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Autore: LionConway    20/09/2019    6 recensioni
Alfredo è figlio di ricchi proprietari terrieri.
Olmo proviene da una famiglia di contadini.
E negli anni tra la Grande Guerra e il Fascismo si dipana la loro amicizia tormentata. Ma forse è molto di più di un'amicizia. Forse è qualcosa di inspiegabile, qualcosa che li lega insieme e li distrugge. Perché sono da sempre su fronti opposti, Olmo e Alfredo. D'altronde, come può il padrone amare il servo?
No, non poteva essere morto. Non se l'era mai bevuta quella voce secondo la quale era stato ucciso in un'imboscata dei tedeschi, mentre combatteva sulle montagne. Non Olmo, no. Alfredo lo avrebbe saputo. Alfredo lo avrebbe sentito, esattamente come aveva sentito ogni singola ferita inflitta sul corpo di Olmo nel corso della vita. Ogni colpo, ogni taglio, ogni bruciatura.
Avevano condiviso il primo, traumatico respiro.
Forse avrebbero condiviso anche l'ultimo.

Questa storia partecipa alla Soulmate Challenge indetta sul gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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3.

E allora baciami, Alfredo 
Baciami, ti prego 
Amami, Alfredo 
Amami, ti prego 

 


Quando Olmo fece ritorno all'azienda, erano passati ormai dieci anni. La guerra era appena finita e lui vi aveva combattuto e ora era tornato, accolto festosamente dai Dalcò che riabbracciavano un figlio perduto, un eroe di guerra. 
Alfredo lo osservava prendersi le pacche sulle spalle di quegli amici che erano come suoi famigliari, gli abbracci e i baci di sua madre, Rosina, stretta al petto del figlio. Un petto fattosi ampio, con i muscoli tesi sotto l'uniforme da soldato, un petto adornato di medaglie al valore. Era diventato altissimo, Olmo, un bel giovanotto dalle spalle larghe che mostrava molto più dei suoi diciassette anni, ma i riccioli sulla sua testa erano rimasti gli stessi, come se rimuoverli fosse stato un affronto alla sua identità. 
Alfredo abbassò un attimo gli occhi sulla propria uniforme. Era finta, naturalmente: lui in guerra non ci era mica andato. Avrebbe voluto, ma suo padre si era opposto con tutte le sue forze, intimandogli di finire gli studi. Così se l'era fatta cucire per l'ultimo compleanno e suo zio Ottavio gli aveva perfino regalato una sciabola vera e affilata. Ogni tanto, Alfredo fantasticava di infilarla su per il culo di Attila, il dirigente dei braccianti che suo padre aveva assunto qualche mese prima. O a Regina, che da quando aveva raggiunto la pubertà si sarebbe lasciata infilare qualunque cosa dappertutto pur di soddisfare le proprie voglie. Oppure, direttamente a suo padre. 
Alfredo rimase un bel po' accucciato davanti alla finestra della soffitta. Si affacciava sul cortile interno dell'azienda, dove i nuovi macchinari lavoravano il grano raccolto. Guardò Olmo posare la propria baionetta. Lo vide togliersi il cappello e la giacca dell'uniforme, rimanendo solo con una maglia grigia e i pantaloni dello stesso colore. Si avvicinò a uno dei sacchi del grano, lo caricò sulle proprie spalle e si diresse verso l'edificio. Rosina lo seguì per qualche metro, le labbra che formavano parole che Alfredo non poteva udire, agitando concitatamente le braccia. Poi la donna si fermò, si lisciò le pieghe della gonna e tornò indietro, scomparendo oltre un carro. 
"Regina, va' via!" 
La cugina di Alfredo rotolò giù dalla montagna di sacchi accatastati in fondo alla stanza e si rialzò goffamente, riallacciandosi la camicetta e sistemandosi la gonna. Da quando Alfredo aveva ricevuto la propria uniforme, lei aveva insistito per farsene confezionare una da infermiera, nella speranza di rendere meno monotoni i loro giochetti pomeridiani chiusi in soffitta. Ma non facevano altro che guardarsi mentre si trastullavano, uno di fronte all'altra. Alfredo vomitava al solo pensiero di doversela scopare quando si sarebbero sposati. 
"Va' a toglierti quel travestimento, intanto la guerra è finita. Fuori!" 
"Sì, signor Tenente!" 
"E chiudi quella porta!" 
Regina corse via riservandogli una pernacchia. 
Alfredo si alzò in piedi, scrollandosi la polvere dai pantaloni. Si sistemò come meglio poteva e poggiò una mano sul cuore, ascoltando i battiti accelerati al pensiero che avrebbe di nuovo avuto Olmo con sé. Cosa avrebbe potuto dirgli? Come salutavi una persona cara quando non la vedevi da ben dieci anni? 
Non si era preparato un discorso né niente. Perciò, quando udì i passi di Olmo entrare dalla porta, sbucò da dietro una colonna urlando la prima cosa che gli venne in mente: "Aaaattenti!" 
Alfredo dovette combattere con tutte le forze di cui disponeva per non scoppiare a ridergli in faccia. Si era veramente messo sull'attenti, mentre trasportava un sacco di chissà quanti chili sulle spalle. 
"Riposo!" 
Le gambe snelle e muscolose di Olmo si allargarono nuovamente, il corpo fattosi meno rigido nonostante sopportasse tutto quel peso. 
Alfredo non riusciva a smettere di sorridere. 
"Ehi, soldato, non mi riconosci?" 
Si tolse il cappello e mosse qualche passo verso di lui, allargando le braccia in un gesto di benvenuto. "Sono io, stupido idiota, sono io!" 
Olmo prese ad avvicinarglisi con un'andatura incerta, ma che aumentò quando si rese finalmente conto di chi avesse davanti. Le sue labbra si arricciarono in un sorriso, rilasciando poi una risata vera e propria, una risata sorpresa ma felice
In men che non si dica, Alfredo se lo ritrovò addosso, spinto all'indietro da uno slancio entusiasta del suo vecchio amico. Caddero urlando sulla montagna di sacchi di grano dietro alle sue spalle, e subito ingaggiarono una lotta, come se non fossero mai cresciuti. Si rotolarono, ridendo, avvinghiati l'uno all'altro, ma le braccia di Olmo, segnate da esperienza militare, lo portarono ad avere la meglio: inchiodò Alfredo sotto di sé, spingendo una mano sul suo petto, mentre con l'altra si premurò di staccargli le stelline in rilievo sul colletto e sul cappello dell'uniforme. 
"Non ti voglio vedere con questa roba!" gridò, la voce molto più roca e profonda di come Alfredo se la ricordasse, ma altrettanto melodiosa. "La guerra è finita! Nessuno ci dà più ordini!" 
Alfredo rideva, mentre lui lanciava in aria le minuscole stelle di metallo. Quando entrambi si calmarono, rilassò la schiena contro i sacchi di iuta. Il suo petto si alzava e si riabbassava mentre riprendeva fiato, le sue mani mantenevano ancora saldamente la presa sulle braccia di Olmo, le proprie gambe che circondavano i fianchi dell'amico, altrettanto affaticato ma altrettanto sorridente. Rimasero così per qualche secondo, a guardarsi negli occhi e a sospirare, ritrovati, uniti dopo l'agonia della lontananza. 
"Adesso sì che mi piaci." sospirò Olmo. 
Alfredo ridacchiò. "E allora baciami, mio eroe!" esclamò, aprendo le braccia come per accoglierlo. 
Lo aveva detto per scherzare, ma Olmo la prese più seriamente di quanto lui avesse previsto. Si fiondò prima sulle sue guance, poi sulle sue labbra con uno slancio impressionante. Alfredo cercò di spingerlo via, ma non perché non gli piacesse. In effetti, fu in quei pochi secondi sulle labbra calde e sottili dell'altro che si rese conto che non avrebbe mai davvero voluto separarsene. Cercò semplicemente di toglierselo di dosso perché lo aveva preso alla sprovvista ed era rimasto, letteralmente, senza fiato. 
Olmo rotolò sulla schiena, ridendo a crepapelle, e Alfredo si pulì la bocca col dorso della mano, la stessa che aveva la cicatrice di quel taglio che gli era apparso tanti anni prima, nel tentativo di prendere aria e cercando di non far trasparire quanto gli fosse piaciuto. Quello era stato il suo primo bacio. E oh, faceva strano. Non era come se l'era sempre immaginato, nonostante avrebbe mentito se avesse detto che non pensava a Olmo quando vi fantasticava sopra. Solo, era una sensazione strana: un dolce tepore, ma anche... viscido. Umido
Alfredo scosse la testa, liberandosi di quei buffi pensieri, e si mise seduto sui sacchi. 
"Non ci sono più bachi da seta, qui sopra." sospirò, guardandosi intorno. Era la stessa soffitta in cui Olmo dormiva quando era bambino, lo stesso angolo dove una volta vi erano impilati i materassi sporchi su cui lui aveva pianto e l'altro lo aveva consolato. "Non c'era rimasto più nessuno a prendersene cura. Ci sono solo ratti, adesso." 
"Come nelle trincee." 
Anche Olmo si era tirato su. 
Alfredo si passò le dita sulle labbra, che ancora avvertivano quelle di Olmo sulle proprie, e guardò l'amico ritrovato accucciarsi di fronte alla finestra. Lui si sdraiò sul ventre, allungandosi sulla catasta. Sporgendosi verso l'angolo della feritoia, allungò una mano e indicò oltre il vetro sporco. 
"Ti ricordi quando nessuno credeva che potessimo vedere la città da quassù, ma noi riuscivamo a vederla comunque?" gli domandò, e in effetti non si vedeva un bel niente da lì, perché oltre il tetto della proprietà vi era solo un'alta collina che nascondeva l'orizzonte. Ma loro erano bambini e non avevano bisogno degli occhi per vedere. Le immagini erano sempre vivide nella loro mente, le fantasticherie galoppavano a gran velocità nelle loro teste. Un altro dei loro giochi d'infanzia. 
"Riuscivi a vedere anche tutto il mondo, da qui?" fece Olmo, senza muovere gli occhi dal panorama. 
Alfredo si rimise in piedi, piazzandosi al fianco opposto dell'altro. Aveva come la sensazione che Olmo fosse molto più interessato a perdersi nella bellezza delle campagne piuttosto che a lui. 
Si tolse la sciabola e gli diede un calcio sul sedere, pentendosene amaramente quando gli parve di riceverlo lui stesso. Avrebbero dovuto parlare anche di quello, prima o poi. 
Avrebbero dovuto parlare della bruciatura che entrambi avevano sul collo, o perlomeno della cicatrice sulla mano. 
Olmo sollevò gli occhi su di lui e il sorriso amichevole di Alfredo si spense quando si rese conto che l'altro lo guardava con espressione vacua. I suoi occhi verdi erano velati di malinconia e lui avrebbe voluto chiedergli se andasse tutto bene, ma non riuscì proferire parola. 
Olmo si alzò in piedi, sovrastandolo di un paio di centimetri, senza distogliere lo sguardo. Per un attimo, Alfredo credette che lo avrebbe baciato di nuovo. Per un attimo, ci sperò con tutto il cuore. Per un attimo, il suo labbro inferiore tremò. Ma Olmo si limitò a dargli un amichevole buffetto sul braccio e uscì dalla soffitta, lasciandolo solo in mezzo all'attico. 

 

4. 
 

Andò a da lui quella sera, trovandolo nel fienile che spostava la paglia. Infilzava rabbiosamente il forcone nel mucchio, tirandolo su, e lo lanciava dall'altra parte, apparentemente senza criterio. 
Se non fosse stato per una torcia che bruciava appesa a un muro, sarebbe stato buio da far paura, lì dentro. Ma, d'altronde, Olmo che ne sapeva della paura? Olmo era forte, era impavido. Era una testa calda che, appena messo giù il fucile in trincea, alzava l'ascia di guerra contro il padrone. Non aveva fatto nemmeno in tempo a sistemarsi nuovamente che già quel giorno aveva discusso caldamente con Giovanni per via dei macchinari che avevano tagliato di nuovo il lavoro ai contadini. 
Alfredo attirò la sua attenzione, facendo tintinnare un cavatappi contro la bottiglia di vino che aveva rubato dalla cantina di suo padre. 
Quando Olmo si voltò a guardarlo, il viso ancora contratto in un'espressione colma di rabbia, gliela mostrò, sollevandola contro la luce del fuoco: "Brindiamo al tuo ritorno!" 
Olmo fece roteare gli occhi, ma ripose comunque il forcone in mezzo alla montagna di fieno, sopra il quale si abbandonò con tutto il peso. Alfredo lo imitò, avvertendo un brivido di eccitazione all'idea di tornare a sporcarsi i vestiti puliti come una volta. Faticò per qualche minuto cercando di rimuovere il tappo di sughero e, una volta aperta la bottiglia, offrì il primo sorso all'amico, che non fece complimenti a mandarne giù un bel po' di entusiaste sorsate. 
"Ehi, ehi, non essere tirchio!" esclamò, afferrando la pancia di vetro e tirando per rubargliela. 
Mentre anche Alfredo ci dava dentro, Olmo si pulì la bocca con la manica della maglia. Aveva veramente dei modi di fare che un cinghiale, a confronto, era un lord inglese. Ma ad Alfredo era sempre piaciuto proprio per quelle sue maniere rozze, contrapposte a qualunque insegnamento con cui lui era cresciuto all'interno delle mura di casa. 
"Chi è quello spilungone di oggi?" 
Alfredo emise un ruttino, come a voler dimostrare il proprio apprezzamento nei confronti del soggetto di cui l'amico era appena andato a parlare. 
"Attila Melanchini" rispose, passando nuovamente la bottiglia a Olmo. "Il nuovo fattore di mio padre." 
Olmo si lasciò sfuggire un verso a metà tra una smorfia e un grugnito. "Mio nonno lo faceva meglio." 
"Tuo nonno è morto. E tu sei stato via per anni. Sono cambiate molte cose, da allora. Detesto quello che ti ha rinfacciato mio padre quest'oggi, sul fatto che siete andati a farvi ammazzare in guerra, ma... non posso biasimarlo per aver ripiegato sui macchinari." 
"Mmmh" mormorò l'altro al suo fianco. "Immagino li utilizzerai anche tu, prima o poi, eh?" 
"Ah, non stare a pensare a me!" 
Alfredo allungò una mano verso il vino e fece in modo di scolarsi tutto ciò che rimaneva. Quando ebbe finito, la testa aveva ormai cominciato a sembrare più leggera. 
"Mio padre ha ancora qualche anno in cui esercitare il suo potere. Risolvetela adesso, piuttosto, così sono sicuro che non darete noia a me!" 
Olmo scoppiò a ridere e quel suono riempì le orecchie di Alfredo come se fosse musica. 
"Sei proprio un bastardo egoista, sai?" fece Olmo, e Alfredo poté giurare che si fosse fatto più vicino. I loro fianchi si sfioravano e lui avrebbe tanto voluto allungare una gamba per incrociarla con quella dell'amico. Erano pensieri suoi o si trattava dei fumi dell'alcol che aveva ingurgitato così velocemente? "Probabilmente sarai anche peggio di tuo padre nel dirigere l'azienda." 
"Ma no. Sarà una cosa paritaria. Io aiuto te, tu aiuti me. O te ne vuoi ancora andare in America?" 
Olmo sorrise. Incrociò le braccia dietro la testa e puntò gli occhi al soffitto alto del granaio, e per un attimo Alfredo rivide il bambino con il cappello di paglia che prendeva il sole in mezzo ai campi. 
"Non è mica una brutta idea" ridacchiò, voltandosi verso di lui. "La tua fottuta Merica." 
"Ah, sta' zitto!" 
"Mi sei mancato, sai?" 
Il cuore di Alfredo fece qualche capriola all'indietro. 
Si distese su un fianco, gli occhi fissi in quelli di Olmo. Aveva la vista offuscata dall'alcol, eppure ogni contorno dell'amico era così nitido, così vivo, come un punto focale mentre si tenta di scorgere l'orizzonte. Avrebbe potuto rimanere disteso lì, a fissarlo, per il resto della sua vita. 
"Anche tu mi sei mancato." mormorò e trattenne il respiro quando una mano di Olmo si allungò a spostargli le ciocche di capelli che gli ricadevano sul viso. 
Bacialo, Alfredo
Bacialo, potrebbe non essere niente: magari lo desidera tanto quanto lo sospiri tu. 
O forse non è così? Forse rischieresti di perderlo di nuovo? D'altronde, siete così diversi. 
Il servo e il padrone
Basta così poco per averlo. 
Basta così poco per allontanarlo. 
"Perché mi hai baciato, oggi?" 
"Sei scemo? Mi hai detto tu di farlo." 
"Era solo uno scherzo!" 
"Oh beh, scusa! Non lo faccio più, mamma." 
Alfredo si tirò su, appoggiandosi di peso sul gomito che sprofondava nel fieno. "E se ti chiedessi di rifarlo?" 
Olmo gli riservò un'alzata di sopracciglia. Alfredo avrebbe voluto staccarsi la lingua a morsi quando il suo amico scosse la testa, ridacchiando: "Pervertito." 
Alfredo sbuffò e si lasciò ricadere sulla schiena. "Non sono un pervertito!" replicò. 
Che stupido. Come era potuto passargli anche solo per la testa un pensiero del genere? Era innaturale. Era disgustoso. No, non lo era. Non con Olmo. 
"Ah no? Chi è gioca al soldato e all'infermiera con sua cugina, al pomeriggio?" 
Scoppiarono a ridere e Alfredo si passò una mano sul viso. La testa gli girava e si sentiva così brillo che per un po' non riuscì a smettere. 
"Regina è diventata proprio brutta" rideva Olmo, provocandogli forti spasmi allo stomaco. "Sai con chi la vedrei bene? Con quell'Attila!" 
"Mio Dio, la coppia perfetta!" esclamò Alfredo, tirandosi su di scatto per mettersi seduto. "Organizziamo il matrimonio!" 
"Tu -tu come testimone di nozze di quel perticone!" 
Anche Olmo si rimise seduto. Si allungò su di lui, senza smettere di ridere, e gli poggiò entrambe le mani sulle spalle. "Mia madre prepara la torta!" 
"Mmmh, le torte di Rosina. Cosa ti sei perso, in questi anni!" 
"Già." 
Era davvero bello quando sorrideva. Erano momenti in cui pareva finalmente scaricare tutto il peso di un mondo con cui sembrava prendersela in continuazione. Un mondo che lo aveva fatto nascere sfortunato e gli aveva mostrato gli orrori della povertà e della guerra, ma che, tuttavia, non gli aveva impedito di far continuare a brillare quegli occhi del colore dei prati che tanto amava. 
Alfredo non resistette più. 
Fu lui a baciarlo, quella sera. 
Inizialmente, sentì Olmo irrigidirsi, colto alla sprovvista, e Alfredo era già pronto a distaccarsene, buttarsi a terra e implorare perdono, supplicarlo di non andarsene di nuovo, di non lasciarlo un'altra volta. Invece, presto lo sentì rispondere a quel bacio incredibilmente goffo e inesperto. E fu proprio lui a prendere l'iniziativa e approfondirlo, andando oltre il semplice uso delle labbra. 
Alfredo accolse la sua lingua, i suoi morsi leggeri, si lasciò sfuggire sospiri estasiati quando lui lo circondò con le braccia, spingendolo sul fieno. Per la seconda volta in quella giornata, si ritrovò a cingergli i fianchi con le gambe, ma questa volta azzardò perfino a sollevare il proprio inguine, voglioso di farlo aderire contro il corpo dell'amico, che non smetteva di dedicargli l'attenzione della sua bocca, dei suoi baci roventi. 
Non erano morbide, le labbra di Olmo. Erano secche, rudi, sapevano di tabacco e sale. Eppure furono capaci di suscitare in Alfredo emozioni mai provate, pensieri che non aveva mai avuto il coraggio di lasciar scorrere nella propria mente. Com'era possibile che una cosa del genere fosse sbagliata, proibita? Si sentiva come se le sue labbra fossero finalmente unite alle uniche su cui avrebbero mai dovuto posarsi. In quel momento, gli sembrava così impensabile che potessero appartenere a qualcun altro, a una donna, piuttosto che a Olmo. 
"Aspetta!" 
Alfredo si divincolò un poco, quando il volto dell'amico premette nell'incavo tra la spalla e il collo, le sue dita che tiravano per disfargli il colletto della camicia. 
Olmo si sollevò su di lui, le mani affondate nel fieno, e inarcò le sopracciglia, confuso. "Cosa c'è?" 
Alfredo si morse il labbro inferiore, pensieroso, domandandosi se avesse fatto bene a interrompere quel momento di pura bellezza, di splendide e proibite sensazioni. Ma, alla fine, si disse che prima o poi l'avrebbe comunque scoperto. 
Così si sbottonò il colletto della camicia e scoprì la ferita che aveva sul collo. 
Olmo spalancò la bocca a quella visuale: la pelle di Alfredo era tirata su tutto il lato sinistro, bruciata, grumosa. Lo stesso identico punto dove era stato ferito di striscio da un proiettile volante, dove si era procurato le stesse, identiche abrasioni. 
Il contadino sollevò una mano, incerto. "Posso?" chiese, e Alfredo annuì, permettendogli di sfiorargli il collo con le dita. Rabbrividì al tocco dei suoi polpastrelli sulla propria pelle, prima che Olmo ritraesse la mano all'improvviso, come se si fosse scottato. 
"Non è possibile" mormorò, indietreggiando fino a rimettersi in piedi. "Non è possibile..." 
"So che hai le stesse ferite." 
Alfredo scivolò in avanti, poggiando i piedi a terra ma restando seduto sulla montagna di fieno. Sollevò la mano con la cicatrice, mostrando ad Olmo il segno del taglio sul dorso. "Quando ci siamo conosciuti, ho visto che ne hai una identica, esattamente nello stesso punto. Credevo fosse una coincidenza, credevo di essermi tagliato con la corda dell'altalena...." 
"Mi ero ferito una volta, sotto il treno" rispose Olmo, sollevando la stessa mano per ammirare la propria cicatrice. 
Alfredo notò che tremava. 
Istintivamente, si alzò, muovendosi verso di lui, e gli afferrò quella mano tremolante tra le sue. Era sudata, ma a lui importava solamente poterla stringere tra le dita, poterla accarezzare, avere quel tipo di contatto con lui, perché solo quando lo toccava Alfredo riusciva a sentirsi completo. Era un pensiero assurdo, l'idea che metà della sua anima fosse stata strappata via nel momento in cui Olmo se n'era andato, lasciandolo solo a metà tra due mondi: uno a cui non apparteneva, dove non era desiderato, e un altro a cui non aveva mai chiesto di appartenere, in cui veniva forzato a restare. Eppure, con Olmo lì con lui, con i suoi stessi dolori e le sue stesse cicatrici, tutto acquisiva nuovamente un senso e Alfredo trovava finalmente il suo posto nel mondo. Che fosse in una stalla o in una soffitta polverosa, gli bastava sapere che era con lui che doveva stare. 
"Va tutto bene." sussurrò, la voce che gli si faceva incrinata, le lacrime che minacciavano di graffiargli il volto. Si chinò e lasciò un dolce bacio sul dorso della mano di Olmo, e un altro bacio sul suo palmo, lo stesso palmo che si posò gentilmente su una delle sue guance ancora un po' paffutelle. 
Alfredo alzò nuovamente lo sguardo su di lui e, questa volta, riuscì perfino a inspirare abbastanza da lasciare che l'altro si appropriasse nuovamente della sua bocca. Si baciarono per un lasso di tempo che gli parve al tempo stesso interminabile e troppo breve, tanto che si aggrappò saldamente alla maglia di Olmo quando l'amico si separò da lui. 
"No" mugugnò Alfredo, avvertendo le lacrime scendergli inevitabilmente sul viso. "Non voglio che tu te ne vada di nuovo." 
"Non vado da nessuna parte, Alfredo Berlinghieri." 
Il ragazzo accennò a un sorriso divertito nell'udirlo pronunciare il suo nome completo. Non lo aveva ancora mai sentito, non con quella voce così diversa e matura da quella che aveva imparato a conoscere molti anni prima. "Promesso?" 
"Il mio posto è qui." 
Olmo si chinò su di lui e posò una mano dietro al collo del suo padroncino, unendo le loro fronti, respirando all'unisono. "Senti... fammi solo sistemare prima questa faccenda tra me e tuo padre. Poi ti prometto che ne riparliamo, va bene?" 
Alfredo annuì, sospirando e mordendosi il labbro inferiore, troppo vuoto quando non si scontrava con quello di Olmo. "Tu sei tutto matto." osservò, suscitando una risatina nell'amico. 
"Lo so. Me lo dissi quando ci siamo conosciuti." 
Alfredo si sollevò sulla punta dei piedi, rubandogli un altro bacio. 

 

Il cielo è poi così lontano, Alfredo? 
 


 

ANGOLO AUTRICE: 

Ma salve! Ci ho messo due mesi, DUE FOTTUTISSIMI MESI, per aggiornare ma alla fine ce l'ho fatta e spero vi siate goduti questa seconda parte. Beh, avevo detto che sarebbe stata suddivisa in soli due atti ma, alla fine, come al solito, ho finito per allungare il brodo quindi se tutto va bene dovrebbero esserci altri due o tre capitoli. Mi piace però l'idea di suddividerla in modo che ogni capitolo sembri quasi una one shot a sé stante -nonostante gli ovvi collegamenti- quindi continuerò sicuramente con quest'impostazione. L'unico avvertimento che mi sento di fare è questo: non aspettatevi aggiornamenti super-regolari. Ovviamente tengo a questa storia, ma la scrivo quando ho bisogno di prendermi una pausa dalle long, quindi quelle hanno assolutamente la precedenza (soprattutto BOTW). 

Le mie solite precisazioni: 

- la prima parte del capitolo è una scena del film, riportata di pari passo. Nessuna modifica, neanche il bacio <3 (tipo il famoso "Friendship Kiss" che sta girando su Facebook lmao) Ci tenevo molto a inserirla nella storia così com'è, elaborandone i pensieri di Alfredo, ma non c'era assolutamente nulla da modificare. E ringrazio YouTube per essermi venuto in aiuto con i dialoghi. La seconda parte è, invece, un missing moment inventato completamente da me e si colloca in seguito a un litigio tra Olmo, il padre di Alfredo e il fattore Attila. 

- Olmo e Alfredo scherzano sul matrimonio di Attila e Regina, ma i due si sposeranno sul serio e daranno vita al duo di villain più malvagio e terrificante che io abbia mai visto.

- non sono sicura al 100% che Olmo non sia mai tornato all'azienda, quando è stato mandato a Genova. Penso che fosse tornato in seguito allo sciopero fino a quando non è stato chiamato per andare in guerra, perché quando torna sembra aver avuto esperienza nel lavoro contadino. Questo però non ci è mostrato chiaramente nel film, quindi ho preferito il salto temporale diretto. Oltre il fatto che dieci anni separato dalla sua soulmate erano meravigliosamente angst come cosa *-* 

Credo di aver detto tutto e mi auguro che vi sia piaciuta anche questa seconda parte. Personalmente, trovo mi sia uscito molto meglio il primo capitolo e che manchi qualcosa in questo, un po' più d'introspezione. Anyway, fatemi sapere cosa ne pensate con un commento, ci terrei davvero molto. E ne approfitto per ringraziare ogni singola persona che ha speso un po' del suo tempo per recensire la prima parte, scusate se sono un culo flaccido e non riesco quasi mai a rispondere....

Anyway, ci si becca al prossimo aggiornamento di... qualcosa, I guess. 

 

  
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