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Autore: Emmastory    20/09/2019    5 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXI

Compagni di vita e magia

Silenziosa come i gufi che nidificavano sugli alberi del bosco e sui tetti delle case, la notte era scesa lenta, e con la mano ancora stretta in quella di Christopher, tenevo alto lo sguardi per fissare il cielo. Inspirando a fondo, lasciai che la gentile e fresca aria della sera mi lambisse i polmoni, e tenendo gli occhi chiusi, sentii il mio amato stringermi la mano con forza ancora maggiore. Di lì a poco, il silenzio ci avvolse entrambi, e così il buio, con quella del mio ormai famoso ciondolo come unica luce in quella notte. Reagendo forse alla mia magia, alla mia compostezza, ai miei sentimenti, o a chissà quale altro stimolo esterno di quel momento, riuscii a sentire di tutto. Il sibilare del vento attorno a noi, il quieto bubolare di quegli stessi gufi che credevo addormentati nei loro nidi, perfino il leggerissimo battito d’ali delle falene attratte dalle lanterne appese in tutta Eltaria. Veloce, anche il mio cuore non tardò a rispondere, e battendo come impazzito, quasi mi impedì di respirare. Per una volta, la positiva colpa di tutto non era da imputarsi a mio marito, ma proprio allora, fu la sua voce a distrarmi. “Tutto bene, tesoro?” chiese, voltandosi a guardarmi negli occhi. Distratta, sentii e vidi la magia spezzarsi, e con essa anche la mia concentrazione. “C-Cosa?” farfugliai, imbarazzata. Muto come un pesce, lui si limitò a guardarmi, e in quell’istante, capii. “Sì, s-scusa. Ero distratta, perdonami. Sarà la calma qui intorno, ma ho come perso il controllo dei miei poteri. Chi lo sa, forse è anche l’aria di festa, tu che ne dici?” Risposi, lasciando che un innocente sorriso mi spuntasse in volto e sperando che la mia innata sbadataggine bastasse a farlo ridere. Era strano a dirsi, e lo sapevo bene, ma mi piaceva vederlo felice, e in un rapporto come il nostro, che ci teneva uniti da circa tre anni, era proprio quell’emozione a contare più di tutto, perfino più dell’amore. Spesso persi l’uno negli occhi dell’altra, ce lo siamo ripetuti con lo sguardo migliaia di volte, sentendoci puntualmente rinascere l’uno fra le braccia dell’altra, meravigliandoci di quanto fortunati potessimo essere nella nostra reciproca gioia, ma riflettendo, che senso ha amarsi se non si è felici? Nessuno ci pensa, ma in realtà quello è il rischio peggiore che una coppia possa correre. Vivere, diventare tale e poi spezzarsi, ma per un motivo o l’altro tentare la via dell’insistenza lastricata spesso di trappole e insidie, salvo poi rendersi conto di aver sbagliato solo quando è ormai troppo tardi, e alla fine di tutto, soffrire in silenzio. Grazie al cielo, non si trattava del nostro caso né di nessuno che conoscessi, e rincuorata da quel pensiero, sorrisi a me stessa. Premuroso come sempre, Christopher mi strinse a sé e sorprese con un bacio sulla guancia, e facendosi più vicino, mi sussurrò qualcosa all’orecchio. “Credo proprio di sì, sai?” disse soltanto, risvegliando con quelle parole tutta la mia mai sopita curiosità. “Sì?” azzardai, mentre gioco e malizia mi danzavano negli occhi adombrandomi lo sguardo. “Sì.” Mi fece eco lui, attirandomi a sé e abbracciandomi stretta, per poi sollevarmi il mento con due dita e costringere i nostri sguardi ad incontrarsi. Paralizzata dall’emozione, non mi mossi, e sostenendo il suo, color della speranza che mai più sognavo di perdere, abbandonai le mani nelle sue, concedendo ad entrambi un bacio che nessuno di noi avrebbe osato rifiutare. Letteralmente con le spalle al muro, cercai in quel contatto la sua protezione, e mai, mai avrei desiderato che finisse. Tiranno come al solito, qualcuno al di sopra di noi disegnò altri piani, e all’improvviso, un soffio di vento ci riportò alla realtà. Così riaprii gli occhi che ormai non ricordavo di aver chiuso, e barcollando alla ricerca di equilibrio, lo ritrovai solo pochi istanti dopo. “Cos’è stato?” chiesi, confusa e stranita. “Non lo so, ma la notte è ancora giovane. Non vorrai sprecarla, vero?” rispose Christopher sorridendo dolcemente, ogni traccia di malizia ormai scomparsa dal suo volto. Incerta sul da farsi, indugiai nel silenzio, ma qualcosa, forse proprio il suo sorriso o quel caratteristico luccichio che gli brillava negli occhi ogni volta che proponeva uno strappo alle regole, mi spinse a reagire. “Vero.” Replicai, imitandolo in quell’unica parola e unendomi a lui nel viaggio opposto a casa. Stavamo tornando, ormai pronti a sdraiarci a letto e riposare, ma era come se all’improvviso non ne avessi più voglia, e che il desiderio di dormire fosse stato sostituito da quello di divertirmi e ridere con chi amavo. Ormai convinta, annuii con decisione, e camminandogli accanto, non lasciai mai la sua mano. Di lì a poco, non udimmo altro che il suono dei nostri passi quasi perfettamente sincronizzati, e tornati alla piazza principale, ci lasciammo sconvolgere dalle novità. Come la sera prima, anche stavolta c’erano lanterne e luci ovunque, creature magiche in ogni angolo della strada, e decine di bancarelle già aperte, piene di giocattoli, dolci e strani oggetti magici mai visti prima. “A cosa tocca stasera?” indagai, curiosa come una bambina. “Guardati intorno.” Mi rispose appena lui, rapito dallo spettacolo di luci appena sopra le nostre teste. Fidandomi, spostai lo sguardo altrove, e fu allora che la vidi. Tenuta in piedi da uno gnomo che non conoscevo, una bancarella piena di giocattoli simili a quelli venduti ai bambini dall’elfo Duilin, che come i suoi palloncini, legati con un filo a degli appositi supporti per evitare che volassero via, sembravano appesi al solido soffitto di legno, e messi in palio come piccole vittorie se si tentava la fortuna in un gioco apparentemente facile. Come per magia, che almeno stavolta riuscivo a controllare, le mie gambe si mossero da sole, e afferrando il polso di Christopher, lo invitai a seguirmi. “Chris, guarda! Non sono adorabili?” cantilenai, indicando uno dei tanti peluche visibili anche da quella distanza. Piccoli, certo, ma abbastanza grandi da essere tenuti in braccio o stretti al petto, avevano tutti sembianze diverse, e ce n’erano di tutti i tipi. Fate come me, pixie dalle delicate ali d’argento, anche elfi e teneri folletti. Guardando nella mia stessa direzione, anche lui si accorse di quei balocchi, e con un sorriso che potei unicamente definire paterno, mi sfiorò la mano. “Cos’è, ne vuoi per caso uno?” mi chiese, scherzando. “Ne vinceresti uno? Per me?” pregai, giungendo le mani per dare ancora più valore a quella richiesta. Mantenendo il silenzio, Christopher non disse nulla, ma quando l’espressione sul suo volto si ammorbidì e il sorriso divenne più largo, capii di aver vinto. Inorgoglita da quel piccolo successo, cercai la sua mano per l’ennesima volta, e ritrovandomi con lui sotto la bianca luce di alcune lanterne che illuminavano le strade, un nuovo particolare attirò la mia attenzione. Forse per la prima volta, prestai attenzione al volto dell’ometto a capo di quella bancarella, scoprendo solo allora che mi era estraneo, ma che per qualche strana ragione condivideva una stranissima somiglianza con quello al banco dei dolci. Fermandomi a pensare, conclusi che avrebbero potuto essere gemelli, ma un secondo ragionamento mi portò a scartare quell’ipotesi. Per quanto ne sapevo, gli gnomi spesso si somigliavano fra di loro, e molte volte l’unica cosa a differenziarli era il colore dei loro vestiti, o la punta dei loro buffi cappelli, talvolta dritta come una stecca o pendente come un fiore prossimo ad appassire. A differenza degli abiti, quelli non cambiavano quasi mai, essendo infatti solitamente rossi come fragole mature. Ad ogni modo, non sapevo ancora quale delle tante tesi potesse essere valida, ragion per cui, più curiosa di prima, provai a chiedere. “Mi scusi, ci siamo già visti? Ha un viso familiare.” Dissi, per poi tacere nell’attesa di una risposta. Sentendomi arrivare, il piccolo uomo si voltò, e con un sorriso, mi porse la mano. “Salve, cara fata naturale. A dire il vero no, non ricordo di aver mai fatto la tua conoscenza, ma se vuoi, possiamo rimediare.” Rispose soltanto, sfiorandomi le dita con la cordialità di un uomo d’altri tempi. Lusingata, ridacchiai come una ragazzina, e osservando con la coda dell’occhio ogni eventuale reazione di Christopher, fui sollevata nel notare che non appariva geloso. Lo conoscevo, ero sicura che un sentimento del genere non rientrasse nelle sue corde, e a dirla tutta, spesso la cosa mi rendeva felice. Per quanto ne sapevo, non aveva mai motivo di esserlo, ed era bello camminare con lui e farmi stringere in mille abbracci sapendo che nessun’altra fata l’avrebbe distratto da me. Nonostante lo scorrere del tempo, i ricordi del nostro matrimonio erano ancora impressi nella mia mente, così come quelli del giorno in cui mi aveva difesa da Amelie. Stando alle parole che allora aveva pronunciato, mi aveva scelta come fata da proteggere e amare, e ora che ero sua moglie, e lui mio marito, eravamo finalmente liberi di farlo. Spesso tacevo, provavo a nasconderlo per colpa della vergogna, ma io provavo lo stesso per lui. Non era soltanto il mio protettore, no, era molto di più, e come solo pochi al di fuori delle nostre rispettive famiglie sapeva, era l’uomo della mia vita. Ridestandomi dai miei pensieri, annuii lentamente, poi gli tesi la mano perché me la stringesse. “Io sono Kaleia, lui Christopher.” Dissi tranquillamente, presentandomi e facendo le veci del mio amato. “Piacere di conoscervi entrambi, ragazzi. A proposito, sono Roderick.” Replicò lo gnomo, stringendo la mano ad entrambi e dando uno sguardo alla miriade di pupazzi attorno a noi. “Interessati a uno di questi?” azzardò poco dopo, sul volto un sorriso di bonario scherno. “Ne ho promesso uno a questa signorina.” Spiegò Christopher, facendomi arrossire. Forse la scelta delle parole era stata intenzionale, o forse no, ma qualunque fosse la verità, non importava, o almeno non in quel momento. Non avrei indagato per scoprirlo, ovvio, ma una cosa era certa. Adoravo il suo modo di fare, dolce quando eravamo insieme e serio se si trattava di proteggermi, e assieme a questo, anche tutti i soprannomi che mi affibbiava fra uno scherzo e l’altro. Signorina era uno dei tanti, e fra altri più ovvi spiccava fatina, e più tranquilla che mai, mi appoggiai al suo braccio con amore, sfiorandolo con le dita per tutta la sua lunghezza. “Non mi chiedi quale vorrei?” non potei evitare di chiedere, sorpresa nel non sentirlo chiedere il mio parere. “Certo che no, che sorpresa sarebbe altrimenti?” rispose subito lui, controllandosi le tasche per estrarne qualche moneta. “Bastano, vero?” chiese, improvvisamente insicuro. “Per più di un tentativo. Ora tranquillo, la tua dama aspetterà.” Lo rassicurò Roderick, sul volto la calma di un monaco in preghiera. Chiusa nel silenzio, mi scambiai con lui un’occhiata colma d’eloquenza, incoraggiandolo. Per tutta risposta, lui si limitò ad annuire, e un attimo dopo, il gioco ebbe inizio. Semplice come pochi, consisteva nel far cadere una piramide di bottiglie lanciando una palla, e non osando parlare per non distrarlo, attesi, sperando segretamente di poter mettere le mani su uno di quei dolcissimi giocattoli. Fu quindi questione di attimi, e la prima delle tre piramidi sapientemente allestite si sgretolò davanti ai miei occhi. “Abbiamo un vincitore!” dichiarò Roderick, mentre, felice per noi, si voltava verso quella miriade di morbidi balocchi. “Allora? Quale fra i tanti?” chiese poi, pronto a consegnare a Christopher il premio che gli spettava. “Quella.” Rispose appena lui, indicando un pupazzo che inizialmente non riuscii a identificare. “Ottima scelta.” Commentò Roderick, spostandolo dallo scaffale a cui apparteneva. Emozionata, attesi, e ad occhi chiusi, mi imposi di non sbirciare. Alcuni istanti scomparvero così dalla mia vita, e avvicinandosi ancora di più a me, Christopher decise di parlarmi. “Per te, Kaleia.” Disse in un sussurro innamorato, porgendomi quel morbido premio. Emozionata, lo accettai senza parlare, e aprendo solo allora gli occhi tenuti chiusi fino a quel momento, scoprii la verità. Fra le mani avevo una pixie, una dolce e tenera pixie. Era soltanto una bambola di pezza, ed era vero, ma era un regalo, ed io ero felice. “Ti piace?” azzardò lui, accarezzandomi una guancia. “L’adoro, Chris. È soltanto una bambola, ma l’adoro.” Confessai in quel momento, scoprendomi preda delle mie stesse emozioni. “Sai perché te l’ho presa? Indagò lui, con la dolcezza nella voce e nello sguardo. Con il cuore in tumulto, non riuscii a parlare, e negando con la testa, mi ridussi al silenzio. “N-No, perché?” balbettai poco dopo, incerta. Sorridendo, Christopher quasi non rispose, e proprio quando credetti di non sentire più la sua voce, questa trovò la libertà nel silenzio di quella notte. “Perché tu sei la mia pixie.” Quella la risposta che ascoltai senza interrompere, e che accettai con un bacio, un bacio che ci unì per gli infiniti attimi a venire. Innamorato, Christopher mi lasciò fare, e proprio allora non sentii altro che i dodici rintocchi della mezzanotte. Felicissima, mi abbandonai completamente a quel contatto, stringendomi a lui e tenendogli ancora le mani, e staccandomi solo quando il bisogno d’aria divenne troppo grande da sopportare. Colpito, Christopher sorrise, e quasi inconsciamente, sempre rapita e irretita dal suo sguardo, mi morsi un labbro. Ignorando quel dolore, mi concentrai su di lui, e raccogliendo la bambola finita in terra in quel nostro attimo di profondo romanticismo, me la portai al petto. Di nuovo in imbarazzo, non ebbi parole per esprimere la mia felicità, e con le lacrime agli occhi, mi sforzai di trovare quelle più giuste. “Christopher, grazie. Grazie davvero.” Riuscii a dire a malapena, poco prima di rifugiarmi fra le sue braccia e decretare quello appena vissuto come inizio perfetto per un quarto giorno fatto di festa e magia. Stanchi, Christopher ed io ci addormentammo su una panchina, mano nella mano come fidanzati, e il mio ultimo ricordo di quella fantastica notte furono le stelle e la luce della luna sui nostri corpi. Ci svegliammo insieme soltanto la mattina dopo, quando a nostra insaputa i festeggiamenti erano tutt’altro che finiti, e anzi ricominciati un’altra volta. Stando a ciò che avevo scoperto proprio da Christopher, i giorni e le sere di Notteterna erano cinque, ed essendo arrivati alla quarta, speravo di viverla più serenamente e intensamente che potevo, e per mia fortuna, in mio aiuto accorsero numerosi visi amici. Primi fra tutti, i membri della mia famiglia, poi Leara, la sorella di Chris finalmente libera dai genitori,e con mia grande sorpresa, accompagnata da un ragazzo che non ricordavo di aver visto. Più alto di lei, con i capelli castani e gli occhi dello stesso colore, e quel delicato accenno di barba che non disdegnavo ma che in genere preferivo non vedere. In genere non ne parlavo con altri, e mantenendo il silenzio, ora non osavo interferire. Una parte di me avrebbe voluto presentarsi, ma un’altra, in completo disaccordo con la prima, dissentiva, ragion per cui, veloce come mai prima, andai alla ricerca di una distrazione, così da allontanarmi senza destare troppi sospetti. Una sola occhiata permise a Chris di mangiare la foglia, e fatti pochi passi, fui lontana da loro. Rimasta da sola, passeggiai per la piazza come ero solita fare, e in lontananza, intravidi Lucy e Lune accompagnate dai loro genitori. “Isla! Oberon!” chiamai, sperando che potessero sentirmi. Per mia fortuna, i due adulti risposero a quella sorta di richiamo, e così anche le bambine, seguite però da uno strano eppure simpatico animaletto. Piccolo e agile, aveva le sembianze di un lupacchiotto, e a giudicare dall’adorabile espressione dipinta sul muso, e dal modo che aveva di esibirsi in corti latrati alternati a ringhi, e ululati stonati come campane, capii che doveva essere un cucciolo. “Piccole! E lui chi è?” salutai, per poi azzardare quella domanda e regalare qualche carezza al nuovo arrivato. “Si chiama Rover, ed è il mio Arylu.” Rispose Lucy, calma e sorridente mentre si abbassava al suo livello per accarezzarlo. “Ar… che cosa?” non mi trattenni dal chiedere, confusa e stranita da quel termine. “Arylu.” Ripetè la bambina, scandendo piano ogni lettera. “È con me da poco. Oggi a scuola era un giorno speciale, e ognuno di noi poteva sceglierne uno. Lunie voleva un Pyrados, ma l’ha scelto un’altra sua compagna, sai? E un folletto invece ha preso uno Slimius. A me fanno schifo!” continuò a spiegare, raccontando per filo e per segno quella giornata tanto importante. “Sul serio? E dimmi, se il tuo è un cucciolo, gli altri cosa sono?” chiesi, sinceramente interessata. “Cuccioli anche loro. Rover è una specie di cagnolino, ma i Pyrados sono draghi, e gli Slimius delle ranocchie bavose.” Aggiunse poco dopo, rispondendo tranquillamente e dissipando con quelle parole tutti i miei dubbi. Continuando a camminare, raggiungemmo insieme una panchina, e sedendoci, proposi mutamente a Lune di venire in braccio. Annuendo, la piccola non si fece attendere, e ben presto mi ritrovai a stringerla, accarezzandole saltuariamente i capelli scuri. “Sai, Lucy, non credo che le ranocchie siano poi così brutte. In fondo sono animaletti anche loro, non credi? Non ci rimarresti male se qualcuno ti dicesse che lo sei? O che magari non sei brava con gli incantesimi anche se ti impegni? Non è carino, cosa ne pensi?” provai a chiederle, nel tentativo di farla ragionare sul peso di quelle parole anche senza offenderla. “Hai ragione, me l’ha detto anche la mamma.” Si difese lei, la voce dolce rovinata dalla tristezza. “Non fa niente, piccola. Hai sbagliato e hai capito, è questo che conta, adesso tu e Lune andate pure a giocare, d’accordo? Chris ed io vi raggiungeremo più tardi.” Le dissi, rincuorandola come meglio potevo, per poi abbassarmi al suo livello e posarle una mano sulla spalla. Annuendo, la piccola non se lo fece ripetere, e voltandosi, sfiorò quella della sorellina. Seguendola, anche Lune andò via con lei, e quando furono lontane, le vidi spiegare le alucce e volar via alla volta di mille avventure fatte di giochi infantili. A quella vista, un nodo di pianto mi si fermò in gola, e scuotendo la testa, mi imposi di restare calma. Di lì a poco, quel senso di tristezza mi colse impreparata, e rialzandomi in piedi, andai alla ricerca della bancarella più vicina, così da distrarmi, e per qualche attimo, non pensare. Chiudendo gli occhi, presi in mano il mio ciondolo e svuotai la mente, lasciandomi guidare da ciò che sentivo. Una per una, tante scie magiche tutte diverse. Quella di Sky, fredda e sfuggente come il vento che controllava, quella di Aster, vicina alla natura proprio come la mia, l’energia magica delle mie amiche pixie, una legata alla nuda terra e l’altra al caldo fuoco e ultima, ma non importanza, proprio quella che apparteneva a me, e che forse avevo lasciato a Christopher sotto forma di lucenti stille di polvere magica. Non succedeva spesso, ma nei nostri momenti insieme tendevo a perdere il controllo delle mie ali oltre che dei miei poteri,  e il loro movimento così frenetico doveva esserne la causa. Divertita, risi al solo ricordo dei nostri momenti insieme, e più veloce del vento, un desiderio mi colpì arrivando quasi a folgorarmi, e affamata, mi diressi verso il banco dei dolci. “Roderick, ciao. Cos’hai preparato oggi?” chiesi, posando una mano sul bancone e nascondendo l’altra nella tasca della veste, alla ricerca dei rubli di luna necessari a pagare per il mio acquisto. Ad essere sincera, avevo già le idee chiare su cosa prendere, ma volevo sentire cos’avesse da offrire prima di decidere davvero. “Roderick? No, no, signorina fata, lei sta parlando di mio gemello venditore di premi, io Boris!” rispose quest’ultimo, che solo allora capii di aver confuso con un suo simile. Stando alle sue parole, lui e il mio nuovo, minuscolo amico erano gemelli in tutto diversi, inclusi l’accento e il modo di parlare, più distinti e marcati in lui piuttosto che nel fratello. “Dolce Dea, mi scusi, non… non era mia intenzione…” biascicai, nervosa e piena di vergogna. “Non si preoccupi, signorina. Capita con gemelli, sa? No è problema. Io Boris.” Replicò lo gnomo, infondendomi la sicurezza che mi mancava e offrendo la mano in segno di saluto. “Kaleia.” Fui veloce a rispondere, felice di fare la sua conoscenza. Silenzioso, lo gnomo si fermò a guardarmi, come ipnotizzato. Confusa, mantenni il silenzio, poi lo vidi voltarsi, come per dissimulare chissà che accaduto. Non dando troppo peso alla cosa, decisi di non badarci, e rompendo il silenzio, indicai una pasta alla fragola. Non riuscivo a spiegarmelo, né sapevo il perché, ma erano giorni che in casa non cercavo altro, nonostante la mia condizione, ancora ignota perfino allo stesso Christopher, non fosse poi così vistosa né in stato avanzato. Stringendomi nelle spalle, preferii concentrarmi per gustarla al meglio, avvertendo sulla lingua e sul palato una vera esplosione di sapori. Cioccolato, crema e fragole, tutti insieme e sapientemente mescolati per creare quella delizia. Senza volerlo, mi lasciai sfuggire un gemito d’apprezzamento, e lasciando andare la piccola posata d’argento, non mi stupii di sentirla cadere con un tonfo sul tovagliolo. “Buona, vero? Fatta con fragole direttamente da bosco!” chiese, attendendo di ascoltare la mia opinione pur senza voltarsi, probabilmente troppo impegnato per guardarmi. “Sì, era buona, ti ringrazio, Boris, a… a presto.” Risposi, la fretta improvvisamente padrona del mio animo. Non saprei dire perché, ma dopo quel dolce corsi via da lui, forse complice anche l’imbarazzo di quel momento. Possibile che avesse già notato qualcosa? Che noi fate vivessimo la gravidanza in maniera diversa rispetto alle donne umane? Probabile, ma non ne era sicura, e tornando a sedermi sulla panchina di pochi minuti prima, osservai ciò che avevo davanti agli occhi. Christopher che ancora discuteva con il ragazzo della sorella e appariva nervoso, pixie e folletti intenti a giocare e a rincorrersi, seguiti talvolta dai propri nuovi e magici amici conosciuti in quell’importante e forse ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di un’estate calda ma piena di gioia, e anche da qualche sporadico jackalope probabilmente affamato dei dolci di Boris, o magari semplicemente contagiato dai divertimenti dei più piccoli. Seduta a osservarli, salutai di nuovo Lucy e Lune, e notandomi, Christopher tornò da me. “Com’è andata? Dici che è quello giusto?” chiesi, riferendomi al ragazzo di Leara. Non ci avevo parlato, non lo conoscevo davvero e non avevo un’opinione, ma ciò non significava che non volessi ascoltare la sua. “Si chiama Danny ed è un tipo tranquillo, sai? Si vede che le vuole bene, spero solo che la tratti con rispetto. È più grande di me, certo, ma è pur sempre mia sorella, capisci?” mi spiegò, con lo sguardo lontano dal mio e tristemente fisso sul terreno. “Chris, amore, tranquillo. Capisco come ti senti. Non ho mai avuto dubbi quando si trattava di Noah, ma Sky è felice, e fidati, anche Leara vorrebbe che tu lo fossi per lei.” Gli risposi dolcemente, prendendogli la mano e accarezzandola con dolcezza, come lui faceva con me nei momenti di sconforto. “Grazie, tesoro.” Sussurrò lui in risposta, sinceramente grato. Silenziosa, rispettai la quiete di quel momento fra noi, e in breve, l’imbrunire ci fece visita. I più piccoli giocarono in strada fino al tramonto, e poco più tardi, a sera, ci sedemmo sull’erba poco distante assieme a Sky e Noah, così da osservare ancora le stelle e prepararci nel sonno alle meraviglie che il cielo ci avrebbe mostrato nella famosa ultima sera di Notteterna. Sdraiata sull’erba, la sentii pungermi la pelle, e rimanendo sveglia, vidi Sky accoccolarsi accanto a Noah, finendo prima fra le sue braccia e poi sulle sue ginocchia. Poco dopo, lo stesso valse per Aster e per il suo amato, che ancora non conoscevo e che con un pizzico di fortuna lei mi avrebbe presentato in futuro. Quel quarto giorno ebbe così la sua fine, e con l’inizio del quinto, avvertii una nuova scia magica in avvicinamento. Seppur guardinga, mi sforzai di non darlo a vedere, e camminando per la piazza mentre stringevo la mano di Christopher, lo pregai perché ci fermassimo di nuovo da Roderick. “Perché? Non ti basta un solo peluche? Ti amo, lo sai, ma i rubli di luna non crescono sugli alberi.” Mi chiese, per poi completare quella frase con quella giusta osservazione. Aveva ragione, stavo esagerando e lo sapevo, ma nonostante tutto, tacevo stavolta ben due realtà. La possibilità che un’altra vita stesse iniziando appena sotto al mio cuore, e l’ancora muto desiderio di ricambiare la gentilezza ricevuta con quella bambola, la stessa che avevo stretto al petto dormendo al suo fianco su un letto d’erba e sotto una coperta di stelle. “Chris, per favore! Me ne basterà uno solo! Avevo fame, e ho speso i miei per un pezzo di dolce!” insistetti, lamentandomi come la pixie che da anni avevo smesso di essere. Mosso a compassione dalle mie proteste, Christopher mi accontentò, e pronta, mi preparai a lanciare, socchiudendo un solo occhio per prendere meglio la mira. Tranquilla, mi concessi solo pochi istanti per decidere, e non appena lanciai, il fragoroso suono di mille vetri infranti raggiunse le mie orecchie. Sorpresa, guardai dritto di fronte a me, e fu allora che capii. Il gioco era finito, e io avevo vinto. “Voltati.” Chiesi a Christopher, facendo suonare quella frase come un ordine. “Come vuoi, fatina mia. Sorprendimi pure.” Rispose lui, dandomi pazientemente le spalle e attendendo che facessi la mia scelta. “Va bene quello in alto.” Dissi al mio amico gnomo, costretto a salire su una scala appoggiata contro un muro per accontentarmi. Più veloce di lui, gli risparmiai la fatica facendolo levitare con un incantesimo, e a lavoro finito, mi porse il giocattolo. Piccolo e morbido quanto la bambolina che avevo ricevuto, aveva le fattezze di un folletto con uno scudo in mano, e rappresentava una perfetta replica di Christopher in una delle mie tante e tante fantasie. “Puoi guardare, amore mio.” Gli sussurrai all’orecchio, stringendomi a lui anche ora che non poteva vedermi. Scostandomi da lui, gli concessi lo spazio necessario a muoversi, e con un passo indietro, rimasi ferma ad ammirare l’espressione sul suo volto. Un misto di orgoglio e felicità, che si trasformò in piccole e silenziose lacrime. “Kaleia, tesoro mio…” mi chiamò, gli occhi resi lucidi a causa di un pianto che avrebbe solo voluto liberare. Provando pena per lui, soffrii in silenzio, e avvicinandomi, lo accolsi fra le mie braccia. “Sfogati, amor mio, sfogati. Te l’ho presa perché sei il mio protettore, hai capito? Il mio dolce, dolcissimo protettore.” Sussurrai, accarezzandogli la schiena con piccoli movimenti circolari. Stando a quanto ricordavo, lo faceva per me ogni volta che ci stringevamo e aveva voglia di coccolarmi, e ora sentivo di voler fare qualcosa per lui. Ovvio era che per quanto tenere queste non risolvessero ogni problema, ma in certi casi perfino il falso effetto placebo era abbastanza. Rincuorato da quel gesto, mi strinse a sé con forza ancora maggiore, e dimentica degli occhi del nostro amico su di noi, lo baciai con tutta la passione di cui ero capace, così da avere l’onore e la fortuna di vederlo sorridere ancora. Come sempre, il pomeriggio non tardò ad arrivare, e con il sole che splendeva fiero, quasi sfidando la luce delle lanterne che nulla potevano contro la sua dorata magnificenza, mi staccai per riprendere fiato, poi lo incontrai in un nuovo contatto forse più sincero e profondo del primo, reso magico dallo sfarfallio di polvere magica alle mie spalle. Finalmente soddisfatta, diedi nuovamente respiro ad entrambi, e per quanto lieve, una sorta di squittio attirò la mia attenzione. Voltandomi, sperai di rivedere Bucky, ma al suo posto trovai Bandit, il procione di Major. Non lo vedevo dal giorno del mio matrimonio, ma a quanto sembrava, ora aveva fatto il suo ritorno sulla scena, e quel piccolo ladro dal muso nero e la coda ad anelli ne era la prova. Più loquace del solito, rompeva il silenzio con squittii precisi e modulati, come se cercasse l’attenzione di qualcuno in particolare. Il mio primo pensiero andò a Sky, che attratta da quel suono, comparve all’improvviso, la mano sul cuore come per controllarne i battiti ed essere sicura di non star sognando. Io e Christopher eravamo da un lato della piazza, lei dall’altro, da sola. Muta, mi limitai a guardarla, e lei fece lo stesso con me, andando quasi a cercare la mia approvazione. Annuendo, feci un gesto con la mano, e con lacrime e stelle negli occhi, lei corse verso il piccolo animale, per poi inginocchiarsi e abbracciarlo, stringendolo forte. “Bandit, sei qui! E questo vuol dire che Major è con te. Buon Dio, mi è mancato così tanto!” quasi urlò, bagnando di lacrime il pelo del dolce animaletto, che intanto squittiva e le sfiorava le guance con i baffetti per consolarla. Allentando la presa su di lui, lei lo liberò, e in silenzio, questo le offrì qualcosa. Piccolo e scuro, dello stesso colore di una ghianda, ma diverso. Incuriosita, Sky annusò il dono con fare circospetto, poi lo assaggiò, e ingoiando quel boccone, sorrise. Era un cioccolatino al suo gusto preferito, ovvero proprio la nocciola. A quella scena, per poco non mi commossi, e in quel pomeriggio così denso di emozioni, guardai immobile la loro unione come fata e protettore farsi totale. Felici di rivedersi, i due si abbracciarono, e anche da quella distanza, grazie ai miei poteri connessi alla magia che avevo intorno, carpii una sola frase della loro conversazione. “Non sarai più sola, Sky, lo giuro.” Parole sincere di un protettore legato alla fata che protegge, e che da ora in poi, ne ero sicura, avrebbe protetto per sempre. Natura magica o meno, in quelle parole avevo scorto una promessa, e felice per mia sorella e per quella che sarebbe stata la sua crescita come fata oltre che come persona, le regalai un sorriso pur senza muovere un passo, e restando a guardare quello spettacolo raggiungere, come peraltro le belle sere di Notteterna, il sipario davanti ai miei occhi, ormai certa che fate, protettori, pixie, folletti e animali magici fossero destinati a restare per sempre compagni di vita e magia.



Buonasera, lettori miei. Non portavo avanti questa saga da ormai un mese, ma oggi ne ho finalmente avuto il tempo. Perdonatemi l'attesa, ma i motivi non dipendevano da me. Ad ogni modo, non ho certo dimenticato Kaleia e la sua storia che ancora deve concludersi, e come avete visto, qui si sono concluse le festività di Notteterna. Da ora in poi, la vita per umani e creature magiche tornerà alla normalità, ma sarà davvero così? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, ma intanto grazie di tutto il vostro supporto, e a presto,


Emmastory :)


E a proposito di novità, perchè nel capitolo ce ne sono, di che animaletti parlava Lucy? Prego, lasciate che ve li mostri.


Arylu-mod



Pyrados



Slimius
   
 
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