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Autore: _EverAfter_    22/09/2019    2 recensioni
[...] – Mi manchi tanto, Natsu, – sentì uscire dalle sue labbra tremanti, – davvero tanto.
Avrebbe potuto risponderle che anche lei gli mancava da morire, che non aveva smesso neppure un giorno di pensarla e che non sarebbe mai stato in grado di convincersi che lei non fosse più con lui.
Eppure, il mago non le disse niente di tutto questo. [...]

Breve one shot sulla coppia NaLi, spero vi piaccia.
Prima classificata a pari merito al contest "Tattoo Studio" indetto da Juriaka sul forum di EFP.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lisanna, Natsu
Note: Missing Moments, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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  I petali dei fiori iniziavano a sparpagliarsi per la lapide cenerina, mentre il placido sole del pomeriggio abbandonava assonnato il cielo ormai plumbeo e intriso dalle prime venature del crepuscolo imminente.

  Se ne stava a gambe incrociate davanti alla tomba; persino il suo respiro, che fuoriusciva dalle narici importunate dal penetrante odore dei gigli, sembrava più cheto del solito. Osservava i caratteri seminascosti dalle corolle ormai appassite, chiedendosi ancora una volta cosa ci facesse lì, a contemplare un ipogeo spoglio e privo d’un corpo capace di riuscire ad ingannarlo, concedendogli la malinconica serenità di chi sapeva che, a pochi passi sottoterra, c’era qualcuno che gli era stato tanto caro.

  Il giorno dopo sarebbe stato l’anniversario della sua morte. Che stupido modo per ricordarsi di qualcuno: rimembrare il giorno più atroce, solo per non doversene dimenticare. Solo per soffrire ancora, persi in quell’oceano d’emozioni che nessuno di loro sarebbe mai stato in grado di gestire – tantomeno lui.

  – Natsu. – Strano, la voce di Happy non gli era mai parsa così lontana. – Dobbiamo andare.

  Non si sentiva particolarmente in vena di discutere, quel giorno. Si alzò in piedi a fatica, sistemandosi la sciarpa bianca intorno al collo, con lo sguardo volto all’incisione che recava le lettere di un nome per lui impossibile da pronunciare. Eppure, era così semplice.

  Lisanna.

  Persino pensarlo lo spaventava; fin quando fosse riuscito a non ricordarsene, le giornate avrebbero continuato a scorrere, tumulti di una vita che stava continuando a vivere nonostante tutto. In fondo, era ciò che gli avrebbe chiesto di fare lei.

  Camminava, pensieroso più del suo dire, dandosi pena per il piccolo amico gatto che lo seguiva svolazzandogli a fianco, con un’aria preoccupata ed inquieta mentre tornavano alla gilda, ognuno con l’intelletto votato altrove, lontano da quella fisicità che intrappolava solo gli organi e non i sentimenti. Seguivano meccanici la strada lastricata di pietroni che accompagnava il lento scorrere del fiume, ospite di quel letto fatto di ghiaino e fango; piccoli stormi di passeri si fermavano a bere lungo gli argini di roccia, sostando allegramente per ritrovarsi come torme di soldati in attesa della ripartenza.

  Tutto si muoveva intorno a lui, e prendeva vita come il più semplice dei miracoli: un’esistenza vissuta era un’esistenza che valeva la pena sfruttare. Peccato che lei non fosse lì per vederla.

  L’immenso portone della gilda era ancora aperto; Natsu entrò con noncuranza, le mani serrate a pugno e gli occhi vispi e attenti di chi non voleva esser colto in fallo. Fairy Tail era sempre stata la sua casa, il suo nido felice e il posto speciale in cui tornar sempre, nelle notti di tormenta del cuore, quando persino il sonno si rifiutava di concedersi ad un animo focoso e tuttavia smarrito. Forse, si era perso anche quel giorno.

  – Natsu. – Voltandosi, l’espressione dolce di Mirajane sembrò accrescere il suo incompatibile malessere. – È tutto ok?

  Come avrebbe mai potuto sentirsi meglio, quando quegli occhi azzurri e i capelli bianchi non facevano che riportargli alla mente il dolce sorriso e lo sguardo cobalto di una persona di cui non aveva neanche il coraggio di pronunciare il nome?

  – Sì, – le disse, portandosi una mano dietro la nuca e cercando di sdrammatizzare col suo solito ghigno inopportuno, – va tutto bene.

  Immaginava che dovesse essere difficile per lei, e non era certo giunto lì per aggravare la situazione. L’indomani l’avrebbe vista andare via con Elfman, nel posto odiato in cui lui era appena stato, alla ricerca di quel dolore, presuntuoso ed austero, che imperversava nei loro cuori di fratelli incapaci e ciechi di fronte al pericolo. Quando, quel giorno di due anni prima, avevano permesso alla follia molesta d’impossessarsi di una vita che padron Fato avrebbe dovuto risparmiare, foss’anche solo perché si trattava di lei.

  Natsu non li aveva mai odiati per questo. Eppure, odiava se stesso per non essere stato lì con lei, come aveva fatto in passato. E, quand’anche non fosse riuscito a raggiungerla, avrebbe voluto assistere alla scena cruciale, condividendo il peso di quell’incubo insieme ai due compagni, nella speranza di allievare quella sofferenza che il volto di Mirajane celava abilmente allo sguardo degli avventori brilli ed energici. Lì, in quegli occhi che odiava perché troppo gli ricordavano le iridi a lui tanto dilette, poteva vedere il rimorso per una conclusione erronea.

  Una decisione per una vita, anche se quella sbagliata.

  – Domani non ci sarò, te lo ricordi? – si sentì domandare, e giurò di sentire la dolce voce incrinarsi leggermente.

  Annuì, ma quel sorriso beffardo ch’era avvezzo a mostrar dinnanzi agli avversari sembrò scomparire al suono delle parole di lei, un eco lontano ed indistinto degli ormai due anni passati a dimenticare – o, almeno, a cercare di farlo. La ragazza, il cui volto troppo giovane non avrebbe dovuto esser marcato da tanta sofferenza, s’allontanò in silenzio per la rampa di scale, senza più pronunciare alcun alito.

  Natsu rimase seduto ad un tavolo, con le braccia premute contro il legno scheggiato dai troppi turbolenti tafferugli; avrebbe dovuto tornarsene a casa, ma il magone che sentiva squarciargli il petto lo fece desistere dall’insano proposito. Non si era mai considerato un masochista, eppure in quel momento, mentre si lasciava cullare da un’improvvisa sonnolenza, il volto che tanto desiderava obliare s’affacciò a percuotergli il cuore, entrando senza permesso, come a ogni piè sospinto faceva nei momenti in cui il giovane abbassava la guardia.

  C’era lei, in quel mite bussare. Lisanna dagli occhi blu, dal cuore vivo, che sorrideva coi denti perlacei e solari, diamanti incastonati in una bocca rosea e profumata, così diversa da quella che ricordava lui, sulle cui gengive v’erano dei dolcissimi vuoti dovuti all’infanzia, nel gaio tempo durante il quale entrambi pensavano che bastasse infilare un molare sotto al cuscino per poter ricevere un regalo.

  S’arrese al tepore della fioca lanterna, unico sprazzo di luce nella gilda addormentata e buia, mentre immaginava il calore delle mani della maga defunta sfiorargli i capelli, irretirgli i sensi sottomessi alla volontà di quel sogno ad occhi aperti. Per una volta, non gli dispiaceva arrendersi.

  E s’interrogò sul perché fosse così gradevole immaginarsela vicina, quando il solo pensiero di lei lo faceva stare così male: a che serviva accontentarsi di quella deliziosa illusione, se non poteva neanche sfiorarla, poiché ai vivi non è concesso accarezzare le anime di coloro che hanno amato così tanto?

  Non che Natsu lo capisse. Non era stato abituato a concepire l’amore in quella forma così scevra dal significato ch’era solito attribuirgli. Aveva provato affetto, gratitudine, ammirazione, e per le persone più disparate, per giunta. Eppure, se guardava la visione di Lisanna che lo cullava dolcemente, qualcosa dentro al petto lo stringeva, in un abbraccio che solo un amante poteva aver provato nella sua vita: era il volerla toccare con la disperazione di chi sapeva che, al primo lambire la pelle nivea del miraggio, la vita vera sarebbe tornata a tormentarlo, sussurrandogli malevola all’orecchio: – Hai visto? Lei non c’è più.

  Il dolore al petto mutò forma. Più il bel sogno prendeva consistenza, più sentiva il cuore trafitto da piccole spine, pungenti e nefaste come il pizzicore che aveva patito agli occhi al suono delle parole disperate di Elfman, di ritorno dalla missione che aveva disilluso la vita di ogni singolo membro di Fairy Tail.

  Non era da lui, commiserarsi a quel modo. Ma quell’immagine soave ch’aveva dipinta davanti allo sguardo socchiuso e assonnato era troppo bella, troppo dolce e ammaliante per decidere di lasciarla andare. Se il prezzo da pagare fosse stato sopportare le spine del cuore, allora non gli sarebbe importato del resto. Avrebbe subito, era sempre stato bravo a farlo.

  – Natsu, – lo chiamò la voce cristallina, ed era come se persino i suoni potessero sorridergli, – parla con me.

  Che senso avrebbe avuto, rispondere a quella sua muta supplica? Lei non era lì e persino il suo raziocinio, che di per sé non era mai stato molto affidabile, si rifiutava di credere a quel paranoico scherzo della mente, addolorata e insonne per il troppo cogitare.

  Più la vedeva, più voleva vederla. Più sentiva le dita affusolate massaggiargli i capelli, più voleva afferrarla, sentire il calore del suo corpo.

  – Avrei voluto salvarti, – sussurrò con voce tanto sottile da far invidia al filo delle Moire¹, – ma non c’ero.

  – Non ti odierei mai per questo, Natsu.

  Che stupido. Era forse una psiche malsana la sua, che aveva tanta voglia di sentirsi rispondere in quel modo dall’amica che aveva perduto, senza neanche capire cosa rappresentassero per lui il suo sguardo vispo, i capelli bianchi come le colombe sui cornicioni di Fairy Tail, la risata contagiosa e serena, la pelle pallida e morbida. Tutto era lì, incastonato nel ricordo della favola bella che illuse entrambi, al dolce tempo in cui solevano passare i pomeriggi nella capanna costruita per la nascita ventura di Happy, quando Lisanna gli dava il bentornato e lui rispondeva, con la voce ancora da infante: ­– Sono a casa.

  Casa.

  Era quella dell’anima, dove aveva innalzato una tomba tutta per lei, di fronte al tramonto che amava con tutta se stessa e che rimembrava nei ricordi più dolci dell’infanzia ormai svanita. Lì dove, più che il ricordo che aveva di lei, aveva sepolto il suo cuore annichilito, avviluppato anche allora da una fitta coltre di spine. Forse era per quello che le rose erano rosse. Sanguinavano anch’esse, avvolte in mezzo ai rovi.

  Si lasciò ancora una volta cullare dalla voce ammaliante della chimera dagli occhi azzurri, ch’era così simile alla sua Lisanna che più non c’era. – Dormi, Natsu.

  – No. – Non avrebbe mai potuto perdersi quel momento, poiché finalmente riusciva ad ascoltare il tono familiare, e le note dolci e nostalgiche che avrebbe volentieri afferrato, se solo il suono avesse avuto una consistenza. Il terribile contrappasso gli si palesava davanti agli occhi: la visione elegiaca e candida di Lisanna, che lo sfiorava senza che lui potesse toccarla a sua volta, sentire che lei era davvero lì, nell’ora più buia per un cuore ormai malato e più rinsavito.

  – Mi manchi tanto, Natsu, – sentì uscire dalle sue labbra tremanti, – davvero tanto.

  Avrebbe potuto risponderle che anche lei gli mancava da morire, che non aveva smesso neppure un giorno di pensarla e che non sarebbe mai stato in grado di convincersi che lei non fosse più con lui. Eppure, il mago non le disse niente di tutto questo.

  Sorrise, ed era il sorriso più bello ch’avesse mai potuto concederle. – Ti ho giurato che dovunque tu fossi andata, ti avrei ritrovata. – La visione non gli rispose, ma lui non sembrò badarci, mentre la fissava nelle grandi pozze azzurre. – Ed io ti ritroverò, ovunque tu sia.

  – Quindi, ci rincontreremo un giorno? – gli domandò la voce cristallina dell’illusione.

  – Certamente.

  – Promesso?

  Gli parve che la risposta che avrebbe dovuto darle fosse più simile ad un giuramento solenne, un voto inviolabile che avrebbe pagato con la morte, se non fosse stato in grado d’esaudire quel fanciullesco e adorabile desiderio. Perché nulla, in quel momento, gli sembrava più bello dei lapislazzuli incastonati nei suoi occhi, che brillavano per lui come quel cielo ch’erano soliti guardare insieme, durante le sere di primavera in cui l’ora muta delle fate svegliava le lucciole a danzar lievi per il grande prato verde.

  – Promesso.

  La visione sorrise, sfiorando il volto del drago con le dita sottili. Natsu non seppe mai dirlo con certezza, ma gli parve per un istante di sentire qualcosa posarsi delicatamente sulle sue labbra, e furono solo gli occhi a persuaderlo che quella fosse proprio la bocca fragrante e morbida della compagna, poiché socchiudendo le palpebre gli pareva d’esser lambito dal delicato petalo di una rosa ch’aveva finalmente perso le spine.

  – Ciao, Natsu, – lo accarezzò la voce, allontanandosi da lui.

  – Lisanna. – Pronunciare il suo nome, dopo tutto quel tempo, era doloroso e piacevole al tempo stesso. Come fosse possibile, questo davvero non riusciva a comprenderlo: più desiderava dimenticarla, più il suo cuore trasaliva al pensiero che ciò potesse accadere, e quel beffardo ossimoro mutò presto nell’orribile e nefasto terrore che la maga, in realtà, non fosse mai stata lì. Tastò disperatamente con la mano alla ricerca della sua esistenza, ma non vi trovò niente ch’appartenesse a lei, a ciò ch’era stata e che non avrebbe mai più potuto essere. – Lisanna!

  Il nome scivolò tra i contrafforti in legno della gilda, s’intrise negli stracci puliti lasciati sul bancone, s’insinuò tra le fughe del pavimento. Eppure, nessuno rispose.

  Happy soffocò un urlo sorpreso, portandosi alla stregua del giovane mago. Il dragon slayer sussultò al suono delle parole dell’amico: – Hai fatto un brutto sogno?

  Un sogno. Rimase a fissare il legno del tavolo per degli istanti interminabili, interrogandosi sul perché il vagheggiamento dell’irrequieto sopore gli fosse parso così maledettamente concreto. Si volse verso il compagno gatto, soffermando lo sguardo sul suo volto contrito dalla preoccupazione, e non riuscì a fare a meno di sorridergli, mitigando in parte quel suo darsi pena. – No, Happy.

  Ripensò a lei, al suono della sua voce, agli occhi cortesi e alla pelle alabastrina, alla bocca che aveva sigillato la promessa da lui fatta con un bacio che aveva il sapore di una rosa. Chinò lo sguardo, sulle labbra apparve una smorfia che celava in sé le fattezze d’un malinconico sorriso; poi voltò nuovamente la testa verso il compagno, abbandonando l’aria nostalgica ed assente per far fede a quel nuovo giuramento.

  Non importava quanto tempo ci avrebbe impiegato.

  Giorni, mesi, anni. Non avrebbe avuto importanza, lo scorrere irrequieto della vita. Ciò di cui s’era fatto savio era la determinata certezza di riportarla a casa, lì dov’era appartenuta e dove lo sarebbe stata sempre. E, giunto alla fine di quell’ossequioso impegno, le avrebbe fatto un’altra promessa: non l’avrebbe più – mai più – lasciata andare.

  – Al contrario. È stato il sogno più bello che abbia mai fatto.





...
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¹: Tessitrici del destino nell'Antica Grecia.





Note dell'Autrice:

Ancora una volta volevo concentrarmi su una coppia che non prende in considerazione quasi nessuno - perdonatemi NaLu, ma questa volta volevo provare qualcosa di diverso da quello che sono solita leggere.
Spero che questo breve racconto possa esservi piaciuto, perdonatemi se Natsu vi appare un po' troppo OOC, anche se - parer mio, s'intende - non lo ritengo un vero stravolgimento.
Ringrazio tantissimo Juriaka per aver preso le redini del contest a cui questa storia partecipa, Tattoo Studio, che mi ha dato la possibilità di mettermi alla prova con qualcosa di nuovo e stimolante.
Che dire ancora, fatemi sapere cosa ne pensate!

_EverAfter_

  
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