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Autore: Mercurionos    21/09/2019    0 recensioni
Freddo. Vento. Le prime luci dell'alba. Ma saranno le sue ultime. Ha già fatto danni, troppi danni alla terra natia di Sasha, un giovane adepto Russo. E per questo pagherà con la morte.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il freddo tremendo che stringeva nella sua morsa la buia stanza mi entrò rapido nelle ossa, graffiandomi la carne. Chiusi dietro di me la porta di legno, facendo quanto meno rumore possibile. La prima alba di Marzo stava per colorare le pareti di quella elegante quanto austera camera da letto. Mi avvicinai piano al suo letto. Un asse di legno emise un gelido scricchiolio sotto il mio piede. Il rumore si fermò tra le mura della stanza congelata nel tempo, ma raggiunse le orecchie di quell’uomo. I suoi occhi si aprirono scattando. Aprì la bocca: spaventato, gliela coprì con la mano, ma lui non riuscì a produrre alcun suono. Ritirai il braccio, e lo osservai muovere le stanche labbra, disperato per non poter più parlare. I suoi arti non riuscivano più a muoversi, solo a vibrare debolmente. Il suo sguardo trovò i miei occhi, e mi spiazzò: l’odio tremendo che mi era riuscito a comunicare in quell’istante sarebbe bastato ad uccidermi, alcuni anni fa.

Mi sedetti sullo sgabello accanto al letto, e abbassai il cappuccio. Mentre lo facevo, i suoi occhi si spostarono rapidi sul mio braccio sinistro, così tentai di tranquillizzarlo, per quanto possibile: “Questa? Stia tranquillo, Koba. La mia lama non toccherà il vostro corpo.” I suoi occhi tornarono a focalizzarsi sui miei. Lo osservai, non tanto con disgusto, ma con un velo di commiserazione. Poi mi ricordai per quale motivo fossi lì. Infilai la mano nella tasca interna della giacca: appoggiai la boccetta sul comò lì accanto, e allungai la mano, mostrandogli la foto di Nikita.

“Se lo ricorda, lui? Lavorava al Politbyuro, ci ha parlato varie volte.” Continuò a guardare la foto. Non se lo ricordava. “Non si ricorda? Di come ha permesso a Petrovich di farlo arrestare e massacrare insieme ai suoi colleghi?” Tornò a guardarmi. Questo quindi se lo ricordava. I suoi occhi si rivolsero verso il cielo. Aspettai un attimo, fino a quando non mi accorsi che si era addormentato. Mi alzai, presi la boccetta e ne versai il contenuto tra le sue labbra, delicatamente. Lo guardai trangugiare quelle gocce nere, che piano piano discesero nella sua gola.

Attesi ancora qualche minuto. Lo guardai muoversi debolmente nel sonno, finché non notai una sulla scrivania nell’angolo della stanza. Mi avvicinai e la presi. Il simbolo e la firma di Roosevelt mi bastavano, quindi la infilai in tasca. Guardai il sole nascere ad oriente, e seppi che era arrivato il tempo di andarmene. Il fratello Fedorovich sarà felice di sapere che ho concluso la missione, anche se dovrà aspettare qualche giorno per conoscerne l’esito. Aprii la piccola finestra, e mi preparai a saltare nel cortile. Un’ultima volta mi rivolsi all’uomo sdraiato nel letto, quella stanca figura raggrinzita sotto i suoi folti baffi argentati: “Pokoysya s mirom, Josif Stalin.”

Quel giorno fui la prima ombra a muovermi sulla fredda terra a Kuntsevo. Il mio nome è Sasha Niktovich Goryunov, e ho passato anni aspettando una singola missione. Ho atteso, atteso, e ancora atteso. Ho combattuto, pensato, pianificato, nel silenzio più assoluto, come se stessi dormendo in un sonno agitato. Un lungo viaggio mi aspetta, celato tra le ombre di questo nuovo mondo. Ora che il fratello Fedorovich mi ha contattato, so che è ancora vivo. So che è in Norvegia, ma non conosco nessuna nostra base in quella zona. Forse vuole finalmente parlarmi della Mela, e del motivo per cui era in mano ai Tedeschi.

I Templari hanno compreso come muoversi alla luce del sole, quindi a noi non rimane che seguirli dalle ombre. Il freddo e il tempo non hanno fatto che affilare la mia lama, e oggi come allora brama di vendicare i miei fratelli caduti.
   
 
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