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Autore: crazy lion    19/09/2019    2 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti che Demi e la sua famiglia hanno vissuto, raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Dal testo:
Madison alzò una manina ad accarezzarle i capelli lunghi, partì dalla testa e scese fino al collo facendole il solletico, poi però tornò alle sue braccia che riteneva più interessanti. Cercò di togliere un braccialetto ma non ci riuscì. Beh, forse Demi avrebbe potuto snodarlo senza far vedere… Se lo augurò di tutto cuore e corse il rischio. Sciolse il nodo e alzò l'oggetto in aria.
"Vedi? Poi quando me lo rimetto devo legarlo di nuovo." le spiegò con dolcezza.
Ma Madison non la stava ascoltando. Era più attratta da quel segno di un colore rosso sbiadito sul suo polso. Anzi, erano più di uno.
"Rosso" disse guardandola.

Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per tutti gli altri personaggi di cui ho parlato.
Genere: Fluff, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Demi Lovato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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LA BAMBINA E LE CICATRICI
 
Era un fresco pomeriggio di dicembre a Los Angeles e, per quanto Demi ci avesse sperato, la neve non era caduta nemmeno quell'anno. Del resto era raro che accadesse, ma lei ogni volta pregava per questo. Seduta a capo chino alla scrivania, faceva esercizi di matematica per il giorno successivo. Non trovava quella materia molto utile, o per meglio dire pensava che fosse noiosa, anche se la maggioranza delle persone alle quali lo diceva non erano d'accordo con lei.
Anche quel giorno a scuola era stato uno schifo. Durante le lezioni non aveva fatto altro che sentire commenti, che nel tempo aveva imparato a riconoscere come rivolti a lei, di compagni che dicevano:
"Uh, ma guarda come sei grassa e brutta."
"Hai talmente tanta ciccia che tra un po' esploderai."
"Dovremmo chiamarti balena."
“Sei solo una grassa puttana.”
Ad un certo punto le era arrivato sul banco un biglietto lanciato da qualcuno con scritto:
Chi odia Demi Lovato come me?
E sotto c'erano le firme di tutti. Erano parole cattive ma giuste. Loro avevano ragione, lei era davvero un cesso, era grassissima e anche inutile, per dirla tutta. Lo capiva ogni volta che pensava al suo corpo, che si guardava allo specchio, che si toccava. Aveva cominciato ad andare a correre quando poteva, saltava, faceva flessioni. Qualche giorno prima una sua compagna ad educazione fisica, in spogliatoio, le aveva toccato la pancia.
“Forse hai mangiato troppe patatine al formaggio” le aveva detto, quando invece lei ne aveva prese solo due o tre da un sacchetto che Dianna le aveva dato.
Così, per la quarta volta quella settimana, la ragazzina aveva saltato il pranzo e una volta a casa non aveva mangiato niente per merenda, come del resto aveva fatto anche quel giorno. Fino ad un po' tempo prima era stato la il binge eating a farla da padrone, ora era l'anoressia, ma quel disturbo alimentare era ancora agli nizi e lei non si rendeva conto di tutto questo.
"Sto morendo di fame" si lamentò.
"No, devi continuare così" iniziò una voce nella sua testa. Era Ana, ovvero l’anoressia. "Oggi sei stata bravissima. Se proseguirai in questo modo, tutti ti invidieranno per quanto sarai magra, bella e soprattutto perfetta. Non ti chiameranno più in quei modi orribili. Ma devi fare meglio di così, o farai sempre schifo come dicono loro."
"Va bene," rispose sottovoce per non farsi udire, "adesso però lasciami in pace. Devo studiare. Stasera vedrò cosa fare, okay?"
Demi non era ancora magra, era normale, ma si vedeva grassissima e aveva intenzione di dimagrire tantissimo. Forse, pensò, se l'avesse fatto non solo sarebbe stata perfetta, ma nessuno l'avrebbe più guardata perché si sarebbe resa invisibile. Del resto se tutti la odiavano era meglio scomparire, no? Farsi piccola piccola per occupare meno spazio possibile in quel mondo di merda. Ma forse anche solo essere perfetta le sarebbe bastato.
Le offese dei compagni, si disse, erano iniziate prima che lei cominciasse “Barney And Friends”, tutte rivolte al suo peso, ma anche ora che era più magra continuavano.
Mi chiamano ‘grassa puttana’ e ‘puttanella’” aveva detto qualche volta alla mamma, nel tentativo di sfogarsi un po’ e di farle sapere un minimo quello che accadeva.
Dianna le aveva risposto:
Scegli la via più nobile. “Perdona e dimentica - non facciamo le spie!
Ci era rimasta male, si era data mille colpe, forse non avrebbe dovuto raccontare niente. E aveva pensato che forse mangiando di meno o non mangiando proprio quando le era possibile, loro l’avrebbero lasciata stare. Non sapeva ancora che non sarebbe stato così.
Dei lievi colpi alla porta la riportarono alla realtà.
"Avanti" disse con svogliatezza, dopo aver tratto un lungo respiro.
"Demi?"
La voce che udì era piccola e dolcissima e le fece spuntare un sorriso, cosa che non credeva sarebbe accaduta quel giorno. Non sorrideva quasi mai per davvero, bensì solo per far piacere agli altri o nascondere il dolore.
"Madison, ciao."
C'era anche Dallas che la stava portando in braccio, ma una volta entrata la mise a terra.
"Le avevo detto che stavi studiando, ma è voluta venire per forza. Posso lasciartela un po'?"
"Sì, tanto io ho finito qui" disse chiudendo il quaderno con un tonfo.
"Va bene, vado a terminare i compiti. Mamma è di sotto se avete bisogno."
"D'accordo."
Maddie aveva quasi due anni, li avrebbe compiuti il 28 di quel mese, e non era strano che Dianna lasciasse che la piccola rimanesse sola con Demi a patto che la porta fosse sempre un po' aperta così sarebbe potuta accorrere in caso di necessità.
Demetria quel giorno non era molto in vena di sentire risate di bambini o di giocare. Chiuse le mani a pugno per un momento. Spesso l’allegria la innervosiva. In mezzo alle vere risate, ai veri sorrisi, alla felicità, si sentiva sempre fuori posto, come se in lei la gioia non esistesse. Ma amava troppo sua sorella e non sarebbe mai riuscita a mandarla via o  ad arrabbiarsi con lei. Madison non era la causa del suo dolore, non doveva soffrire solo perché lei stava male. E poi, se non fosse stata felice ora che era piccola, quando sarebbe accaduto? Ne aveva tutto il diritto.
"Riri?" chiese la bimba avvicinandosi a lei a passi piccoli ma sicuri.
Era il suo modo per dire Demetria, un nome per lei ancora troppo difficile da pronunciare. La ragazzina continuava a dirle che poteva chiamarla anche Demi, ma l'altra si ostinava con quel Riri e alla fine la più grande lasciava sempre perdere.
"Sì?"
"Giochiamo?"
"Va bene, vado a prendere qualcosa giù. Anzi no, aspetta piccola." Si alzò e aprì l'armadio, piegandosi poi per raggiungere il ripiano più basso. "Guarda. Adesso ti faccio un regalo. Lo vuoi?"
Che domanda scema, pensò, tutti i bambini desiderano un dono, soprattutto quando glielo si dice così.
"Sì, sì, sììì!" esclamò infatti la bambina saltellando su e giù.
La più grande rise.
"Ecco qui." Mise sul letto una Barbie con i capelli raccolti e una piccola borsa che conteneva alcuni accessori, soprattutto elastici e un paio di spazzole, ma anche un finto shampoo e un bagnoschiuma. "Era mia fino a pochi anni fa, e adesso è tua."
"Demi e Maddie" disse l'altra, indicando prima la sorella e poi se stessa per far comprendere che aveva afferrato il concetto.
"Esatto. Si chiama Zoe, riesci a dirlo?"
"Soe?" provò.
"No, Zoe" ripeté Demi più lentamente, "come zoo."
Non era un grande esempio, ma era il primo che le era venuto in mente.
"Z-Z-Zoe!"
"Esatto, brava." Batté le mani e la bambina lo fece con lei, così Demetria sorrise di nuovo. Ecco, quelli erano sorrisi veri, fatti perché i momenti passati tra lei e Madison erano bellissimi e nei quali si sentiva bene. Tale consapevolezza la fece stupire di se stessa. Demetria Devonne Lovato che stava bene? Era un miracolo. "So che forse non capirai bene quello che ti dico, ma Zoe è un nome che vuol dire vita. Lei è stata molto importante per me e lo è ancora. La abbraccio sempre quando mi sento male, ma ora voglio darla a te." Ogni volta che finiva di tagliarsi - aveva iniziato da poco -, quando ancora i tagli facevano così male che avrebbe voluto urlare, o prima nei momenti nei quali si era abbuffata con il binge eating, se la stringeva al cuore e pensava che avrebbe solo voluto una vita senza sofferenza, senza tutta quella pressione che sentiva su di sé fin da piccola, in particolare nel periodo in cui aveva lavorato alla Disney per “Barney And Friends” fino a giugno di quell’anno e non solo, a volte succedeva anche a casa. La mamma era sempre così magra e bella, a volte mangiava pochissimo o non si nutriva, o vomitava e diceva che bisognava essere sempre perfette, o comunque lo faceva capire. Demi avrebbe solo voluto stare bene. Non le pareva di chiedere troppo, anche se d’altro canto era grata per ciò che aveva, per essere così fortunata. Non aveva chiamato la sua bambola in quel modo per caso. Il motivo era che sperava che avendola accanto, un giorno, avrebbe avuto una vita felice. "Perciò," riprese prendendo il visetto della sorellina fra le mani, "quando sei  triste o piangi, stringila forte e dille tutto quello che devi, anche e soprattutto i tuoi segreti. Lei ti aiuterà."
Madison non aveva capito nemmeno metà di quelle parole, o meglio le aveva ascoltate ma non era riuscita a dar loro un senso. Tuttavia sapeva una cosa, ovvero che Demi era tanto triste e questo rattristò anche lei. La ringraziò dicendo  qualcosa simile a un "Grazie" ma che era più una parola incomprensibile.
"Prego. Guardiamo cosa c'è in questa borsa?"
E così Madison cominciò a divertirsi ad aprire e chiudere le zip tirando fuori ogni cosa e poi rimettendola dentro alla rinfusa.
"Pettina" disse dando una spazzola a Demi.
"Vuoi che pettini la bambola? D'accordo."
La ragazza decise di fare  una treccia al posto della coda e di pettinarle meglio i capelli. Erano tutti in disordine.
"Bella."
"È più bella adesso, vero? Già."
"Sì."
"Pettino te, ora."
Per farla ridere, cominciò a passarle quel minuscolo oggetto fra i capelli color miele. La risata argentina di Madison riempì la stanza, che da quando era entrata pullulava di vita, di una vita che Demi era riuscita a darle soltanto, e forse, quando era bambina. La ragazzina sentì gli occhi pizzicare mentre le si formava un groppo in gola che non andava via nemmeno se provava a sorridere. Era talmente stretto che le provocava dolore e le rendeva un po’ difficile respirare. Aveva pensato così tante volte a come sarebbe stato il suo funerale, in quegli anni, che aveva perso il conto. Eppure non era mai arrivata a dirsi che avrebbe voluto farla finita. Di certo però non voleva vivere con tutto quel dolore dentro, e non poteva nemmeno parlarne. Ma per adesso andava bene così. In fondo non era mai stata abituata a parlare dei propri problemi. Tossì appena e ricacciò indietro le lacrime, asciugando l'unica che le corse giù per la guancia.
"Riri piange?" chiese Madison, mentre il suo sguardo si intristiva.
"Riri ti vuole bene. Tantissimo! Vieni in braccio, dai."
La sollevò mentre la piccola lanciava gridolini di gioia e batteva ancora più forte le mani. Più tempo passava con lei, più Demi sentiva il suo cuore e la propria anima scaldarsi. Madison la faceva sorridere in un modo in cui nessun altro riusciva, nemmeno Andrew, il suo migliore amico da una vita. Forse ciò accadeva perché era piccola e lei adorava i bambini, o magari perché erano sempre state molto legate.
Dopo qualche minuto di silenzio in cui l'unico rumore fu quello delle gambe di Demetria che si muovevano a simulare il movimento di un cavallo, Madison infilò una manina sotto la maglia di cotone a maniche lunghe della sorella, mentre la ragazzina iniziò a respirare male.
"Togli, Madison. Subito" le ordinò, ma fu un sussurro talmente flebile che la bambina non ci fece caso.
Non erano parole come quelle della mamma, che a volte facevano paura. Erano belle, dolci, o almeno le sembrava si dicesse così. Rimase dov'era e anzi, andò un po' più in là a toccarle non solo il polso ma anche il braccio.
“Ho detto t-togli, per favore.”
Un altro sussurro, mentre la mano sinistra cercava di raggiungere la sua sotto la manica destra della maglia. Ma le mani le tremavano, faceva persino fatica a muoverle.
"Cos'è?" chiese Madison incuriosita.
"Bracciali."
La voce di Demi uscì roca e stanca, mentre il fiato le mancava e impallidiva come un cadavere. Ne indossava moltissimi, legati stretti ai polsi e alle braccia fino al gomito e di colori diversi. Diceva alla mamma e a  Eddie che lo faceva perché molte compagne di scuola li avevano, il che era vero, e loro le rispondevano che non era necessario seguire la moda.
"Mi piacciono. È un crimine?" replicava lei.
Ora non le ponevano più domande, non avevano il minimo sospetto. Demi sorrise, anche se la sua fu più una risata, non seppe se amara o no. In parte era felice che non si fossero accorti di nulla, che nemmeno Dallas avesse il minimo sospetto di che cosa si celasse sotto quei bracciali, d'altro canto però avrebbe disperatamente voluto che qualcuno notasse quei tagli, che capisse che lo faceva perché le sue emozioni erano così tante e intense, che si sentiva così ansiosa e sopraffatta che non sapeva cosa fare e quello era l'unico modo che aveva per sfogarsi. Ma no, che sciocca, nessuno avrebbe mai compreso. L'avrebbero considerata pazza.
"Ali?" chiese Madison riportandola al presente. "Per volare?"
"Oddio!" esclamò Demetria arruffandole i capelli. Quella piccolina aveva la capacità di farla sempre sciogliere. "No, non sono ali. Sono bracciali, servono per essere più bella. Se vuoi posso prenderne uno anche per te."
Di sicuro avrebbe trovato un negozio con degli oggetti simili, fatti non d'oro o d'argento ma con del filo, come i suoi, della misura di Madison.
"Sì, li voio, li voio."
"Va bene, principessa. Ne avrai qualcuno, te lo prometto. Ma tu sei già bellissima, io sono un cesso."
Mormorò quelle ultime quattro parole, ma nella sua testa risuonarono forti come colpi di martello.
Madison alzò una manina ad accarezzarle i capelli lunghi, partì dalla testa e scese fino al collo facendole il solletico, poi però tornò alle sue braccia che riteneva più interessanti. Cercò di togliere un braccialetto ma non ci riuscì. Beh, forse Demi avrebbe potuto snodarlo senza far vedere… Se lo augurò di tutto cuore e corse il rischio. Sciolse il nodo e alzò l'oggetto in aria.
"Vedi? Poi quando me lo rimetto devo legarlo di nuovo." le spiegò con dolcezza.
Ma Madison non la stava ascoltando. Era più attratta da quel segno di un colore rosso sbiadito sul suo polso. Anzi, erano più di uno.
"Rosso" disse guardandola.
Demetria si maledisse mentalmente in tutte le lingue. Come aveva fatto a dimenticare che alcune delle cicatrici si trovavano proprio lì? E ora? La sorellina le guardava incuriosita e le accarezzava. Probabilmente le riteneva una sorta di marchio per un gioco o qualcosa del genere. Che ne poteva sapere? Non era a conoscenza del fatto che se le era procurate da sola, che ricordava quando e perché si era lacerata la pelle con ognuna di esse, che rammentava il bisogno spasmodico di farlo, l’adrenalina e il dolore, il sollievo e lo schifo e l’odio profondo e infinito verso se stessa. E poi il prurito terribile nel primo giorno o i due seguenti, che riusciva a tenere a bada solo mettendo sopra la fasciatura del ghiaccio o una crema antisettica sui tagli. Aveva nascosto bene tutto in modo che nessuno scoprisse nulla. E nemmeno Madison doveva sapere, anche perché non era giusto. Non aveva nemmeno due anni.
“Sorridi e sii felice più che puoi, Madison” le disse la sorella. “Goditi questi momenti prima che la vita inizi a fare talmente schifo da pensare al tuo funerale.”
Non erano cose da dire a nessun bambino, si rese conto subito dopo, ma ormai era tardi. Si diede dell’idiota e della stupida. Non era nemmeno capace di prendersi bene cura di sua sorella minore. Il suo respiro si fece affannoso mentre annaspava cercando aria. Non ce n’era, maledizione. La testa iniziò a girarle come una trottola impazzita mentre aveva la sensazione che presto sarebbe caduta a terra. Non poteva avere un attacco d’ansia, o di panico, o qualsiasi diavoleria fosse, non adesso, non con Madison lì presente. Doveva calmarsi, rimettersi immediatamente il bracciale e cercare di tranquillizzare la sorella, di dirle che non era niente. Lei non poteva raccontare tutto alla mamma, non doveva. Le voci nella sua testa cominciarono ad urlarle frasi diverse e tutte insieme, tanto che lei non riuscì a capire quasi nulla se non:
"Fa' qualcosa! Non può scoprirci, anzi non possono."
Erano nel panico più totale, esattamente come lei. Con mani sudate e tremanti si rimise in fretta il braccialetto, mentre la testa pareva girarle nella direzione contraria e brividi glaciali le percorrevano il corpo. Si sentiva come se stesse per svenire.
"M-Maddie, non devi…" iniziò, ma l'altra la interruppe.
"Cos'è rosso?" domandò, più curiosa che spaventata, guardandola con i suoi occhi vivaci. "Hai la bua?"
Ora la sua espressione era preoccupata.
"Un po', ma non è niente di che." Doveva trovare subito una scusa. La sua mente lavorava freneticamente e senza sosta, tanto che la testa le faceva male ed era come se gli ingranaggi del suo cervello si stessero muovendo troppo in fretta. "Ti ricordi che l'altro giorno stavamo giocando in giardino?”
“Sì.”
“Ecco, sono caduta e mi sono fatta un po' male sull'asfalto, ma mi sono messa una medicina ed è passato tutto. Non mi fa nemmeno male, davvero. Guardami." I loro occhi si incontrarono, sorridenti quelli di Maddie - anche se il sorriso non era luminoso come al solito -, serissimi quelli di Demi, così tanto che l'altra parve concentrarsi di più. "Non dirlo alla mamma. No" ripeté, scuotendo la testa per dare più enfasi alla negazione.
"No" disse ancora la bambina.
"Brava piccola!"
Demi le diede un bacio sulla guancia paffuta e la strinse forte a sé. Si sentì una merda per aver praticamente obbligato Madison, che era solo una bambina, ancora piccola fra l’altro, a non raccontare alla mamma quel che era accaduto, ma pensava che non fosse necessario. In fondo non si era fatta molti tagli, avrebbe potuto smettere in ogni momento. Non sapeva ancora che l'autolesionismo si trasforma, anche in breve tempo, in una vera e propria dipendenza e che lei ne sarebbe stata vittima per molti anni.
 
 
 
credits:
Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story
 
Ecco le frasi originali:
“They call me ‘fat bitch’ and ‘slut,’”
“Take the high road. “Forgive and forget— we’re not tattletales!”
I dialoghi in realtà sono intervallati da frasi come “I told her”, ovvero “le dissi” eccetera. Non ho riportato l’intero passaggio perché ho tradotto in italiano solo queste frasi.
 
 
 
NOTE:
1. lo scrivo per chi si approccia per la prima volta alle mie fanfiction: Demi a quel tempo abitava in Texas, ma prima di saperlo io ho ambientato tutte le mie storie a Los Angeles e continuo così. Ovviamente non lo faccio per offendere nessuno ma solo per un discorso di coerenza con quello che avevo scritto precedentemente.
2. Andrew è un personaggio originale presente in altre mie storie.
3. Nel documentario "Simply Complicated" Demi dice che riceveva commenti sul suo essere grassa dai compagni e ne ha parlato anche in molte interviste. Inoltre parla delle petizioni di odio contro di lei, che tutti firmavano. Nonostante sia solo accennato, spero di averne parlato con il giusto tatto. Il fatto che lei dia ragione ai bulli è, purtroppo, un meccanismo comune che si innesca tra loro e la vittima. Nel libro “Falling With Wings: A Mother’s Story” Dianna parla del fatto che non aveva dato molto peso a questo problema delle offese e di alcune successive lettere che la ragazzina riceveva, anche se credo che Demi nascondesse molto di ciò che succedeva a scuola visto quel che è successo dopo, e che è stato un grandissimo errore. Non ha capito quanto grave fosse la situazione finché non è stata chiamata dalla scuola: in quell’occasione Dianna ha scoperto che Demi scriveva biglietti alle compagne usando un linguaggio volgare e con parole cattive e non è stata ascoltata quasi da nessuno. Demi è stata etichettata come una cattiva ragazza così come la sua famiglia. L’anno dopo Demetria aveva nuovi insegnanti e Dianna era ottimista. Ma due mesi dopo l’inizio della scuola la figlia l’ha chiamata dicendole che le ragazze dell’anno prima erano lì fuori e volevano farle del male. L’avevano accusata di aver rubato la maglietta di un’altra ragazza e quando lei era scappata, avevano iniziato ad inseguirla. Quel giorno Dianna l’ha ritirata da scuola, ma prima di andare la figlia l’ha portata in un bagno dove le ha mostrato quello che ha definito “il muro dell’odio”, pieno di graffiti con parole di odio dirette a lei. Nessuno è stato mai punito.
4. È vero. Ha iniziato con il binge eating dopo la nascita di Madison, in seguito con l'anoressia e la bulimia. Nella mia storia la prima di queste due malattie è praticamente all'inizio. Nel documentario e nel libro Dianna fa capire che i disturbi della figlia derivano dai suoi (era anoressica), anche se per molto tempo li ha nascosti o negati a se stessa. Si era accorta che Demi mangiava troppo e che quindi soffriva di binge eating ma pensava che sarebbe stato un periodo, che sarebbe passato. Inoltre nel documentario racconta di non aver mai detto alla figlia che i poster delle modelle o cantanti che le piacevano tanto non dovevano essere per lei un modello, che certe cose non erano sane. Mi auguro di aver trattato queste malattie con la sensibilità che meritano, e lo stesso vale per l'autolesionismo. Mi sono informata molto sul perché Demi lo facesse e ho cercato di spiegarlo. Non so se in parte avrebbe voluto che gli altri ne venissero a conoscenza, ma potrebbe averlo pensato. È vero anche che si sentiva molto sotto pressione già quando aveva lavorato alla Disney e che spesso pensava al suo funerale.
Per chiarezza, ecco la differenza tra bulimia, binge eating e anoressia tratte da alcune parti di un articolo dal titolo "Anoressia, Bulimia e Binge Eating. Come riconoscerli e quali danni possono causare alla salute" trovato sul sito www.psicologo-parma-reggioemilia.com:
L’Anoressia Nervosa si caratterizza per il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del minimo normale per età, statura e sesso, dall’intensa e pressoché continua paura di ingrassare e da una valutazione negativa delle proprie forme corporee.
La Bulimia Nervosa si caratterizza per le abbuffate e per l’utilizzo di condotte di compensazione, per esempio il vomito autoindotto o l’esercizio fisico eccessivo, che hanno lo scopo di contenere il senso di colpa o la paura di ingrassare.
Il Binge Eating, infine, si caratterizza per i ricorrenti episodi d’alimentazione incontrollata ed eccessiva, che causano sovrappeso.
In genere l’Anoressia Nervosa si esprime con un controllo rigido e costante sull’alimentazione. Chi ne soffre non “sgarra” mai con il cibo: conta le calorie di ogni porzione e sa con esattezza di quali nutrienti è composta. Se l’Anoressia si manifesta in questa forma, è facile distinguerla dalla Bulimia in cui si hanno, invece, episodi più o meno frequenti di abbuffate, cioè di perdita di controllo sulla quantità di cibo ingerito. Esiste, però, un particolare sottotipo, definito “Anoressia Nervosa con abbuffate/condotte di eliminazione”, in cui si hanno le abbuffate e la messa in atto di azioni compensatorie che, come nella Bulimia, comprendono il vomito autoindotto, l’esercizio fisico compulsivo e l’uso di diuretici o lassativi. Le condotte del paziente anoressico e di quello bulimico possono apparire, quindi, molto simili. Ciò che distingue sempre uno dall’altro, tuttavia, è che il primo si presenta in sottopeso e manifesta il rifiuto, a parole o con i fatti, di recuperare o mantenere il proprio peso al di sopra del minimo normale. Il paziente bulimico, invece, è spesso normopeso o in leggero sovrappeso. In fase di diagnosi vale la regola secondo cui, anche se vi sono abbuffate, se sono soddisfatti i criteri dell’Anoressia la diagnosi corretta è di Anoressia Nervosa e non di Bulimia.
Nonostante entrambi siano caratterizzati da ricorrenti abbuffate, in cui il paziente percepisce la perdita di controllo sulla quantità di cibo assunto, nella Bulimia sono attuate condotte compensatorie allo scopo di disinnescare la preoccupazione di aumentare di peso o il senso di colpa per aver violato regole alimentari. Il paziente con Binge Eating, al contrario, non attua tali condotte. Un’altra differenza sta nelle conseguenze sulla forma fisica. A differenza di chi soffre di Bulimia, chi soffre di Binge Eating è sempre in sovrappeso. Tuttavia, anche qualora il paziente avesse un indice di massa corporea corrispondente all’obesità, se vi sono abbuffate e condotte di eliminazione, vale la norma secondo cui la diagnosi corretta è quella di Bulimia Nervosa e non di Binge Eating.
5. Fino ad un certo punto nessuno si è accorto del problema dell'autolesionismo e dei disturbi alimentari di Demi. Dianna sospettava, ma negando a se stessa di avere altri problemi, nel suo libro scrive che non si rendeva bene conto di quanto quelli della figlia fossero gravi. Demi era anche molto brava a manipolare le persone in modo che non scoprissero niente (lo dice nel suo ultimo documentario, e qui mi riferisco non solo all'autolesionismo ma anche ai suoi disturbi alimentari, i cui sintomi non si riconoscono subito, al bipolarismo, all'alcol e alla droga dei quali ha cominciato ad abusare più avanti). Queste ultime sono tematiche che io non mi sono sentita di trattare nelle mie storie. Per quanto nessuno si sia accorto dell'autolesionismo di Demi per anni, ho pensato che avrebbe potuto essere plausibile una situazione del genere in cui Madison, ancora bambina e non capendo bene la situazione, le toccasse le cicatrici dimenticando poi tutto quanto vista la giovanissima età.
   
 
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