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Autore: GiakoXD    23/09/2019    0 recensioni
"Le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance della ragazza, raccogliendosi sotto il mento. Paralizzata dal terrore, non riusciva a muoversi. Fissava sgomenta la fessura del mostro, quella a forma di ghigno, che ora iniziava ad allargarsi spaventosamente fino a che la faccia di quell’abominio non arrivò a metà del petto, somigliando ora ad una buia fornace dalle zanne sbeccate.
Non vide quindi la figura che arrivò con un potente balzo dal fondo del vicolo fino a quando la superò, gettandosi in avanti. Con un ampio fendente di qualcosa che teneva in pugno questa mozzò di netto uno dei lunghi arti artigliati della bestia, che volò tracciando un ampio arco in aria. Un denso liquido scuro schizzò lungo una parete, sull’acciottolato e sul cappotto della ragazza che indietreggiò spasmodicamente fino a sbattere contro il muro alle sue spalle"
E se i witcher non fossero una finzione ma fossero realtà, se non fossero una casta scomparsa nel basso medioevo, ma esistessero ancora oggi? Cosa succederebbe se una studentessa universitaria venisse salvata da uno strego? E se nemmeno lei fosse una normale ragazza?
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Katherina ripensava a quanto accaduto quella mattina. L’entità che si era risvegliata dentro di lei non si era più fatta sentire durante l’arco della giornata, ma la ragazza non riusciva a smettere di pensarci, lì nel buio della camera che gli sembrava ancora estranea. Ora che gli streghi erano a letto, e non tentavano più di farla distrarre, ripassava le sensazioni, i suoni, le immagini di quanto accaduto nella palestra, certa che sarebbe giunta ad una conclusione. “Che cos’era? Chi era? Perché era dentro di lei e perché non era mai apparsa prima d’ora?”. C’erano un sacco di domande che si concatenavano una all’altra. Per quanto si sforzasse però, non era ancora arrivata a niente. Non le era tornato in mente nemmeno il nome di quell’entità.  
 
Dopo essersi rigirata più volte nel letto, tanto da aver ridotto le lenzuola ad uno straccio, si alzò e si diresse verso lo studio, con un libro di chirurgia generale sotto un braccio e una coperta di pile nell’altro. “Se mi fa venire sonno meglio, altrimenti mi prendo avanti per l’appello di aprile” pensava mentre accendeva le luci della grande sala, i piedi nudi sul parquet gelato.  
I lampadari sfarfallarono un momento, per poi illuminare le pesanti librerie ricolme e polverose, e nella luce giallastra Katherina si meravigliò di come la sua vita universitaria sembrasse distante anni luce da quel luogo e da quello che stava passando. 
Avanzava lentamente pensando a dove mettersi. Non voleva sedersi sulla grossa scrivania in fondo alla sala, era di Viktor, “sarebbe come sedersi in cattedra” pensava, però era l’unico posto con una lampada da scrivania e lei aveva bisogno di luce per leggere, non era mica uno strego! Con un’alzata di spalle si sedette quindi con le gambe raccolte sulla comoda poltrona girevole, si gettò addosso la coperta, accese la lampadina e aprì il libro.  
 
Dopo nemmeno mezz’ora, però, si rese conto di sfogliare le pagine senza leggere nulla: la sua mente continuava ad andare altrove. 
Strofinandosi gli occhi allora si abbandonò sul morbido schienale e il suo sguardo vagò fino ai grossi tomi sugli scaffali alla sua destra. La maggior parte aveva una copertina spessa e rigida, decorata con ghirigori dorati: Katherina non si sarebbe meravigliata se avessero avuto più di cento anni. Ogni libro aveva dimensioni diverse dagli altri, e anche i titoli sui dorsi erano scritti con caratteri diversi. 
Historia i fantastyka” la colpì per primo, perché il blu della copertina sembrava riflettere la luce della lampada; alla sua sinistra c’era il “Physiologus”, sicuramente in latino. Katherina ruotò la sedia con un colpetto del piede e poi proseguì nella lettura dei titoli.  
I nove mondi della mitologia nordica, raccolta a cura di Henric Von Hoffel”. 
Cronache del Clan Tuirseach”, con la copertina leggermente strappata. 
“Rerum italicarum Scriptores” veniva subito dopo “Lavanda, i benefici per il corpo e la mente”, che aveva una copertina più recente e tendente all’hippie. 
Più andava avanti con la lettura più Katherina si accorgeva della varietà di generi e di utilità dei libri stipati in quell’enorme libreria. C’erano pesanti tomi antichi, rilegati in pelle odorosa, a fianco di libricini inutili come un trattato sui cristalli naturali e un ricettario tedesco di cucina. “Un’esplosione di letteratura” si disse arricciando il naso sottile.  
La poesia metafisica inglese: da William Shakespeare a John Donne” seguiva un dizionario italiano – polacco del 1978. 
La ragazza dovette alzarsi per continuare con la lettura e i bizzarri accostamenti la facevano sorridere. Passeggiava lentamente seguendo la libreria, i lunghi capelli ondeggiavano scomposti sul morbido pigiama che indossava. 
Lo sguardo della ragazza venne catturato da un piccolo volumetto rilegato in rosso vivo, e prima ancora di rendersene conto lo stava estraendo dal suo posto e depositando sulla scrivania, sopra il libro di chirurgia generale.  
La fonte avvelenata” era stampato in un severo carattere sulla spessa copertina color rubino. Katherina lo aprì casualmente su una pagina e iniziò a leggere. Doveva avere almeno un centinaio d’anni, quell’edizione. Le pagine crepitavano leggermente mentre le girava. 
 
Nessuno oggi nasce mago. Sappiamo ancora troppo poco sulla genetica e sui meccanismi dell’ereditarietà, ma sfortunatamente, continuiamo a cercare di trasmettere le facoltà magiche in modo, per così dire, naturale. Gli antichi solamente ne erano in grado e purtroppo c’è chi ancora ha la presunzione di riuscirci oggi, benché quei metodi siano perduti ormai da secoli.” 
 
Kat si sedette e poggiò il mento su una mano per concentrarsi meglio. Il saggio divagava su testi e trattati forniti come prove della sua tesi, che la ragazza scorse velocemente. 
 
“E i risultati di questi pseudoesperimenti si scorgono fin troppo spesso nelle fogne delle città, dove s’incontrano troppe donne ritardate o in stato catatonico, profeti, indovine che sbavano e se la fanno sotto, cretini col cervello degenerato da un Potere ereditato e non controllato.” 
 
Per un attimo Katherina vide davanti a sé una specie di vecchio laboratorio, un caotico guazzabuglio di provette, contenitori in vetro e strumenti sporchi. Di riflesso, alzò lo sguardo per guardare meglio, ma più tentava di metterle a fuoco più esse si dissolvevano veloci. Sbattendo gli occhi continuò a leggere, come presa da un incomprensibile interesse. 
 
“La maggior parte di noi maghi perde la facoltà di procreare in conseguenza di mutazioni somatiche e disfunzioni dell’ipofisi. Alcuni – e più di frequente alcune – si adattano alla magia e conservano la funzionalità delle gonadi. Possono concepire e generare, e hanno la sfrontatezza di considerarlo una fortuna e una benedizione.” 
 
Ancora prove, ancora fonti. Kat le scorreva ora in agitazione, girando le pagine una dopo l’altra fino a che non giunse alla conclusione del capitolo. Aveva il respiro corto. 
 
“Ma ripeto: nessuno oggi nasce mago. E nessuno dovrebbe nascere tale! 
Pertanto chiedo che siano sterilizzate tutte le adepte. 
Senza eccezione. 
La magia ha un prezzo ed esige il suo pagamento” 
 
La conclusione era brusca e non ammetteva repliche. 
Katherina sfogliò le pagine ma l’autrice ormai aveva cambiato argomento, e ora si dedicava ad argomentare sui benefici dell’utilizzo dell’oppio nella cura dei pazienti. Chiuse il libro frustrata e rimase a guardare la copertina rubino che sembrava ammonirla sotto la luce della lampada. Si accorse solo ora di avere un po’ di affanno e cercò di calmarsi inspirando ed espirando lentamente. 
Chiuse gli occhi e provò a rievocare le immagini che prima, per un momento, le erano apparse. Invano. Come il nome dell’entità, più ci pensava più tutto sembrava sfuggirle di mente.  
Chiuse il libro con uno scatto, si sentiva frustrata e senza speranze. Dato che il sonno non accennava a venirle, decise di provare a distrarsi leggendo un po’ dell’ottava edizione delle “Canterbury Tales” che aveva scorto su uno scaffale.  
 
Stava leggendo Il Racconto del Marinaio quando sentì la porta delle scale sbattere. Il tonfo risuonò come uno sparo nel silenzio della notte.  
Trattenne il fiato, il cuore le rimbombava nelle orecchie.  
Risuonarono dei passi strascicati lungo il corridoio, sempre più vicini, poi dal buio emerse Anatolij, che girò appena la testa per guardarla e che perse l’equilibrio nel tentativo di appoggiarsi allo stipite della porta.  
Recuperò un equilibrio precario nel momento in cui Katherina arrivava di corsa per aiutarlo e le si abbandonò addosso con uno sbuffo esausto. Le cinghie tintinnavano nel silenzio del corridoio. 
 
Era bianco come un cadavere, con profonde occhiaie scure e un’espressione sfinita e sofferente. Le vene del viso formavano una contorta ragnatela di un innaturale colore bluastro. Katherina era rimasta per un attimo sconvolta nel guardarlo in viso.  Il braccio sinistro, che ricadeva floscio lungo il fianco, gocciolava un liquido denso sul pavimento; il guanto che indossava era zuppo di sangue così come il bendaggio improvvisato che aveva appena sotto la spalla.  
Così vicina alla sua testa ciondolante, vide anche come una specie di ricrescita chiara alla base dei corti capelli neri, ma prima che potesse metterla a fuoco la bocca di lui si aprì, violacea come una ferita vivida, e il ragazzo biascicò qualcosa che sembrava “infermeria” senza riuscire ad alzare la testa. Katherina annuì distogliendo lo sguardo, si issò meglio lo strego sulle spalle e iniziò a trascinarlo lungo il corridoio. 
 
Gli effetti benefici delle pozioni che aveva bevuto se n’erano andati da un pezzo e l’avevano lasciato completamente privo di forze, anche ora non riusciva a capire bene come era riuscito ad arrivare fino a metà corridoio con le sue sole gambe. La vista periferica era ridotta al minimo e nemmeno quella frontale era molto nitida, ampie zone di buio si muovevano ai lati del suo campo visivo. Aveva mancato lo stipite di almeno mezzo metro buono ed era stato un miracolo se aveva recuperato l’equilibrio e se aveva evitato di piantare la fronte sullo spigolo della porta. 
Ma peggiore della stanchezza e della sensazione di avere gli arti pesanti come piombo c’erano gli altri effetti dei decotti, che ancora non si erano minimamente affievoliti. Erano i sensi, acuiti all’estremo, e gli istinti di azione-reazione, causati dagli alti livelli di adrenalina, che ancora gli confondevano il cervello e lo rendevano ipersensibile agli stimoli esterni. 
Abbandonato addosso al corpo della ragazza, che stava facendo del suo meglio per trascinarlo in infermeria, tentava di racimolare le ultime forze per trattenersi. Di tutte le persone che potevano aiutarlo in quel momento proprio lei! Usciva per starle lontano e gli succedeva questo! 
I suoi sensi sovreccitati e acuiti sembravano indifferenti ad ogni tipo di controllo e gli iniettavano impulsi di desiderio direttamente nel cervello annebbiato. Malediceva internamente l’udito, che gli faceva sentire il caldo respiro lievemente affannato della ragazza. Malediceva il suo olfatto, perché sentiva il suo odore di bagnoschiuma al miele oltrepassare quello ferroso del sangue che gli macchiava i vestiti. Alcune ciocche dei suoi capelli, poi, gli solleticavano il viso. 
Mentre lo trascinava, il tepore delle sue braccia gli riscaldava il torace infreddolito. 
I polpastrelli dello strego sfrigolavano di bramosia, ma stringeva i pugni convulsamente. “Ma allora l’universo ce l’ha con me” voleva dire lo strego, invece emise un rantolo soffocato e serrò le palpebre. Sperò solo che Kat scambiasse i suoi sospiri per rappresentazione di dolore. Non aveva più la forza nemmeno di pensare coerentemente.  
 
Katherina, ignara di quale lotta interna infuriasse all’interno del suo fardello, fece del suo meglio per arrivare in infermeria. Il peso del ragazzo, insieme a quello dell’armatura che indossava, ricadevano quasi completamente su di lei. Quando lo aiutò a distendersi sul lettino la ragazza aveva le braccia che tremavano e il respiro corto.  
Con gli occhi semichiusi e la testa abbandonata sul lettino Anatolij le indicò dei cassetti da aprire, anche la sua pelle sembrava quasi bluastra sotto la forte luce al neon ed era imperlata di sudore freddo. Sembrava faticasse anche a respirare a fondo. Ansimava. 
 
<< Se prendi un’altra volta la rondine finirai per ammazzarti da solo. Si può sapere perché non ci hai chiamato?>> Viktor stava in piedi sulla soglia, con una mano sulla maniglia. Si avvicinò al lettino e gli mise una mano sulla fronte. Era gelata. Come immaginava. << Katherina, tu che hai il tocco più leggero, potresti darmi una mano a slacciare questo spallaccio? Così vediamo come si è ridotto questo incosciente>>. 
In silenzio, il vecchio strego e la ragazza iniziarono a levare l’armatura più delicatamente possibile. L’operazione non fu facile dato che il colpo l’aveva leggermente deformata: Anatolij mugolò più volte dal dolore mentre i suoi due infermieri tiravano lo spallaccio, ma fece del suo meglio per rimanere fermo. Quando lo misero seduto per sfilargli il gambesone poi, il ragazzo quasi crollò di lato e dovettero sostenerlo in due per evitare che cadesse dal lettino. 
Vedendo l’espressione atterrita della ragazza, Viktor la tranquillizzò spiegando che quell’estrema debolezza non era tutta causata dalla ferita, infatti lavandola entrambi videro che non era così profonda come era sembrata inizialmente. I tremori e la spossatezza erano conseguenza delle pozioni che aveva bevuto prima dello scontro e che ora stavano finendo i loro effetti, lasciandolo senza forze. Quelli intrugli, le spiegò mentre metteva cinque punti sul braccio del ragazzo, erano mortali per tutti coloro che non avessero ricevuto una preparazione da strego, ma non erano del tutto privi di effetti collaterali nemmeno per loro. <>.  
Kat annuì leggermente rassicurata, e lo lasciò lavorare. Il rumore della forbicina fendeva il silenzio. Sospirò a fondo lasciando vagare lo sguardo sotto la fredda luce delle lampade al neon. Guardò lo spallaccio infradiciato di sangue abbandonato sul pavimento e gli sembrò molto meno minaccioso ora. Aveva semplici decorazioni in rilievo, più scure rispetto al colore di base, come il resto dell’armatura, lucida dove il sangue non si era ancora asciugato. 
Viktor finì di applicare un grosso cerotto ed evidenziò l’opera dandogli un colpetto sul braccio. <<…là! Fatto. Ma a voi tre vi pagano per farmi sempre impensierire nel cuore della notte?>> Sembrava un padre preoccupato.  
Anatolij, con metà viso nascosto sotto il braccio sano, gli rispose con un sorriso tirato. 
Mentre Katherina porgeva la sua coperta al paziente, su indicazione dell’anziano strego, vide la porta aprirsi e vi si affacciò la faccia di Fabio gonfia di sonno. <> biascicò grattandosi la pancia. Se ne andò richiudendo la porta non appena udì la risposta negativa. 
Come un sol uomo, Viktor e Anatolij iniziarono a sghignazzare, il secondo a fatica, con ancora il braccio sugli occhi.  
<< Quando dorme poco sembra un ghoul, eh eh. Va bene, dai. Ti portiamo a letto da bravo bambino. Katherina, potresti…>> 
<< Ce la faccio da solo Vik, non sto per morire! >>  
Lo strego dai capelli grigi lo ignorò e indicò il quadretto degli interruttori. << …grazie cara, anche la porta, grazie >>. 
Lo aiutarono a mettersi in piedi mentre protestava, ma era troppo debole per opporre resistenza e dovette lasciarsi accompagnare alla sua camera quasi di peso, dal momento che le gambe ancora rifiutavano di rispondergli. 
Viktor lo teneva per il braccio sano, mentre Katherina li seguiva un paio di passi più indietro. L’anziano approfittò della curva del corridoio per sussurrare qualcosa all’orecchio del ragazzo, troppo piano per poter essere udito da orecchio comune. La ragazza sentì solo Anatolij che gli rispondeva piccato ma con un fil di voce di “farsi gli affaracci suoi”, seguito da un “vai a quel paese”: sembrava innervosito di colpo. 
 
Su indicazione degli streghi, Katherina premette il secondo interruttore e si accesero una lampada in un angolo della stanza e l’abat-jour sopra il comodino. Anatolij crollò di peso sul letto, che protestò con un sonoro cigolio. 
<< Ok, bene. Katherina, avrei un favore da chiederti adesso, visto che mi sembra che non riesci a dormire. Il giovane sconsiderato davanti a te ha bisogno di prendere due di queste fra almeno un’ora, ma ho il sospetto che si addormenterà fra mezzo secondo. Potrei contare su di te?>> 
<> Anatolij non era molto convincente dato che sembrava sul punto di svenire da un istante all’altro, seduto sul bordo del letto e con lo sguardo vacuo rivolto al suolo. L’anziano gli riservò solo una semplice alzata di sopracciglia, dopo si rivolse nuovamente alla ragazza, la quale non poté far altro che annuire, dato che le aveva già consegnato il barattolino di plastica. 
E mentre Viktor salutava e usciva dalla stanza la ragazza ebbe la curiosa sensazione di essere appena stata manipolata. 
 
I passi lungo il corridoio si affievolirono fino a sparire. 
Erano più o meno le due quando Katherina si chiuse la porta alle spalle e diede un’occhiata alla stanza di Anatolij. La sua camera. La grandezza era uguale a quella che le avevano riservato, ma la quantità maggiore di oggetti e di mobili la faceva sembrare più piccola. Anatolij era accasciato su un letto più grande, per cominciare, con un morbido piumino blu scuro. Verso le finestre c’era una scrivania con una sedia da ufficio molto più comoda della sua, anche se ingombra di vestiti. Sulle mensole libri, CD e cavi aggrovigliati; non si sarebbe aspettata niente di più da una camera di un uomo. Stava osservando un disegno a acquerello sulla parete centrale, l’unica nota di colore appesa al muro quando sentì armeggiare e si voltò. Il ragazzo stava tentando di togliersi i pezzi rimasti dell’armatura di cuoio, in particolare il secondo spallaccio.  
<< Ah, Viktor se n’è andato…ti aiuto io?>> 
<< ...“se n’è andato”, certo…>> gli rispose sarcastico guardando il pavimento, ma sollevò il braccio e le lasciò slacciare le cinghie. Dal momento che lo strego continuava ad ondeggiare pericolosamente, la ragazza lo sostenne per una spalla mentre lui si sfilava stivali e pantaloni, e gli gettava fugaci occhiate alle gambe tornite ora nude, mentre i vestiti venivano a mano a mano gettati sul pavimento.  
<< potresti passarmi il pigiama? Sono quelle due robe in fondo al letto. Grazie, ora posso arrangiarmi da solo >>. La sua voce era talmente flebile che fece fatica a sentirlo. 
Gli passò una tuta da ginnastica grigia stinta che evidentemente usava come pigiama, poi si alzò lievemente imbarazzata e si appoggiò al comò vicino alla porta ad un passo dal letto, mantenendosi però a distanza di aiuto. Cercava di guardare il buio fuori dalla finestra per dargli un minimo di privacy, ma in realtà, quando Anatolij si tolse la canottiera sudata, non poté fare a meno di guardarlo di sottecchi; era colpa sua, non si poteva avere un fisico così e pretendere che nessuno lo guardasse. Era asciutto e pallido, i muscoli guizzavano ad ogni movimento sotto la pelle chiara e l’abat-jour gli illuminava ogni curva del corpo. Ci si poteva tenere una lezione di anatomia, su quel corpo nudo. 
Le ore col prof. Del Col sarebbero state moooolto meno soporifere! 
Il ragazzo, se avesse alzato lo sguardo, avrebbe visto subito che lo stava guardando, e il modo in cui lo guardava, soprattutto, ma sembrava completamente concentrato nell’operazione di non svenire, perciò lei continuò con sfacciataggine. 
La sua attenzione venne catturata da una spessa cicatrice, che formava una linea orizzontale appena sopra il suo ombelico. Seguendola con gli occhi Katherina si rese conto che tutto il busto e i fianchi erano solcati da cicatrici di molteplici forme e dimensioni. Effettivamente, constatò, anche sul suo braccio ne sarebbe rimasta presto una abbastanza spessa. Le tornò in mente Viktor mentre diceva che “uno strego difficilmente muore nel suo letto”. Sospirò. 
 
Anatolij stava tentando di infilare il braccio sinistro nella manica del pigiama, era sfinito, ma non voleva chiedere aiuto. Riuscì nell’impresa solo dopo vari sforzi e poi crollò finalmente sul letto senza neanche sforzarsi di mettersi diritto. Si mise le mani sugli occhi e fece un profondo sospiro. 
Katherina si sedette sul pouf. << Ti sveglio io fra un’ora per le pillole, se vuoi dormire un po’>>. 
Un occhio felino comparve al di sotto delle mani, scrutandola nella semioscurità della stanza. <> mormorò con un filo di voce. 
<< Non ne vale troppo la pena, direi! >> Katherina sorrise, ricordando il momento in cui i loro ruoli erano invertiti. Poi aggiunse: << Forse sei più in età da badante che da baby-sitter>> 
Forse perché era sfinito, forse per scaricare la tensione, il ragazzo scoppiò in una risata convulsa che durò parecchi minuti, di quelle sciocche che fanno venire le lacrime agli occhi. Katherina rimase a guardarlo fino a che non smise del tutto asciugandosi la faccia, sorridendo a sua volta, poi allungò una mano fino a prendere un libro dalla scrivania. Era “Dracula” di Bram Stoker. Lo trovò adatto. Si sciolse la coda e si accomodò meglio sul pouf, con la nuca poggiata al muro. Nel silenzio della notte, guardò un momento verso il letto. Il ragazzo era nascosto dal copriletto, riusciva a vedere solo i capelli neri che spuntavano da sopra il cuscino, rischiarati dall’abat-jour rimasta accesa sul comodino.  
Con un sospiro la ragazza aprì il libro e iniziò a leggere. 
 
Si era appisolata. 
Si svegliò di colpo cercando a tastoni il cellulare e controllò l’ora; fortunatamente non erano passati che venti minuti dall’ultima volta che aveva controllato, altrimenti sarebbe stata una frana anche come badante, “altro che cardiologa…”. Ma era in ritardo solo di una decina di minuti rispetto alla scadenza, niente di grave, quindi si stiracchiò pigramente e si alzò. Rabbrividì leggermente mettendo i piedi nudi a terra, aveva tutte le estremità gelate. Si era addormentata sul pouf senza nemmeno una coperta e in una posizione scomodissima. Raccolse il barattolo con le pillole e si avvicinò al ragazzo che ancora dormiva. << …Nat?>> la sua voce era appena un sussurro. 
<< …sei un po’ in ritardo. Ti eri addormentata?>> dalla punta di sarcasmo nella voce sembrava che non avesse mai dormito.  
<< …già che eri sveglio allora potevi arrangiarti tu no?!>> sbottò lei piegandosi in cerca del suo viso, seminascosto da copriletto e oscurità. I capelli le ricaddero in avanti. 
Anatolij posò lo sguardo sul suo. <<…e perdermi l’occasione di essere servito e riverito? …nah…>>. Lentamente, si tirò leggermente su e si appoggiò alla testiera del letto. Stava meglio, tutti gli effetti negativi delle pozioni erano svaniti, tuttavia era ancora debolissimo. Lo spettro aveva assorbito gran parte della sua energia durante lo scontro, di quello si nutrivano.  
Anatolij guardava Kat armeggiare con il barattolo, i capelli come una cascata d’oro alla luce della lampada le scendevano sul viso, e l’unica cosa che voleva era scostarli e prenderle il viso. 
Non erano più solo i decotti.  
La ragazza gli porse le due pillole, allungando la mano. Era ancora un po’ indispettita dalla sua osservazione, aveva lo stretto nasino arricciato e gli occhi verdi socchiusi. Così, con il viso illuminato dalla luce, al ragazzo sembrava ancora più bella. 
Anatolij chiuse la sua mano su quella della ragazza. <> mormorò e prese le pastiglie con l’altra. 
La parte razionale del suo cervello cercava di dirgli qualcosa, ricordargli le promesse che si era fatto fino a poche ore prima, ma era troppo stanco per ascoltarla e la mandò al diavolo. Forse aveva ragione Viktor, quel nonnetto marpione. Forse davvero non aveva senso vivere incatenato al passato.  
Sotto lo sguardo sorpreso della ragazza, si tirò sul gomito sano e si spostò di lato con un fruscio di lenzuola facendole posto. Sempre tenendola per mano sollevò le coperte e si fermò a guardarla, in attesa con uno sguardo indecifrabile. <
Katherina, sorpresa, si lasciò trasportare e si distese sulla schiena a pochi centimetri da lui. Era arrossita fino alla punta dei capelli e non riusciva a dire nulla. Ma un dubbio le si formò sulla punta della lingua, mentre Anatolij le lasciava la mano per tirare le coperte su entrambi. << io pensavo…mi sembrava…che ti stessi antipatica per qualche motivo…>> 
Un sospiro. << non era quello…>> 
<< …cos’era allora? >> 
<< non adesso. Sono disfatto>>. In effetti la sua voce era sempre più fioca. <
<< si…però me la segno …buonanotte>> 
<<‘notte.>> 
 
Dopo nemmeno tre minuti, si erano addormentati entrambi.  
 
 
 
*NOTA: La fonte avvelenata e i suoi estratti sono tratti da: “Il sangue degli Elfi”, Andrzej Sapkowski (ad eccezione della frase “La magia ha un prezzo ed esige il suo pagamento” che ho aggiunto per necessità di trama.) 
 
   
 
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