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Autore: paoletta76    19/09/2019    0 recensioni
"She's not afraid of all the attention
She's not afraid of running wild
How come she's so afraid of falling in love.."
Anna pensò che, se solo fosse stata un tantino più pazza, in quel momento l’avrebbe tranquillamente baciato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Piccole Storie'
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Due mesi, e poi quella telefonata. Solo una manciata di parole, a portarle il cuore alle tempie, a ribaltarle tutto. Di nuovo.
 
- I medici hanno sciolto la prognosi, lo stanno lasciando risvegliare dal coma farmacologico. Hanno bisogno di qualcuno della famiglia, perché devono comunicargli.. che ha il sessanta percento di probabilità di.. di rimanere paraplegico. Non è una notizia facile, per una persona che-
La voce di don Matteo, oltre il cornetto, tremava appena. Le sembrò di vederlo prendere il fiato, deglutire, prima di terminare la frase.
- Lui non ha famiglia, capitano.
- Arriviamo subito.- aveva chiuso, spiccia, voltandosi poi verso gli uomini che aveva accanto, fermi in attesa di notizie - Ghisoni, un’auto. Maresciallo, andiamo all’ospedale.
- Cosa.. che è successo?
- Francesco.
 
Per nome. Lo chiama per nome. E’ successo qualcosa di brutto.
Peggio di quello che ha passato finora?
 
S’era presentata una ragazza, una sera. Era arrivata in caserma coperta di lividi, il viso in fiamme e la voce che tremava.
Non aveva più di trent’anni. Ed aveva affrontato zoppicando quella manciata di gradini, per denunciare l’uomo che l’aveva picchiata.
 
- Chi ti ha ridotto così? – le aveva chiesto, piegandosi appena dall’angolo di scrivania su cui s’era appoggiata, cercando di mantenersi calma e professionale. Seduta di fronte a quella divisa come su un cuscino di spine, la ragazza aveva esitato per un lunghissimo istante, prima di rispondere. E la sua voce continuava a tremare.
Come praticamente tutto il resto di sé. Paura, aveva una paura atroce di qualcosa, di qualcuno, come se l’avesse ancora accanto, o peggio, dietro le spalle, pronta ad aggredirla di nuovo, a farle male. Se non qualcosa di più.
- Un.. un cliente. Sono una prostituta. Lavoro da sola, per me.. forse è per questo, che se n’è approfittato..
Anna s’era ritrovata a mordersi le labbra, appena, spostando lo sguardo. Forse lei l’aveva notato, mentre Marco, seduto oltre le sue spalle, provava con calma a chiederle qualcosa di più.
- Era la prima volta, che lo vedevi?
- No.. ma era da un po’ di tempo che non pagava.. allora io gli ho detto se non paga, io non lavoro. E lui mi ha picchiato.
Di nuovo esitazione, la ragazza si ritraeva come un riccio, gli occhi le si riempivano di lacrime.
 
L’avrebbe abbracciata. Stretta, forte. Non ci sei, dentro da sola. Sono qui. Sono qui per aiutarti.
Aveva teso le dita, le aveva ritratte subito. S’era limitata a raccogliere da terra il libro che era scivolato via da quelle mani, a restituirglielo.
Non la conosci, Anna. Non sei sua madre né sua sorella. Non è il tuo ruolo. Tu sei qui per punire il cattivo.
 
- So che è più facile giudicarmi, che credermi.. ma io.. io ho paura..- quella le aveva sollevato addosso gli occhi, sbavati di Rimmel. E non smetteva di tremare.
Un’occhiata, rapidissima, verso la vetrata che li separava dal salone delle scrivanie. Veloce che Marco non riuscì neppure a percepirla.
Un brivido. Inspiegabile, seguendo quegli occhi ed incontrandone un altro paio.
 
Il colore del cielo. Stretti come a cercare di capire cosa stesse succedendo.
 
- Io ti credo. Sapresti.. descrivermelo? – s’era piegata appena verso la ragazza, per poi tornare in posizione. Lontana. Nel ruolo.
- All’inizio era una persona gentile; poi.. è cambiato. Diceva che se non facevo quello che voleva, poteva farmi del male..- altra occhiata verso i vetri, stavolta di poco più lunga, insistente – fa.. fa un lavoro importante.
- Ti ricordi quale?
- Il carabiniere.. è- è lui.
 
Ora quegli occhi incontravano direttamente i suoi, senza barriere. Poteva leggerci chiaramente qualcosa, senza bisogno di parole. Qualcosa di molto simile al terrore.
 
Firmava. La ragazza sottoscriveva la denuncia appena trascritta da un collega, gli scivolava oltre senza guardarlo, e scompariva oltre l’ingresso quasi difesa da due uniformi nere.
Difesa. Da lui.
 
Il cuore dritto in gola, quando quella voce spezzò il silenzio da oltre la vetrata.
- Appuntato.
Non lo chiamava per nome, né per cognome. Direttamente il grado, senza alcuna venatura amichevole.
E non era quella del capitano.
 
- Siediti.- il dottor Nardi lo fissava come a volergli leggere sotto la pelle, e quella mano tesa, verso la poltroncina lasciata tiepida dalla ragazza appena uscita, non aveva altro che il tono di un ordine.
Raccolse il fiato, e si sedette stringendo le mani fra loro quasi a far male.
- Hai mai visto quella donna, prima d’ora? – la voce del Pubblico Ministero spezzò per la seconda volta un silenzio fatto di ghiaccio.
Nessuna risposta, nel suo piegare le labbra e spostare lo sguardo a terra. Lontano da tutto, lontano da lei.
- Dove? – la voce del capitano trovò altro silenzio.
- Come l’hai conosciuta?
Adesso il tono si faceva quasi irritato, le dita della donna torturavano una matita, come a voler sfogare qualcosa che l’indossare una divisa le stava bloccando in gola.
 
Fastidio, rabbia. Dolore. No, schifo. Le stai facendo schifo, ora.
Oksana le ha detto che sei un suo cliente, che non è stata la prima volta. Che l’hai picchiata, e minacciata, e Dio solo sa cos’altro, quando invece non è vero niente, non è vero niente a parte il fatto che stai solo cercando di aiutarla ad uscire dal giro. Che l’hai conosciuta per caso, in biblioteca. Che non vi siete mai detti che siete uno sbirro ed una prostituta fino all’altra notte, sulla strada, quando t’ha visto in divisa. Che non le hai raccontato delle tue cicatrici. Che il dolore, quello vero, l’hai condiviso solo con la donna che ora ti sta di fronte, e ti guarda come l’essere più orribile da cui si sia mai fatta toccare.
Se fossimo- se fossimo ancora soli, in quel giardino, riuscirei anche a gridartelo, Anna. Non qui. Non così, non con lui che sta lì in piedi alle tue spalle come ti volesse difendere. Lui che mi guarda come se lo sapesse, che quel giorno non eri solo sbronza, che lo stato in cui ti ha lasciato sul portone era quasi solamente colpa mia.
Se fossimo ancora lì, niente divisa e niente scarpe e solo io e te Anna e Francesco.. credo riuscirei anche a dirti che mi sono lasciato andare e l’ho avvicinata, ed una parola e poi un’altra e ridere cercando di far silenzio fra gli scaffali della biblioteca, e poi darsi appuntamento per la prossima volta, chiedendole se m’insegna il russo, solo per.. solo per dimenticarti. Per non pensare. E cancellare che domani è un altro giorno, ed un altro turno, e l’hai chiarito perfettamente, che devo starti lontano. E non serve a niente pregare o sfogarsi o piangere. Non serve a niente, fa solo male, male e basta.
Non cambierà niente. Non cambierà niente dirti qualunque cosa, che sia una bugia o la verità.
Non lo saremo, quello che vorrei. Mai.
 
La voce restava intrappolata, giù, in gola. Si ritrovò a deglutire. Una, due volte.
- Io.. le posso solo dire che.. non le ho fatto del male.
- Eh, ma la ragazza dice il contrario.- il dottor Nardi ora lo incalzava, tono professionale e sguardo diretto. Lo costrinse ad abbassare gli occhi, di nuovo. Ad un altro silenzio.
 
Disciplinare. Ora pronuncia quella parola, ed è finita. Le stanno tremando le mani.
 
Un istante, il corpo del capitano accorciava le distanze, le sue dita andavano ad intrecciarsi sulla scrivania. Occhi dritti nei suoi, senza alcuna paura.
Non può. Non può avere paura, lei di te. Ce l’hai tu, di lei. Non ti crede.
- Sei un mio uomo, Castiglione, e io ti voglio aiutare. Ma mi devi dire la verità.
 
Non le ho fatto niente. Niente, a parte chiacchierare e ridere, ed un paio di volte accompagnarla a casa. Anche se quella non era, casa sua. Sì, l’ho seguita, e solo dopo aver saputo chi è, cosa fa. Ma solo per-
 
Silenzio, di nuovo. Mandato in frantumi dalla voce del capitano, stavolta.
- Prenditi qualche giorno. Il tempo di fare chiarezza su questa storia.
Si alzava, tendeva la mano a chiedergli l’arma. A dirgli sei sospeso, ed ora era lei, quella che non riusciva a sostenere il suo sguardo.
Prendere il respiro, lento, slacciare la fondina. Tenderle la pistola d’ordinanza, aspettare che la scaricasse e l’appoggiasse sulla scrivania.
L’espressione del capitano, nel precederlo ed aprirgli la porta, adesso era vuota, totalmente impersonale. Come quella che le aveva lasciato lui, un milione di mattine fa.
 
Non è successo niente, signora. Non succederà mai più.
 
Io non sarò mai niente, per te. Mai.
 
Scivolava via, le spalle appena curve, rigido come un automa.
Anna gli avrebbe gridato dietro, esattamente come quella sera in quel giardino. Gli avrebbe urlato sei un bastardo, o dimmi che non è vero.
Che non è possibile, che non esiste, come ripetevi tu. Non è possibile, che hai picchiato una ragazza. Non è possibile, che fai sesso con una prostituta, che non è stata una volta sola. Non è vero.. non esiste.. non l’uomo che mi ha baciato in quel modo.. non tu.. non è-
 
- Che è successo?
La voce di Cecchini, improvvisa e carica di preoccupazione, ad interrompere quel loop nella sua testa.
- Una prostituta l’ha denunciato. Dice che l’ha picchiata.- rispose, sconfitta.
- Non è possibile, lui-
- Lo so.- rispose – non è un uomo capace di fare certe cose. Ma non ha saputo dare spiegazioni.
- Farà rapporto alla disciplinare?
- Se necessario, sì. Per ora, vorrei provare a capirci qualcosa.
  
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