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Autore: Naoko_chan    22/09/2019    0 recensioni
Abbassò lo sguardo e il mento gli tremò. Dentro di sé, il terrore si stava divorando tutto ciò che rimaneva di lui. Si torturò il labbro inferiore. «Per favore… resti per qualche altro minuto?»
«Perché?» Il timbro di Cinque era esacerbato. «Non mi dirai che hai paura del buio.»
«Se… se parli non le sento…» ammise a fatica, in un pigolio tremante.
«Chi?»
«Le voci…» Klaus serrò le palpebre e gli sfuggì un singhiozzo senza che avesse modo di impedirlo. «Se tu parli io non le sento più.»

[Klaus/Number five ♥]
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Never let me go.

 

 
 
«Cosa…» Numero cinque aveva un sopracciglio inarcato e continuava a fissarlo tra lo stranito e l'interdetto. «cosa diamine stai facendo?»
Klaus deglutì a vuoto di fronte allo specchio e decise di voltarsi; come un completo idiota si era dimenticato di chiudere la porta e adesso si ritrovava fare i conti con le conseguenze della propria dannatissima memoria bucata. Stupido, stupido! Ben ti sta!
Tutto sommato alla fine gli era anche andata abbastanza di lusso: insomma, avrebbe potuto benissimo beccarlo Luther prima di lui, e in quel caso aveva come l’impressione che non sarebbe finita così bene. E poi il quinto fratello non si era mai dimostrato particolarmente infastidito dai suoi modi di fare – però forse, a rifletterci, quello doveva essere stato troppo pure per uno come lui.
«Quella è la gonna di numero tre?»
Klaus annuì colpevole e ne lisciò le estremità. Avvertì le guance andargli a fuoco.
«Si può sapere perché…»
«Mi piaceva!» lo interruppe di scatto. «Desideravo tanto provarne una, da morire, però papà come al solito era contrario… e così ho approfittato che Allison si mettesse il pigiama e filasse in camera di Luther in modo tale da… diciamo… prenderla in prestito.» Abbozzò un sorriso, iniziando a sudare freddo.
L'altro scosse la testa, e questo un po' gli fece male. Sia chiaro, era abituato ad essere considerato uno stramboide da quasi tutta la famiglia, ciononostante Cinque era sempre stato l'unico a non aver mai preso una posizione netta in proposito, e benché ciò non si traducesse in un’approvazione, non gli era mai dispiaciuto. Cinque tollerava ogni suo modo di fare con la fredda nonchalance di chi non vede il bisogno di sottolineare qualcosa di ovvio; semplicemente il suo comportamento non gli faceva né caldo né freddo, e ciò aiutava a fare sembrare le sue abitudini un po' più normali.
Ma Cinque ora aveva le sopracciglia aggrottate in puro segnale di disapprovazione, al punto che sembrava quasi aver preso il ruolo di Luther, lo stesso che più di tutti gli ricordava quanto fosse diverso da loro. Strano. Deviato.
Gli fece male, sì.
«Lo so che rubare è sbagliato, però-»
«No, non mi interessa» tagliò corto il fratello – e a Klaus bastò per riconoscerlo. «Per quel che mi riguarda potresti pure andartene in giro con un costume da cheerleader. Ti
consiglio tuttavia di tentare di non farti scoprire da numero uno.»
«Questo lo so» fece, risentito.
Il ghignetto irritante di Cinque gli punzecchiò il viso. «Non mi sembrava. Sai, tenere la porta spalancata non è proprio una mossa consigliabile, in tal senso.»
«È che ero ansioso di vedere come mi stesse, ok?!» sputò fuori. «Devo dire che mi rimane un po' larga, però in compenso fa respirare tanto, lì sotto.» Non appena rimarcò quella sottile allusione con un occhiolino, non poté trattenere una risata di fronte all'espressione di puro ribrezzo dell'altro.
«Dimmi che hai le mutande.»
«Certo che-! Ehm…»
Rimasero a fissarsi per un paio di secondi.
«No, Dio, mi rifiuto.»
«Eddai, scherzavo! Come siamo pudici… Su, torna qui!»
Ma Cinque aveva già alzato i tacchi e sembrava ben intenzionato a non rimettere piede lì per un bel pezzo.
Fu questa constatazione a fargli contorcere lo stomaco. E, nel medesimo istante in cui rivide le loro facce, l'ossigeno cessò di esistere.
No, no, per favore, no! Per favore!
Fu come ritrovarsi sull’orlo di un baratro senza fine. Solo una spinta, e sarebbe caduto senza la possibilità di uscire da quell’incubo. La testa prese a vorticargli con furia.
«Aspetta!» riuscì a gridare con affanno.
Era raro che Cinque ubbidisse ad un richiamo da parte di un familiare, per questo ne ricavò che potesse essersi allarmato almeno un pelo per il proprio tono. Di sicuro non ne era avvezzo, e Klaus non ne se stupì. Erano solo due estranei addestrati a definirsi fratelli senza che avessero mai potuto sceglierlo. Non conoscevano niente l'uno dell'altro, sapevano solo che, in un certo senso, erano più simili di quanto Cinque avrebbe mai potuto accettare. O forse era proprio questa somiglianza a infastidire Cinque, ad allontanarlo. Perché magari ne era a conoscenza ma non voleva crederci, e forse in fondo non se la sentiva neanche lui.
Però erano lo stesso lì, tutti e due, Cinque era tornato sui propri passi e se a Klaus avessero chiesto la definizione esatta di famiglia avrebbe descritto senza esitazione quella precisa cornice di tempo, l'istante in cui nello sguardo seccato dell'altro era riuscito a cogliere sincera apprensione. L'istante in cui aveva iniziato a sentirsi a casa.
«Cosa vuoi?»
Klaus tolse con lentezza le mani dalle orecchie, tornando ad inalare ossigeno. «Quando… quando tornerà Ben?» azzardò in un bisbiglio sommesso.
Cinque sbuffò. «Quando terminerà la sua missione, mi sembra evidente. Probabilmente per domani mattina.»
«E… e tu?»
«E io cosa?» sbottò spazientito l'altro.
«Stai andando a dormire?»
«Secondo te? Sono le 23:30.»
«Hai tanto sonno?»
Suo fratello si lasciò andare a un sospiro pesante. «Cosa vuoi, Klaus?»
Quasi trasalì. Klaus. Lo aveva chiamato Klaus. All'improvviso si chiese perché la mamma non avesse mai assegnato un nome anche a Cinque, per poi realizzare subito dopo che in tutta probabilità doveva essere stato lui stesso a non volerlo. Come se definirli – definirsi – al di là di un numero non fosse mai stato importante. Eppure adesso…
«Allora?!»
Abbassò lo sguardo e il mento gli tremò. Dentro di sé, il terrore si stava divorando tutto ciò che rimaneva di lui. Si torturò il labbro inferiore. «Per favore… resti per qualche altro minuto?»
«Perché?» Il timbro di Cinque era esacerbato. «Non mi dirai che hai paura del buio.»
 «Se… se parli non le sento…» ammise a fatica, in un pigolio tremante.
«Chi?»
«Le voci…» Klaus serrò le palpebre e gli sfuggì un singhiozzo senza che avesse modo di impedirlo. «Se tu parli io non le sento più.»
«Come?»
«Ti prego, Cinque, ho paura» Gli sfuggì un altro singulto. E un altro. E un altro ancora. Il terrore e l'angoscia tornarono a soffocargli lo sterno. «Non voglio che continuino a tormentarmi. Loro urlano tanto, senza sosta, non mi lasciano in pace, e allora io provo a farle stare zitte, però non si placano, no, non si placano, continuano ad urlare, e poi Ben non c'è e io-»
«Non dire altro.»
Sussultò e aprì di nuovo gli occhi. Cinque aveva chiuso la porta dietro di sé. La linea sottile delle labbra tratteneva a stento un sorriso e gli occhi erano bagnati dalla luce più calda che avesse mai visto. Si sedette sul letto sotto il suo sguardo allibito.
«Muoviti, per cortesia. Se papà scopre che a quest’ora siamo ancora svegli finiremo nei guai, e io non ci tengo affatto a ricevere una punizione per colpa tua. Quindi cambiati e infilati sotto le coperte.»
Un tepore piacevole si risvegliò all’altezza del petto di Klaus. Si ingrandì fino a sciogliere tutta l’angoscia. Non udiva più niente, ora, quell’insolito silenzio lo stava appagando come il più rigenerante degli antidoti.
«Ah, se mi sfiori sei morto.»
«Ma nel sonno non sappiamo quello che-»
«Beh, allora ti conviene imparare a farlo se non vuoi che a destarti sia un bel pugno in un occhio.»
Klaus rise. Rise perché si sentiva leggero e aveva voglia di riempire questo ritrovato silenzio con finalmente qualcosa di bello e variopinto, qualcosa che gli ricordasse l’estate, i regali, i balli divorati dal suo corpo assetato di gioia, qualcosa che gli ricordasse gli occhi di Cinque. Rise senza rendersi conto di star piangendo un'altra volta. E gli sembrò di lasciarsi alle spalle ogni cosa. Le lacrime non pesavano più.
 
 
La mattina lo colse con le membra ancora avvolte dagli strascichi della dormita più soddisfacente degli ultimi sette anni, il suo respiro calmo e piccoli zampilli di luce che facevano breccia dalle fessure della serranda. Attorno alla schiena, il gradevole peso di due braccia minute.
 
 
 
Forse Cinque non era poi così distante da tutti, alla fine. Forse in fondo era quello più vicino a loro. A lui.
 
 
 





 
Angolo autrice
Piccola shottina senza pretese farcita di piccoli riferimenti all'opera originale e di headcanons personali, la quale ha preso vita dopo essermi divorata tutta la serie. Mi dispiace che vi sia poco e niente su questi due cretinetti, io – pur odiando a morte Cinque – li adoVo insieme~

 
 
 
 
  
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