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Autore: seavsalt    16/09/2019    0 recensioni
"Quando il mondo collasserà su sé stesso, bruciando in alte fiamme, saranno le piccole braci rimaste, portate dal vento, a tramandare storie mai narrate, parole mai dette, eventi mai visti, con il loro debole ardere, testimonianza di falò ormai scomparsi."
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Raccolta di oneshot su Dark Souls I, II e III incentrate su pairing, personaggi o eventi, sia narrati che non.
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Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Personaggi: Ledo, Havel la Roccia, Cavaliere Artorias, Ornstein l'Ammazzadraghi; Smough il Giustiziere, Lord Gwyn (menzionati)

Setting: Anor Londo (anteriore a Dark Souls I)

Pairing: Havel/Ledo

Rating: arancione

Trigger warning: tematica dell'omofobia

L’armatura d’argento scintillava sotto la luce del soffio infuocato, scaturito dalle enormi fauci della bestia colossale. Gli altri cavalieri trafiggevano con l’ausilio di lance e spade costantemente la dura pelle, cercando di abbattere il drago, mentre numerosi arcieri miravano dritti al centro delle sue iridi gialle. Ledo era l’unico a colpire con un enorme e pesante martello. Non l’unico in tutta Lordran: lo precedeva per fama il temibile giustiziere Smough, ma l’unico tra i cavalieri d’argento, soldati al servizio del Lord del Sole, il cui unico obiettivo era distrarre la bestia, farla cadere al suolo magari, ma nulla di più, poiché soltanto i fulmini, elemento padroneggiato da pochi, valorosi guerrieri, poteva realmente scalfire le resistenti scaglie dei veri draghi. Non c’era motivo che uno come loro adoperasse un’arma pesante e di conseguenza lenta. Eppure, quando venne arruolato, fu talmente coraggioso da pronunciare di fronte al leggendario Ornstein e a testa alta, le parole: < Desidero usare un martello, signore >. La reazione di chiunque fosse nella stanza in quell’esatto momento trasmetteva, per usare un eufemismo, grande sorpresa e sconvolgimento. Chi avrebbe mai detto che Ledo sarebbe diventato il primo cavaliere d’argento a brandire un grosso martello, forgiato su misura per lui dal miglior gigante fabbro di tutta Anor Londo -gigante che poi sarebbe divenuto uno dei suoi più grandi amici? Quella era la prima volta che lo usava in battaglia contro un vero drago, nemico acerrimo di Lord Gwyn e di tutta Lordran. Tuttavia, aveva ancora molto da imparare. Nonostante scagliasse dei colpi molto energici e distruttivi, erano anche estremamente lenti e difficilmente riuscivano a colpire con successo le dita artigliate della bestia, una volta costretta a terra dalle spesse frecce pensate appositamente per abbattere i draghi. Per caricare un singolo colpo necessitava di un grande sforzo e spesso veniva interrotto a metà. Si accorse che il suo impegno era vano quando il drago, stanco di essere colpito sulle zampe, localizzò la fonte del proprio disturbo e sollevò la zampa nel tentativo di schiacciarla a terra. Ledo si trovava impedito nella corsa dalla sua stessa arma, mentre l’enorme minaccia piombava su di lui a una velocità sempre più alta. Chiuse le palpebre, ormai era la sua fine, ma in quel momento qualcosa lo travolse, buttandolo fuori dall’area di pericolo appena in tempo. Riaprì gli occhi a fatica, a causa del contraccolpo: il grande Artorias era in piedi di fronte a lui, gli dava le spalle. In una mano teneva l’enorme scudo, nell’altra brandiva il pesante spadone. < Rialzati, cavaliere > gli ordinò, con voce ferma e severa. Ledo si mise a stento sui gomiti, tentando di tenere gli occhi aperti in qualsiasi modo. L’ultima cosa che vide, prima di collassare rovinosamente al suolo con un forte rumore metallico, fu la scintillante armatura dorata di Ornstein, che con un potente fulmine scagliato direttamente dalla punta della sua lancia perforò definitivamente le scaglie del drago, rendendolo vulnerabile a tutti quegli attacchi che in precedenza servivano soltanto a distrarlo.

< Perché hai scelto proprio lui? Ti sei buttato in mezzo a un gran bel rischio > una voce squillante, lontana, giungeva ovattata fino alle proprie orecchie. < Non sono stato io a scegliere, Ornstein. Me lo ha ordinato Havel. Lo sai, mi avrebbe schiacciato entrambe le mani se non lo avessi fatto e a quel punto addio vita da cavaliere! > rispose un uomo, con tono irritato. Una voce che aveva sentito poco prima di svenire in combattimento: quella di Sir Artorias. Ledo si sollevò dal letto su cui era sdraiato, avvertendo dolori in tutto il corpo: anche soltanto rimanere seduto era un patimento. Si portò le mani alle tempie, su cui pareva che gli stessero tamburellando con una picca, notando che erano fasciate con una garza. < Fantastico > osservò a voce alta, mentre sul volto si creava una smorfia di dolore. Le voci cessarono, ora c’era solo il distante rumore dei cavalieri che conversavano, si allenavano o mettevano a punto le loro armi, al di fuori della tenda in cui si trovava e in cui qualcuno, all’improvviso, entrò. < Sei sveglio, finalmente. Diamine, ce ne hai messo di tempo >. < Non farmi la predica, Artorias, ti prego > rispose Ledo con tono implorante. Il leggendario cavaliere di fronte a lui rise di gusto. < Non solo fallisci nella tua prima missione, ma ti prendi anche la libertà di usare un tono colloquiale con il grande cavaliere Artorias >, parole che potevano sembrare di rimprovero, ma pronunciate con tono ironico dal cavaliere. < A proposito della missione… Il mio martello. Ce l’avete ancora, vero? > chiese con preoccupazione Ledo, come se non avesse udito tutto il resto delle parole. Dapprima Artorias lo guardò interdetto, ma ben presto un largo sorriso si fece spazio sul suo volto. < Non ti arrendi, eh? C’era da aspettarselo, da uno che ha insistito tanto per avere un’arma fuori dalla convenzione. Mi piace questo aspetto di te, Ledo, per questo ti ho salvato >. < Balle > lo interruppe svelto il cavaliere d’argento < ho sentito la tua conversazione con Ornstein, qua fuori >. Non accennò al fatto che il cuore gli battesse all’impazzata nel sentire che era stato Havel a decidere per la sua salvezza. Havel la Roccia, proprio quel famoso guerriero che lo aveva ispirato, che lo aveva convinto ad adoperare un’arma pesante in battaglia, come il suo Dente di Drago. Peccato che limitarsi ad osservarlo mentre si allenava non bastò a far sì che Ledo imparasse a combattere come lui. < Umpf. Mi rovini ogni divertimento > disse Artorias mentre gonfiava le guance, mettendo le mani sui fianchi. < A proposito, c’è qualcuno qui fuori che vuole parlare con te >. < Di chi si tratta? > chiese il cavaliere d’argento, ma l’altro non gli diede il tempo di formulare la domanda che già si era piombato fuori. Al suo posto, entrò nella tenda un uomo enorme, piazzato, i cui poderosi muscoli non venivano nascosti nemmeno dalla lunga tunica che indossava. Viso austero, solcato da qualche ruga qua e là, capelli neri, un po’ brizzolati, tirati all’indietro e lunghi fino all’attaccatura del collo. Gli occhi di un blu scuro scrutavano il giovanile volto di Ledo, consumato da qualche graffio qua e là. Il cavaliere d’argento rimase quasi a bocca aperta nel vedere quel colosso stagliarsi di fronte a lui. Havel. Havel la Roccia. Ledo si inchinò rapidamente - per quanto potesse farlo da seduto - con grande rispetto ed ammirazione. Avrebbe potuto piangere, se solo non fosse al suo cospetto. < Su la testa, cavaliere, non sono Lord Gwyn > ordinò l’uomo, con voce roca e ferma, per poi sistemarsi su una sedia accanto al letto. < Hai ferite gravi? > chiese, un leggero tono di preoccupazione. Ledo, in tutta risposta, scosse la testa, a indicare che non ne aveva. < Non puoi parlare? > domandò di nuovo Havel, inarcando un sopracciglio. Ledo deglutì. < No, signore. Sono solo emozionato. Insomma, io la rispetto moltissimo, è davvero da tanto tempo che- > < Lo so > lo interruppe bruscamente la Roccia, sorridendo leggermente. < So da quanto mi osservi mentre mi alleno. So anche chi sei. Ledo, primo cavaliere d’argento col martello. Sono stato io a ordinare a Sir Artorias di salvarti. Vuoi sapere perché? > continuò, senza battere ciglio. Ledo rimase colpito, quasi paralizzato, imbarazzato e lusingato nello stesso tempo sentendo che l’uomo che ammirava più di tutti sapeva tutte queste cose su di lui. Il cuore sembrava volergli uscire dal petto. < Sì signore, mi piacerebbe saperlo > furono le uniche parole che riuscì a dire il cavaliere d’argento. < Bene. Ho ordinato che tu rimanessi in vita perché voglio che ti alleni con me. Ti ho visto, là nel campo di battaglia, non desidero che tu sprechi il potenziale che hai > rivelò l’uomo, lasciando Ledo senza parole. Non si sarebbe mai tirato indietro, in fondo avrebbe potuto fare ciò che desiderava da tempo e che non aveva mai avuto il coraggio di chiedere. < Non so che dire, davvero, per me è un onore… Solo una curiosità, signore > disse improvvisamente Ledo, con tono interrogativo. Havel lo incitò a continuare a parlare con un gesto della mano. < Io ho fallito in battaglia, non ho dimostrato niente di niente, non ho potenziale… Allora perché? > chiese il cavaliere, curioso di sentire se Havel fosse serio o meno. < Il potenziale non si dimostra con il successo in battaglia, Ledo. Non ti sei arreso, mai, fino alla fine, nemmeno quando ti sei accorto di star solamente rallentando i tuoi compagni. Questo è quel che conta e che fa di te un cavaliere onorevole e unico, diverso da tutti gli altri >. Ledo lo guardava, arrossendo visibilmente. < Diverso? > < Sì, ma una diversità di cui dovresti vantarti >. Era vero, Ledo era sempre stato diverso, non amava seguire la massa. Non lo aveva mai visto come un qualcosa di positivo. < Se lo dice lei, le credo > rispose infine, con un sorriso sulle labbra. < Ottimo. Se puoi alzarti, seguimi > gli ordinò Havel, alzandosi in piedi. < E dammi pure del tu >.

Gli allenamenti con Havel erano decisamente intensi e tosti, soprattutto per un novellino come Ledo, che all’inizio faceva molta fatica a tenere il passo con il proprio maestro. Tutto ciò, però, lo portò senza dubbio a migliorare in combattimento, superando alcuni ostacoli non da poco. Inoltre, l’allenarsi sempre insieme ebbe l’inevitabile conseguenza di avvicinare i due, che impararono a conoscersi col tempo e addirittura a sviluppare un forte legame di amicizia e fedeltà. Allo stesso tempo ciò permise al sentimento di rispetto e ammirazione che Ledo aveva per Havel di crescere in maniera eccessiva, fino a diventare qualcosa di più, tanto che impediva al giovane cavaliere di chiudere occhio la notte o di concentrarsi al meglio negli allenamenti. Ovviamente questi furono cambiamenti difficili da passare inosservati sotto gli occhi della Roccia, che un giorno, subito dopo aver terminato la simulazione di un combattimento assieme al cavaliere d’argento, si avvicinò a lui, mentre sedeva con sguardo assente su di uno scalino di pietra, parte di una gradinata che si collegava direttamente con la cattedrale di Anor Londo, il fulcro della città degli dèi, dove risiedeva anche il Lord insieme agli amati figli. < Tutto bene? Ti vedo un po’ distratto > osservò Havel, senza troppi giri di parole, il proprio peculiare anello, inserito nell’anulare sinistro, scintillava sotto il caldo sole. < Sì, sto bene > rispose Ledo con noncuranza, come se non avesse ascoltato una parola di ciò che l’uomo gli aveva detto. Poi, quasi si fosse accorto in quel momento di aver mentito, scosse la testa rapidamente, sospirando. < Ecco, in realtà c’è una cosa che devo dirti, Havel >. < Ah, sì? Di che si tratta? > domandò l’altro, curioso di sapere cosa tormentasse tanto l’amico. Ledo si grattò la nuca, imbarazzato, mentre prendeva un grosso respiro. < Tu mi piaci, Havel > disse infine, rosso in volto, senza guardarlo direttamente in volto, ma notando con la coda dell’occhio l’espressione confusa che l’uomo aveva assunto. < Anche tu mi piaci, Ledo. Sei un ottimo amico > rispose l’altro, sorridendo lievemente. Aveva senza dubbio mal interpretato la dichiarazione fattagli da Ledo, ma ormai il cavaliere pensò che fosse troppo tardi per ripeterla di nuovo, non aveva più il coraggio. Sorrise, amareggiato, tentando di nascondere la propria delusione. < Scusami, forse era ovvio. Ora credo di dover andare >. Si alzò in piedi e si allontanò da solo, in silenzio, senza che Havel lo seguisse. Non nascondeva di esserci rimasto male, ma chissà, forse c’era una differenza d’età troppo grande o semplicemente non era davvero interessato a lui in quel senso. Mentre camminava lungo le strade dorate e desolate della mastodontica Anor Londo, un gruppo di cavalieri del suo stesso rango si avvicinarono a lui. Li riconobbe, molti erano suoi compagni nelle file dell’esercito di cavalieri d’argento, tuttavia gli sfuggiva il motivo per cui si fossero accostati a lui in tal modo, quasi accerchiandolo, così che non aveva più modo di fuggire nel caso la situazione si fosse fatta pericolosa, cosa che normalmente non sarebbe dovuta accadere. < Ricciolino > lo chiamò uno di loro, indicandolo, facendo riferimento ai suoi capelli mossi, molto particolari. < Adesso ci ascolterai, o finirai male senza nemmeno avere il tempo di opporti > ordinò quel cavaliere con tono arrogante. Ledo cominciò a sudare freddo, quella situazione non gli piaceva affatto. Non aprì bocca e lasciò che l’altro continuasse. < Ci hai ostacolati in battaglia. Per colpa tua, molti dei nostri compagni sono rimasti feriti, o addirittura morti >, a quelle parole si sollevò un vociferare da parte degli altri cavalieri, che incitavano il loro “capo” esaltando il suo discorso. Egli li zittì con un rapido gesto della mano. < Inoltre siamo appena venuti a sapere non solo che ti alleni segretamente con il capo di un altro esercito, il famoso Havel la Roccia, trascurando le normali esercitazioni, ma inoltre simpatizzi anche per lui a tal punto da provare sentimento? Disgustoso! Dico, si è mai vista una cosa del genere? Un uomo, un cavaliere d’onore, provare sentimento per un altro onorevole cavaliere, per giunta più anziano? Veramente disgustoso > continuò, con tono sprezzante, rivolgendosi al gruppo di cavalieri che in coro annuiva a tutte le sue constatazioni. Ledo impallidì in volto, mordendosi le labbra per evitare di urlare contro di loro: non sarebbe stato saggio, in quanto era in evidente minoranza numerica, anche se nessuno era armato. < Chi te lo ha detto? > si limitò a dire a denti stretti, facendo sanguinare il proprio labbro. < Non sono affari tuoi. Senti la nostra proposta, che sarai costretto ad accettare se hai cara la vita: tu prendi una normale arma, che si addice a un cavaliere del nostro rango, e smetti di frequentare quell’uomo per non portare più vergogna a noi onorevoli cavalieri. Oppure puoi sempre disertare e fuggire in terre lontane. A te la scelta > propose il cavaliere, guardandolo dall’alto al basso, mentre gli altri si irrigidirono, pronti ad agire in caso Ledo avesse fatto un passo falso. Ma il cavaliere col martello non si mosse, rimase fermo al proprio posto e pronunciò un chiaro e forte: < No >. Con lo sguardo fisso sul cavaliere che gli aveva parlato, continuò a negare la proposta, deciso. < Non farò come dite >. < Oh, avete sentito? Si rifiuta! Non hai diritto di decidere, Ledo. Sei diverso da noi. E i diversi non vengono accettati >. Sentire la parola “diverso”, pronunciata con tanto veleno, lo mandò su tutte le furie. Havel gli aveva insegnato che essere diverso non era qualcosa di cui vergognarsi. Perché, allora, i cavalieri gli avrebbero detto il contrario? In realtà quel mondo non accettava davvero chi era “diverso”? Perché Havel gli aveva mentito? < Bugiardi! Siete dei bugiardi! > urlò Ledo, in lacrime, coi pugni serrati. Il gruppo di cavalieri si gettò immediatamente su di lui, buttandolo a terra. Lo presero a calci, a schiaffi, a pugni, gli sputarono sopra, mentre lui se ne stava lì, inerme, con le guance bagnate di lacrime e sangue. Era allo stremo delle forze, pieno di lividi, botte, sangue, graffi, non poteva più muovere un muscolo, non ci vedeva più. Sentì la voce di qualcuno di noto urlare dalla distanza, fino a farsi sempre più vicina. < Fermi, vi ordino di fermarvi! > implorava Ornstein, con tono severo, ma preoccupato. Tuttavia i cavalieri fuggirono prima che egli li potesse vedere in volto, sfuggendo alla loro giusta e meritata punizione. L’Ammazzadraghi si inginocchiò al fianco di un ormai esanime Ledo, tanto vicino alla morte da non averne più timore. < Stai calmo, ora ti sollevo e ti porto al- > < No, per favore… > lo interruppe il cavaliere d’argento, con voce flebile, spezzata, quasi inaudibile, tanto che il cavaliere del leone dovette avvicinarsi ancora di più a lui per sentirlo. < Come? Che stai dicendo! Forza, aggrappati a me > lo rimproverò, tentando di sollevarlo delicatamente. < Se mi farai curare… io fuggirò… e mi ucciderò… non servirà a nulla… salvarmi… > parlava a stento, impiegando tutte le sue ultime forze a fermare Ornstein, il quale, capendo che non stava scherzando, smise di provare a sollevarlo da terra. < Perché, Ledo? Havel mi ucciderà! > urlava l’Ammazzadraghi, disperato. < Digli che mi dispiace… che lo amavo… fallo per me… ma non dirgli la verità… sulla mia morte… > continuò Ledo, un piccolo sorriso stampato sul volto. Ornstein non rispose, lo osservò fino a che non esalò il suo ultimo respiro, mentre gli occhi si facevano vitrei e il suo corpo si irrigidiva. Si chinò sul suo cadavere, colmo di rabbia.

Quando Havel venne a sapere della morte di Ledo, non parlò più se non per dare ordini e passava le giornate ad allenarsi da solo. Gli venne riferito, come voleva il suo defunto amico, che era morto in un incidente e gli furono rivelate le sue ultime volontà. Anche Havel avrebbe voluto morire, ascoltando quelle parole, ma invece doveva vivere proprio per lui. Finché un giorno non seppe la verità. La cruda verità, stavolta senza filtri, direttamente dalle labbra di uno degli assassini, che non riusciva più a vivere per i sensi di colpa. Subito dopo averlo fatto confessare, Havel lo uccise brutalmente, senza alcuna pietà, in silenzio. Radunò i suoi uomini e diede loro dei nuovi ordini. < Uccidete tutti i cavalieri d’argento. Tutti, senza eccezioni. Che gli dèi provino a fermarci, se vogliono. Annienteremo anche loro > comandò, con fermezza e impassibilità, rigirandosi tra le mani un’arma occulta, il famoso tallone d’Achille delle divinità che regnavano su Anor Londo. Il cavaliere d’argento che si consegnò direttamente nelle mani di Havel, smascherando tutta la verità sulla morte di Ledo, menzionò anche il motivo per cui lo assassinarono in quel modo. Al sentire la parola “diversità”, la Roccia si mise a ridere di gusto, poco prima di prendere il suo Dente di Drago e scaraventarglielo sul cranio con crudeltà. Come poteva Ledo essere diverso da loro, quando nemmeno gli dèi erano tanto diversi dai draghi, i loro acerrimi nemici, in quanto entrambi miravano a mantenere la supremazia su delle terre e potevano essere distrutti molto facilmente se si sfruttava il loro punto debole?

   
 
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