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Autore: Mary P_Stark    18/09/2019    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Epilogo.

 

 

 

 

Xena e Buffy, come la madre le aveva simpaticamente soprannominate, dormivano nelle loro culle mentre Artemide, appollaiata sulla sua nuovissima sedia a dondolo, le osservava con aria persa.

Felipe, accanto alle culle, era in loro estatica contemplazione e, sorridendo nel sistemare un ricciolo dei neri capelli di Xena, mormorò: «Sei sicura, per i nomi? Io non mi offendo se vuoi scegliere uno dei tuoi titoli, sai?»

«Ne avevamo già parlato. Xena sarà Edith, come la tua prozia che tanto amavi. Buffy sarà Tessa che, tra le altre cose, significa ‘colei che è cacciatrice’, quindi si adatta perfettamente a me» mormorò sonnacchiosa la dea, dondolandosi con calma.

«Anche Edith ha un significato?» si incuriosì Felipe, scrutandola sorridente.

Lei assentì, dicendo: «E’ ‘colei che lotta per la felicità’. E’ un nome che denota forza e, per come mi tirava calci nella pancia, non può che starle a pennello.»

Divertito, Felipe chiosò: «Anche la prozia Edith era una combattente. Mi piace… anche se pure Xena mi pare adatto. Ma non voglio che, un domani, le mie figlie mi odino per aver dato loro il nome di un personaggio della TV.»

Artemide rise di quel commento ma, quando sentì delle voci lungo il corridoio e riconobbe quelle delle figlie, si levò dalla sedia e spalancò le braccia per accoglierle degnamente.

Quando la porta si aprì, perciò, Delia e Daphne vennero avvolte dall’abbraccio della madre, mentre Theodoros, Hector, Endimione e Akelia – la compagna di Daphne – sorridevano di fronte a quel saluto caloroso.

Felipe si raddrizzò, sorrise loro e disse: «Ben arrivati. Il viaggio è andato bene?»

«Movimentato» celiò Akelia, stringendo in un abbraccio Artemide prima di avvicinarsi alle culle assieme agli altri. «Non so se c’entri Eolo o meno, ma abbiamo trovato un sacco di turbolenze e, alla fine, abbiamo tutti dovuto fare una deviazione al bar per ritemprarci, una volta scesi.»

Artemide sorrise divertita, ma replicò: «Non credo sia stata colpa sua. Qualche ora fa era qui assieme a Poseidone e alle Pleiadi.»

Akelia ammiccò all’indirizzo di Daphne, che rise sommessamente e chiosò: «Ci mancava solo il sommo Zeus e poi eravamo a posto!»

«Dubito che mio padre si presenterà alla porta. Ha ancora il divieto di venire qui» sottolineò Artemide, prima di sentir bussare alla porta d’ingresso.

Endimione e Felipe la fissarono divertiti ma lei, sbuffando, scosse il capo e replicò: «Smettetela di guardarmi con facce tanto furbe. Se fosse stato mio padre, i miei segugi avrebbero già cominciato ad abbaiare.»

Sorpreso, Endimione squadrò Felipe in cerca di spiegazioni e lui, scrollando le spalle, ammise: «Sono tutti in giardino, e fanno la guardia contro i visitatori… indesiderati

«L’ha davvero presa giù male» gracchiò Endimione, mentre Artemide usciva dalla stanza per dirigersi alla porta.

Dal salotto, la padrona di casa urlò: «E’ lui che è un bastardo!»

«Linguaggio!» urlarono per contro gli altri e le due gemelle, udendo quel gran baccano, si svegliarono, scrutando curiose il volto esasperato del padre.

«Ehila, Xena… Buffy… guardate un po’ chi abbiamo qui?» mormorò Felipe, facendo loro il solletico sotto il mento.

Delia e Daphne risero di quei nomi e, nel prendere in braccio le sorelle, chiosarono assieme: «Non darete veramente loro questi nomi, giusto?»

«Saranno solo i soprannomi» promise Felipe, mentre il rumore di parecchie voci si faceva largo nella casa. «Dal caos che sento, direi che sono arrivati i nonni paterni.»

Neppure dieci secondi dopo, Carlos e Anita Rodriguez si affacciarono sulla stanza già affollata e, nel vedere le nipotine, si illuminarono in viso, aprendosi in larghi sorrisi.

Artemide fece gli onori di casa, presentando le loro figlie, le rispettive famiglie e lasciando per ultimo Endimione, cui Anita regalò un sorriso di autentico benvenuto, condito da una pacca sulla spalla di Carlos.

Di comune accordo, il folto gruppo si trasferì nel salone e, nel farlo, Endimione si affiancò a Felipe per sussurrare: «Sei sicuro che non ci siano problemi? Sì, per il fatto che io e Artemide abbiamo avuto due figlie assieme.»

Felipe gli sorrise tranquillo, replicando: «La mia famiglia è di larghe vedute, e adotteranno in automatico anche te e le tue figlie, non dubitare. Chiedi a Érebos come lo hanno accolto, se hai qualche dubbio in merito.»

Endimione assentì, un poco rasserenato ma, quando vide Artemide coccolata da Anita e Carlos, e le sue due figlie trattate alla stregua di nipoti non viste da tempo, qualsiasi dubbio venne fugato.

Fu però il latrato dei cani della dea silvana a sorprendere i presenti e, accigliandosi immediatamente, Artemide si catapultò alla porta – pronta a dar battaglia – solo per trovarvi innanzi un enorme cesto colmo di regali.

Sorpresa e vagamente sospettosa, afferrò la busta col fiocco rosa che capeggiava sul cesto di proporzioni imbarazzanti e, nel notare la scrittura del padre, fu sul punto di gettarla.

La mano di Felipe però la bloccò e, nel sorriderle dolcemente, mormorò: «Concedigli una possibilità.»

Il broncio di Artemide si fece più evidente ma accettò suo malgrado e, nel dispiegare la lettera, lesse a mezza voce per entrambi: «Spero che le bimbe stiano bene e mi congratulo con voi per la vostra nuova famiglia. Se lo vorrete, nettare e ambrosia sono nella cesta, perché anche le vostre figlie abbiano la benedizione del pantheon tutto… assieme a una collezione di pannolini che, mi dicono, servano in gran quantità, nei primi mesi.»

Felipe sorrise divertito, celiando: «Ho idea che non sia molto esperto in materia, vero?»

«No. Lui si divertita a mettere incinte le donne, non tanto a prendersi cura dei pargoli avuti da loro» sottolineò imbronciata Artemide.

«Vai avanti… non conosco il greco antico, ma credo che la lettera non sia finita» la rimbeccò dolcemente Felipe.

Sbuffando, la dea assentì e proseguì nella lettura.

«Quando e se lo vorrete, verrò personalmente per benedirle, così come feci a suo tempo per Delia, Daphne e Hector, e come feci anche per Alekos. Inoltre, vorrei che…»

A quel punto, Artemide si interruppe, sgranò gli occhi per un istante prima di assottigliarli, accartocciare la lettera e gettarla infastidita a terra. Questo gesto sorprese Felipe, che subito la raccolse per ogni evenienza.

La dea non si degnò di dare alcuna spiegazione del suo gesto e, senza dire nulla, uscì di casa per raggiungere le altalene che, pochi mesi prima, avevano fatto montare nel giardino.

Lì, si sedette in solitudine mentre Felipe, dispiegando di nuovo il foglio, scrutò dubbioso Delia e Daphne prima di fare loro un cenno del capo.

Le due donne assentirono, avviandosi all’esterno per raggiungere la madre e Felipe, nel consegnare la lettera a Endimione, domandò: «Puoi finire di leggerla, per favore?»

Lui assentì e, nello scorrere il testo fino al punto in cui Artemide si era bloccata, sorrise appena e mormorò: «Oh, …ora capisco perché si è infuriata. Il sommo Zeus dice questo: “Spero che vorrai esprimere i miei ringraziamenti al tuo compagno e ai suoi genitori. In quanto a tua madre, che Hermes ha tanto cercato per te, si trova a Kos, suo luogo d’origine, sotto le mentite spoglie di una vecchia di nome Talia, Non ama essere disturbata, ma credo che per te e tuo fratello farebbe un’eccezione.”

«Bingo!» esalò sorpreso Felipe. «Dice altro?»

«Dice soltanto che anche Era si felicita con voi, ma credo che questa sia una forzatura bella e buona» terminò di dire Endimione, riconsegnandogli la lettera.

Anita non disse nulla. Si limitò a sorridere al figlio prima di uscire a sua volta da casa mentre Carlos, serio in volto, mormorava pensieroso: «Ne capisco poco di dèi e quant’altro ma, quando il grande capo si abbassa ad avvicinarsi di soppiatto come un mendicante, qualcosa vorrà pur dire.»

Akelia annuì e, nel coccolare Xena – mentre Buffy era tra le braccia di Theodoros –, dichiarò: «Quando seppi la verità da Daphne, per poco non mi venne un infarto. Ma quando la tua futura suocera si presenta in una nuvola di fumo argentato, puoi prendere la cosa per buona o diventare matta.»

«Athena fu un po’ più dolce di così, ma fu comunque abbastanza diretta… anche se va detto che mio figlio Miguel ci mise in guardia ben più di una volta» assentì Carlos, sorridendole comprensivo.

«Loro vedono il mondo in termini di millenni, e temo che anche i loro battibecchi possano durare altrettanto, perciò credo che ciò che ha fatto oggi il sommo Zeus possa essere visto come un evento epico» ammise Endimione. «Se pensiamo che Eos ha impiegato più di due millenni per vendicarsi di Artemide, pochi anni per tentare di dirimere un bisticcio possono essere visti come uno starnuto, per noi mortali.»

Tutti assentirono pensierosi, lasciando che le parole di Endimione galleggiassero come un monito nell’aria ma Hector, di fronte alle loro espressioni per lui troppo serie, borbottò: «Posso uscire anch’io? Mi annoio un po’.»

Theodoros assentì con un risolino, asserendo: «Vai a rallegrare la nonna.»

«D’accordo!» esclamò il bambino prima di fermarsi di fronte a Felipe, sorridere e aggiungere: «Le mie zie sono molto belle.»

Ciò detto, corse fuori e Felipe, in cuor suo, sperò che Artemide non se la prendesse troppo per il tentativo di suo padre di cancellare, una volta per tutte, quella divisione tra loro.

Dondolando silenziosa sull’altalena mentre Hector la imitava e Delia e Daphne erano sedute sull’erba, le gambe intrecciate e le mani sulle ginocchia, Artemide tornò con la mente al testo della lettera.

Lui aveva sempre saputo dove Latona si era nascosta, ma non aveva mai tradito il suo bisogno di solitudine. L’aveva protetta dalla curiosità dei suoi stessi figli, per un suo perverso senso di rispetto nei confronti della donna che aveva generato la sua progenie.

«Ánghelos…» mormorò Artemide, sorprendendo tutti i presenti.

Alcuni istanti dopo, in uno scintillio dorato, Hermes fece la sua apparizione e, contrito, il fratello le si inginocchiò accanto, mormorando: «Al tuo servizio, sorella.»

Lei si limitò ad allungare le mani, chinarsi verso di lui e baciargli i riccioli biondo cenere, prima di dire: «So dov’è la mamma.»

Hermes levò il capo per la sorpresa, fissandola pieno di speranza e Artemide, scrollando le spalle, chiosò: «Non avresti potuto trovarla neppure volendo. Ha le sembianze di una vecchia, ed è sotto la protezione di Zeus, a Kos.»

Sbattendo le palpebre, Hermes gracchiò: «Ne… protegge l’anonimato?»

«A quanto pare, sì. Non chiedermi perché, poiché a questo punto non mi reputo più in grado di capire le persone, tanto meno gli dèi, ma tant’è. Si fa chiamare Talia, e vorrei che le recapitassi un messaggio da parte mia. Dille che ha delle nipoti e un pronipote, e sarei felice se volesse conoscerli.»

«Tutto ciò che desideri, sorella.»

Agile, Hermes si rialzò per andarsene, ma Artemide lo afferrò a un braccio, aggiungendo: «Ancora una cosa…»

«Dimmi.»

«Vorrei venissi qui a fare da baby-sitter a Xena e Buffy» dichiarò lei, sorridendo di fronte alla sua espressione basita. «Penso che mi piacerebbe molto vederti impegnato con pannolini e creme.»

Hermes arrossì di piacere e assentì, dichiarando: «Lo farò con piacere, sorella.»

«E… Hermes…» mormorò poi Artemide, rimettendosi in piedi.

Il dio deglutì dubbioso, annuendo di fronte al suo sguardo imperscrutabile ma, quando la sentì parlare, desiderò nuovamente mettersi a piangere, esattamente come era accaduto di fronte a Érebos.

«Non te lo dirò una seconda volta, perciò accontentati. Ti voglio bene, fratellino, e la prossima volta che sentirai di essere solo, vieni da me, o giuro che ti caverò i peli dal corpo uno alla volta, tanto che desidererai il trattamento di total body di Afrodite, piuttosto che sopportare la mia tortura. Ti è chiaro il concetto?»

Lui assentì, la abbracciò rapidamente e, con un bacio sulla guancia, defilò in una nuvoletta di fumo dorato prima che Hector potesse chiedere: «Nonna, ma cos’è una total body

«E’ un’arma di distruzione di massa che le donne usano contro gli uomini» ghignò Artemide prima di sollevarlo dall’altalena, farlo volare alto ed esclamare: «Ma io ti difenderò da tutte le total body del mondo, amore mio!»

Il bambino rise trillante e Delia, rivolgendosi a Daphne, chiosò: «E’ passata.»

Kos sembrava caotica anche nei mesi di bassa stagione e, quando Hermes si materializzò nel luogo dove, presumibilmente, si trovava Latona, storse il naso.

Non amava il traffico automobilistico, soprattutto perché non ne capiva la logica, o le traiettorie, e rischiava spesso e volentieri di finire sotto un’auto.

Quel giorno, però, non badò a nulla, né al suono dei clacson, né tanto meno all’andirivieni degli scooter lanciati a folle velocità.

Quel giorno, aveva un solo compito, e cioè trovare la madre di Artemide e Apollo.

Seguendo perciò le poche indicazioni fornitegli dalla dea silvana, Hermes si avventurò nel centro della cittadina marittima fino a portarsi nei pressi delle rovine del tempio dedicato a Dioniso.

Lì, come gli era stato detto dalle sue fonti, trovò una donna anziana intenta a sistemare una bella aiuola fiorita. Sembrava serena e in pace col mondo, niente affatto turbata dai rumori caotici che la circondavano.

Era lì, ma era come se fosse del tutto distaccata dal mondo che le scorreva attorno.

Neppure in mille anni avrebbe riconosciuto, in quella magrolina signora in chemisier fiorato, la giunonica e statuaria Latona delle leggende. Anche gli avvoltoi di Ares erano stati ingannati da quella magia, così come i segugi di Artemide a suo tempo.

Ciò che gli rimaneva del tutto estraneo era il motivo per cui Zeus ne avesse mantenuto l’anonimato in tutti questi millenni, e perché la donna non si fosse più avvicinata ai suoi figli.

Schiarendosi perciò la voce per annunciare la sua presenza, Hermes sorrise a una sorpresa donna e, con un leggero cenno del capo, mormorò: «Giungo a voi in pace, titanide Latona. Reco notizie dei vostri figli, se avrete la compiacenza di prestarmi orecchio.»

Gli occhi cerulei della donna si sgranarono lentamente, di fronte a quell’inconsueto messaggio e, rialzatasi che fu, si rassettò la veste e replicò: «Se Zeus ti ha permesso di raggiungermi, avrà avuto i suoi buoni motivi… cos’hai dunque da dirmi, ánghelos

«Reco la notizia delle ultime nate di vostra figlia Artemide, e del suo desiderio di mettervi al corrente che avete quattro nipoti femmine e un pronipote che sarebbero felicissimi di conoscervi» le spiegò Hermes, sorridendole cordiale. «Apollo sarebbe egualmente felice di rivedervi, pur se il suo carattere indipendente non lo farebbe mai ammettere un simile pensiero.»

Latona sospirò, invitò Hermes ad accomodarsi su una delle vicine panchine e, dopo averlo imitato, domandò: «Zeus ti ha detto perché io sono qui, sotto mentite spoglie?»

«Non ho osato chiedere» ammise il dio, scuotendo il capo.

«Per il benessere delle genti… perché la pace regni sull’Olimpo e la Terra» disse con semplicità la titanide, sorprendendolo non poco. «Era si infuriò così tanto, per la mia gravidanza, che lanciò così tanti anatemi da rendere invivibile qualsiasi luogo sulla Terra, per me, a parte la mia patria natia, che Zeus protesse al solo scopo di darmi un luogo in cui vivere.»

Hermes sospirò demoralizzato, mormorando: «Vi è dunque impossibile abbandonare questi luoghi?»

«Esattamente. A meno di non voler far scoppiare una guerra contro Era, cosa che non voglio assolutamente. Ha tutte le ragioni per odiarmi, visto che io ho generato i figli di suo marito ma, soprattutto, perché ho desiderato quei figli da lui.»

Hermes, a quel punto, sgranò gli occhi per la sorpresa e Latona, sorridendo divertita, aggiunse: «Pensavi che Zeus mi avesse violentata? O circuita? Niente di tutto ciò, ánghelos. Proprio per questo, Era mi odia tanto, e odia ancora di più i miei figli. Perché io e Zeus abbiamo sempre avuto questo legame speciale. L’unico modo per tenere me e i miei figli al sicuro, è stato stare lontani.»

«Ma… non sarebbe giusto che voi viveste assieme alla vostra famiglia, in barba alla furia di Era?»

«Mi giocai questa possibilità quando chiesi ai miei giovani figli di commettere uno sterminio, e solo per la mia lesa vanità. Mi approfittai del loro amore, loro che erano ancora giovani virgulti facilmente malleabili, e feci massacrare la famiglia di Niobe soltanto perché non ero stata in grado di essere umile» replicò mesta Latona, scuotendo il capo. «Merito sia l’ira di Era che la segregazione che mi sono imposta a causa di ciò che feci a Niobe. Non sono stata una brava guida per i miei figli, perciò non credo di meritarli, né di poter dare loro grandi insegnamenti.»

«Tutti noi abbiamo sbagliato, in passato, ma ognuno di noi merita una seconda possibilità» sottolineò Hermes, sapendo di parlare anche a se stesso, oltre che alla titanide.

Latona gli batté una mano su un braccio, sorridendo gentilmente, e asserì: «E’ questa la mia seconda possibilità. Ho concesso ai miei figli di crescere e tenersi lontani da una donna che li ha spinti a commettere degli omicidi senza alcuno scopo logico, se non la vanità. Da quel che mi hai detto, Artemide ha già quattro figlie, e una di esse ha avuto a sua volta un figlio. Sono lieta per lei, e pregherò per tutti loro, così come pregherò che anche Apollo possa trovare una compagna – o un compagno – che lo ami come merita.»

«Potrò dire loro che, se vogliono, possono venire a visitarvi?» domandò speranzoso il dio.

«Non è loro vietato… ma non ne vedo il motivo. Hanno vissuto bene anche senza di me, fino a ora» scrollò le spalle Latona, rassegnata ma tranquilla.

«Ho scoperto a mie spese quanto, la vicinanza con le persone a cui vogliamo bene, sia vitale… anche se spesso non ce ne rendiamo conto» ammise Hermes, esibendosi in un sorriso sghembo e pieno di contrizione.

Latona assentì lentamente e, alla fine, disse: «Non impedirò loro di trovarmi, lo prometto.»

«Mi basta. Grazie per la vostra disponibilità, titanide Latona. Sarò lieto di portare questa notizia a mia sorella e mio fratello» mormorò Hermes, levandosi in piedi con un balzello allegro.

«Grazie a te, Hermes» replicò la donna, sospirando e lasciando che il suo aspetto tornasse quello della Latona delle leggende.

Il dio sgranò gli occhi di fronte a tanta bellezza e, pur sapendo che gli umani non erano in grado di vederli – la protezione di Zeus era attiva anche in quel senso – Hermes si guardò intorno con espressione ansiosa.

Una simile beltà poteva attirare mille e più sguardi ma, grazie al potere del padre degli dèi, nessuno volse lo sguardo verso di loro, e i presenti si limitarono a ignorarli, come se non esistessero.

Sorridendo a Hermes, Latona si levò dalla panchina, gli strinse la mano e dichiarò: «Smetterò di nascondere il mio volto al mondo. Se mai i miei figli verranno qui, voglio che mi vedano con le sembianze che avevo quando li ho lasciati a loro stessi, e non con un volto che non mi appartiene.»

«Lo trovo più che giusto» assentì Hermes, chinandosi per un elegante baciamano prima di svanire in una nuvola dorata.

Ora che aveva risolto con Latona, gli mancava solo un’unica cosa da fare.

Il tempio di Era non era il classico edificio ricco di colonnati e dalle ampie scalinate quanto, piuttosto, un piccolo tempietto dotato di una cupola tondeggiante e dal pronao circolare.

Quando Hermes ne varcò le soglie, avvertì distintamente il suono di una cetra mirabilmente suonata e, non appena ne comprese l’origine, sorrise.

Una delle ancelle di Era stava suonando lo strumento con mani abili, mentre le altre ragazze al seguito della dea si stavano occupando di acconciare la chioma bionda della sposa di Zeus.

Nell’avvertire la sua presenza, però, Era levò una mano per interrompere il lavorio delle sue dilette e, nel congedarle, si volse a mezzo sull’ottomana per scrutare il messaggero degli dèi.

«Cosa ti porta qui, ánghelos? Mio marito mi sta convocando in via ufficiale?» domandò Era con tono austero e freddo.

Se con lui la dea non si era mai comportata in modo arrogante, non aveva mai neppure brillato per simpatia ma, tenendo conto di ciò che aveva dovuto subire da Zeus, Hermes non si era mai fatto illusioni sul loro rapporto.

Per lo meno, Era non aveva mai trattato sua madre Maia con rabbia o sete di vendetta.

Inchinandosi perciò con educazione, Hermes mormorò: «Reco una richiesta e una preghiera, se mi sarà concesso di parlare, divina Era.»

La dea scosse una mano come per liquidare il suo dire troppo affettato e, accavallando le gambe, replicò: «Non c’è bisogno dei salamelecchi, Hermes. Dimmi pure ciò che ti arrovella tanto, senza preoccuparti della semantica.»

«Vorrei con tutto il cuore che lasciaste incontrare Artemide, Apollo e Latona, senza che questo scateni una reazione da parte vostra.»

Al suono di quei nomi, Era si irrigidì nella postura e, per un attimo, Hermes temette che la dea richiamasse le sue ancelle per cacciarlo dal tempio, ma ciò non avvenne.

La divinità si limitò a sospirare, si passò una mano sul viso e infine domandò: «E tutto ciò perché?»

«Reputo che sia giusto che una madre possa vedere i propri figli, così come una nonna possa incontrare e conoscere i propri nipoti» si limitò a dire Hermes. «Lo riterrei un nobile gesto da parte vostra, divina Era.»

«Tu non ne sei personalmente coinvolto, però. Quindi, perché sei tu a perorare questa causa?» si interrogò la dea, levandosi dall’ottomana per avvicinarsi al dio.

«Perché amo i miei fratelli, e desidero che siano felici. So che il Sommo Zeus mio padre vi ha arrecato offesa, commettendo hybris nei confronti di molte donne, e avendo da esse altrettanti figli… ma ci tengo a dirvi che noi non ne abbiamo colpa, e siamo vittime al pari vostro. Non desidero irritarvi, divina Era, ma sono pronto a pagare un pegno per la vostra indulgenza, se lo riterrete giusto» disse Hermes, piegandosi su un ginocchio di fronte alla dea.

«Non ne avete colpa…» mormorò la divinità, sfiorando con delicatezza i riccioli ribelli di Hermes. «Sì, questo lo so. Ma è ugualmente difficile vedervi scorrazzare per il mondo, come un costante memento dell’infedeltà di mio marito.»

Hermes, a quel punto, levò il capo con un sorriso truffaldino, ammiccò alla dea e replicò: «Se è questo a preoccuparvi, potreste replicare a infedeltà con infedeltà, divina Era e, se lo riterrete degno pegno, io sarò il vostro toy boy fino a quando sarà necessario.»

La dea sgranò gli occhi di fronte alla sfrontatezza del dio, ma questo la portò anche a ridere sguaiata, liberandosi un poco dal continuo senso di rabbia che le covava in seno.

Sempre ridendo, Era lo prese per mano, sollevandolo da terra e, nel dargli un bacio sulle labbra, chiosò: «E’ una proposta allettante, e la vaglierò con attenzione. Per ora, vai pure a dire ai tuoi fratelli che non mi infurierò, se anche visiteranno Latona. Voi pensate che io sia crudele a prescindere ma, se ogni tanto le cose mi venissero semplicemente chieste, invece di farle sempre alle mie spalle, forse non mi arrabbierei poi così tanto, no?»

«Credo di cominciare a capire, sì» assentì Hermes, inchinandosi con uno svolazzo prima di strizzarle l’occhio e abbandonare il tempio in uno scintillio dorato.

Era sospirò nel vederlo andare via e, nel richiamare le sue ancelle, domandò loro con ironia: «Che ne dite, mie dilette? Dovrei provare a gustare le carni del giovane Hermes?»

Le ancelle risero imbarazzate, facendo sorridere per diretta conseguenza Era che, tornando a sistemarsi sulla ottomana, pregò le sue dilette di proseguire con ciò che stavano facendo in precedenza.

Dopotutto, ci avrebbe pensato su. In fondo, che male avrebbe fatto fantasticare un po’?

Artemide fissò schifata un soddisfattissimo Hermes che, spaparanzato sullo sdraio nel giardino di Athena, aveva appena terminato di enumerare i suoi molteplici successi e la sua proposta fatta a Era.

Anche Athena fissò leggermente disgustata il fratello e, servendosi della limonata fresca, domandò: «Ma era proprio il caso di proporle una cosa simile? Non sei un gigolò, sai? Non devi abbassarti a tanto.»

«Siete soltanto delle puritane, sorelle, e non vedete il quadro d’insieme come lo vedo io» sottolineò per contro Hermes, strizzando l’occhio ad Alekos.

Il ragazzo rise divertito e Hermes, con una scrollatina di spalle, aggiunse: «Io ci guadagnerei un’amante – cosa che non guasta mai, per uno scapolo incallito come me – e Zeus dovrebbe rodersi il fegato, perché mai farebbe del male a un proprio figlio, no?»

Le due sorelle lo fissarono basite per un attimo, prima di scoppiare in una grassa risata di gola, cui si unì – più civilmente – anche Érebos.

«A questo non avevo affatto pensato! Zeus non ti toccherebbe perché non si sognerebbe mai di danneggiare la propria progenie per una donna, ma dovrebbe rosicare perché, per una volta, sarebbe Era a tradire e non il contrario!» sghignazzò Artemide, tergendosi lacrime d’ilarità.

«Visto? E’ un piano geniale» ghignò a sua volta Hermes.

«Alekos… non prendere esempio da tuo zio. Queste non sono cose da farsi» sottolineò Athena, pur battendo una mano sul braccio a Hermes con aria complice.

Alekos si asciugò una lacrima di ilarità, esalando: «Credo che farei molta fatica a pensarmi così assieme a nonna Era.»

Gli adulti tremarono al solo pensiero e Felipe, nell’osservarli con espressione esasperata, borbottò: «Avete una morale davvero discutibile, voi divinità…»

«Non badiamo molto alle parentele, lo ammetto…» celiò Athena, sorridendo e ammiccando a Érebos, che scrollò le spalle come se niente fosse. «… ma per noi è normale. Anche se Era è la moglie di mio padre, nulla vieterebbe a Hermes di prenderla come amante, pur se lui è figlio di Zeus. La cosa che ci fa inorridire è che nessuno di noi sopporta Era, non il fatto che Hermes andrebbe a letto con la donna di suo padre.»

«Ribadisco… avete una mentalità contorta e una morale inesistente, ma tant’è…» sospirò Felipe, scuotendo il capo.

«Scusa, tesoro» gorgogliò Artemide, dandogli un buffetto sulla guancia.

In uno scintillio dorato, Apollo fece la sua apparizione nel giardino di Athena e Artemide, salutatolo con un gesto della mano, disse: «Alla buon’ora! Ti ho mandato un sms un milione di anni fa!»

«Erano solo due ore fa, sorella, e ho anch’io una vita, sai?» brontolò Apollo, affacciandosi sulle culle delle gemelle per fare loro le moine. «Voi non diventerete permalose e sociopatiche come la mamma, vero?»

«Sociopatica a chi?!» ringhiò Artemide, placcata in extremis da Felipe prima che potesse scagliare un calcio negli stinchi al fulvo dio del sole.

Apollo si scansò per ogni evenienza e, fissando con aria di sufficienza la gemella, replicò: «A te, visto che hai un carattere davvero pessimo.»

Ciò detto, si rivolse a Hermes e domandò: «Allora è vero che hai trovato nostra madre?»

«Per gentile concessione di nostro padre Zeus. Vi attende a Kos e, rullo di tamburi, Era non dirà alcunché. Avete il suo beneplacito» dichiarò soddisfatto Hermes.

«Che diavolo le hai promesso, per non farla sbarellare al solo sentir nominare nostra madre?» biascicò Apollo, sconvolto.

«Zio Hermes andrà a letto con Era, se lei lo richiederà al suo cospetto» gorgogliò tutto divertito Alekos.

Apollo impallidì leggermente, a quella notizia, e bofonchiò: «Beh, caro fratello, ti ringrazio per il sacrificio, ma non era necessario. Posso anche vivere senza vedere mia madre, sai?»

«Non fare l’insensibile, Apollo. A tutti fa piacere vedere la propria madre, ogni tanto… ammesso che non sia una pazza vendicativa con la mania dell’omicidio…» sottolineò Hermes, facendo sorridere tutti per i sottintesi di quella frase. «Terrò buona la Virago per tutto il tempo che sarà necessario… ammesso che mi chiami al suo cospetto, è ovvio. Io, da parte mia, otterrò di fare un dispetto a nostro padre e un favore a una dea taaanto bisognosa di affetto.»

«Hai una mente malata, fratello, ma ti voglio bene lo stesso» dichiarò a quel punto Apollo, levando un pugno verso Hermes, contro cui l’ánghelos batté il proprio.

Forse gli incubi non sarebbero spariti del tutto e sarebbero tornati a infastidirlo ancora, negli anni a venire, ma ora sapeva di poterli affrontare.

Sapeva di non aver tradito la fiducia di Jane, e di avere il perdono di Claire, e questo era il miglior balsamo contro il dolore. Oltre a una famiglia allargata un po’ sopra le righe ma molto, molto unita come la sua.


 


 

 



N.d.A.: qui si chiude la disavventura di Hermes, che apre automaticamente nuovi possibili scenari (che combinerà, Era? Accetterà l'offerta di Hermes?) e tante altre avventure. Spero di avervi chiarito un po' le idee sul nostro Messaggero degli Dèi un po' mattacchione.
  
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