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Autore: Old Fashioned    21/09/2019    13 recensioni
Un’arma segreta del Reich, il dispositivo ombra, viene recuperata quasi casualmente dallo scanzonato pilota di un idrovolante ricognitore.
L’ufficiale inglese che si è visto sottrarre l’oggetto, però, giura vendetta al tedesco, anche perché nello scontro che c’è stato fra i due, egli ha perso una mano e ora è costretto a portare un uncino al posto dell’arto perduto.
I due si incontreranno nuovamente in una misteriosa e sconosciuta isola al centro del Mar dei Caraibi: Ypa'u Oiyva, l’isola che non c’è. Tra indigeni ostili, foreste impenetrabili e luoghi misteriosi, si contenderanno di nuovo il dispositivo ombra e il capitano inglese approfitterà dell’occasione per cercare di saldare vecchi conti rimasti in sospeso.
Seconda classificata al contest Villains against Heroes indetto da missredlights sul forum di EFP. Vincitrice del premio speciale "Miglior Hero"
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gente mia,
penultimo capitolo del mappazzone, grazie a tutti coloro che con grande abnegazione mi stanno seguendo, e grazie a chi mi ha lasciato un commento.
Scusate se stavolta non risponderò subito a eventuali recensioni, ma per un po’ non avrò internet: non sono disinteressato, solo impossibilitato!
Comunque grazie in anticipo se passerete di qui^^







IX – In vino veritas



Legato e imbavagliato, Schelle veniva spinto lungo un sentiero dalla canna di un'arma da fuoco puntata in mezzo alla schiena.
Che non fosse uno scherzo di cattivo gusto di Pankow gli era purtroppo chiaro, dal momento che chi lo stava tenendo sotto tiro parlava un cockney strettissimo, con suoni che nessun tedesco, nemmeno disperatamente ubriaco come in quel momento doveva essere il suo tenente, sarebbe mai stato in grado di riprodurre.
Si chiese cosa sarebbe successo. L'avrebbero interrogato sul tenente Pankow?
Quel pensiero ebbe il potere di fargli comparire sulle spalle la ben nota accoppiata di angioletto e diavoletto.
L'angioletto gli suggeriva di sopportare eroicamente ogni sevizia pur di non rivelare nulla di ciò che gli inglesi gli avrebbero sicuramente chiesto su Pankow, ma il diavoletto faceva con aria da nulla notare che il comportamento di Pankow negli ultimi tempi non era certo stato così rispettoso nei suoi confronti. Se n'era fregato di qualsiasi cosa, con quella sua odiosa arietta noncurante, svagata, di ragazzino che non ha una preoccupazione al mondo.
Sarebbe opportuno che imparasse a prendere le cose con la dovuta serietà, suggeriva il diavoletto, non può continuare a fare il bambino.
L'angioletto però accorato interveniva: Pankow è pur sempre un ufficiale tedesco. Tradirlo, e tradire con lui tutti gli altri, significherebbe tradire la Patria.
Il diavoletto però obiettava: sì, ma una piccola porcata, giusto per fargli pagare le ultime cose, giusto per insegnargli a stare al mondo. In fondo è solo un pilota di idrovolante qualsiasi, è un pesce piccolo...
Angioletto: No! Lui si fida di te!
Diavoletto: sai che spettacolo la sua faccia?
Angioletto: Sarebbe tradimento!
Diavoletto, suadente: Però se lo meriterebbe, non è vero?
L'ideale scambio fu interrotto dal diradarsi della vegetazione. Più avanti, al limitare della laguna, comparve una nave da guerra ormeggiata, visibile più che altro come una specie di macchia scura sugli scintillii che la luna traeva dalle increspature dell’acqua.
Schelle deglutì ed ebbe un momento di esitazione. La canna dell'arma gli fu premuta con più forza contro la schiena, una voce rude lo incitò ad andare avanti.
Poco dopo si trovò seduto in una scialuppa mentre quattro marinai vogavano di buona lena. La canna del Lee-Enfield era sempre puntata contro di lui, ne coglieva di tanto in tanto il baluginio sinistro, per cui ritenne più saggio non muoversi. Si voltò solo fugacemente verso la giungla, nella direzione in cui riteneva si trovasse il villaggio, e gli parve di scorgere il lucore dorato del falò.
Si chiese se lo stessero già cercando. A quel pensiero, le spalle gli si alzarono quasi involontariamente in un gesto di scetticismo: Pankow doveva essere già ubriaco e gli altri probabilmente non si ricordavano nemmeno della sua esistenza.
Gli sfuggì un sospiro. Sollevò lo sguardo sul capitano inglese ed egli, che era in piedi a prua e sembrava assorto nella contemplazione del mare notturno, si girò a fissarlo con l’aria di essere perfettamente al corrente dei suoi patimenti.
Schelle tossicchiò a disagio e distolse lo sguardo.

Poco dopo Schelle entrò vagamente imbarazzato nella cabina personale del comandante Hook. Questi si sedette alla scrivania e gli fece cenno di prendere posto su una sedia che si trovava davanti al mobile. “Si accomodi, prego,” lo invitò in perfetto tedesco. “Caporale Till Schelle, non è così?”
Come fa a…?”
Hook alzò le spalle con fare noncurante. “Signal arriva anche da noi, caporale.”
Capisco.” Il tedesco si accomodò come se si stesse sedendo sui carboni ardenti.
Inoltre ci siamo già visti, non ricorda?” Sollevò lentamente l’uncino, che brillò sinistro sotto la luce da tavolo.
Till quasi sussultò sulla sedia quindi, in un empito di coraggio, disse: “Io non parlerò mai!”
L’altro annuì con indulgenza. “Ma certo, capisco. Del resto, il silenzio è d’oro. Non è così che si dice?” Si piegò a fissarlo negli occhi mentre con la mano sana si lisciava i curatissimi baffetti neri.
Schelle deglutì. “Sì… credo di sì.”
Ma certo. Del resto, per citare Buddha, prima di parlare domandati se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male a qualcuno, se è utile, e infine se vale la pena di turbare il silenzio per ciò che vuoi dire.”
Si raddrizzò con signorile eleganza, consentendo a un erculeo sottufficiale di posare sulla scrivania un vassoio d’argento con sopra una bottiglia di Porto e due bicchieri.
Grazie, signor Soak,” disse compito.
Dovere, signore,” rispose l’altro, quindi salutò e uscì.
Hook a questo punto stappò la bottiglia e riempì a metà i due bicchieri, poi ne spinse uno verso Schelle. “Lo assaggi,” gli consigliò. “È un’ottima annata.”
Nonostante la paura, anzi forse proprio per quella, il caporale non si fece pregare. Il Porto del resto aveva un cupo color rubino ed emanava un profumo che ricordava legni preziosi, frutta e spezie. Bevve un lungo sorso, quindi emise un sospiro.
Niente male, vero?” disse Hook.
Nossignore.”
Posso chiederle cosa faceva tutto solo su quella roccia?”
Il caporale strinse le labbra. “Niente. Avevo voglia di stare per conto mio.”
Hook assunse un’aria costernata. “Nessuno dei suoi camerati ha pensato di trattenerla? Come ha visto lei stesso, sono zone pericolose.”
Il più giovane si limitò ad alzare le spalle, il comandante annuì come se la sua reazione fosse esattamente quella che si era aspettato. Lasciò passare un po’ di tempo, in cui l’unico rumore che si udì fu quello dell’orologio a parete che ticchettava, poi chiese: “E del tenente Pankow cosa mi dice, caporale?”
Schelle aggrottò le sopracciglia, posò il bicchiere come se scottasse e ritirò la mano. “Niente,” rispose brusco.
L’altro si concesse addirittura una risatina. “Quanto zelo,” commentò. “Ma non voglio sapere faccende militari, ovviamente. Parlavo del suo aspetto umano.”
Schelle fece tanto d’occhi. “Umano?”
Ma certo. Qualche aneddoto, qualcosa sull’amicizia che vi lega.”
A quelle parole il caporale si incupì. Hook sollevò con fare sollecito le sopracciglia e chiese: “Ho detto qualcosa che non va, forse?”
No, niente.” Till recuperò il bicchiere e bevve un altro lungo sorso. Quando lo appoggiò, Hook provvide con aria da nulla a riempirlo nuovamente.
Il caporale bevve di nuovo.
Qualche aneddoto,” propose ancora Hook. “Qualcosa sulla sua vita privata.”
Di nuovo il porto nel bicchiere di Schelle calò fin quasi a esaurirsi e fu riportato ai livelli iniziali. Till cominciò a trovare quel vino molto buono e il suo interlocutore molto simpatico.
Lei non è come immaginavo,” gli scappò detto.
Davvero?”
E neanche… Peter.”
Oh, mi rincresce sentirlo,” disse Hook. Riempì di nuovo il bicchiere, gli fece cenno di bere un sorso.
Schelle sbatté gli occhi con l’aria di un gufo finito in piena luce. “Lo credevo diverso.”
Il comandante si alzò, fece qualche passo nella stanza e si atteggiò come se fosse stato in procinto di recitare il monologo dell’Amleto. “È terribile quando la gente che stimiamo ci delude, non è vero?” disse invece. Lo fissò di sottecchi.
Prima di rispondere, Till vuotò di nuovo il bicchiere, quindi afferrò la bottiglia e provvide autonomamente a riempirlo di nuovo. “È uno stronzo,” proclamò infine apodittico.
Hook si sedette di nuovo, lo fissò negli occhi. “Mi rincresce sentirlo,” disse. “Dall’articolo pare una persona così divertente, così coraggiosa...”
È un ragazzino irresponsabile. Uno che non capisce il vero valore delle cose.”
Hook appoggiò il gomito sul piano del mobile e il mento sul palmo.
È uno che ha dato la mia mansione di radiotelegrafista a un pivello appena arrivato perché lo trovava più divertente di me.” Vuotò un altro bicchiere. “Perché era una novità.”
Questo è increscioso,” considerò Hook.
È uno stronzo.”
Non posso che convenirne.”
A quel punto, il ticchettio dell’orologio a parete parve farsi decisamente più forte. Hook si voltò in quella direzione e realizzò che il rumore proveniva in realtà dall’oblò aperto.
Corse fuori con un’imprecazione, disinteressandosi momentaneamente dell’attonito Schelle. Questi rimase per un po’ a fissare la porta da cui l’ufficiale era uscito, quindi si riempì di nuovo il bicchiere, borbottò Prosit e lo scolò.

Un gruppetto di marinai riunito lungo l'impavesata di dritta diede corpo ai peggiori sospetti di Hook. “Largo!” ordinò il comandante, e si sporse a scrutare le acque scure: i contorni sinistramente delineati dai raggi argentei della luna, irta di aculei, una sfera larga circa mezzo metro flottava seguendo il moto ondoso e ticchettando come una simpatica vecchia sveglia.
Maledizione!” ringhiò Hook, quindi, a voce più alta: “Signor Soak!”
Comparve l'immancabile nostromo. “Signore?”
Signor Soak, c'è di nuovo quella cosa.”
Cosa, signore?”
Il comandante ebbe un moto d'impazienza. “Quell'affare. La Crocodile!”
Il sottufficiale si sporse a sua volta dall'impavesata, scrutò per qualche tempo l'ordigno, quindi propose: “Vado a prendere l'asta della nafta, signore?”
Prenda quello che vuole, basta che la tenga lontana.”
Soak annuì grave, quindi propose: “Vado a chiamare un paio di tiratori, signore?”
Eh? Per fare che?”
La risposta del nostromo ebbe il tono dell'ovvio: “Per spararle, signore. Così la coliamo a picco una volta per tutte.”
Idiota!” ringhiò Hook, “A questa distanza? Saremmo noi a colare a picco, con tutta la Jolly Roger!” Di nuovo rivolse un'occhiata torva alla mina, quindi ordinò: “Bisogna allontanarla.”
Il ticchettio cessò.
Nonostante la presenza del comandante e le regole non scritte della Royal Navy, tutti si assieparono lungo l'impavesata, i più vicini praticamente a contatto di gomito con la sacra persona del comandante.
Se n'è andata?” chiese un marinaio.
Cos'era?” volle sapere un altro.
Ci furono alcuni secondi di un silenzio denso, sotteso dai mormorii di curiosità e preoccupazione della gente, quindi una voce gridò: “Ehi! È qui!”
Tutti si precipitarono all'impavesata di sinistra.
Silenzio a prua e a poppa!” gridò a quel punto Hook, infastidito dal cicaleccio che la misteriosa apparizione aveva suscitato. “Ognuno torni alle sue mansioni!”
Nella quiete che come per incanto si diffuse ovunque, il ticchettio della Crocodile parve ancora più forte.
Hook si piegò a fissare l'acqua, poi disse: “È passata sotto la nave, non c'è altra spiegazione.” Senza distogliere lo sguardo dalla mina tese all'indietro il braccio sano e disse: “Mi dia un po' quell'asta della nafta, signor Soak, e un fucile: voglio occuparmi di questa cosa una volta per tutte.”
Come se avesse potuto sentirlo, la Crocodile immediatamente s'inabissò. Per un po' rimasero a fissare la superficie dell'acqua col fiato sospeso, ma la mina non ricompariva.
Mi avvisi se torna,” ordinò brusco il comandante, quindi raggiunse la sua cabina.

La prima cosa che il comandante notò rientrando in cabina fu che nella bottiglia di Porto era rimasto forse un dito di vino.
La seconda fu che con ogni evidenza il caporale tedesco non era precisamente un bevitore: giaceva sulla poltroncina in stato di languido abbandono e l'unica parte del suo corpo che non aveva la consistenza di una medusa morta era la mano destra, tenacemente serrata intorno al bicchiere ormai vuoto.
Hook lo scrutò con occhio clinico, quindi a bruciapelo gli chiese: “Dov'è il tenente Pankow, caporale?”
Il più giovane alzò lo sguardo su di lui e faticosamente gli chiese: “Perché lo vuole sapere?”
Per fargli uno scherzo,” fu la risposta.
Schelle rise con aria ebete. “Uno scherzo,” ripeté.
Mellifluo, Hook buttò lì: “Se lo merita, non è vero?”
Il caporale annuì cauto, come se stesse cercando di ricordarsi quali muscoli si dovessero usare per far andare su e giù la testa. “Mi gira tutto,” ridacchiò poi.
Mi dica solo dove posso trovare Pankow, poi la lascerò dormire tranquillamente in questa bella cabina comoda e fresca.”
Ha presente il villaggio dei cosi... degli indiani?” borbottò Till con voce incerta. “Ecco, sono tutti là. C'è lui, ci sono i marinai, c'è lo stronzetto con i suoi fratellini...”
Ma guarda un po'. Tutti insieme?”
Fratellini di merda,” imprecò Schelle per tutta risposta. “Da quando sono arrivati loro, è andato tutto a catafascio.”
Ma certo,” rispose Hook in tono conciliante. Gli vuotò nel bicchiere l'ultimo dito di vino. “Allora, abbiamo detto che sono tutti al villaggio, non è vero?”
Tutti là, a divertirsi come stupidi. Non gliene frega niente di me, non gli importa se ho sudato sangue per avere la qualifica di raro... radio... fonico... radiatore...”
Certo, certo. Ora pensi a dormire, eh?”
Non ci fu bisogno di ripeterlo: con la testa penzoloni, Schelle stava già russando.

§

Infastidito da un pizzicore al naso, Pankow grugnì qualcosa e mosse dapprima la mano in un maldestro tentativo di scacciare qualche insetto, poi realizzò che il fastidio proveniva dal copricapo rituale, le cui piume colorate gli si stavano infilando in ognuno dei ricettacoli che la Natura aveva ritenuto di creare nella sua testa: naso, bocca, orecchie e occhi.
Se lo fece scivolare via con gesti incerti e si girò per voltarsi a pancia sotto, ma a quel punto la vescica protestò vivacemente contro tale risoluzione.
Stoicamente, Pankow cercò di resistere, ma il disaccordo del viscere per la posizione prona era di quelli con cui non si può venire a patti.
Si sollevò quindi carponi, con la sensazione di essere un’incudine nel cestello di una lavatrice – e di avere la stessa cosa anche dentro il cranio – poi guadagnò faticosamente la stazione eretta. A quel punto il suo stomaco si unì alle proteste della vescica ed egli a passi incerti, barcollando peggio che col mare forza 9, si inoltrò nella foresta alla ricerca di un luogo in cui lasciare ogni suo più intimo contenuto.

Hook, che aveva visto qualche fotografia di campi di battaglia dopo l'uso di gas asfissianti, trovò lo spiazzo del villaggio non molto dissimile da quelle immagini.
Del fuoco rimanevano ormai solo poche braci, dappertutto vi erano vasi e anfore rovesciati, alcuni su piccole pozze di quello che doveva essere stato il loro contenuto. Sparsi qua e là c'erano piatti che contenevano resti di frutta e altri cibi.
Lo spettacolo che colpiva maggiormente era senza dubbio quello offerto dalla componente umana: maschi e femmine giacevano riversi nella posizione in cui l'ebbrezza li aveva fatti crollare, e se non fosse stato per un diffuso russamento, davvero si sarebbero detti le vittime di un'esposizione al sarin.
Il comandante si avvicinò a un marinaio che giaceva supino e lo spinse appena col piede. Questi emise un brontolio vago, poi ripiombò nel torpore.
Legate tutti quelli che non sono indios e portateli via,” ordinò allora, quasi deluso per la facilità dell'operazione.
Man mano che i prigionieri incoscienti abbandonavano il villaggio per essere trasportati verso la Jolly Roger, Hook sentiva crescere in sé l'inquietudine: non vedeva, tra quei corpi ciondolanti e inerti, nessuna zazzera rossa. Molti biondi, molti castani, ma l'odiosa, sfacciata tonalità pel di carota che lui stava cercando si ostinava a non comparire.
Chiamò il nostromo. “Dov'è il maledetto Pankow, signor Soak?” volle sapere.
Il sottufficiale si strinse nelle spalle. “Forse l'hanno già portato via, comandante.”
Non l'ho visto.”
A quel punto, Hook estrasse la pistola e passò personalmente di capanna in capanna alla ricerca dell'irriverente giovanotto.
S'imbatté in dormienti di ogni età, però di razza rigorosamente india. Alla fine trovò qualcosa che suscitò il suo interesse: in una delle capanne, abbandonato in un angolo, c'era un vistoso copricapo di piume colorate accanto al quale era posato un berretto da ufficiale della Luftwaffe. Il comandante lo raccolse servendosi dell'uncino. Dapprima lo scrutò stringendo gli occhi come se si fosse trovato davanti Pankow in persona, quindi guardò al suo interno e un paio di P ricamate sulla fascetta gli diedero la conferma che il berretto fosse proprio suo.
Signor Soak!” chiamò.
Subito si presentò il nostromo. “Comandante?”
Signor Soak, mi faccia avere una granata e un filo, presto. Le garantisco che l'ignobile macaco avrà una bella sorpresa, quando proverà a indossare il suo berretto.”

§

Quando Schelle recuperò una parvenza di cognizione di sé, nella cabina si stava diffondendo il chiarore dell'alba.
Fuori c'era un certo trambusto, ma dalla sala macchine non giungeva alcun rumore, quindi la nave doveva essere ancora ormeggiata. Si sentivano però ordini gridati e gli parve di riconoscere anche qualche parola in tedesco.
La cosa gli diede una certa inquietudine. Per qualche motivo, quelle voci nella sua madrelingua non gli sembravano foriere di novità positive. Se ci fosse stato un assalto dei suoi alla nave, per esempio, ci sarebbero anche stati i suoni di una lotta. E poi quale assalto, se le uniche armi che avevano a disposizione erano i moschetti dei tre marinai, la sua pistola e quelle dei due ufficiali?
Si voltò verso l'oblò con l'intenzione di raggiungerlo per dare un'occhiata fuori, ma in quel momento percepì dei passi in avvicinamento.
Richiuse gli occhi e lasciò ciondolare la testa come una carcassa in cella frigorifera.
Nella stanza attigua entrarono due persone, che presero poi a parlare fra di loro.
Riconobbe subito la voce del comandante Hook. Per quanto non capisse tutto quello che diceva, gli fu comunque chiaro che erano stati catturati dei tedeschi.
Nonostante il mal di testa, nonostante lo stomaco sottosopra, la lingua felpata e la vescica che gridava vendetta al cospetto di Dio, cercò di concentrarsi al massimo per cogliere il maggior numero possibile di particolari della faccenda.
A un certo punto, l'ufficiale disse: “Un buon lavoro: tutti catturati tranne Pankow. Ma gli ho lasciato una sorpresa che non dimenticherà facilmente.” Ci fu un compiaciuto silenzio, quindi proseguì: “Pagherei per vedere la faccia che farà quel dannato moccioso quando proverà a raccattare il suo berretto.”
Un'altra voce, più rude, appesantita da una lunga consuetudine con rum e sigari, rispose: “La Mills farà davvero un bel botto, signore. Secondo me la sentiremo anche da qui.”
Till dovette farsi forza per non sussultare: la combinazione nello stesso discorso di granata Mills, berretto e Pankow dipinse nella sua mente, pur non ancora del tutto lucida, scenari dei più foschi.
Gli fu chiaro che doveva cercare di raggiungere prima possibile il tenente, ma come?
A quel punto si udì un ticchettio, il comandante inglese proferì una tremenda imprecazione, poi lui e l'altro uomo lasciarono in tutta fretta la cabina per correre in coperta.
Appena fu certo di essere solo, Schelle saltò in piedi e si avvicinò all'oblò: lungo l'impavesata di sinistra, una frotta concitata di marinai stava trafficando con un'asta graduata che gli parve quella che si usava per misurare il livello della nafta. L'attenzione di tutti era concentrata su quel lungo bastone.
Senza esitare uscì dalla cabina e saltò in acqua dall'impavesata di dritta, quindi si allontanò a nuoto più veloce che poteva, pregando che il diversivo, qualunque cosa fosse, durasse abbastanza da consentirgli di raggiungere la terraferma.



   
 
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