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Autore: Ladyhawke83    20/09/2019    10 recensioni
SECONDA CLASSIFICATA al contest una citazione, una storia III edizione, indetto da eleCorti sul forum di EFP”
“Con lei al suo fianco, Michiru era sicura che tutto sarebbe stato più semplice da sopportare, persino la prospettiva non troppo remota di andare incontro ad una morte prematura e violenta.
Era lei la compagna che aspettava, da sempre.
Michiru lo sapeva, ma non poteva certo costringere Haruka a ricoprire un ruolo che non desiderava e a rischiare la vita per la missione. Così decise, si alzò, la guardò e, senza dire un’altra parola, se ne andò.
Haruka ebbe l’istinto di fermarla, di chiederle di più, di dirle che le serviva tempo, che aveva paura, ma a cosa sarebbe servito? Solo a farla apparire più debole, più meschina.
Michiru non aveva bisogno di una persona indecisa al proprio fianco, ma di qualcuno che sapesse proteggerla.
Haruka si guardò le mani: avrebbero potuto quelle sue mani combattere, ferire, forse uccidere?
La lasciò andare con le dita che tremavano, di rabbia, di paura, di smarrimento e Haruka continuò a chiedersi: “Perché a me?”, invece di pensare a tutto il resto...”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
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Waiting for you

 

Michiru Kaiou aveva trascorso gran parte della propria vita convinta che restare in solitudine fosse il modo migliore per mantenere intatto il suo dono. Suonare il violino, o dipingere  le  riusciva sicuramente meglio quando non era costretta ad  esibirsi su un palco, e non aveva occhi puntati addosso.

In Giappone la ragazza dai fluenti capelli color acquamarina, era considerata da tutti ormai, come una giovane promessa della musica classica, nonché un’artista di talento. Non era raro, infatti, che i quadri dipinti da Michiru venissero venduti a prezzi molto alti, ed ogni sua mostra personale registrasse il tutto esaurito.

“Accidenti!” Imprecò la giovane, verso la tela che aveva di fronte a sé, un’enorme sbavatura di colore blu oltremare ora se ne stava lì a rovinare con ostentato orgoglio il paesaggio in tempesta che Michiru stava cercando di ultimare.

Si guardò la mano destra, che ancora reggeva il pennello incriminato: tremava.

Un sottile rivolo di colore a olio le aveva sporcato le mani di blu, ma non ci badò, persa com’era nell’osservare quel paesaggio cupo che se ne stava impresso sulla tela a ricordarle ogni cosa, ogni maledetto incubo dei mesi precedenti.

Una missione. Michiru Kaoiu sapeva solo di avere una missione: impedire che il mondo precipitasse nel caos e nel silenzio.

Michiru non sapeva come non sapeva quando, ma ad un certo punto, una nuova consapevolezza si era risvegliata in lei. Aveva avvertito l’urgenza e il bisogno di agire.

D’altra parte lei era la reincarnazione di Sailor Neptune, la potente guerriera del sistema solare esterno, che si era manifestata in lei proprio in quel luogo ed in quel momento, e tutto doveva avere  una spiegazione, solo che lei non la trovava.

Le immagini della imminente distruzione del pianeta ad opera di un’oscura figura continuavano a tormentarla di giorno, e di notte, rendendo il suo sonno disturbato è angosciato.

Quella mattina Michiru si era ripromessa anzi, quasi imposta, di continuare a lavorare al suo ultimo quadro “tempesta invernale”, purtroppo però la concentrazione ed il distacco necessario l’avevano abbandonata, non riusciva a pennellare con la sua consueta disinvoltura. 

La giovane artista sentiva come un nodo in fondo alla gola, accompagnato da un pensiero opprimente, quello di fallire.

Doveva convincere al più presto l’altra guerriera a risvegliarsi, e a combattere, in modo tale che non avrebbe più dovuto portare quel pesante fardello tutta da sola. 

Mai come in quel momento Michiru sentiva che la solitudine, solitamente confortante, ora sembrava andarle stretta, e i grandi spazi vuoti di quell’appartamento lussuoso, erano quasi opprimenti nel loro silenzio costante e ridondante, dove persino un suo respiro riecheggiava nelle pareti restandovi intrappolato come una mosca in una fine ragnatela.

E quella sensazione di mancanza d’aria, in senso letterale, aumentava quando si trovava ad osservare lei: Haruka Tenou.

Aveva già tentato di avvicinarla in maniera gentile, quasi che fosse un incontro casuale, subito dopo una sua gara sportiva. Haruka aveva risposto a Michiru sbrigativamente, quasi a disagio, mentre l’altra sua amica si complimentava con lei per essere stata battuta, anche quella volta, nella corsa dei 400 mt.

Poi se n’era andata, come se non le importasse nulla, né della gara, né di lei e Michiru ci era rimasta male, come se si aspettava qualcosa di più da quell’incontro.

Quello che la giovane guerriera dai capelli acquamarina non sapeva era che Haruka stava scappando.

Si impegnava nelle gare, nella corsa, cercava sempre di superare i propri limiti, soprattutto sfruttando la velocità, ma più veloce andava, più vittorie la bionda collezionava più era evidente che stava fuggendo da qualcosa. 

Da tempo ormai faceva quegli incubi sulla fine del mondo, al termine dei quali le appariva sempre una ragazza misteriosa che le parlava di un compito, una missione e Haruka non si sentiva pronta e cercava in tutti i modi di ignorare il proprio destino.

Si erano incontrate, poi, ad un concerto di Michiru e lei era bellissima in quel suo abito elegante che le metteva in risalto gli occhi e la meravigliosa abilità nel suonare il violino come se non avesse fatto altro in vita sua.

Haruka origliò senza volerlo, dal tavolo vicino al suo, un discorso poco lusinghiero rivolto verso la giovane violinista, decise che era ora di andarsene, quelle erano solo inutili chiacchiere.

Si chiuse la porta alle spalle e scese il grande scalone ricoperto di velluto rosso. Lo sguardo di Haruka fu calamitato da un’enorme tela appesa alla parete, il quadro raffigurava uno scenario inquietante, dai toni decisamente cupi. Le ricordava molto da vicino i suoi ricorrenti incubi.

“Ti piace quel quadro? Sei stata molto gentile a venire, so che sei molto impegnata per la gara della prossima settimana.”(1) 

Era stata Michiru a parlare, era seduta sulle scale, in una posa molto composta, quasi che si sentisse in dovere di giustificarsi con l’altra.

Evidentemente Haruka non si era resa conto di quanto tempo avesse trascorso a fissare quel drammatico dipinto.

Quando era terminato il concerto?

Perché non se ne era andata via, e basta?

Perché sentiva l’insopprimibile bisogno di parlare con Michiru, di avere un confronto con quella giovane ragazza, apparentemente tanto dissimile da lei?

“Eh non c'è che dire, sei molto ben informata sul mio conto. Hai dipinto tu questo?” Chiese Haruka, ben sapendo quale potesse essere la risposta.

“Ormai sei diventata un personaggio, a scuola ti conoscono tutti e non ti immagini in quanti facciamo il tifo per te, nessuno era mai riuscito a battere Elsa nella corsa a ostacoli, e devo dire che la tua vittoria ha suscitato un grande interesse...” le confermò Michiru sorridendole, mentre si spostava i lunghi capelli mossi con una mano.

Ah, quella sua mano... Haruka immediatamente se la figurò sul proprio viso, senza sapere bene perché, ma sentiva che avrebbe voluto avere quel contatto.

“Rappresenta la fine del mondo vero? Francamente non mi sembra un soggetto adatto ad una violinista: come può un animo delicato avere fantasie così apocalittiche?” Domandò Haruka, con un certo sarcasmo.

Michiru strinse i pugni arruffando la stoffa del proprio abito, ma l’altra non notò la tensione, o finse di non vederla, ostinata come era a non voler davvero capire, ascoltare, agire.

“Non è frutto della mia fantasia, quella è una visione che appare molto chiaramente e io so che appare anche a te...” Ammise decisa la violinista, lo sguardo di Haruka si fece sottile, rabbioso e tutto il suo corpo si tese nello sforzo di scacciare via quei pensieri da sé.

“Non dire sciocchezze, io sono una pilota professionista e non mi perdo dietro a certe fantasie. Il fatto che io abbia sognato la fine del mondo non significa che debba essere io a scongiurarla... se vuoi salvare il mondo da non so quale pericolo, sei liberissima di farlo, ma ti chiedo per favore di lasciarmi in pace, siamo intesi?” 

Le parole di Haruka arrivarono ruvide e affilate come coltelli, era evidente che la bionda avesse eretto intorno a sé un muro, per proteggersi, un luogo sicuro dove rannicchiarsi e restare in attesa che tutto passasse, che quei maledetti sogni premonitori passassero. Era un atteggiamento puerile, vigliacco, non era da, lei fuggire così, rinunciare, tirarsi indietro, ma un conto era vincere una gara atletica, o una corsa; un altro era scegliere dover di combattere un nemico potente, e sconosciuto, per la salvezza del pianeta.

“Non credevo che tu fossi così egoista, anche io vorrei ignorare tutto e dedicarmi al mio sogno: diventare una violinista famosa, ma cosa credi? Neanche a me entusiasma l'idea di dover proteggere l'umanità...” Michiru stava soffrendo per l’implicito rifiuto di Haruka. Non lo avrebbe mai ammesso apertamente, ma la guerriera dai capelli acquamarina desiderava tanto qualcun altro con cui dividere quel fardello, qualcuna forte e decisa come Haruka. 

Con lei al suo fianco, Michiru era sicura che tutto sarebbe stato più semplice da sopportare, persino la prospettiva non troppo remota di andare incontro ad una morte prematura e violenta.

Era lei la compagna che aspettava, da sempre. 

Michiru lo sapeva, ma non poteva certo costringere Haruka a ricoprire un ruolo che non desiderava e a rischiare la vita per la missione. Così decise, si alzò, la guardò e, senza dire un’altra parola, se ne andò.

Haruka ebbe l’istinto di fermarla, di chiederle di più, di dirle che le serviva tempo, che aveva paura, ma a cosa sarebbe servito? Solo a farla apparire più debole, più meschina.

Michiru non aveva bisogno di una persona indecisa al proprio fianco, ma di qualcuno che sapesse proteggerla.

Haruka si guardò le mani: avrebbero potuto quelle sue mani combattere, ferire, forse uccidere?

La lasciò andare con le dita che tremavano, di rabbia, di paura, di smarrimento e Haruka continuò a chiedersi: “Perché a me?”, invece di pensare a tutto il resto.

 

***

 

Le gare non contavano più, la scuola era diventata un obbligo da assolvere il più in fretta possibile e col minor sforzo, e nella testa aveva sempre e solo lei: Michiru, Michiru e quell’incubo.

Aveva appena terminato la corsa, indossava ancora la tuta da pilota, quando rientrò al garage del suo team, per subire sicuramente il rimprovero del suo capo squadra.

Haruka non si era concentrata abbastanza, lo sapeva, era arrivata seconda in pista, ma la sfumata vittoria non aveva quel sapore dolce amaro come solito, niente sembrava essere più lo stesso, da quando lei aveva avuto quel mezzo litigio con Michiru al concerto.

Sentì dei lamenti e subito Haruka si allarmò, accorrendo affianco ad un ragazzino che se ne stava raggomitolato su se stesso chiedendo aiuto.

Quello che poco prima era soltanto un giovane studente, in un attimo, si trasformò in un mostro orribile e inquietante, senza forma né volto, ma fatto solo di pura malvagità, lasciando Haruka sgomenta.

Michiru, giunta in veste di Sailor Neptune, intervenne rapida e la mise in guarda sui pericoli dell’accettare, o meno, di diventare essa stessa una guerriera Sailor.

“Se accetti quel destino, la tua vita cambierà e non potrai più tornare indietro...”

Il mostro, approfittando di quell’attimo di esitazione, tentò di attaccare Haruka, ma Michiru si frappose fra lei e la creatura, ferendosi ad un braccio.

La bionda sgranò gli occhi, incredula di fronte a tutto quello che stava accadendo, poi, una volta che Michiru ebbe neutralizzato il mostro e salvato la vittima, si precipitò da lei con un potente nodo alla bocca dello stomaco.

Michiru le apparve quasi troppo leggera quando la prese tra le braccia, per sostenerla, ferita e debole non sembrava nemmeno più la stessa.

“Che fine ha fatto il mostro?” Chiese lei con voce debole e angosciata.

“E' sparito, il ragazzino ha ripreso le sue sembianze e sta bene...” Le rispose Haruka che non riusciva a distoglierle gli occhi di dosso. Nessuno aveva mai fatto questi per lei, si sentiva strana ed in colpa. Michiru l’aveva salvata senza pensarci su nemmeno un attimo, e ora aveva il braccio tutto sanguinante.

“Ma si può sapere per quale motivo hai cercato di proteggermi? Ma guarda, con un braccio così mal ridotto non potrai più suonare il violino...” le disse Haruka, mentre le sollevava con delicatezza il braccio offeso.

Haruka si rese conto che quella era la prima volta che la toccava intenzionalmente, se escludeva la prima volta che si erano strette la mano, dopo la gara di corsa.

In quell’occasione Michiru le aveva chiesto se avesse voluto posare per lei, per un quadro, ovviamente Haruka aveva rifiutato non sapendo di ferirla mentre lo faceva.

“... Vedi quando ti ho chiesto di posare per me era una scusa per avvicinarti. Sapevo che i nostri destini erano comuni e che tu avevi le mie stesse visioni e i miei stessi incubi e quando ho seguito le tue prime gare ho intuito che avevi la stoffa della guerriera. Sapevo che in te avrei trovato una sorella, un'alleata per la mia grande battaglia. E ho subito ammirato il tuo carattere indipendente... sei sempre così decisa, forte e sai quello che vuoi.” Le disse Michiru, tutto d’un fiato, col cuore in mano e le lacrime agli occhi.

“Ma non è vero! Io sono piena di dubbi, e non so quale sia la mia strada...” Le rispose Haruka, quasi in imbarazzo per quella confessione. L’unica cosa certa che sapeva è che sentiva il bisogno di stare vicino a Michiru.

“Capire che anche tu eri una guerriera e che avresti combattuto con me mi ha resa felice, perché non ero più sola. Sono un’egoista, tu ancora non sai qual è il terribile destino che ci aspetta. Mi dispiace..." Le confidò Michiru in lacrime.

“Non ti devi dispiacere. Se c’è un’egoista qui, sono di certo io, che per dar retta alle mie stupide paure, non ho voluto vedere e ti ho lasciata a combattere tutto questo tempo da sola, mentre tu aspettavi me.” Le disse Haruka prendendola fra le braccia per farla alzare pian piano.

“Dove andiamo?” Le chiese Michiru spaesata e sofferente per i colpi inferti dal mostro.

“Vieni, ti porto a casa mia... Non posso certo lasciarti così, e poi sai sono brava con le medicazioni...” Le disse sorridendo, mentre alludeva al braccio della violinista.

“Haruka, non devi, so badare a me stessa...” cercò di dirle Michiru, ma l’altra non lasciò che si divincolasse dalla presa e la sostenne fino alla macchina, con la quale poi la condusse nel suo spazioso, quanto solitario, appartamento.

“È il minimo che possa fare. Tu mi hai protetta rischiando la tua vita per me...” Le ricordò Haruka, per cercare di tranquillizzarla, e tranquillizzare se stessa. 

La ragazza avvertiva intorno a loro due un certo turbamento, una certa tensione che correva da lei a Michiru e viceversa, ma non sapeva bene come muoversi, cosa dire, temeva di peggiorare le cose, di offenderla, o peggio, rattristarla.

***

 

 

“Eccoci qua, nella mia umile dimora...” disse Haruka con una certa ironia.

“Tanto umile non direi...” Le rispose Michiru guardandosi intorno. 

La guerriera Sailor dai capelli acquamarina era affascinata, rapita dalla stupenda vista della città e dei grattacieli, che si poteva scorgere da quelle ampie finestre.

“È molto più grande di qualsiasi altro appartamento del quartiere, forse dell’intera città... Sei fortunata, lo sai questo?”  ammise Michiru, con una punta di invidia.

“Paga lo sponsor delle gare. Io non ho chiesto nulla, e d’altra parte sono spesso sola, o fuori casa. Tutto questo spazio non mi serve, mi soffoca...” disse Haruka, e se quelle parole fossero state dette da qualcun altro, potevano sembrare un controsenso, ma non dette da lei, e non per Michiru, che sapeva leggere bene negli animi delle persone.

“Ti capisco...” disse la guerriera, ancora in abiti da combattimento.

“Aspetta che cerco qualcosa per medicarti quella ferita, tu accomodati dove preferisci...” Le disse Haruka, di fretta, mentre, utilizzando quel pretesto, spariva in un’altra stanza, non voleva darle a vedere quanto fosse nervosa.

Michiru si accomodò su un divanetto proprio accanto ad una delle enormi vetrate di quell’appartamento open-space al 45º piano.

Quando Haruka tornò in camicia bianca e jeans, con in mano bende e cerotti da una parte, disinfettante e garze dall’altra, Michiru la guardò e sorrise.

Un sorriso splendido

“Vedo che intendi prendere sul serio il ruolo di mia infermiera personale...” Le disse Michiru e Haruka pensò a cosa avrebbe voluto d’altro da lei e se ne vergognò.

“Io mi impegno al massimo in tutto quello che faccio...” disse la bionda fingendosi distaccata, mentre medicava l’amica.

“Lo vedo, lo vedo... non sei obbligata se non vuoi.” disse ad un tratto Michiru, con un velo di tristezza sugli occhi.

“A combattere dico... non sei obbligata. Ora sai, ma ciò non significa che devi accettare per forza.”

“Lo voglio fare Michiru. Non ti lascerò sola, non più.”

Haruka le sfiorò il viso guardandola, in quegli occhi verdi scorse il riflesso dei propri e fu perduta.

Michiru si sporse verso di lei, indecisa se parlare o no.

Haruka cercò il coraggio, quell’ultimo brandello di coraggio rimastole, dopo aver affrontato quella lunga ed estenuante giornata, e fece una delle poche cose in grado di sconvolgerle l’esistenza: prese il viso di Michiru fra le mani e la baciò sulle labbra.

Quando Haruka si staccò da lei, aveva ancora il sapore del suo rossetto sulle labbra, sapeva di lampone, di rosa e di qualcos’altro. I capelli di Michiru odoravano di mare, di salsedine, di libertà e Haruka sfiorandoli dolcemente, ma con avidità, capì che non ne avrebbe più potuto fare a meno.

“Se devo combattere, sono pronta. Mi basta sapere che tu sarai al mio fianco.”

Quando un essere umano prende davvero una decisione, gli altri non possono più farci niente. (2)

Haruka aveva deciso, il vento le aveva parlato ed il suo cuore aveva trovato la propria dimora, il proprio porto sicuro, tra i silenzi, i sorrisi e le dita di Michiru.

 

***

 

 

Note al testo:

  1. Molti dialoghi qui riportati sono i dialoghi originali dell’ep. 106 della serie SailormoonS. Devo lasciare un particolare ringraziamento ad Arwen297 che mi ha passato il file con l’intera trascrizione dell’episodio.
  2. La frase è di Banana Yoshimoto, L'ultima amante di Hachiko, ed è quella che ho scelto per partecipare al contest.

 

 

Note dell’autrice:

Sailormoon è un anime/manga che ha segnato la mia infanzia/adolescenza negli anni 90, e la terza serie è quella che ho sempre preferito fra tutte, così come la coppia tanto discussa e censurata di Haruka e Michiru.

È la seconda volta che scrivo di loro in questo fandom, spero di non essere andata troppo OOC e di aver dato un senso a tutto.

Buona lettura.

Ladyhawke83

   
 
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