba, e tirate dritto. Gli darò una lezione quando lo beccherò da solo.»

«Non ne vale la pena, Orsa

«Questo lascialo decidere alle mie mani,» soggiunse Takasugi lasciandosi sfuggire una sottile nota di piacere al monito di Kishida.

Yu cercò di concentrarsi solo sulla propria strada, si trattava di quanti? Venti, cinquanta metri? Un centinaio per raggiungere i cancelli ed essere fuori? Le parvero i più lunghi della sua vita.

Naoji si accorse di lei, le rivolse un sorriso divertito e viscido. Lei lo fulminò con la peggiore occhiataccia che aveva in repertorio, corredata da una smorfia di disgusto, in cui però avvertì anche il dolce della soddisfazione nel vedere il chiaro segno violaceo lasciato dal pugno di Mamoru: faceva bella mostra tra zigomo, guancia e naso e a nulla serviva il cerotto con cui aveva cercato di nasconderlo, l’alone fuggiva da tutte le parti. Distolse lo sguardo e quasi d’istinto andò a cercare proprio quello di Izawa che trovò imperscrutabile, tanto da farla sentire in difetto. L’intero gruppo di calcio si era fermato al lato opposto rispetto quello di baseball in una sfida all’O.K. Corral in cui lei si sentì protagonista pur senza volerlo, perché era nel mezzo della faida. Ne era la causa, e avrebbe dovuto vedersela da sola per risolverla, come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.

«Ti fa molto male, Naoji-senpai?» chiese una kohai del primo anno.

Keigo sollevò il mento e svirgolò le labbra in alto, gonfiando il petto. Quelle attenzioni lo facevano gongolare, alimentavano l’ego spropositato che si ritrovava. E ne aveva tanto, Yu lo sapeva: era un tipo che voleva essere idolatrato, centro universale della sua cerchia che tendeva ad allargare il più possibile.

«Ma no! È solo un graffietto. Sarà pure bravo con i piedi, ma con le mani… Sempre detto che il calcio non è uno sport vero, tira fuori solo gente piena di boria. Noi di baseball portiamo avanti una tradizione molto più nobile e virile. E poi ci sono persone che non sanno proprio perdere,» aggiunse, con sottile compiacenza, guardando Mamoru. L’attimo dopo, però, gli occhi furono su di lei. «E persone che non sanno quanto sia sbagliato mettersi contro di me.»

Le ragazzine squittirono e ne acclamarono la dimostrazione di forza quasi fosse eroica e romantica, spregiudicata come i romanzetti che tanto andavano di moda, e non si rendevano conto, non riuscivano a vedere quanto quell’atteggiamento fosse pericoloso e nascondesse lati orribili. Lei ne aveva avuto un assaggio che era stata brava a gettare via in fretta. Le altre, invece, lo idealizzavano come ogni ragazzina del liceo era abituata a fare. Vivevano di questo. Di ideali e storie d’amore che sembravano esistere solo nei telefilm e nei manga. Vivevano di attimi e dovevano brillare come fuochi d’artificio.

Ma quello lì aveva cercato di mettere in pericolo la sua libertà, aveva minato i rapporti con le sue amiche, distrutto ciò che forse avrebbe potuto costruire con Mamoru.

Quello lì aveva fatto la mossa sbagliata.

«Vero, Morisaki?» Naoji cercò proprio il suo appoggio, avvicinandosi a passo deciso. Aveva una sicurezza di sé che l’espulsione a Izawa aveva alimentato come carbonella. «Tu ormai mi conosci bene, diglielo, Yuzuriha.»

Mamma Orsa avanzò di un passo, ma lei la fermò con la mano: che avrebbe saputo cavarsela da sola non valeva solo per Mamoru, e i piedi in testa se li era fatti mettere anche troppo.

Keigo le si fermò davanti con sorriso smagliante e l’intenzione di allungarle una mano sul fianco, nell’atteggiamento confidente per cui lo aveva già ammonito. Yu fece un passo indietro preventivo e chiaro, tanto che la mano di Naoji rimase a metà strada.

«Certo. Ed esistono anche persone che non capiscono quando uno dice ‘No’. Ti ricorda qualcosa?» sorrise, incrociò le braccia al petto senza nasconderlo. «Vedo che hai ancora il segno del mio ‘bacetto’. Chissà che non ti insegni il significato del ‘non voglio’ quando ti viene detto. Magari prima di gonfiarti l’ego, dovresti sturare le orecchie.»

Keigo inarcò un sopracciglio e sbuffò un sogghigno. «La solita, tenace Yuzuriha Morisaki. Con te una lezione non è mai sufficiente,» sussurrò quell’ultima frase, abbassando il capo affinché potesse sentirla solo lei. Poi drizzò la schiena mettendo in mostra la propria solidità. «Devo averti sopravvalutato, ti facevo molto più intelligente, ma si vede che preferisci perdere tempo con gente terra terra. Perché non chiami Izawa per farti difendere? Oh, ma è già qui! Chissà che non ci scappi una nuova espulsione.»

Yu guardò Mamoru, sempre fermo tra i compagni di squadra, con il borsone in mezzo ai piedi e le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa scolastica.

Mamoru rispose allo sguardo nella stessa maniera imperscrutabile di poco prima e poi fissò Naoji. Alla fine, sollevò le spalle e si aprì in un sorriso che avrebbe oscurato anche il sole.

«Naaah. La mia ragazza sa cantartele anche da sola, ma se vuoi noi te le possiamo suonare. Giusto, ragazzi?» Con le mani mimò il gesto di una sviolinata.

Un coro di fischi e assensi si levò sia tra le fila della squadra di calcio, che da quella di pallavolo.

«Kawaii, Izawa-kun!» esclamò una delle manager, dai capelli a caschetto, alzando un pugno al cielo.

Mamma Orsa, invece, le diede di gomito. «Mi piace,» disse, annuendo con un sorriso che la sapeva più lunga di tutte. Teiko fu più spudorata: «E porta a casa un po’ di classe, Naoji.»

Yuzuriha si era persa gli ultimi trenta secondi di vita. Guardò Mamoru con gli occhi spalancati, mimando un esasperato: ‘cosa diavolo stai dicendo?!’. Ma tutto ciò che ottenne fu una strizzata d’occhio che la mandò ancora più in confusione con la faccia in fiamme.

I mormorii di chi aveva accompagnato Keigo correvano velocissimi.

«La sua ragazza?»

«Ma stanno insieme?»

«E da quando?»

«A Ritika non piacerà per niente.»

Yu pensò d’essere finita dalla padella dritta nella brace, ma tirò su la schiena e cercò di darsi un tono qualunque.

Keigo aveva un’espressione che avrebbe voluto fotografare: rosso di collera, gli occhi da Oni e la bocca deformata. Dov’era adesso il supermaschio alfa? Qualcuno l’aveva presa proprio male.

«Ah, allora è così?» sputò tra i denti. «Non hai proprio imparato niente. Be’, peggio per te. Tanto lo so che tornerai strisciando non appena Izawa ti pianterà per qualcun’altra.»

«Mi pare che l’unico ad aver strisciato per avere una seconda occasione sia stato solo tu. E ti è andata male.» Yu sollevò le spalle e si portò un dito al mento.

Non aveva prezzo. Tutto quello non aveva prezzo. E Mamoru fu la ciliegina sulla torta: le si fermò accanto, sentì che erano spalla a spalla.

«Così è la vita, Naoji. Chi erano quelli boriosi che non sapevano perdere?»

Gli occhi di Keigo saettarono al ragazzo; Yu temette che ad alzare le mani sarebbe stato proprio Naoji questa volta, ma si risolse che era troppo vigliacco per confrontarsi ad armi pari, lui preferiva vincere facile.

«Non vali niente, Morisaki. Di puttanelle come te ne trovo a bizzeffe.»

Yu strinse gli occhi a fessura e uno strano istinto di autoconservazione le risalì lungo la spina dorsale come petrolio da una trivellazione.

«Io a questo punto uno glielo mollerei.»

Alle parole di Izawa, il pugno le partì in automatico, dritto in faccia, dove Mamoru l’aveva già colpito due giorni prima. Per la seconda volta, Naoji finì steso, mentre lei ululava un ‘ahiiiiii!’ e si teneva al petto la mano vendicatrice.

«Cazzo, ma fa male!» esclamò, lanciando un’occhiata a Mamoru.

«Certo che sì! Che credevi?!»

«E che ne so?! Tu non hai fatto una piega!»

«Ma è diverso!»

«Ah, e da cosa?! Cos’hai, la mano bionica?!»

Mamoru le regalò una di quelle risate che le avevano fatto battere il cuore più in fretta, ma al momento era troppo impegnata a soffrire per rendersene conto.

«Comunque, bel diretto!» Izawa indicò Keigo seduto sulle proprie chiappe che si teneva la faccia con entrambe le mani e latrava come un cane cui avevano pestato la coda. «Che dirti, Naoji? La mia ragazza sa anche suonarle.» E alzò il pollice. Lei gli diede una spinta.

«Non c’è niente di divertente! Fa malissimo!»

«Dai, ti accompagno in infermeria. Vediamo di trovare del ghiaccio.»

«Maledetti maschi è tutta colpa vostra!»

«E io che c’entro?!»

«Tu c’entri! Sei maschio anche tu, il vostro testosterone è una piaga!»

Il ragazzo rideva, la indirizzò verso l’edificio principale per raggiungere l’infermeria e il resto era indietro, non poteva nemmeno più sentirlo, c’era solo Mamoru che camminava al suo fianco e non smetteva di ridere.

 

A Keigo la faccia faceva male in tutti i punti, anche se era stato centrato solo in uno.

Quella stronza!

Quella stronza di Morisaki l’aveva colpito sul serio!

Quella grandissima stronza!

Gliel’avrebbe fatta pagare. Cara. A lei, a quel bastardo di Izawa.

La sua ragazza?!

Ah!

Morisaki era una sua proprietà. Ci aveva messo le mani per primo ed era lui che scaricava la roba quando non gli serviva più, non viceversa! Ma avrebbe trovato il modo, uno subdolo, il peggiore che gli sarebbe mai potuto venire in mente e gliel’avrebbe fatta scontare a entrambi, perché una simile figura di merda davanti a tutti non sarebbe mai passata impunita. Potevano metterci le mani sul fuoco.

Keigo non ebbe il coraggio di alzare la testa, ma sarebbe andato dritto e di filato da un professore o dal preside in persona. Avrebbe smosso mari e monti, l’avrebbe detto a suo padre. Lui era ricco tanto quanto Izawa, quindi i soldi non erano un problema. Ah! Solo questione di tempo e orgoglio, e di quest’ultimo ne aveva da vendere a peso d’oro.

Fece per alzarsi, ma si sentì tirare giù e strattonare per il retro del colletto della maglia. Il cotone arrivò quasi a strozzarlo. Quando alzò la testa per vedere chi diavolo fosse, sentì il sangue sparire dalle vene.

Shiho Takasugi era la torre del gigante e faceva una paura fottuta, con il suo sguardo affilato che recapitava un solo messaggio breve e diretto: ‘sei fottuto’.

«Con loro hai finito, ma con me non hai neanche cominciato,» sogghignò, «ciccino

 

Percorsero tutto il tragitto fino all’infermeria battibeccando, con Yu che gliene diceva di tutti i colori e lui che tra una risata e l’altra riusciva anche a replicare a tono. E più replicava, più lei si arrabbiava, ed era così divertente che non sapeva smettere.

«E domani credo che il giro in presidenza toccherà a me. Penso ti farò compagnia nell’espulsione… Oh, ma chi se ne frega.»

«Son certo che toccherà di nuovo anche a Naoji, ma questa volta di’ le cose come stanno.» Mamoru si fermò davanti alla porta dell’infermeria. «Anzi, dille prima alla tua allenatrice.»

«La Strega mi ucciderà appena lo saprà…» Yu parve più spaventata dalla Shiroyama che nemmeno dal preside. Entrarono in infermeria, ma la dottoressa scolastica era già andata via. «Mi sa che dovremo fare da soli. Vatti a sedere, prendo del ghiaccio.»

«E se mi sono rotta qualcosa?!»

«Non ti sei rotta niente.»

«Oh, parli facile tu! Cos’è, hai gli occhi a raggi x?!

Mamoru abbandonò entrambi i borsoni accanto alla porta si mise a cercare in quale armadietto fosse il ghiaccio in busta. Quando lo trovò e si volse, rise ancora più forte.

«Ma che fai?! Soffi?! Mica ti sei ustionata!»

«E che vuoi che faccia?! Fa male!»

«Non ti facevo così piagnucolona.»

«Io non sono piagnucolona! Per chi mi hai preso?! Ma ho appena dato un pugno in faccia a un tizio, permetti che sia un po’ sclerata?!»

Mamoru trascinò la sedia con le ruote e prese posto davanti a lei, schiacciando la busta del ghiaccio. Il freddo fu istantaneo. Prese piano la mano di Yuzuriha, cercando di aprirle le dita che teneva richiuse e lei mugugnò a labbra strette.

«Vedrai che non è niente,» la incoraggiò, poggiando il sacchetto e dandole sollievo immediato perché la sentì rilassarsi.

«Davvero secondo te non mi sono rotta nulla? Che so, una falange?»

«Naaah.»

Yu sbuffò, Mamoru ne catturò l’espressione imbronciata attraverso i capelli che gli erano calati un po’ sugli occhi. Di nuovo vicini e in contatto. Non erano passati che due giorni, eppure gli erano sembrati tantissimi. E lui ci aveva rimuginato anche troppo, perché la verità era molto più semplice.

«Però è stato soddisfacente?»

«Cosa?»

«Dargli un pugno.»

«Un po’... Quello stronzo ha creato solo problemi…»

«Ma li abbiamo risolti. Non ti darà più fastidio. La Takasugi era sul piede di guerra da giorni, non penso sia più disposta a passarci sopra. Cioè, a passare sopra ai fatti, ma secondo me è pronta a passare sopra a Naoji.»

Yu lo guardò con occhi sgranati, poi scoppiarono a ridere tutti e due. Oh, del ‘povero’ Naoji non avrebbero più sentito parlare, quella entrava di diritto in una delle poche certezze della vita che avevano.

Mamoru continuò a pressarle piano il ghiaccio, le loro risate si affievolirono nel silenzio generale della scuola. Presto il custode sarebbe passato per un giro di controllo e li avrebbe mandati via. La giornata era finita, ma loro avevano un appuntamento da recuperare e occasioni per stare ancora vicini, e risate come quelle. Avevano tempo da recuperare che non avevano potuto condividere.

«Grazie per non essere intervenuto.»

«Mi è costato, perché avrei voluto spaccargli la faccia, ma ehi!, avevi detto di volertela cavare da sola…»

«E a te che è venuto in mente di dire?! Che sono la tua ragazza?! Non è stata una grande mossa, le altre che penseranno?»

«Sì, ma la faccia che ha fatto Naoji era da incorniciare! E poi non mi interessa delle altre, è con te che sto uscendo.»

«Solo due volte,» s’impuntò Yuzuriha, «e ne abbiamo già parlato, mi sembra.»

«Sarebbero state tre se non ti fossi incaponita a fare di testa tua. E comunque nemmeno tu hai mai cercato di baciare me, e allora?»

«Di solito è il ragazzo che fa la prima mossa.»

«Ma come? Non vuoi che ti difenda e puoi vuoi che sia io a baciarti? E la parità? E il ‘ce la faccio da sola’

«Che c’entra!» Yu lo guardava negli occhi, mostrando lo spirito battagliero e coraggioso che le aveva sempre visto quando si trovava sul campo da pallavolo. E a lui piaceva guardare quelle nocciole d’autunno da così vicino. Gli piaceva come non avrebbe mai creduto d’ammettere. «A me piace quando è il ragazzo a fare il primo passo… io poi potrei fare il secondo.»

«Quindi se io ti baciassi adesso, poi tu baceresti me?» chiese, stringendo lo sguardo. Lei lo sostenne, anche se aveva le guance come ciliegie.

«Vuoi sfidarmi, forse?»

Magari sì. Magari voleva.

Mamoru sollevò il ghiaccio. Le nocche erano rosse, ma non gonfie. «Fa ancora male?»

«Meno di prima…»

«Non ti ho baciata perché sapevo sarebbe stato un casino.»

«È perché ho un seno troppo ingombrante e non credevi di arrivare alla faccia?»

«È perché ho paura che mi possa piacere così tanto da non voler baciare più nessun’altra.»

Mamoru aveva il cuore spaccato: lo sentiva in parte nello stomaco e in parte nella gola. Da un lato gli acidi lo digerivano, e dall’altro l’epiglottide non riusciva a deglutirlo.

Yuzuriha girò il viso. «Non penso di valere tanto. Sono una qualunque.»

«Non per me.»

«Facile dirlo, ma la verità è che non so che pensi quando mi guardi. Sono una delle tante? Sono la novità del momento? Vado bene come sono?»

«Cosa penso? Che una come te non l’ho mai incontrata, che l’effetto che mi fai non l’ho mai provato. Che con te è come conoscerti da sempre… Che vorrei conoscerti di più.»

«Questo è essere sleali.»

«Perché?»

«Perché sono un po’ credulona…» accennò un sorriso senza guardarlo. «…poi finisco per prenderti sul serio.»

Mamoru strinse la presa sulla mano di Yuzuriha quel tanto che bastava ad attirarsi di nuovo i suoi occhi: dentro vi lesse quel fondo di sfiducia che la giovane nutriva verso i ragazzi e la paura delle delusioni, delle insicurezze.

«E se ci provassi a prendermi sul serio?» Mamoru si avvicinò. Gli occhi di Yu, le sue labbra erano calamite che l’avevano intrappolato nel loro campo fin dalla prima volta, ma era sempre riuscito a resistere, grazie alla paura. Adesso non ne aveva più e si sentiva attirare, poco alla volta, in quella lentezza di movimenti dove tutto era calibrato al millimetro e che conosceva bene. Ma il vuoto gravitazionale che aveva nello stomaco, dove il cuore era stato digerito in polvere di stelle non l’aveva mai provato.

«Se provassi davvero a sfidarti? Se vincessi… tu che mi daresti?»

Yu non si tirò indietro, ma la voce era solo sussurro. Così vicini non c’era bisogno di parlare forte. Forse non c’era bisogno di parlare affatto.

«Che… divento la tua ragazza non va bene?»

«Ma sei già la mia ragazza…»

Nel momento in cui le loro labbra si toccarono, Mamoru si ricordò che una parte di cuore gli era rimasta dove batteva anche quello di Yuzuriha. Poteva sentirlo sotto la bocca che si schiudeva poco alla volta per permettere alle labbra di conoscersi meglio, prendersi le misure. Il vuoto gravitazionale si riempì all’improvviso, ma il tutto continuava a fluttuare. Lo faceva sentire stordito, con la testa leggera e le gambe piantate a terra, piene di piombi.

Era nuovo.

Era diverso.

Era bellissimo.

«Lo sapevo che sarebbe stato un casino…» sorrise, prima che Yuzuriha si prendesse il secondo bacio.

Un casino, sì, uno vero, e il più incredibile che potesse capitare.

 

 

 

 

 

 

FINE

- When you look at me -

 

 

 

 

Note Finali: L’ho finita. Alleluja, alleluja!

Vi ho fatto aspettare quasi un anno… deh! UN ANNO?! O_O e chi si è reso conto che è passato così tanto tempo dall’ultimo aggiornamento di WYLAM?!
Porca miseria! Ero talmente infognata nella scrittura di Malerba che ero convinta di avere tempo, di non essere troppo in ritardo… e invece pensavo malissimo. XD

Scusate!

Ma veniamo alla storia: un’altra fine da flaggare e io sono già pronta per tornare dalla mia erbaccia preferita! XD Ho troppo da scrivere per poter tergiversare, ma sono davvero felice d’essere arrivata alla conclusione di questa easylong nata davvero per caso, ma che mi ha fatto togliere uno sfizio che avevo da tempo: quello di scrivere di Yuzo femmina XD

Ora che l’ho fatto, apriamo una nuova pagina bianca e facciamoci trascinare dalla prossima avventura! (e magari, questa volta, la femmina potrebbe essere Mamoru! Oh, tette a turno, è equo! XD) 😉

 

Grazie a tutti voi che avete avuto la pazienza infinita di attendere questo ultimo aggiornamento!

Scusate ç_ç sono imperdonabile! ç_ç

 

Fun-fact: se un po’ avete imparato a conoscere le mie manie da fanwriter, sapete che la musica è una delle fonti maxime di ispirazione, per me. E quando ho trovato il titolo per questa storia, una canzone mi si è piazzata in testa fin dall’inizio. XD Ogni volta che penso a questa fic, penso a When you look at me – Christina Milian’. Early 2000s XD

 

   
 
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