Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: santhy    23/09/2019    1 recensioni
Due genitori squattrinati, innamorati e litigiosi. Tre simpaticissimi figli. E Dilon (Walter) Ayres, una specie di fratello maggiore che vive con loro, appartato e pur partecipe con la sua eccezionale sensibilità. Piove dal cielo una grossa eredità. La famiglia rischia di essere del tutto scombinata. Dilon riporta serenità e risolve l'intricata vicenda d'amore del giovanissimo Dave. Romanzo brillante, romanticissimo.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 
 
 
                                                                          
      
L’eco del passato


 
 
Quel giorno Dave compiva sedici anni. Fu una data molto importante nella sua vita, anche se quella mattina constatò amaramente che nessuno se ne era ricordato. Ripensandoci a distanza di tempo, gli sembrava ancora impossibile che quella storia emozionante e straordinaria fosse successa davvero, e che non fosse soltanto frutto della sua fantasia.

Tanto per cominciare, a colazione ci fu una scenata terribile fra suo padre e sua madre… Questione di soldi.

Fin qui, niente di nuovo. Dave ormai si era abituato a sentirsi dire che in famiglia non c’era denaro e che erano tutti sull’orlo del fallimento, e quasi ogni giorno suo padre diceva:

«Cosa? Un altro conto? Dove credi che vada a trovarli i soldi per pagarlo?»

«Mi dispiace, caro, ma dobbiamo pur avere il necessario!» Rispondeva sua madre con voce stanca. E poiché a quanto gli risultava i conti prima o poi venivano pagati, Dave non aveva mai preso queste cose troppo sul serio.

Leo, che a scuola era il suo migliore amico, diceva che i genitori litigano sempre per una ragione o per l’altra, e che secondo lui il matrimonio era una noia, e Dave gli rideva, perché Leo era considerato intelligente e molto più esperto della maggior parte dei ragazzi della sua età. Oltre tutto era ricco di famiglia, e se non andavano d’accordo i suoi genitori che non avevano problemi economici, pensava Dave, in un certo senso si potevano giustificare suo padre e sua madre, che abitavano in una casa malandata, non avevano la macchina, e sembravano angosciati da qualche preoccupazione.

Quella mattina però la lite sembrò a Dave più grave del solito, o forse era lui che lo immaginava, perché, guarda caso, era il suo compleanno, e lui aveva chiesto in regalo un orologio da polso. Ecco perché era andato a far colazione più presto del solito, aspettandosi di trovare accanto al suo piatto il sospirato regalo… solo non c’era.

C’era una piccola pila di lettere per suo padre. Per lo più doveva trattarsi di fatture, perché Mr. Dickinson, quando qualcuno chiedeva se era arrivato il postino, in genere rispondeva: «spero proprio di no… non fa altro che portarmi richieste di denaro di negozianti minacciosi.

«Siamo davvero una strana famiglia,» pensò Dave. Era abbattuto e se ne stava in piedi accanto al tavolo della colazione, tormentando un ricciolo ribelle dei suoi bei capelli col solito gesto nervoso che sua madre gli rimproverava di continuo. Anche lui avrebbe voluto un compleanno come quello di Leo, con una dozzina di pacchetti allettanti ad attenderlo… per lo meno, così gli aveva detto il suo amico.

Poi sua madre entrò a precipizio nella stanza, avvolta in una vestaglia rosa sbiadita, non si presentava mai a colazione vestita decentemente, e disse distratta: «Oh, buon giorno, caro.»

Non lo guardò nemmeno, perché i suoi occhi andarono subito, ansiosi, alla pila di lettere accanto al piatto del marito.

«Altre fatture, immagino,» sospirò, rigirandole fra le graziose dita affusolate, una per una, come se cercasse di scorgere il contenuto attraverso la busta.

Dave la guardò per un momento in silenzio, e poi disse con voce flebile, lontana: «È il mio compleanno.»

Mrs Dickinson lasciò cadere le lettere sulla tovaglia alla rinfusa e si voltò, svolazzante come un uccello: «Tesoro! …è vero, me ne ero completamente dimenticata. Povero bambino mio… Vieni qui che ti do un bacio.

E così, niente orologi! Mentre sua madre lo baciava sulla guancia, Dave rimase freddo.

Si chiedeva desolato che cosa poteva dire a Leo, con cui si era confidato fiducioso e pieno di speranza.


Dave non dimostrava proprio sedici anni, era sempre stato trattato come il bambino della famiglia, perché i suoi due fratelli avevano qualche anno più di lui… Soltanto dall’anno prima, da quando aveva conosciuto Leo, aveva cominciato ad aprire un po’ gli occhi, e Mrs Dickinson aveva fatto l’interessante scoperta che suo figlio ben presto sarebbe diventato un bel giovanotto. Leo era tanto, tanto intelligente e conosceva il mondo. «E dimmi, quanti anni compi oggi?» Gli chiese la madre con aria assente. «Devi avere… vediamo…»

«Sedici,» disse Dave, impassibile.

Sua madre lo baciò di nuovo. «Sedici… Ma guarda… Oh caro, come vola il tempo… mi sembra solo ieri che…» La porta si aprì con violenza e lei si interruppe allarmata mentre suo marito entrava.

Mr. Dickson se la prendeva sempre con tutto quello che gli si parava davanti. Sbatteva porte e cancelli e scasava la gente come se avesse sempre una fretta tremenda di andare da qualche parte, ma in realtà non combinava mai niente di concreto, e la sua famiglia lo sapeva bene. «Ancora conti!» Disse torvo, ignorando sia sua moglie che suo figlio.

 
Mrs. Dickinson si lasciò cadere affranta sulla sua sedia a capotavola e cominciò a versare il caffè. La cameriera l’aveva portato già da mezz’ora, e si stava raffreddando lentamente. Le cose erano sempre andate così in casa Dickinson, e a Dave, fin da piccolo , anche se non se ne rendeva conto, era rimasta l’impressione di pasti in ritardo o serviti prima del tempo, di bottoni che mancavano, di cameriere che se ne andavano dopo un po’, e di una disorganizzazione e trascuratezza generale.

Con un lieve sospiro sedette accanto a sua madre. Seguì un silenzio imbarazzante, rotto solo dal rumore secco delle buste lacerate da dita impazienti. Mrs Dickinson gettò un’occhiata ansiosa a suo marito: Il suo bel viso aveva un’espressione piuttosto torva… ma alla fine lei azzardò timidamente. «Caffè Richard?»

Lui non rispose, stava guardando un foglio, scuro in volto. Evidentemente si trattava di una fattura, perché lo esaminava punto per punto e calcolava freddamente il totale.

Mrs Dickinson lasciò cadere le mollette per lo zucchero: tintinnio irritante. «Mi spiace… mi spiace davvero,» mormorò nervosamente in tono di scusa.

«Ti spiace?» Suo marito alzò gli occhi d’improvviso. «Ti spiacerà ancora di più quando avrai sentito quel che ho da dire. Ma prima forse vorrai avere la cortesia di spiegarmi che significa questa fattura spaventosa.» Si schiarì la gola e cominciò a leggere ad alta voce: «Due camicie… dodici ghinee, quattro paia di calze.. tre sterline. Un abito azzurro… dodici ghinee, cappotto…» Si interruppe bruscamente, ammutolito alla vista di quella cifra enorme, e sua moglie disse  con voce tremante : «Sono per Dave… deve avere il necessario, se va a Parigi con Leo.

«Il necessario… Il necessario! » Sbottò il marito, furibondo. «E chi paga? Vorrei proprio saperlo. Il necessario? Quanto è che non mi compro un abito nuovo, io?»  Di colpo sembrò calmarsi, si chinò leggermente in avanti, fissò sua moglie e, come se stesse per condannare un delinquente…

«Senti,» disse, «e una volta  tanto ti pregherei di renderti conto che faccio sul serio: David a Parigi, non ci va.»

Quando era di quell’umore chiamava invariabilmente il figlio col suo nome di battesimo, invece di usare  il nome familiare. Dave. David era il nome di uno zio da cui un tempo, con eccessivo ottimismo, speravano di ereditare, e che invece li aveva amaramente delusi investendo i suoi cospicui capitali in un vitalizio e morendo un anno dopo. Da allora ci si era sentiti autorizzati a trasformare quel nome piuttosto solenne nel più dimesso Dave, un  po’ perché era più corto. E la famiglia Dickinson cercava di evitare qualsiasi tipo di fatica, e un po’ perché in inglese significa “pettirosso” ben si addice a Dave che, piccolo e bruno, aveva l’abitudine, quando cercava qualcosa o ascoltava qualcuno, di piegare la testa da un lato come gli uccelli.

«David, a Parigi, non ci va,» ripeté il padre con una calma micidiale. «E se non ti dispiace, neanche i ragazzi vanno a Cambridge.»

Mrs Dickinson, sconvolta, emise un grido soffocato. «Rick!» Senza rendersene conto aveva usato il nomignolo con cui chiamava suo marito quando erano giovani e felici.
Dave non disse nulla, restò seduto con le mani abbandonate in grembo come se non gli appartenesse. E così, il viaggio a Parigi con Leo era sfumato, quando tutto era già stabilito nei particolari da settimane! Da molto tempo gli promettevano quell’anno di scuola che, a detta di Leo, era d’obbligo per i ragazzi di un certo ceto sociale  per “raffinarli” prima del loro ingresso in società. E ora glielo negavano!

Sua madre cercò di parlare ancora, ma il marito la zittì.

«Non ho ancora finito,» disse gelido, «e se credi di rimediare a qualcosa con quell’aria da regina di tragedia, sbagli. Sei già stata avvisata molte volte  della fine che avremmo fatto se persistevi nei tuoi folli sperperi… ebbene, la fine è venuta. Mi sto interessando per vendere questa casa… per quel che può valere,» aggiunse cupo, «e dobbiamo trovare un appartamento da qualche parte.»

«Ricky!» esclamò lei con voce patetica, e per la prima volta la faccia impietrita di Richard ebbe un barlume di umanità.

«Le mie risorse sono agli sgoccioli,» disse gravemente. Seguì un silenzio così eloquente e profondo che a Dave sembrò interminabile. Alla fine però fu interrotto dai passi lenti di qualcuno nell’ingresso. Poco dopo la porta si aprì, molto piano, stavolta, e un uomo alto entrò lentamente.

Walter Ayres aveva un  aspetto piuttosto delicato e gli occhi molto azzurri. La prima cosa che si notava in lui erano appunto gli occhi, e il fatto che zoppicava leggermente. La gente lo considerava una specie di zio che abitava in casa Dickinson, anche se in  realtà non aveva nessun legame di parentela con loro.

Era figlio unico del più vecchio amico di Richard Dickinson, e fin dai primi anni l’avevano soprannominato “Muso nero”, perché quando era ragazzo, si diceva, aveva girato il mondo senza un soldo in tasca, spingendosi perfino in luoghi dove nessun uomo bianco aveva mai messo piede.

Su di lui si raccontavano storie romanzesche. In effetti, a detta di Richard Dickinson, era stato un po’ la pecora nera della famiglia: Rifiutando categoricamente di sistemarsi e di diventare un cittadino rispettabile come suo padre, facoltoso agente di cambio, aveva scelto senza esitazioni una vita libera e senza quattrini.

Ma quando la sua movimentata carriera era stata stroncata da un incidente che l’aveva reso zoppo per tutta la vita, Richard  Dickinson gli aveva offerto una casa, sia in segno di affetto per il padre morto, sia perché Africa nera era misteriosamente riuscito a mettere insieme un certo gruzzolo, per cui lo ripagava ampiamente di vitto e alloggio.
Da buon Dickinson, in faccia i ragazzi lo chiamavano Dilon, anche se il suo nome era Walter, e dietro le spalle Muso nero, e lui lo sapeva benissimo. Aveva il suo appartamento in quella antiquata costruzione irrazionale, e faceva la sua vita cercando di dare meno fastidio possibile, sempre pronto a rendersi utile e a sparire dalla circolazione al momento opportuno.


Quando i due ragazzi grandi andavano ancora a scuola li aiutava a fare i compiti, e anche molto bene, mentre lui a scuola era sempre stato un disastro, ed era bravissimo ad aggiustare mazze da cricket, a sistemare la televisione, e a fare una quantità di piccole riparazioni che erano necessarie in casa.

Quando lui entrò, gli occhi di Dave si illuminarono per un attimo. Anche se aveva molti anni più di lui, era il suo prediletto, e anche Dave di tutta la famiglia era il suo prediletto. Non che avesse mai mostrato, almeno apertamente, di avere più affetto per Dave che per i suoi due fratelli maggiori, ma fra loro c’era una corrente di simpatia e di intesa che andava al di là delle parole, e questo lo sapevano tutti e due.

Da bambino Dave non andava mai a confidarsi da sua madre, ma da Muso nero: a lui aveva raccontato le piccole avventure e disavventure che gli capitavano, e ora. In piena crisi di famiglia, fu lui che guardò, con un muto appello. Dilon ricambiò il suo sguardo con un lieve sorriso: «Tanti auguri, piccolo.»  Mentre gli passava accanto, diretto al suo posto, gli fece una carezza sulla spalla, e poi, senza dir niente, gli mise in grembo il pacchettino.

Mrs. Dikinson scoppiò immediatamente in un pianto isterico. «Tu sì che ti sei ricordato del tuo compleanno,» disse fra i singhiozzi, «e suo padre e sua madre l’hanno dimenticato.»

Poi si alzò e corse via, col fazzoletto premuto sugli occhi. Non che fosse sinceramente addolorata, ma quella le era parsa un’ottima occasione per sfuggire alle ire di suo marito. Dopo ventiquattro anni di vita matrimoniale più o meno travagliata, gli era ancora affezionata, ma ne aveva anche paura, e le continue sfuriate che lui le faceva per i suoi sperperi e la sua irresponsabilità non facevano che peggiorare le cose.

«Eccola che se ne va!» Disse Mr. Dickinson di malumore, «prima ci mette tutti nei guai, e poi scappa.» Non era vero, esagerava, ma era uno di quegli uomini che hanno bisogno di dar sempre la colpa agli altri. Guardò suo figlio con aria di rimprovero: «Segui, mamma?»

Ma Dave era troppo preso dal pacchettino che gli aveva dato Muso nero… Un orologio d’oro! E dire che aveva sognato di riceverne tutt’al più d’argento… Lo rigirò fra le dita tremanti di eccitazione: «Oh, Dilon, caro!»

«Tu vizi il ragazzo, Walter, disse Mr. Dickinson, seccato, ma mentre guardava la faccia arrossata e gli occhi scintillanti di Dave provò suo malgrado un lieve senso di rimorso, dopo tutto era figlio suo, e lui aveva dimenticato che era il suo compleanno.

Dave aveva appena fatta una scoperta, sul retro dell’orologio era inciso il suo nome nella calligrafia di Walter, e sotto c’era scritto: “da Walter”. Per un attimo le lacrime gli appannarono gli occhi, le asciugò in fretta e poi balzò in piedi e gli getto le braccia al collo. «Oh, grazie… grazie tante.»

«Evidentemente sei più ricco di me, Walter,» disse seccamente Mr. Dickinson. «Io non posso permettermi di regalare alla gente orologi d’oro.»


Ayres sorrise. «Io non  ho una famiglia da mantenere,» rispose garbatamente. Dilon non  andava mai in collera.

«Come ho detto a mia moglie e a Dave,» tornò all’attacco Mr. Dickinson, apparentemente rivolto ad Muso nero,» le nostre esigue risorse sono agli sgoccioli, e Dave non potrà andare a Parigi, né i suoi fratelli a Cambridge. Inoltre, ho intenzione di vendere la casa. La notizia è stata accolta come al solito: mia moglie si è messa a piangere e Dave è rimasto totalmente indifferente.

Ayres prese qualche fetta di pancetta, aveva un aspetto appiccicaticcio e molto poco appetitoso, ma Muso nero non si lamentava mai. «È il compleanno di Dave,» disse a caso.

Il capofamiglia lo guardò scuro in volto, e poi, come se non potesse sopportare oltre, spinse indietro la sedia con violenza, buttò per terra la pila di conti e se ne andò offeso, sbattendo la porta.

Dave tirò un sospiro di sollievo. «Caro è il più bell’orologio che ho visto,» disse con gratitudine, «e lo porterò sempre… sempre.» 

«Finché qualche tuo corteggiatore non te ne regalerà uno più bello,» rispose Ayres.
«Non ho mai avuto corteggiatori,» disse Dave, un po’ sorpreso da quella insinuazione. «Leo invece ne ha avuti tre.»

«Non so se Leo sia un buon amico per te,» disse Muso nero.

«Me l’hai già detto,» gli ricordò Dave, «ma mi è molto caro, sa tutto quello che vorrei sapere io.» Appoggiò la mano su il tavolo per ammirare meglio il suo regalo. «Mi domando perché io non ho mai avuto un corteggiatore.»

«Sei troppo giovane.»

«Leo ha solo un anno più di me, e dice che un mucchio di ragazzi, a diciassette anni, sono già fidanzati. «No,» fece poi soprappensiero, scuotendo la testa, «non credo che sia perché sono troppo giovane. Deve esserci un altro motivo.»

Ayres si accese una sigaretta, con una piccola smorfia.

«Posso averne una?» Chiese Dave.

«No.»

«Dai…» lo supplicò con  voce carezzevole, «è il mio compleanno.»

Ayres sollevò le sopracciglia in modo comico.

«E va bene…» disse tendendogli il portasigarette, Dave lo prese e osservò con occhio critico: «Com’è ridotto! Avresti potuto comprartene uno nuovo, invece di regalarmi l’orologio.»

«Già… ma ho preferito regalarti l’orologio.»

«Sei così caro,» ripeté lui, e gli infilò la mano nella tasca alla ricerca di un fiammifero. Ci fu un breve silenzio, e poi Dave chiese dispiaciuto: «Pensi che mio padre faccia sul serio stavolta, Dilon?

Ayres annuì. «Sì, temo sia vero che le nostre risorse sono agli sgoccioli.» Muso nero si immedesimava sempre in tutto quello che riguardava la famiglia.

«Ma allora perché mi aveva promesso di mandarmi a Parigi? Ho già tutti i vestiti… è vero che non sono stati pagati…»

«E non lo saranno,» rispose Aires, piuttosto cupo.

Dave appoggiò il mento sul palmo della mano e lo guardò con rimpianto: Non è una rovina, Dilon?

Lui si strinse nelle spalle. Aveva delle belle spalle larghe. «Non sarà poi una tragedia, se non vai un  anno a Parigi.»

«No, ma se ci andassi mi farebbe molto bene. Leo dice… ah già scusami, tu non hai simpatia per Leo.»

«No.»

Dave diede un’altra occhiata soddisfatta al suo orologio: «Quanti anni avevi quando hai lasciato la scuola, Dilon.»

«Non lo lasciata,» disse lui ridacchiando, «sono stato espulso.»

«Oh!» La cosa lo divertì immensamente, e si mise a ridere con lui. «E perché?»

«Per una serie di circostanze,» rispose Dilon con finta serietà. «E se ben ricordo, il colmo è stato quando sono rimasto fuori tutta la notte per una ragione che il preside considerò poco plausibile.»

«E qual era questa ragione?»

«Ero andato a ballare… con un ragazzo,» disse spicciolo Muso nero.

«Oh!» Dave ebbe un moto di gelosia. «E dov’è ora?»

«È morto… anni fa.»

«Oh» Era commosso e i suoi occhi si addolcirono, «Dilon, caro, gli… volevi bene?»
Muso nero prese il suo vecchio portasigarette e disse per tutta risposta: «Mi ha dato questo.»

Dave si soffermò a guardarlo con una strana espressione nei suoi occhi scuri. Un vecchio portasigarette consunto dall’uso… «Quanti anni avevi?» Chiese infine.

«Diciannove, credo.»

«Eri più vecchio di me.»

«Molto più vecchio di te, come lo sono ora… e non è solo questione di età.»

«Quanti anni hai adesso?» Insisté lui . Chissà perché non glielo aveva mai chiesto prima… ma in fondo non ce n’era bisogno. Era Dilon, e a lui bastava.

«Indovina?»

Dave aggrottò la ciglia, perplesso. «Cinquanta?» Buttò là.

«Addirittura!» Lo fissò un attimo sconcertato e poi si mise a ridere, un po’ triste. «Santo cielo. Ragazzo, sei impazzito? E tu, di’ un po’, quanti anni hai?»

«Ne compio sedici oggi… pensavo che lo sapessi»

«Lo sapevo,» ammise lui. «Allora, fra una ventina d’anni, avrai all’incirca l’età che ho io ora… Sai fare il calcolo, o l’aritmetica non è il tuo forte?»

Calcolò con cura, poi esclamo sorpreso: «Ma allora hai soltanto trentasei anni o giù di lì! Solo venti anni più di me!»

«Venti anni sono una vita,» precisò lui.

Seguì un breve silenzio, e Dave non poté fare a meno di ripensare  a suo padre: «Che farò se non vado a Parigi?»

«Che fanno gli altri ragazzi quando lasciano la scuola?»

«Gli altri ragazzi, a quanto pare, hanno un sacco di soldi.»ֿ

«Ti riferisci a Leo?» Disse lui freddamente.

«È l’unico ragazzo che conosco a fondo… è l’unico vero amico che ho.»

Muso nero schiacciò la sigaretta nel portacenere. «Beh, non far troppo caso a quello che dice,» gli suggerì. «E non credere che la sua opinione sia sacra… perché non lo è.»

Il fratello maggiore di Dave fece irruzione nella stanza. Era un bel giovanotto di vent’anni. Somigliava molto a sua madre, e aveva anche lui una buona dose di quell’indecisione e irresolutezza che lo rendevano attraente.

«Il vecchio dà i numeri,» sbottò. «Ha parlato anche a te, Dave? Dice che noi non possiamo andare a Cambridge, e che tu non puoi andare a Parigi, che bisogna vendere la casa, e un mucchio di altre storie… Insomma, che c’è di vero?»

«È tutto vero,» rispose Dave con calma, citando maliziosamente le parole di suo padre, «le nostre risorse sono agli sgoccioli.»

«Fesserie!» Disse Raymond in tono perentorio.» Sono anni che sentiamo questa storia. Sempre il solito falso allarme… io non ci credo.» Guardò Ayres: «Tu sai qualcosa?»

«Quello che dice tuo padre, purtroppo, è la verità,» rispose lui.

Il giovane lo fissò sbalordito, e il colore della sua faccia si alterò. «Siamo davvero… rovinati?»

Muso nero annuì.

«Rovinati!» Ripeté Raymond sconcertato. «E mio padre cosa crede che ci possa fare, io?»

«Penserà che tu ti metta a lavorare, immagino,» rispose Dave.

«Lavorare! E che specie di lavoro?» Disse suo fratello furioso, rivoltandosi contro di lui. Nessuno dei due rispose, e lui ebbe un altro scoppio d’ira: «È ridicolo, allevarci facendoci sempre credere che va tutto bene.»

«Non ha fatto proprio così… vero?» Intervenne Muso nero.

«Beh, dovrà pur metterci rimedio,» asserì Raymond, con arroganza, spazientito.  «Sono tutte stupidaggini! Non si va in rovina da un giorno all’altro. Ieri andava tutto bene, e stamattina… non gli credo, è chiaro, è solo uno dei suoi trucchi per sconvolgerci tutti quanti. Tu non vai a Parigi, Dave?

Lui fece segno si no con la testa. «Nostro padre dice di no.»

Raymond batté il pugno sul tavolo in un modo che ricordava moltissimo suo padre.

«Dannazione, che peccato,» ripeté, infuriato. «Non lo sopportò, ti dico… non lo sopporto!» E uscì sbattendo la porta.


Dave rivolse a Aires uno sguardo timido, e incontrando i suoi occhi sorrise come per chiedere scusa: «Siamo una famiglia piuttosto strana, eh?»

«Ho paura di sì,» ammise con rammarico Muso nero.
 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: santhy