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Autore: mughetto nella neve    16/09/2019    1 recensioni
"[...] Aggrotta le sopracciglia, squadrando poco convinto la figura seduta davanti a sé: «Se sa che non andiamo d'accordo, perché intende mandarci insieme?»
«Perché amo il rischio e mi piacciono le sfide!» risponde immediatamente l’uomo facendo aderire la propria schiena alla sedia e spalancando le braccia. Francis incrocia le braccia, sospirando. L’uomo si schiarisce la voce: «E perché non abbiamo nessuno. Beilschmidt? ha perso metà classe la scorsa volta. Edelstein? poi dobbiamo pagargli il ricovero. Von Bock? tanto vale sparargli in un piede, soffrirà meno. Adnan? È in-»
«Va bene, va bene» lo ferma Francis, chinando il capo verso il basso in segno di resa.
[...]"
[Teacher!AU | FrUk | "Back to High School" di fanwriter.it]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: mughetto nella neve 
Fandom: Hetalia Axis Powers 
Personaggi: Francia (Francis Bonnefoy), Inghilterra (Arthur Kirkland); [minori] America (Alfred. F. Jones), Impero Romano, OC, Portogallo
Generi: Commedia, Sentimentale 
Avvertimenti: AU
Note:

★ Iniziativa: Questa storia partecipa a “Back to High School” a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 7083
★ Prompt/Traccia: Tra A e B, entrambi insegnanti, si trovano incastrati a portare insieme i ragazzi in gita. BONUS se sono stati vecchi compagni di scuola con dei trascorsi. 



 

.feeling that belong in an art museum



 

Essere chiamati nell'ufficio del preside non è mai una buona cosa. È indifferente che tu sia un ragazzo o un adulto, comunque si prospettano guai seri all’orizzonte. 

Se ti trovi lì e sei uno studente, molto probabilmente hai fatto un danno: forse si tratterà di quella rissa nella sala mensa di due giorni fa o della ruota anteriore bucata all'insegnante che meno sopporti; potrebbe abbattersi su di te una punizione esemplare o addirittura l’espulsione. Se invece sei il un professore e magari è venuto un bidello a comunicarti simile appuntamento- beh, è anche peggio: forse si è sparsa la notizia che sei stato proprio tu quello che - in retromarcia - ha preso l'auto del principale o che fuma nel bagno al terzo piano; magari ti ha chiamato per dirti che sei licenziato o che, in assenza di altri, devi essere proprio tu a portare la peggior classe degli ultimi cinquant'anni in gita in compagnia di niente di meno che Arthur Kirkland.

Francis, dopo simili parole, sbatte incredulo le palpebre. 

Forse ha capito male; anzi, ha senza dubbio capito male. Capita quando passi tutti i santi giorni della tua vita attorniato da adolescenti che urlano e si lanciano contro oggetti che non pensavi riuscissero ad entrare in uno zaino. L'udito - e anche la tua voglia di vivere - si danneggia così gravemente che è inutile anche tentare di porvi rimedio.

«Il professor Kirkland ha già raccolto le autorizzazioni, i soldi ed ha proprio ieri contattato il museo per avere una guida» parla ancora il preside, questa volta con un sorriso a fior di labbra. 

Francis apre la bocca, ma non proferisce parola. Non riesce a credere a quanto gli è stato detto: lui e Arthur che portano una classe - non una classe qualsiasi, ma il secondo anno della sezione b! - in gita ... ma è assurdo! Lo sanno tutti che non si sopportano! Due settimane fa sono quasi arrivati alle mani dopo che hanno insultato la rispettiva cattedra!

La sua bocca si storce in un’espressione confusa, salvo poi prendere una sfumatura irritata: «Aspetta- un museo? E perché ci vado io e non Feliciano? È lui che insegna arte qui!»

«Feliciano porta già tre classi questo trimestre, se non sbaglio addirittura una in questi giorni» spiega l’altro uomo, alzando le mani verso l’alto come se avesse preso a camminare su un sentiero minato e dovesse usare la massima cautela per districarsi da simile questione. Francis assottiglia lo sguardo, poco convinto. L’uomo prende un lungo respiro: «Il professor Kirkland si è proposto di accompagnare questo secondo anno ma, conoscendo i ragazzi, penso sia opportuno prendere le giuste precauzioni»

Le giuste precauzioni sarebbero inserire un GPS sotto pelle in ogni ragazzino, legarli con una corda rinforzata uno all’altro e addestrare almeno un paio di cani ad individuarli tramite l’odore dei loro vestiti. E anche dopo questi accorgimenti, comunque, Francis non dormirebbe tranquillo. In fondo, cos’è un GPS sotto pelle per alcuni di loro? Velazquez ha passato clandestinamente la frontiera, Walker ha la sua foto stampata sulla bacheca di una dozzina di stazioni di polizia; senza contare quella mina vagante di Jones che sicuro ne sta progettando un’altra delle sue, visto il comportamento spaventosamente sotto tono di queste ultime settimane.

«Tra colleghi bisogna aiutarsi» esala il preside, accompagnando simile frase con un lungo sospiro rilassato.

Francis serra la mascella, allineando le labbra. Vuole essere una frecciatina la sua? Sta criticando la sua esitazione e magari prova a farlo sentire in colpa? Mancava giusto il preside passivo-aggressivo nella lista di disagi che si è trovato a compilare da quando ha iniziato a lavorare come insegnante. Prende un lungo respiro.

«Sono sempre disposto ad aiutare i miei colleghi; ma, non so come spiegarlo, tra me e il professor Kirkland non c’è-» amicizia? rispetto? la possibilità di instaurare anche solo una conversazione pacifica senza mettersi le mani in faccia? «Diciamo che abbiamo un diverso approccio all'insegnamento e numerose differenze d'opinione»

«E vi siete quasi menati nel parcheggio qua dietro due settimane fa!» aggiunge il preside, senza battere ciglio. Francis spalanca gli occhi, stritolando le proprie mani in una presa serrata. «Prima che tu me lo chieda: no, Feliciano non ha fatto la spia. Ero ancora in ufficio ed ho visto tutto. Un punto in più a te e a quel tuo "no, non ne vale la pena"»

Nella mente di Francis segue un istante di puro silenzio. Vorrebbe dirsi sorpreso da simile rivelazione; ma, nella realtà, tutto prova fuorché questo. Il preside è sempre stato una persona strana: troppo propenso allo scherzo per essere preso sul serio, troppo sibillino per generare fiducia e decisamente troppo compiacente per essere davvero odiato

Aggrotta le sopracciglia, squadrando poco convinto la figura seduta davanti a sé: «Se sa che non andiamo d'accordo, perché intende mandarci insieme?»

«Perché amo il rischio e mi piacciono le sfide!» risponde immediatamente l’uomo facendo aderire la propria schiena alla sedia e spalancando le braccia. Francis incrocia le braccia, sospirando. L’uomo si schiarisce la voce: «E perché non abbiamo nessuno. Beilschmidt? ha perso metà classe la scorsa volta. Edelstein? poi dobbiamo pagargli il ricovero. Von Bock? tanto vale sparargli in un piede, soffrirà meno. Adnan? È in-»

«Va bene, va bene» lo ferma Francis, chinando il capo verso il basso in segno di resa. Ben presto scioglie la stretta alle proprie braccia e prende a massaggiarsi stancamente la testa. «Lo faró»

Ha forse alternative? A quanto pare l’intero corpo docenti è indisposto. Dovrebbe essere sfacciatamente indignato per la notizia ma, ancora una volta, non lo è. Quanti anni sono che è in quella scuola? Sette, otto? Forse otto. Beh, in otto anni è accaduto in ordine sparso: un lancio di una patata contro la finestra della presidenza, il furto di quasi un’ottantina di sedie in un’unica notte, tre diversi tentativi di fuga riusciti, sedici diversi tentativi di fuga non-riusciti, bagni allagati, la scomparsa della porta del laboratorio di scienze ed ultimo ma non meno importante il catastrofico arrivo di Arthur Kirkland come insegnante di algebra.

«Molto gentile da parte tua. So che in molti non reggerebbero un altro esaurimento nervoso di Edelstein» riprende a parlare il preside, incrociando le dita delle mani. Lo osserva per qualche istante e poi tira un lungo sospiro. «E su col morale! Non sarà così male! Vi dovrete pur trovare d’accordo su qualcosa!»

Francis annuisce distrattamente ragionando su come, no, in questi ultimi quattro anni, non ha mai concordato con Arthur e che probabilmente non inizierà con la scusa della gita.

 

La verifica è iniziata da mezz'ora e Francis ha appena finito il suo secondo giro tra i banchi. Lancia un'ultima occhiata sulla destra, ma entrambi i ragazzi al banco sembrano intenti nella lettura della traccia. Prende un lungo respiro: sta andando straordinariamente bene. Non riesce quasi a crederci.

Quando ha deciso di sorprendere la classe con una verifica, ha temuto la caduta nel caos più totale. Già vedeva coltellini svizzeri spuntare da sotto i banchi, le imprecazioni in spagnolo che sfortunatamente aveva imparato a capire, qualche tentativo di fuga dalla finestra. Tanto gli era sembrato realistico simile scenario, che era entrato in aula già stanco e stufo; ed invece: silenzio. Certo, i ragazzi si erano lamentati e qualcuno aveva (effettivamente) imprecato alla notizia di un compito a sorpresa; ma poi, la pace. La quiete. La tranquillità.

Si gratta la testa, in parte incredulo. Forse li ha giudicati male. Il secondo b ha sempre avuto una pessima fama tra gli insegnanti. C’è chi si fa il segno della croce prima di entrare nella classe (il caso di Roderich Edelstein, docente di musica) o chi entra già chiamando a gran voce il silenzio (il caso suo, di Beilschmidt, di Adnan o di chiunque altra persona dotata di buon senso). Certo, c’è chi spezza una lancia in favore dei ragazzi (come Feliciano che, beh, probabilmente grazierebbe anche un pluriomicida); ma, la maggior parte del corpo docenti è concorde nel dire che raramente si vede un agglomerato di pessima condotta, bassa attitudine allo studio e naturale propensione per il trambusto.

Francis si porta le mani dietro la schiena, prende un lungo respiro e - giratosi - ritorna sui suoi passi, tornando a perlustrare i banchi. Uno studente, in particolare, attira la sua attenzione: Alfred F. Jones ha terminato la lettura della propria traccia ed ha appoggiato la consegna sul banco. Fissa un punto indistinto davanti a sé, incapace di mettere a fuoco.

 «Non capisco un cazzo. Un cazzo.» lo sente dire con voce perfettamente neutrale. Vorrebbe sgridarlo per il linguaggio sboccato, ma sarebbe come accanirsi su un cadavere. Francis lo osserva prendere di nuovo in mano il foglio, tentare una seconda lettura ma subito fermarsi e lasciare andare via il foglio. Che scenario deprimente. Certo, Francis lo dovrebbe sapere meglio di chiunque altro che imparare una lingua non è per tutti; ma, cavolo!, che tristezza lo assale ogni volta che uno studente lamenta di non capire nulla di quello che sta spiegando.

«Prof’» lo chiama improvvisamente qualcuno dalle prime file. Francis si gira, ma non trova nessuno ad attenderlo. Vede solo schiene e teste ricurve sul testo. Dietro di lui, qualcosa si muove; ma appena si volta, niente: il silenzio, la quiete, la tranquillità.

«Davvero, potrebbe essere arabo questo» continua a parlare Jones, questa volta guardandolo dritto negli occhi come se avesse bisogno di farlo presente a qualcuno. Francis apre la bocca, ma presto la richiude e prende a dare delle paterne pacche sulla spalla al ragazzo.

«Prof’» torna a chiamarlo qualcuno, adesso dall’estrema sinistra della classe. Ancora una volta, quando Francis si gira, non trova nessuno che gli fa impacciatamente segno di avvicinarsi.

«Si può sapere chi è?» chiede, sospettoso. Deve essere qualche nuova tecnica per copiare: probabilmente lo distraggono, chiamandolo, e nel mentre si passano bigliettini, suggerimenti, risposte ... dannati ragazzini, ogni settimana se ne inventano una nuova per fregarlo. Fa bene a sorprenderli con una verifica; se desse loro un vantaggio, probabilmente il giorno del suddetto compito non si presenterebbe nessuno o ci sarebbero talmente tanti bigliettini sparsi qua e là che tornerebbe a casa con qualche foglietto addosso.

Qualcosa sulla destra si muove. Forse hanno lanciato qualcosa o forse hanno ricevuto un qualche tipo di aiuto; ma prima che Francis possa cominciare ad indagare, un altro movimento - questa volta da fuori l’aula - attira la sua attenzione. Dal quadrato di vetro, posto in alto sulla porta, sbuca Arthur Kirkland; il quale, con una rapida occhiata, prende ad osservare l’interno della classe. Sta cercando qualcuno. Francis si scopre senza fiato, come un cervo abbagliato dai fanali della macchina. Che stia cercando lui?

«Voglio il silenzio assoluto» ordina frettolosamente, abbandonando il terzo tentativo di ronda tra i banchi, e dirigendosi in fretta verso la porta. Arthur, nel vederlo finalmente arrivare, fa un passo indietro ed aspetta che apra la porta. Ha tra le braccia tre spessi libri di testo ed è forse per questo motivo che non è potuto entrare liberamente nell’aula. Francis manda giù il proprio nodo alla gola: «Ti serve qualcosa?»

Arthur si schiarisce la voce e Francis ne è già irritato. Non sa come sia possibile, ma quell’uomo riesce ad innervosirlo con pochi, semplici gesti. Sarà il suo tono di voce o per atteggiamento da so-tutto-io o, magari, per quelle gigantesche ed orribili sopracciglia; ma tutto, in Arthur Kirkland, indispone Francis. Poi, certo, l’uomo ha avuto l’ardire di criticare la sua cattedra di lingua francese e solo questo vale una croce sopra a vita; ma, no, non è solo questo: c’è qualcosa in Arthur che Francis non riesce a tollerare. 

«Ho parlato col preside» gli sente dire e quell’irritante accento inglese riesce a fargli accapponare la pelle, manco si stesse passando le unghie sulla lavagna. «Mi ha detto che ti unirai a noi per la gita di mercoledì»

La gita … cazzo, la gita. Se ne stava già dimenticando. O meglio: tentava disperatamente, in tutti i modi possibili, di dimenticarsene. Ecco, perché aveva organizzato la verifica a sorpresa! Per non pensare alla gita e al pensiero di dover parlare con Arthur più di due ore! 

Il panico si diffonde nel suo corpo assieme alla certezza di non poter più scappare da simile evento catastrofico. Il colore abbandona il suo viso, rendendolo probabilmente più bianco dei fogli protocollo. Cosa dovrebbe rispondergli? Che non ha avuto scelta? Che l’intero corpo insegnante si è reso indisponibile per questa gita? Forse dovrebbe. «Si, beh-» 

«Suggerisci o ti brucio la macchina, hijo de puta!» minaccia improvvisamente Adriana Cardenas saltando in avanti ed afferrando per le spalle il compagno di classe che cerca miseramente di tenere lontano il proprio foglio.

Questi, rosso in viso per lo sforzo, si dimena: «Non ce l’ho la macchina!»

«Quando te la compri te la brucio!» incalza la ragazza, tirandogli i capelli e sporgendosi ancora di più verso il foglio. Accanto a loro, un altro ragazzo prova ad afferrare il compito - forse per passarlo a Cardenas o forse per usarlo a sua volta. 

Fatto sta che la classe si agita immediatamente, prendendo a bisbigliare e consigliarsi manco fossero un gruppo militare intento a pianificare un colpo di stato.

«Tornate seduti o ritiro il compito!» ulula Francis, rientrando in classe ed indicando i tre litiganti che però lo ignorano, continuando a litigarsi il compito. Prima che possa separarli, si è già generato il panico più totale.

«La prima è la B!» grida qualcuno dalle prime file, sotto gli occhi di Arthur che alza le sopracciglia come se fosse sinceramente stupito da simile iniziativa. Si, beh, non tutti sono capaci di instaurare lo stesso regime del terrore che impone lui.

Francis tira via - non senza qualche fatica - il compito dalle mani vittoriose di Cardenas. Vorrebbe rivolgersi verso la classe per chiamare il silenzio, ma la ragazza si sporge in avanti e lancia un’ultima occhiata, per poi urlare stridula: «La quarta è falsa!»

«La quindici pure!» proclama Blanca Velazquez dall’ultima fila, con gli occhiali da sole tra i capelli e la tuta rossa addosso.

«Ma non è “vero o falso” la quindici!» protesta Jones con in mano il suo compito. Velazquez, dalla sua postazione, si lascia andare ad una sadica risata. Jones minaccia di spaccarle la faccia.

Francis vorrebbe urlare di fare silenzio, ma il fragore dei tomi di algebra sul banco fa serrare la bocca a lui e all’intera classe. Arthur Kirkland è entrato definitivamente nell’aula ed ha un’espressione da far accapponare la pelle. Si sistema le mani in tasca e, in rigoroso silenzio, procede tra i banchi. Si ferma davanti al tavolo centrale della fila in mezzo: «Allende, in piedi»

«Perché?» chiede con un filo di voce questi, bianco come un cencio.

«In piedi, ho detto» ripete Arthur, questa volta con un tono che non ammette repliche. Il ragazzo inspira profondamente e si alza, lasciando posto all’insegnante che prontamente infila la mano sotto il banco e, tirato via del nastro adesivo, fa apparire dal nulla un telefono. La classe trattiene il fiato. Sembra star vivendo un film dell’orrore. Francis con loro. Tanto che quando Arthur gli si avvicina e gli porge l’apparecchio, non riesce a far parola. Il suo cervello fa fatica a macinare quello che sta accadendo; tanto che, quando finalmente prende in mano il telefono, l’altro insegnante sospira sollevato. Senza fare parola, Arthur si gira, torna al banco dove ha lasciato i suoi libri e li riprende tra le mani: «Ti manderò un paio di mail per la gita»

E se ne va, sparendo tra i corridoio con i suoi volumi di calcolo. Francis non sa cosa dire. Guarda il telefono - ancora avvolto dal nastro adesivo - e poi la porta che Arthur ha lasciato aperta. La sua bocca si schiude appena. Si sente improvvisamente umiliato. Perché ha fatto una simile sceneggiata? Che cosa voleva dimostrare? Che era meglio di lui? Che riesce facilmente a zittire gli studenti e, addirittura, a sgamare chi copia? Francis prende un lungo respiro, lasciando che la rabbia ammonti nel suo petto. 

Che gran pezzo di merda che è. E magari vuole pure che Francis lo ringrazi, che gli faccia i complimenti, che gli dica “oh, Arthúr! Avevi ragione tu! Le materie scientifiche sono di gran lunga superiori a quelle umanistiche!”. Oh, ma per favore. 

Stringe con forza il telefono tra le mani e si muove a gran passi verso Gabriel Allende. Questi è ora rosso per l’imbarazzo; lo guarda con occhi lucidi, come di chi è prossimo a piangere. Francis serra le labbra e gli porge la mano.

«Dammi il compito, Allende» parla lentamente. Il ragazzo sbuffa, chinando di nuovo il capo. Gli passa il compito ed appoggia la propria testa sul banco; l’amica gli si avvicina e prende a parlargli all’orecchio, forse cercando di rassicurarlo. Francis piega il foglio e torna lentamente alla cattedra. «Per questo vostro spettacolino, due punti in meno a testa»

La classe brontola, ma presto torna con gli occhi sui fogli. Francis si appoggia alla cattedra e, con le braccia conserte, li osserva in silenzio. Apre poi lentamente il compito di Allende, lo scopre bianco. Non aveva risposto a niente. Si gratta la testa. È davvero un fallimento come insegnante.

 

Mercoledì è una giornata nuvolosa. Non c’è sole, non c’è pioggia, non tira vento. C’è, però, Arthur Kirkland che sbraita e comanda la classe manco fossero dei cani da slitta e c’è lui che vorrebbe essere in tutti i posti benché meno che questo. 

Il museo d’arte contemporanea è un bel palazzo - che probabilmente hanno restaurato da poco visto il colore brillante della vernice - e Francis lo osserva per diversi secondi prima di afferrare per lo zaino Velazquez che tenta maldestramente di scappare da lì. Prende un lungo respiro, ha già voglia di fumare: sarà una giornata lunga e faticosa.

Si sistema dietro la fila, chiudendola. Velazquez torna tra i suoi amici, ma non prima di mostrare il dito medio a Jones che se la ride per il suo fallito piano di fuga. Francis si gratta la testa e segue la classe dentro l’edificio. Arthur li guida con l’attitudine di un generale nazista: li sistema ordinati, in fila per due, rimprovera chi ha in mano il cellulare e riesce anche a girare la visiera del cappello a qualcuno di loro. Probabilmente il suo sogno nel cassetto è riuscire a vestirli tutti uguali, le ragazze coi capelli legati e i ragazzi con la riga al centro.

«Vado a fare i biglietti» si sente dire Francis. Arthur ha mosso leggermente la mano per attirare la sua attenzione; lui annuisce distrattamente, passando lo sguardo sui ragazzi. Alcuni di loro ciondolano annoiati, altre scattano dei selfie che subito cancellano tra le risate, Velazquez minaccia Alfred F. Jones di / fargli il culo / appena può; Francis si schiarisce la voce e la ragazza immediatamente mette le mani in tasca e sbuffa frustrata.

Nel frattempo, Arthur sta tornando con i biglietti ed è accompagnato da quello che parrebbe essere la guida. L’uomo annuisce soddisfatto quando l’altro insegnante gli indica la classe. Vorrebbe potergli dire che presto si pentirà di simile entusiasmo.

Da quel poco che sente della loro conversazione, Arthur lo ringrazia / ancora / per la disponibilità. L’altro sorride, appoggiando la propria mano sulla spalla dell’uomo. L’attenzione di Francis aumenta improvvisamente: si conoscono. Ma cosa- ma come- beh, questo spiegherebbe come è riuscito ad ottenere la guida per il museo in così poco tempo. Francis rilassa lentamente la propria l’espressione facciale: si, ha senso. Se fosse stato un altro collega ad avere simile intuizione, gli avrebbe fatto i complimenti perché non è da tutti sfruttare le proprie conoscenze per regalare ad una classe simile esperienza; ma si tratta, pur sempre, di Arthur. Ed ogni successo di Arthur è un suo insuccesso. 

La guida batte d’improvviso le mani, catturando immediatamente l’attenzione della classe: «Vamos, rapazes, tragam isso!»

Non è spagnolo quello che dice. Francis ormai ha affilato l’orecchio per quella lingua - riconosce certe frasi, determinate parole e quasi ringrazia il suo amico Antonio che ha avuto la pazienza di spiegargli tutte le possibili combinazioni per imprecare messe a disposizione dalla lingua. Perciò, si, Francis sa quel che dice quando afferma che la guida non parla spagnolo; tanto che vorrebbe farglielo presente ad Arthur (e magari guadagnare qualche punto), ma i ragazzi seguono docilmente l’uomo su per le scale.

Rimane dietro la classe e viene presto affiancato da Arthur. Si irrigidisce, ma si sforza di non fare parola; questi tira fuori il telefono, digita un messaggio velocemente e poi lo sistema nella tasca interna della giacca. Francis sbatte le ciglia e gli dedica una veloce occhiata: visto da vicino, ha le sopracciglia ancora più grandi e ancora più orride. Si sforza di mantenere un’espressione neutra.

La visita inizia con una guida che, sua grande sorpresa, riesce a mantenere abbastanza salda la concentrazione della classe. Questi mostra una personalità affabile, ride ed interagisce con la classe con naturalezza - per certi versi ricorda Feliciano quando qualche studente lo chiama per chiedergli chiarimenti o indicazioni per un certo progetto dato per casa. Francis si scopre addirittura ad ascoltarlo e a ridere a qualche battuta che fa, assieme ai suoi stessi allievi. Arthur, accanto a lui, è leggermente teso: non sembra neanche sentire la spiegazione, poiché è preso dallo scandagliare i micro-movimenti della classe.

Francis si chiede se Arthur si rilassi mai e, se non lo fa, come pensa di riuscire ad arrivare ai quarant’anni. Lui, ad esempio, ha problemi a riposarsi. Spesso la notte si sveglia e si chiede se sta facendo qualche errore, se sta davvero insegnando il francese al suo meglio, se è colpa sua se i ragazzi non riescono nelle verifiche. Sbatte le ciglia. Certo che è colpa sua, è lui il loro insegnante. Se i ragazzi falliscono i compiti, è perché lui non sa insegnare la materia. 

Lancia un'occhiata veloce ad Arthur. Chissà se ha anche lui dei pensieri simili. Probabilmente no, passerà il proprio tempo libero a vantarsi e a raccontare di come riesce a tenere ferma e zitta una classe, di come le materie scientifiche siano meglio di quelle letterarie e di come / la lingua francese sia uno surplus che la scuola dovrebbe smettere di permettersi /. 

Il suo sopracciglio ha un tic per il nervoso. Il solo ricordare la discussione di tre settimane fa è capace di fargli aumentare la pressione sanguigna.

«Alfred!» tuona improvvisamente Arthur, facendo irrigidire Francis come se fosse lui quello ad essere stato colto sul fatto. L'altro insegnante prende a seguire lo studente chiamato in causa, che esita un poco - imbarazzato. «Torna subito qui! Dove te ne stai andando?»

«Vado nel bagno dei maschi! Lì Velazquez non potrà farmi il culo!» proclama il ragazzo, alzando le spalle come se quella data fosse una spiegazione ovvia e scontata.

I due insegnanti lo squadrano in silenzio. Arthur lentamente alza il dito, pronto a negargli simile permesso quando le parole torneranno a popolare la sua mente; ma Francis interviene, poggiando una mano sulla spalla, ed anticipandolo.

«Vai pure, Jones» comunica compiacente, facendo poi segno al ragazzo di defilarsi. L'alunno rilassa le proprie spalle ed, infilandosi le mani nell'unica grande tasca della felpa, scompare nel corridoio. Francis toglie la mano dalla spalla dell'altro: «Devi respirare, Arthú

«Sembra che tu non abbia idea di che classe porti in giro. Vanno monitorati costantemente!» sbuffa l'altro, arricciando il naso - forse perché infastidito da come il suo nome è stato pronunciato.

Francis vorrebbe dirgli che, se c'è qualcuno tra i due che ha ben presente chi siano i soggetti in gita, quello è lui e che Kirkland deve smetterla di atteggiarsi da so-tutto-io onnisciente che sa sempre cosa fare e cosa dire.

Si schiarisce la voce ed incrocia le braccia al petto, mantenendo lo sguardo dritto negli occhi di Arthur: «Se li monitori così tanto e così bene, mi spieghi perché metà è qui e metà è con la guida?»

Un cazzotto in faccia avrebbe, probabilmente, fatto meno male. Francis vede Arthur sbiancare e mentalmente giustifica simile reazione: ha smarrito metà classe. O meglio: la metà mancante è certamente in balia della guida e lo ha seguito docilmente, quadro dopo quadro, in un'altra sala; quella presente, invece, è rimasta con loro e sta assaporando la sconfitta spirituale del docente di algebra.

Arthur abbassa lo sguardo, segnando definitivamente la vittoria di Francis per questo turno. L'uomo prende un lungo respiro, assaporando finalmente il successo di aver provato a se stesso e agli altri come il docente di algebra non sia perfetto come si ostina ad atteggiarsi. Lo sente dire che va a fermare la guida dal continuare il turno ed il suo cervello interpreta ciò come un maldestro tentativo di fuga dalla berlina della sconfitta.

Il suo petto si riempie d'orgoglio e, per un attimo, è certo che perfino gli studenti lo guardino con ammirazione; poi, però, questi prendono a parlare.

«Prof, che significa questa scultura?» domanda Gabriel Allende, puntando il dito contro la scultura di un pesce rosso che nuota sopra una città formata da rifiuti.

Francis la osserva per qualche istante, per poi annuire distrattamente: «È una scultura molto importante. Studiala.»

Allende apre la bocca, per protestare e chiedere ulteriori chiarimenti; ma Francis scivola via, nella speranza di far perdere le sue tracce e non rovinare il suo trionfo su Arthur con una figura barbina con i suoi studenti. È, però, fermato da una studentessa che lo tira per la manica destra della giacca ancora addosso.

Susana Gardel lo guarda per qualche istante, per poi indicare un quadretto con una figura dal viso allungato e lacrimevole e chiedere con un filo di voce: «Quello, invece, cosa significa?»

«E quello davanti a noi? Sull’etichetta non c’è scritto chi lo ha fatto. Tu lo sai, prof?» chiede Juanita Gomez, avvicinandosi con ancora il cappello in testa nonostante i richiami di entrambi i docenti.

Francis apre la bocca ma, presto la sua attenzione è attirata dal quadro che il ragazzo gli indica. Sembra in tutto e per tutto un paesaggio urbano, nel quale però è stato utilizzato solo le sfumature azzurre. Non ha mai visto niente di simile in vita sua e vorrebbe anche dirlo; ma è già apparsa Anita Moreno poco dietro Gardel: «Professore, posso mettermi seduta lì che mi fanno male le gambe?»

Velazquez, poi, gli tira la manica sinistra della giacca: «Professore, posso andare al bagno?»

«Professore, posso fare una foto al quadro?» chiede Cardenas mostrando il telefono.

Francis borbotta un si, dettato più dall'istinto di sopravvivere a quell'orda di adolescenti che lo circonda che dal desiderio di assecondare una moltitudine di richieste che percepisce pressoché identiche. Per un attimo, la sua sembra essere la decisione migliore: gli alunni si allontanano, facendolo finalmente respirare e togliere di dosso la giacca che ora gli fa caldo; ma presto tornando ad avvicinarsi, tra cui (di nuovo) Gabriel Allende.

«Professore, io continuo a non capire la scultura di prima» gli sente dire con un tono di voce che tradisce un certo grado di disperazione. Ha in mano l'opuscolo che Arthur ha distribuito prima di entrare nel museo e lo tiene aperto, come se potesse fornirgli qualche informazione in più.

Francis apre la bocca per rispondergli che, no, non ha la minima idea di cosa significa l'intera impalcatura; ma presto gli si avvicinano altri due studenti: «Professore, perché sono tutti tristi lì?»

«Professore, quella donna è nuda! Si vedono i capezzoli, guardi!» Francis sente il rumore della gomma che Cardenas sta masticando rumorosamente nella bocca.

«Professore, guardi lí!» chiede un'altro.

«Professore, quello cos'è?» domanda, invece, una ragazza.

Ed eccolo presto circondato da sette, otto studenti che lo chiamano qui e lì, alternando richieste a domande sui quadri. Il suo cervello, ben presto, comincia ad andare in tilt. È più che sicuro di aver borbottato no-sense in francese anche quando Arthur è tornato nella sala.

«Francis, la guida dice- cos'è questo cinema? Silenzio! Ehi! Silenzio ho detto! Siete in un museo, silenzio!» prende a strillare l'altro docente, facendo immediatamente ammutolire e disperdere gli alunni. Arthur appoggia entrambe le mani sui fianchi e, aggrottando le sopracciglia, squadra i presenti. «La guida è nella sala qua affianco! Mettetevi in fila per due e raggiungetelo! E fate silenzio!»

Non fanno silenzio, ma almeno si sistemano in fila e - con passo indolente - si allontanano. Arthur sospira, rilassando leggermente le proprie spalle. La pelliccia sintetica che circonda il cappuccio gli sfiora le guance. Non sembra avere caldo. Francis non ne è sorpreso: lo ha visto girare con giacca e cravatta anche durante gli ultimi giorni di scuola, sgridando Vargas e Adnan per il loro presentarsi in maglietta e bermuda. Per la cronaca, fuori facevano quarantacinque gradi.

Francis si gratta la testa e, con espressione finalmente assorta, prende ad osservare la scultura che tanto aveva preso Gabriel Allende. Studia il profilo del pesce rosso: i suoi occhi tondi, la bocca aperta; poi il cumulo di rifiuti che prende la forma di grattacieli e comprensori. Non ha la minima idea di cosa voglia significare un simile lavoro; forse veicola un messaggio ambientalismo, il pesce rosso va considerato grande o è la città ad essere piccola? Arthur lo affianca e prende a fissare anche lui il pesce rosso. Francis gli lancia una veloce occhiata: ha le mani incrociate e un'espressione concentrata mentre passa lo sguardo dal pesce alla città di rifiuti; lentamente, lo vede spostarsi e prendere ad osservare i quadri al muro.

Francis si scopre a seguirlo in silenzio, fermandosi prima sul nudo di donna che Cardenas gli ha indicato e poi su un uomo deforme con tre braccia in più ed un collo lunghissimo. Apre e chiude le labbra un paio di volte: «Chi li ha fatti questi quadri?»

«Diverse persone. È una mostra, mica un vernissage» risponde criptico Arthur, tirando poi sul col naso. Che si sia raffreddato? Forse è per questo che non ha tolto la giacca.

Francis serra la mascella per poi fermare il proprio passo e notare il quadro che gli indicato poco prima, quello con le persone / tristi / che sembrano cenci per quanto sono sottili e pallidi. Arthur torna sui suoi passi ed anche lui prende ad osservare lo stesso quadro; si schiarisce la voce: «Perché sono tutti tristi lì?»

«Tristi, dici? No, non direi- aspetta, ma perché tutte queste domande?» domanda improvvisamente Arthur alzando le mani come se volesse fermare il suo stesso flusso di pensieri. Si è innervosito, probabilmente non sa neanche lui il significato di quei quadri; o magari, preferisce ometterlo così da fare bella figura poi con  i ragazzi.

«Perché i ragazzi mi stanno facendo domande e io non so che dire!» si sforza di sussurrare, anche se presto la sua voce cede al nervosismo e lo fa sembrare Edelstein quando sta arrivando ai minimi storici in fatto di autocontrollo. 

Arthur si acciglia, confuso. Pare non seguirlo in quello che ha appena detto, come se gli mancasse un passo. Fissa prima il pavimento, poi di nuovo il collega.

«Francis, ho mandato una dozzina di email su questa mostra. Ne hai almeno letta una?» Francis lo guarda e l’espressione che ha addosso è talmente esplicativa che Arthur apre la bocca scioccato, ma poi la richiude senza proferire parola. Lo si vede prendersi qualche minuto per pensare e poi tornare a guardarlo, questa volta vagamente più convinto sul saper cosa dire. «Va bene- cioè, no: non va bene. Avresti dovuto! C'erano tutte le indicazioni per questa giornata: le cose che avremmo visto, dove saremmo andati poi, come spostarci in città! Ma, ok. Va bene. Onestamente non sono neanche troppo sorpreso! È proprio da te cestinare una dozzina di email che ti arrivano solo perché te le ho mandate io!»

«Non le ho cestinate. Solo che, » tenta di correggerlo, scoprendosi però a metà frase senza parole. È una pessima situazione, perché ora Arthur lo osserva come stesse aspettando un qualche tipo di ribaltamento della realtà. Francis si trova ad alzare le spalle, allargando le braccia. «Che non le ho lette. Erano decisamente troppe. Insomma, dodici mail! Chi leggerebbe mai dodici email una di seguito all'altra su una gita del secondo anno? Non hai avuto il senso della misura, ammettilo!»

Arthur inspira, alzando entrambe le sopracciglia. Rimane immobile per qualche istante, per poi accigliarsi ed assumere in un'espressione furiosa: «E tu non hai senso del dovere!»

«Io? Senza senso del dovere?» protesta Francis, indicando se stesso e poi scuotendo la testa irritato. «Questa è la tipica arroganza di voi matematici che guardate dall'alto in basso quelli di lingue come me!»

Arthur si irrigidisce, come se colto in fallo da simile affermazione: «Di nuovo con questa storia? Sono passate tre settimane, pensavo fosse-»

«Che poi cosa avrete da vantarvi? Tutti odiano la matematica! Non c'è uno studente in questi ultimi quattro anni che non abbia scritto sul muro del bagno "dio quanto odio kirkland", "qualcuno fermi kirkland", "kirkland dovrebbe scopare di più invece che fare verifiche a rotta di collo"» E Francis continuerebbe pure ad elencare le frasi che ricorrono sui muri e nella sua mente con al centro l'insegnante di algebra; ma l'espressione che questi ha messo su lo ferma.  

Arthur sembra sinceramente ferito. Ha raddrizzato la schiena ed ora osserva Francis come se fosse uno sconosciuto che è spuntato all'improvviso davanti a lui. Lo vede chinare il capo, allentare i pugni e portarsi lentamente una mano davanti alla bocca.

C’è un silenzio surreale nella sala. Una giovane coppia li guarda e poi si allontana, facendo finta di voler guardare uno dei quadri in fondo alla sala. La guida, che è tornata nella sala con tutto il secondo b dietro, li osserva con gli occhi spalancati. Sembra star assistendo ad un fenomeno paranormale, tanto da avere le braccia leggermente divaricate, quasi a voler proteggere gli studenti. Probabilmente è tornato indietro per recuperarli e salire tutti insieme al terzo piano. Francis lo osserva assumere un’espressione via via più sconcertata; salvo poi, sbattere le ciglia e rivolgersi ai ragazzi.

«Vamos voltar, malta!» dichiara con voce alta e squillante, facendo subito fare marcia indietro alla classe che gli si attacca come un gruppo di pesci pilota intorno ad uno squalo.

Francis li guarda andare via e poi sposta lo sguardo sull'altro uomo. Arthur, davanti a lui, sta respirando lentamente; chiude gli occhi, tirando su col naso, e poi li riapre per guardarlo dritto in faccia: «Vaffanculo, Francis»

Serra la bocca, non rispondendo. Arthur se ne va subito dopo, abbandonando la sala con passi veloci. Si aspettava che Arthur gli saltasse addosso una volta spariti i ragazzi; nella sua testa si realizzava quella manca rissa di tre settimane fa e finalmente Francis si rifaceva completamente sulla sua nemesi. Ora, invece, è solo e non può fare a meno che sentirsi in colpa per quanto ha detto. Di fronte ai ragazzi, poi. Non si è davvero regolato. Morde nervosamente le sue labbra. Che pessima persona è diventato.

 

Non sa se fosse o meno nel programma della giornata far mangiare la classe nel primo fast-food notato per strada. Probabilmente no. Francis sbuffa una nuvola di fumo dalla bocca ed osserva il collega lanciare le proprie patatine ai grassi piccioni che si aggirano goffi intorno ai tavoli.

Da quando sono usciti, non ha proferito parola. L’intera classe è caduta in un religioso silenzio, come a voler fare da cassa a simile presa di posizione; ogni tanto qualcuno bisbiglia o digita qualcosa sul telefono, ma - in generale - Francis non pensa di averli mai visti così tranquilli. Fuma silenziosamente, tenendosi ben distante dal gruppo di minorenni che continua a mangiare panini più grandi della loro stessa testa.

La nuvola di tabacco si disperde nell’aria. Francis la guarda prima di tornare a fissare Arthur. Sa cosa deve fare. Deve solo trovare la forza per farlo. Un paio di piccioni prende a litigare, uno dei due muove freneticamente le ali nel tentativo di vincere la patatina. Arthur se ne porta in bocca una e la mastica lenta, guardando i due animali senza battere ciglio.

Francis prende un lungo respiro e si incammina verso di lui: mi dispiace per prima, mi dispiace per prima, mi dispiace per prima, «Mi dispiace per prima. Non è vero che la scuola ti odia»

Arthur alza il capo verso di lui e lo osserva per qualche istante. Forse è sua intenzione ribadire come, al momento, Francis debba stargli il più lontano possibile; simile reazione sarebbe legittima e Francis la accetterebbe, anche se si sentirebbe ancora più in colpa per quel che ha fatto. L’uomo, invece, sospira e lascia che la testa cadi stanca verso il basso: «Non mi importa se mi odiano. Sono dei ragazzini. Alla loro età, è tutto o nero o bianco. Si ama, si odia. Non si capisce che il mondo è fatto di decine di migliaia di sfumature e che quello che ti appare come una noia mortale adesso nel futuro potrebbe servirti»

«Ti chiedo scusa per i toni di prima. Ero nel torto e- e ho detto delle cose orribili.» Se qualcuno facesse lo stesso con lui, ci rimarrebbe davvero male. In fondo, lo sa che non è l’insegnante più amato della scuola (non rientra nemmeno tra i suoi obiettivi esserlo); perciò, quello che proverebbe al momento sarebbe solo delusione e amarezza verso se stesso. «Quando passi gran parte del tuo tempo a ripetere concetti su concetti, diventi tu stesso un concetto. Ti dimentichi che sei un essere umano, che puoi sbagliare e - soprattutto - che davanti a te c'è una persona con dei sentimenti»

Arthur lo guarda in silenzio, per poi spostarsi leggermente sulla sinistra e far sedere Francis vicino.

«Me ne dimentico spesso anch’io» gli sente dire mentre stringe le proprie mani in una presa. Guarda i ragazzi ai tavoli e poi i piccioni per terra. Prende un lungo respiro. «Lo so che sono troppo duro con loro. Lo so che dovrei essere più comprensivo ma- ma è difficile. Se non ti temono, non ti rispettano; se non ti rispettano, non ti ascoltano. E la materia non aiuta.»

Francis si trova ad annuire. Ha pensieri simili anche lui: l’insegnamento della lingua è un qualcosa in cui raramente un’intera classe eccelle in maniera uniforme. Prende un lungo respiro, alzando leggermente le sopracciglia: «Non possiamo insegnare tutti arte» 

L’altro uomo mastica un’altra patatina lentamente: «Non penso che arte sia avvantaggiata. Nella scuola dove stavo prima, avevamo più o meno tutti lo stesso problema - arte compresa. L’unica eccezione era il portoghese ma ... insomma, lo hai visto prima Miquel! Lui con i ragazzi ci sa fare!»

Francis sbatte le ciglia, faticando ad elaborare simile quantità di informazioni: «… Insegnava prima?» 

«Siamo stati colleghi per sei anni. Poi, lui ha vinto il concorso, ha trovato lavoro al museo; io, invece, sono stato spedito qui e -beh, il problema con i ragazzi è rimasto» racconta Arthur, agitando stanco la mano nel parlare del suo precedente impiego. Non sa molto in merito. Forse ha sentito Edelstein parlarne con Adnan una volta, ma lui stava correggendo le traduzioni del primo anno e non aveva davvero tempo da spendere sui pettegolezzi che riguardavano Arthur. Lo vede prendere un lungo respiro: «A volte mi dico che sarebbe meglio non farseli questi problemi, che vivrei meglio se semplicemente entrassi in classe e smettessi di preoccuparmi se faccio bene il mio lavoro» 

Si trova a ragionare su quante volte ha fatto a se stesso un discorso simile. I primissimi anni della sua carriera si ripeteva che stava andando bene, che non doveva preoccuparsi, che i progressi si sarebbero visti poi e che lui doveva semplicemente lavorare; poi, aveva cambiato repertorio e si era detto che lui faceva quel che poteva, che era impossibile far imparare il francese a tutti. che era matematico che qualcuno rimanesse indietro. Infine, aveva preso a pentirsi di quegli stessi pensieri, che se si faceva simili pensieri era perché stava sbagliando qualcosa, che non era abbastanza deciso, abbastanza fermo - insomma, un disastro di insegnante.

E tuttavia i pensieri non si erano comunque fermati. «Non si può fermarli» 

«Non si può, già» concorda Arthur, appoggiando la schiena contro il tavolo ed accavallando le gambe. Si massaggia la fronte, come se una serie di pensieri avessero preso a volargli attorno come avvoltoi. «Devi sapere che quello che fai condiziona i ragazzi; che come ti comporti, quello che dici, quello che fai e come lo fai è sotto osservazione e che tu sei un esempio. E che devi insegnare loro a confrontarsi con un'autorità, che non possono prendersi certe libertà e che ci sono regole che non possono assolutamente evadere.»

Francis questi pensieri non se li è mai fatti. Certo, si dice che fumare davanti ai ragazzi è sbagliato perché è pur sempre una figura di riferimento e che non deve assolutamente tenere un comportamento quanto più posato e corretto; però- no, ok: fa anche lui pensieri simili, non ha niente da invidiare alle turbe del collega.

«Per questo non faccio le verifiche a sorpresa: è abuso di potere.» parla di nuovo Arthur, dando poi un lieve sorso alla sua bibita gassata.

Francis assume un’espressione non particolarmente convinto: «Io le faccio le verifiche a sorpresa e posso assicurarti che l'unico abusato da simili compiti sono io che li correggo»

Arthur lo osserva per un secondo e, allontanata la bibita dalla sua bocca, scoppia in una breve risata. Non è stata una battuta particolarmente divertente, Francis lo sa; eppure nel vedere l’altro ridere, Francis non può fare a meno che gonfiare il petto di orgoglio.

Un sorriso strafottente gli si dipinge in volta: «Chi lo avrebbe mai detto che avrei fatto scoppiare a ridere niente popò di meno che Arthur Kirkland» 

«Tutto è possibile a questo mondo, perfino un’amicizia tra Velazquez e-» Arthur si interrompe improvvisamente. Il suo sguardo si perde oltre la classe e rimane fermo su di esso per interminabili secondi. La bocca, poi, si sarebbe dischiusa lentamente per poi urlare: «-porca puttana! Alfred! Dove diavolo è Alfred?»

Avrebbero trovato Alfred F. Jones chiuso dentro il bagno del secondo piano del museo d’arte contemporanea. Una volta liberato, questi avrebbe fatto il nome di Blanca Velazquez; la quale, avrebbe riso sguaiatamente per almeno mezz’ora incurante delle minacce di sospensione che entrambi i docenti le avrebbero rivolto. Arthur sarebbe stato nervoso per tutta la serata e Francis gli avrebbe offerto una sigaretta che l'altro avrebbe accettato, pur affermando che sta cercando di smettere perché ha paura di essere beccato a fumare sulla scala anti-incendio. Francis avrebbe riso per qualche minuto per poi dire che anche lui fuma, ma nel bagno del terzo piano.




 

~il Mughetto dice~

Non mi pare vero di averla finita in tempo! Maledico il lato di me prolisso che tanto ci tiene a dedicare battute e tempo anche a personaggi che, nell’idea originale, dovrebbero essere nel background a fare cose più o meno divertenti.

Comunque sia: grazie per aver letto questa shot. È stata scritta per il contest “Back to School” di Fanwriter.it ed è stata un autentico parto completarla. Sono, però, felice del risultato. Ci tenevo a finirla e contribuire a questo evento con un qualcosa di mio. 

Ho sempre pensato che una Teacher!AU fosse perfetta per una coppia come la FrUk. Sono entrambi due stati molto vecchi ed è interessante immaginarli come due insegnanti che hanno avuto tensioni passate ma che si sono scoperti incredibilmente simili nella loro politica di lavoro. Insegnare è una pratica difficile ed essere un insegnante lo è ancora di più; perciò, è bello ragionare come ogni singolo personaggio vivrebbe simile responsabilità e cambio di vita.

Certo, il mio intento era quello di scrivere una storia divertente su due insegnanti avversi uno all’altro che sono circondati da studenti che fanno perennemente chiasso e rumore; ma ammetto di essere comunque entrata a gamba tesa con le mie idee e visioni personali.

Che altro dire? Ah, già. In questa shot sono presenti un sacco di personaggi latini che - in linea teorica - dovrebbe rappresentare l’america latina. La classe che, infatti, Francia e Inghilterra portano in gita dovrebbe rappresentare il continente americano (con l’eccezione di Canada che, probabilmente, in questa AU fa una scuola privata perché i genitori hanno capito in chi investire). Blanca Velazquez dovrebbe rappresentare il Messico, Anita Moreno è Porto Rico; Adriana Cardenas è il Brasile, Gabriel Allende è Cile, Susana Gardel è Argentina e Juanita Gomez è Perù. Secondo il mio headcanon, il Sud America è principalmente composto da donne ed è per questo che America ci va così poco d’accordo (soprattutto con Messico che lo chiude nei bagni). Concludo i chiarimenti con la precisazione che la guida del muso è stata Portogallo, mentre il preside della scuola è Impero Romano. 

Ringrazio ancora tutti coloro che hanno letto questa shot, chi recinserà e soprattutto Fanwriter.it per avermi dato la possibilità di scrivere un lavoro simile!

Lascio qui sotto il breve vocabolario usato:

hijo de puta →  figlio di puttana (spagnolo)

Vamos, rapazes, tragam isso! →  andiamo, ragazzi, seguitemi (portoghese)

Vamos voltar, malta! → torniamo indietro, ragazzi (portoghese)

  
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