Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: SOULVATORE    17/09/2019    4 recensioni
SEQUEL DI "UNSTEADY"
Come se non fosse successo niente, come, se dopo tre anni, avesse il diritto di presentarsi lì con gli stessi occhi di sempre, la fossetta al centro del labbro e un nuovo giacchetto di pelle nera.
Come se non le avesse già fatto male a sufficienza.
Come se non l'avesse lasciata totalmente senza speranza, e con in mano solamente un fottuto pezzo di carta.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Does this feel wrong? '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Screenshot-20190917-033024



We don't talk much, not anymore
Broken bottles and slammin' doors
But we still care about each other
Say we care about each other
I know life took us far away
But I still dream 'bout the good old days
When we took care of each other
We were livin' for each other




“Può capitare di amarli entrambi, sai.
Io l’ho fatto.”



Mystic Falls, 2 Aprile 2018

La solita grigliata durante il giorno dopo pasqua, il solito parchetto, le solite birre. Era come se fosse rimasto tutto uguale, tranne… tranne loro.
Elena sedeva sulla sdraio adiacente a quella di Stefan, non più sul suo grembo, non si baciavano, non si abbracciavano, non si sfioravano nemmeno.
Però, non si odiavano. Era passato del tempo, e ora che lui stava meglio avevano ripreso a frequentarsi tramite la compagnia che da anni avevano in comune. Sembrava essere tutto a posto, a parte qualche momento di inevitabile imbarazzo.
“Non vai a giocare a pallavolo con gli altri?”
“No, guardali, si sono già organizzati.” Rispose Elena, sgranocchiando un pop corn. “Tyler e Matt contro Bonnie e Caroline. Battaglia di sessi. Se io mi aggiungessi dalla parte delle ragazze non sarebbe equo, e tu non puoi unirti agli uomini perché devi ancora stare attento agli sforzi.”
“Già, non vedo l’ora che finisca tutto.”
“Come va la fisioterapia?”
“Bene, ora ho un solo incontro alla settimana, per fortuna. Sono passati quasi sei mesi.” Sospirò, ed Elena non sapeva mai se con i ricordi dell’incidente, lui, nella sua mente, riesumasse anche quelli della loro defunta relazione. Perché a lei capitava.
“Stefan, posso…. Chiederti una cosa?”
Sorrise, ma era un sorriso triste, e annuì. “Certo, dimmi. Anche se credo di sapere quale sarà l’argomento. Hai quello sguardo.”
“Non capisco.”
“Quando pensi a lui, hai quello sguardo perso e addolorato, e se solo potessi fare qualcosa per strappartelo via, lo farei. Ma so che non posso. Perciò, spara.”
Decise di non fare caso ai sensi di colpa che le pesavano sul petto, e ignorare quella frase, perché si sentiva ancora male con sé stessa per ciò che aveva fatto e provato.
“Per tutto il tempo, quando non potevo confrontarmi con te, ho desiderato di poter ascoltare la tua versione dei fatti, ma poi non è mai realmente accaduto. Ti va di… di parlarne?”
“Cosa vuoi sapere?”
“Raccontami di Katherine.”


Atlanta, Aprile 2010

“Perché continui a lamentarti? Sei intelligente da morire, so che hai capito quell’esercizio almeno un’ora fa, ma continui a rifarlo. Il risultato non cambierà, Stefan.”
“Tu parli così perché sei all’ultimo anno e queste cose le sai già, lasciami provare di nuovo, che ti costa!”
“No, basta!” Katherine rise, allungandosi fino a chiudere i suoi libri e quaderni, per poi spostare con un gesto distratto tutte le matite dal suo letto. I suoi genitori lavoravano a quell’ora, perciò facevano spesso i compiti a casa sua, quella di Stefan era inaccessibile per ovvi motivi. A dire il vero, non sapevano come avessero iniziato a frequentarsi e a volersi bene nonostante tutto ciò che era successo. Ma in quei mesi avevano compreso che non c’erano vincitori, vinti, colpevoli o carnefici. Erano vittime, entrambi. Abbandonati da una delle persone che amavano di più, entrambi.
“Doveva essere più facile con Damon. Lui odiava studiare.”
“Non smetterai mai di parlarne, non è vero?”
Stefan la cercò con lo sguardo, confuso. “A te non manca più?”
Lei alzò le spalle, poi, tutto andò in frantumi.
Tutte le paure di Lily, tutte le conseguenze, un rovinoso effetto domino, iniziarono a prendere forma in quell’esatto istante.
“Forse a una parte di me mancherà sempre, è stato il mio primo grande amore. Ma non posso passare la vita a rincorrere chi non mi vuole. Chi non è qui. Perché io sono qui, e devo vivere, che lui lo voglia o no.”
Si avvicinò di più, con quel suo fare esperto e capace, che Stefan invece non aveva per niente. Per questo si lasciò guidare e trasportare, totalmente.
C’era una vocina che gli diceva che non era corretto, perché suo fratello era sempre stato il suo migliore amico e fargli quel torto sarebbe stato da vero bastardo, ma non lo era stato anche lasciarlo?
Non solo Damon aveva il diritto di essere egoista, si disse, prima di lasciare che Katherine si fiondasse sulle sue labbra.
Lasciò che lo spogliasse, che gli sporcasse il torace e la pancia di quel rossetto scuro che tanto amava portare, che gli mostrasse come e dove toccarla, che lo aiutasse a slacciarle il reggiseno.
Una strana fitta di dolore le attraversò gli occhi mentre si allungava per recuperare la scatola dei preservativi nel cassetto del suo comodino, ma Stefan non conobbe mai il perché.
Conobbe però la sensazione di pienezza e completezza per la prima volta nella sua vita, quando Katherine si sedette sopra di lui.
E mentre la baciava, le stringeva i capelli e si staccava dal materasso per andarle in contro, capì cosa intendesse con quel “sono qui e devo vivere.”


Mystic Falls, 2021

“Damon.”
“Ciao fratellino.”
“Dove sei?”
Stefan lo sentì ridere dall’altro capo del telefono, quella sua solita maledetta risatina di circostanza.
“Perché vuoi saperlo? Così potrai replicare la tua opera d’arte anche sull’altro zigomo?”
“Non sai nemmeno il motivo per cui l’ho fatto.”
“Creddo c'entri col fatto che ti ho quasi rubato la fidanzata mentre eri in coma.”
“Effettivamente, è da tre anni che sogno di prenderti a cazzotti, ma no, non è questo il motivo. Vuoi dirmi dove diavolo sei?”
“Ho comprato la vecchia casa di Caroline. Credo tu conosca l’indirizzo.”


“È ridicolo che tu stia qui. Ti detesta e non sa nemmeno che sei tornato, come hai fatto?”
“Ho intestato tutto ad Alaric Saltzman, che è il mio socio in affari, ma lei non lo sa. Nome suo, soldi miei et voilà.”
“Astuto. Posso entrare?”
Damon aprì di più la porta e si scostò, così da far passare suo fratello.
“Non ho un divano, Stef. Devi accontentarti di queste sedie in cucina, Miss Forbes traslocando si è portata via la maggior parte dei mobili ed io non ho ancora comprato praticamente nulla se escludiamo il letto e il frigorifero perché beh, non credo se ne possa fare a meno. Vuoi una birra? O un Bourbon?”
“Ehm… okay, una birra andrà bene.” Stefan, accomodandosi su di uno sgabello, rifletté sul fatto che l’ultima volta che si erano visti e avevano avuto una conversazione da persone civili, lui non beveva nemmeno. Era stato nove anni fa. Seppur ne fossero passati solo tre dal loro ultimo incontro effettivo, in quell’inverno del 2018 non erano stati fratelli, né tanto meno conoscenti o amici. Solo due sconosciuti innamorati della stessa ragazza, di nuovo, che si erano visti per poco più di due giorni.
Perciò parlare in quel modo era stano, per entrambi.
Non ci erano più abituati.
“Perché non mi avete mai detto niente?” Sbottò il più piccolo, prima ancora che Damon finisse di strappargli la bottiglia.
“Okay, a cosa e chi ti riferisci?”
“A te e a Katherine. Alla fottuta gravidanza di cui mi ha raccontato Elena qualche mese dopo che te ne sei andato, di papà che le aveva offerto dei soldi... perché io non ne sono mai stato al corrente?”
“Per questo mi hai preso a pugni? Perché quando avevi quattordici o quindici anni scarsi non ti ho raccontato che Giuseppe aveva pagato la mia ragazza per abortire e lei aveva accettato?” Chiese, versandosi il suo scotch in un bicchiere, con il tono della voce che si incrinava leggermente.
“Sì. Potevo essere piccolo allora, ma poi sono cresciuto. E comunque non mi hai mai detto nulla.”
“Cosa sarebbe cambiato? Ascolta, Stef, dicevo una marea di cazzate, fino a qualche tempo fa. Dicevo che Katherine aveva ucciso una vita innocente per colpa di un nostro errore, ed è ciò che ho detto anche ad Elena, ma non lo pensavo veramente. Farebbe di me un misogino pro vita del cazzo, di quelli che se ne stanno fuori dagli ospedali con le bandierine “l’aborto è omicidio” a spaventare le donne, ma non sono così. Semplicemente, intendevo che nonostante all’epoca fossi piccolo, immaturo e totalmente solo, perché sapevo che non avrei potuto contare sull’appoggio di nostro padre, amavo Katherine talmente tanto da credere che un figlio non sarebbe stato una tragedia, che avremmo potuto formare la nostra famiglia e che magari mamma piano piano avrebbe convinto anche Giuseppe a starci vicino. Invece sono venuto a scoprire che proprio lui si era coalizzato con la donna che amavo per prendere una decisione senza di me, senza che io potessi farci niente. Pagandola, per giunta. Ha fatto male, e tu eri un ragazzino. Non avrebbe avuto senso raccontartelo.”
Stefan si stringeva le labbra tra loro come quando era bambino, e Damon capì all’istante che era sul punto di piangere. Avrebbe voluto fare qualcosa per evitarlo, ma si sentiva incapace. Non erano più quelli di una volta.
“Tu… avresti dovuto dirmelo lo stesso. Perché te ne sei andato, mi hai lasciato solo ed io avevo il diritto di conoscere la ragione.”
“Non eri solo. Sapevo di lasciarti con mamma e Giuseppe che ti amavano immensamente, avevi Lexy e…” Si bloccò, e sorrise, capendo al volo che Elena aveva omesso una parte, di proposito, perché voleva che fosse lui a dirglielo. “E Bree che ti faceva da cane da guardia.” Sputò, mettendola sul ridere come faceva sempre quando era terrorizzato dal mostrare i suoi sentimenti.
“Che significa?”
“Le avevo dato il mio nuovo numero, chiedendole di controllarti più che potesse, quando ci fosse stato un problema di avvisarmi e le avrei fornito io i mezzi per aiutarti. Non eri solo, Stefan. Mai. Non lo avrei permesso.”
Ormai il volto del minore era rigato di lacrime, e tutti i rimorsi e i sensi di colpa iniziarono a farsi strada dentro di lui seppur fosse passato un’infinità di tempo. Si sentì sporco, marcio, schifoso. Che razza di fratello era stato?
“Non piangere, fratellino, sai che non mi piace. Ricordati che siamo pari, mi sono innamorato di Elena.”
“No, è diverso. Perché tu sei uscito di scena non appena hai saputo che io stavo meglio, mi hai dato l’occasione di rimediare, hai saputo importi dei paletti. Io non l’ho mai saputo fare, mi sono… mi sono fidanzato con la tua ex dopo due mesi che te ne eri andato e mi viene da vomitare solo a pensarci.”
“Paletti? Quale paletti? Io mi sono dichiarato e l’ho baciata. Ascolta, non sono migliore di te, anzi. Non mi prendo mai le mie responsabilità, scappo, scappo solamente.”
Stefan allora si alzò, avvicinandosi alla figura del fratello maggiore, e lo abbracciò. Era un abbraccio fatto di lacrime, sorrisi, verità, fatto di nove anni di sbagli e pezzi di puzzle sparsi che finalmente si stavano ricongiungendo.
Un abbraccio fatto dell’amore fraterno che malgrado tutto non avevano mai spesso di provare, un abbraccio che conosceva i loro legami di sangue e di cuore nonostante tutto.
“Non farlo più. Resta, Damon. Ti prego.”
“Resterò. Promesso. Però non posso prometterti che riuscirò a starle lontano.”
“Non te lo chiederò.”
Damon rise. “Ecco perché sei tu il migliore, Stef.”


Elena non aveva mai vissuto da sola.
Con lei c’erano stati i suoi genitori, poi zia Jenna, Stefan, che, a dire il vero, era colui che si prendeva più cura della casa, ed infine quel breve periodo con Damon nel quale le cose non erano state diverse.
Ma da quando era andata via dalla pensione dei Salvatore e aveva deciso di prendersi un appartamentino tutto per sé, erano aumentate tutte le difficoltà. Le sembrava di non fermarsi mai tra la redazione e la casa, più difficile ancora era ritagliare lo spazio necessario per i suoi amici o per Liam.
Da un lato non vedeva l’ora che Caroline tornasse, mancavano solo tre giorni e ricoprire il suo ruolo la stava stancando da morire, ma dall’altro sapeva che sarebbe giunto il momento di raccontarle che Damon era in città, e onestamente avrebbe preferito lanciarsi nel sole senza alcun tipo di protezione.
“Ei! Elena, perdonami, c’è qualcuno in linea che insiste per parlare con te, posso passartelo?” chiese ad un certo punto Krystal, una collega, sporgendosi dalla sua scrivania con la cornetta del telefono al petto. Lei annuì, nervosa e con un sospetto ben definito in mente. “Buonasera, Redazione di Action News. Sono Elena, come posso aiutarla?”
“Cazzo finalmente, Ellen! Dove hai lasciato il telefonino?”
“Kai.” Sbuffò sollevata, sprofondando nella sua poltrona. “Ma come ti viene in mente di chiamarmi in ufficio?”
“Te l’ho detto, sei introvabile al cellulare!”
“Be’, non so. Credo sia scarico o qualcosa del genere, non ci faccio molto caso quando sono qui. Ma è successo qualcosa?”
“L’altro giorno ho dimenticato di dirti una cosa. Dopodomani è il mio compleanno, perciò ho organizzato una festa con i fiocchi, non che sia una novità dato il lavoro che faccio. Tesoro, devi esserci o mi offenderò per sempre.”
“Una… festa?” Tentennò, pensando già alle mille scuse che si sarebbe inventata per saltarla. Era appena stata ad un matrimonio, e proprio non aveva voglia di trovarsi di nuovo in mezzo a decine di persone, con troppo alcool, troppo cibo, musica ad alto volume e tanto mal di testa ad aspettarla il giorno seguente. Era fuori discussione, a meno che non stesse cercando di farsi ricoverare per un esaurimento nervoso. “Quando?”
“Domani! Così quando scoccherà il giorno effettivo del compleanno, staremo già festeggiando, che domande.”
“Sul serio? Possibile che non ti sia ricordato di avvisarmi prima?”
“Sono stato sommerso dalle cose da fare per la cerimonia dei Mikaelson, perdonami. Ma non puoi mancare, per favore. Sei la migliore amica che io mi sia fatto a Mystic Falls.”
“Parker, sei un oratore del cazzo.” Roteò gli occhi al cielo. Come faceva a dirgli di no? Era vero, avevano legato davvero molto in quel periodo, poiché Caroline, in preda all’ansia, gli era stata attaccata come una zecca per la maggior parte del suo tempo. “Dove si terrà questa festa?”
“Ho affittato un locale poco fuori Mystic Falls, visto che rientrerò a Portsmouth settimana prossima. Ti mando l’indirizzo.”


La prima volta che si era provata il vestito che aveva indossato per fare la damigella si era detta che voleva ampliare ogni sfumatura di lilla all’interno del suo guardaroba, ecco come si era ritrovata ad indossare un mini dress di quel colore. Ai piedi portava dei tacchi a spillo color carne e si era raccolta i capelli perché il caldo era allucinante.
“Se l’avessi saputo avrei riciclato la famosa cravatta abbinata.” Era stato il commento di Liam, ed Elena aveva sbarrato gli occhi.
“Mio Dio, no. È solo un compleanno, perché avresti dovuto indossare la cravatta?”
“Non lo so, forse per far capire che sono il tuo accompagnatore? Nessuno mi conosce.”
“Neanche io conosco gli amici di Kai che vengono da fuori, se questo può tranquillizzarti, ma non so come è riuscito a farmi accettare. Però credo che ci saranno alcune persone di Mystic Falls, ad esempio Stefan o Elijah. Dai, ora entriamo.”
Una persona, a dire il vero, la conosceva. Non molto, ma almeno non era la prima volta che lo vedeva.
Alaric era un piedi vicino ad un tavolo, con una mano stringeva un bicchiere di prosecco mentre l’altra circondava la vita di una donna che doveva avere più o meno la sua età. Aveva i capelli scuri e gli occhi chiari, e dei tratti terribilmente simili a quelli di Kai.
“Ellen!”
“Ellen?” Chiese sottovoce Liam, e lei rise.
“Lo fa apposta per prendermi in giro. Sa come mi chiamo, ma la prima volta quando ci siamo presentati aveva capito mi chiamassi Ellen e ha continuato a scherzarci.” Rispose, poi fece qualche passo avanti fino ad abbracciare il festeggiato. “Park! Non ti faccio ancora gli auguri, aspetterò la mezzanotte, però questo è per te.” Sfilò un pacchettino dalla borsa e glielo porse.
“Oh, grazie, troppo gentile. Lui è il tuo fidanzato?”
“Sì. Kai, Liam. Liam, Kai.” Li presentò, si strinsero la mano, dopodiché fu il suo turno di presentarsi a quella che ormai aveva compreso essere Jo, sua sorella, e di salutare Alaric in maniera estremamente imbarazzata. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Ei, mi ricordo di te, quando sono venuta a New York per inseguire Damon ti ho visto al pub.
Già, Damon.
Quando si dice parli del diavolo e spuntano le corna.
Entrò in quell'esatto istante, ridendo, col busto mezzo voltato all’indietro, e per un momento Elena trattenne il fiato, credendo che avesse portato una ragazza. Ma la figura che avanzò subito dietro di lui era quella di… Stefan?
“Buonasera festeggiato!” Schiamazzò, facendo voltare tutti. “E buonasera Ric, Jo, Lena, e il nuovo ragazzo… Liam, dico bene?” Lo faceva apposta. Era evidente, fin troppo, o almeno lo era per lei che aveva imparato a riconoscere ogni sfumatura della sua voce.
“Già, che divertente. Sei ubriaco?”
“Ma che dici? No, perché dovrebbe.” Fu Stefan a parlare e okay, quello era decisamente troppo. Elena gli chiese di accompagnarla a prendere un drink, anche se più che una richiesta fu un obbligo, visto che lo stava tirando per la giacca.
“Puoi dirmi che succede? Meno di una settimana fa l’hai preso a pugni.”
“Ci siamo chiariti.” Lo disse con naturalezza, come se fosse una cosa normale. “Direi che ci eravamo tenuti il broncio a sufficienza.”
“Oh, capisco. Perciò ora chi è che lo difende? Vuoi che ti presti il costume da crocerossina?”
Era assurdo che si stesse arrabbiando, perché in realtà sperava che quel momento arrivasse sin da quando aveva scoperto che Damon, in un modo contorto e tutto suo, tenesse davvero tanto a Stefan, nonostante le mille cose che erano successe. Ma, egoisticamente, vederli riappacificarsi adesso le dava i nervi, perché aveva questa sorta di bisogno che tutti detestassero il fatto che lui fosse tornato.
“Ascolta, è ovvio che non dimenticheremo tutto dall’oggi al domani, ma dobbiamo iniziare. E poi, io e te non stiamo più insieme da tempo, la storia con Katherine è morta e sepolta, era ora di finirla.”
“Sono contenta che tu sia riuscito a perdonarlo. Vorrei che mi insegnassi come fare, o forse no. Forse voglio odiarlo per sempre perché è quello che si merita.”
“Tu non lo odi. E anche se fosse così, l’odio è un sentimento estremamente forte, perciò sta attenta quello che dici.”
“Credo che andrò a fumarmi una sigaretta.” Fu tutto ciò che Elena disse prima di girare i tacchi e aprire l’unica porta antipanico che vide. Non sapeva nemmeno se fosse autorizzata a stare lì, ma quel pezzetto di giardino sembrava tranquillo, senza contare che non c’erano edifici attorno a rovinare lo splendore di quel cielo estivo, blu e pieno di stelle. Stelle nelle quali non aveva mai smesso di cercare i suoi genitori.
“Cosa gli racconterai?”
Non si voltò neanche, cosciente della sua presenza dietro di lei già da alcuni secondi.
“A cosa ti riferisci?”
Damon fece qualche passo in avanti, fino a raggiungerla. “Al tuo nuovo ragazzo. Ha l’aria da cane smarrito, non ha idea di dove tu sia finita o del perché ti sia visibilmente cambiato l’umore, credo che per la frustrazione presto si metterà a piangere.”
Sfilò anche lui una sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca, e mentre l’accedeva Elena commise l’errore di guardarlo. La fiamma gli illuminò per un tempo quasi impercettibile gli occhi, rendendoli ancora più azzurri, e notò che nonostante i muscoli apparissero tesi al di sotto della sua camicia leggera, sul suo viso aleggiava una serenità diversa, che non aveva mai visto prima. Come se si fosse tolto un masso dal cuore, e sapeva che questo dipendeva da Stefan.
“Non ti riguarda.”
“Oh, certo. Quindi non ti comporti così a causa mia?”
“Mi prendi per il culo?” Iniziò ad innervosirsi, perché lui non poteva sul serio pensare di usare quel tono di sufficienza, non ne aveva il diritto. “Certo che riguarda te, il tuo apparire magicamente come se fossi uscito da un cilindro del cazzo dopo tre anni non mi lascia indifferente, perciò sono nervosa. È questo che volevi sentirti dire, o sbaglio? Il tuo ego è appagato? Sei contento? ”
“No.” Buttò il mozzicone, avanzando ancora. Elena sentì la sua colonia, quella che si era spruzzata sul cuscino quando era partito per New York dopo la loro prima litigata, quella che aveva respirato per la prima volta ad Atlanta quando lui era stato costretto a prenderla in braccio perché era ubriaca, e lei aveva posato la testa sul suo petto. Quell’odore maledetto. “Non sono contento perché stiamo ancora discutendo, perché hai ragione su tutto, perché sono un cretino, perché sei bellissima ma non mi è neanche concesso di sfiorarti, mentre lui invece può averti tutte le volte che vuole. Vi guardo e realizzo cosa ho perso e tu non hai idea di quanto faccia male.”
“Tu mi hai sempre avuta.”
Lo disse, e poi, come la prima volta, aspettò.
E Damon, come la prima volta, le chiese il permesso semplicemente accarezzandola con lo sguardo, terrorizzato dall’idea che potesse spostarsi, e quando il linguaggio del suo corpo gli disse che non l’avrebbe fatto, le posò entrambe le mani sulle guance sussurrando un “non mi sembra neanche vero toccarti”, per poi unire finalmente i loro respiri.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: SOULVATORE