Anime & Manga > Yuri on Ice
Ricorda la storia  |      
Autore: Tenar80    26/09/2019    4 recensioni
Inghilterra, 2028
Otabek e Yurio.
"Era stato un errore andare da lui. No, non un errore. Non aveva scelto. Si era diretto da lui come l’ago di una bussola si dirige verso il nord magnetico. Senza alcuna volontà"
Questa fic fa parte della serie "Stagioni", anche se ha una trama autonoma.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Yuri Plisetsky
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eccoci qua, per l'ultima volta.
Pensavate davvero che per Yuri e Otabek sarebbe andato tutto bene?  



Newcastle, Inghilterra –  Aprile 2028

 

    Yuri si appoggiò allo stipite della porta aperta cercando di trattenere un sospiro esausto.

    Con gli occhi socchiusi, spiò la quarantina di ragazzi, così giovani e agguerriti, come gli avversari all’ultimo mondiale, seduti sui banchi dell’aula. Nessuno stava facendo caso a lui. Se anche qualcuno lo aveva notato era tornato subito al proprio schermo appoggiato sul banco o a qualche desueto quaderno per gli appunti o a guardare davanti a sé. Yuri non era nessun lì, qualcuno che passava per caso, uno studente svogliato, un tecnico di laboratorio, un fantasma. Quello non era il suo mondo. Era un infiltrato. Un profugo esausto su una spiaggia che non gli apparteneva.

    L’attenzione dei ragazzi era tutta sul professore che ancora scriveva a mano alla lavagna, sequenze di cifre e simboli indecifrabili agli occhi di Yuri come arcane formule magiche, con un gesto quasi atletico. Sotto la camicia ordinaria del docente, poco più che trentenne, si indovinava un corpo magro e tonico i cui muscoli guizzavano a ogni movimento. Nulla di strano che l’attenzione di molte studentesse, e di qualche studente, fosse più concentrata su di lui che su quello che stava scrivendo. Dalla sua posizione, Yuri ne intravedeva il viso, duro, con lo sguardo fermo, del tutto all’interno di ciò che stava facendo.

    Anche questa è una guerra per te?

    Arrivato al termine di ciò che stava scrivendo e spiegando con parole che Yuri non aveva la pretesa di capire, il professore si girò. Percorse con lo sguardo la classe per testarne il grado di attenzione e infine lo vide. Gli occhi neri si allargarono un istante, per poi stringersi, mentre il viso non cambiava espressione, ma Yuri sapeva che doveva aver visto tutto, sopratutto quello che cercava di nascondere.

    – Per oggi abbiamo terminato – disse il professore alla classe. – La registrazione della lezione sarà on-line tra un’ora con gli esercizi da svolgere. Sul manuale l’argomento è trattato da pagina 325. Oggi pomeriggio non sarò reperibile.

    Esitò un attimo appena.

    – Abbiamo una celebrità in aula, oggi – aggiunse, con un tocco di incertezza. – L’oro olimpico e  da sabato il quattro volte di seguito campione del mondo di pattinaggio di figura individuale, Yuri Plisetsky.

    Yuri si sentì osservato con blanda curiosità. Essere una celebrità, lì, doveva voler dire essere un genio, aver vinto un Nobel o qualcosa del genere. Alcune delle ragazze sussurrarono qualcosa tra loro. Magari lo avevano visto in tv, di sfuggita, per le olimpiadi, mentre attendevano che la regia passasse a qualche gara in cui un inglese avesse possibilità di medaglia. A qualcuna di loro piaceva, ma era un apprezzamento puramente estetico di cui a Yuri non era mai importato nulla. Più che altro, notò, si chiedevano perché mai un atleta straniero fosse venuto a trovare il loro professore. Dai commenti che sentiva serpeggiare tra gli studenti che stavano adesso uscendo dall’aula, non avevano una precisa idea delle origini del loro docente. Lui non era inglese, il nome che aveva pronunciato non era inglese. Roba dell’est. Immaginavano che fossero connazionali.

    Piuttosto ignoranti, per essere al primo anno di università.

    Ma anche quella era una cosa che lui gli aveva detto, anni prima. «Hai imparato più cose tu, girando per il mondo, che alcuni dei miei professori».

    Nessuno degli studenti gli si avvicinò o gli chiese qualcosa. Forse, col nome che aveva, pensavano che non parlasse inglese. In dieci minuti la classe si svuotò e rimasero solo loro due.

    Si guardarono in silenzio. 

    Negli ultimi quattro anni si erano visti solo una volta, per il funerale di suo nonno, quando Yuri, all’uscita dalla chiesa, si era trovato davanti Otabek all’improvviso. C’erano state solo rigide condoglianze e poi il kazako se ne era andato in silenzio.

    Prima c’era stato troppo.

    Otabek raccolse il tablet e lo infilò nello zaino e poi si avvicinò di un passo.

    – Cosa è successo sabato? – chiese.

    Non ciao. Che cosa ci fai qui? Perché adesso?

    Che cosa è successo sabato.

    Senza volerlo, Yuri sorrise. Sabato aveva vinto il suo quarto mondiale di fila. Quello era successo, in apparenza. Ma Otabek era Otabek.

    – Eri là? – chiese Yuri.

    Sarebbe stato tipico se si fosse mescolato tra il pubblico senza neanche scendere a salutare.

    L’altro scosse il capo.

    – No. Non potevo. Ti ho guardato da casa.

    E anche così aveva visto.

    – Non adesso – sospirò Yuri.

    Otabek annuì, accettando il silenzio.

    – Da quanto non dormi?

    – Da venerdì.

    Era mezzogiorno di lunedì. Otabek annuì di nuovo.

    – Vieni, andiamo a mangiare – disse.

    Di colpo Yuri notò che l’altro aveva al polso sinistro un braccialetto da uomo, in cuoio e oro. 

    Era stato un errore andare da lui. No, non un errore. Non aveva scelto. Si era diretto da lui come l’ago di una bussola si dirige verso il nord magnetico. Senza alcuna volontà.

    Si avviarono in silenzio, Yuri un passo indietro, guardandosi intorno. 

    Non era un’università grande e la città, mentre l’attraversava, concentrato sul navigatore dell’auto presa a nolo, gli era parsa piuttosto deprimente. Quando in segreteria aveva chiesto del professor Altin, la ragazza aveva dovuto cercare nel database chi fosse e dove fosse. A quanto pareva teneva il corso base del primo anno. Tutto gli era parso terribilmente sbagliato.

    – Quindi è questo che fai adesso – disse.

    – Sì.

    – È…?

    – È un lavoro – ribatté Otabek, con tono duro, ma poi sorrise. – Non è un brutto lavoro.

    – Ma non è…

    – Il campionato del mondo? No. È più una competizione regionale, se vuoi metterla così – sospirò e poi scosse il capo, ma non era arrabbiato. – Che cosa dovrei fare? L’eroe nazionale come Yuuri? O le pubblicità del cibo per cani come Victor? Non ho vinto né guadagnato come voi.

    Yuri non disse nulla. Un argento olimpico, due titoli del mondo, una quantità sbalorditiva di podi… Non poteva diventare da un giorno all’altro uno qualunque. Ma era vera anche l’ultima affermazione. Ne avevano parlato prima che il kazako si ritirasse, quando ancora si parlavano. Aveva aiutato a sistemare la casa dei propri genitori, aveva pagato le spese per due operazioni del padre e quelle per il matrimonio riparatore del fratello, a quanto pareva mettere incinta una ragazzina mussulmana di sedici anni aveva un costo. Otabek aveva chiuso la propria carriera agonistica tenendo per sé quasi solo i postumi degli infortuni.

    – Potresti allenare pattinatori da campionato del mondo, invece che matematici da torneo regionale.

    – E accollarmi tutte le loro crisi di nervi? Preoccuparmi se mangiano, se dormono, se scopano, con chi scopano? No grazie.

    Yuri non poté evitare di sorridere. 

    – Victor ha cercato di accollarmi le juniores, quest’anno – disse. – Erano delle bambine deliziose fino a… Fino al giorno prima. E poi a inizio stagione per poco non mi cavano un occhio durante un litigio. Guarda. Ho ancora il segno!

    Non era vero. Ma Otabek si avvicinò comunque a controllare. Fece per passargli il pollice sulla guancia, ma si bloccò a metà del gesto. Anche Yuri si bloccò prima di afferrargli la mano. C’era stato troppo tra loro. E ora c’era quel braccialetto.

    – Non la piccola Lutz, spero – si limitò a dire Otabek.

    – La piccola Lutz, se non te ne fossi accorto, ormai ha diciotto anni e ai mondiali è arrivata quinta.

    Da come spalancò gli occhi, era una notizia che si era del tutto perso.

    – Ah… Non sto dietro alle gare femminili – disse. – In realtà sto poco dietro anche alle tue… Io… Quando sono venuto qui non mi sono neppure portato i pattini. Eppure il palaghiaccio è giusto qui dietro.

    Questa volta fu Yuri a spalancare gli occhi. Sapeva che Otabek nei primi tempi aveva partecipato a qualche galà, ma poi aveva praticamente smesso. Praticamente, però, era diverso da non portarsi neppure i pattini nella propria nuova casa. Gli tornò in mente una scena a cui aveva assistito poco dopo che si era trasferito in Giappone. Era quasi settembre. Per qualche motivo era arrivato al palazzetto presto, molto prima di Yuuri. Victor era già lì. Aveva i pattini ai piedi, era appoggiato al bordo pista e piangeva. In teoria era guarito. Persino meglio del previsto. Per il periodo natalizio aveva in programma due esibizioni di cui una in Svizzera, con Chris. Ovviamente era andato al palazzetto all’alba per provare le coreografie. Yuri era riuscito ad arretrare senza essere visto. Victor aveva continuato a piangere per un po’ e poi era uscito e si era tolto i pattini, scagliandoli lontano, con rabbia. 

    All’epoca Yuri non aveva capito, ma adesso che al proprio ritiro non mancava molto, era diverso. Quanto sarebbe stato terribile il confronto tra ciò che era stato e ciò che era o sarebbe stato? Alla fine Victor aveva fatto il galà in Svizzera e anche qualcun altro, nel corso degli anni. Ma non aveva mai ripetuto le coreografie delle proprie vittorie e non si era mai più esibito con Yuuri, come avevano fatto per i galà delle poche gare che avevano svolto insieme.

    Erano arrivati a un bar grazioso, che dava su un parco. Non uno di quei locali storici che tanto piacevano ad Otabek, ma un posto gradevole dove, dal saluto della cameriera, il kazako era cliente abituale.

    Yuri lasciò che fosse l’altro a scegliere il tavolo e a ordinare per entrambi. Per la prima volta da giorni poteva permettersi di lasciare che la stanchezza lo avvolgesse. Non c’erano nuovi messaggi. Poteva smettere di pensare. Sentirsi al sicuro.

    Otabek lo lasciò in quella deriva dolce, senza chiedergli niente, finché non si materializzò sul tavolo il sandwich al tacchino con insalata e patate al forno, acqua e birra.

    Yuri guardò il boccale con perplessità.

    – Se bevo adesso potrei addormentarmi all’istante – commentò.

    – Forse è la cosa di cui hai bisogno – replicò Otabek.

    Da quanto nessuno gli parlava con quella dolcezza? Da quanto non era Otabek a farlo? Nell’ultimo periodo si erano solo urlati contro, stritolati dalle loro vite divergenti. Yuri incapace di capire davvero i dolori di un atleta a fine carriera, Otabek troppo amareggiato e avviluppato dalle proprie responsabilità per trattenere la rabbia. Se si fossero amati meno, prima, da meno tempo, forse, si sarebbero fatti meno male… 

    La loro era una giovinezza finita troppo presto. La cameriera e gli altri avventori del locale li vedevano senza dubbio giovani. Due uomini a cavallo dei trent’anni, pieni di potenzialità ancora inespresse. Ma loro sapevano di essere due vecchi, la cui vita vera si era bruciata o si andava bruciando, lasciando davanti a loro solo una sterminata senilità. 

    Con uno sforzo, Yuri prese il proprio sandwich. 

    Ancora a distanza di così tanti anni dal giorno in cui Otabek aveva fatto irruzione in bagno dove lui stava vomitando la propria cena, il kazako aveva la necessità di vederlo mangiare per tranquillizzarsi. Yuri sapeva che sarebbe anche stato marcato stretto per le successive tre ore. Lo aveva odiato per questo, odiato davvero, con un astio del tutto irrazionale, ma non per quello meno violento. Perché sapeva che agiva per il suo bene. Perché sapeva che qualcun altro sapeva meglio di lui quale fosse il suo bene. Perché gli veniva negato il diritto all’autodistruzione, costringendolo ad accettare il fatto di essere importante per qualcuno. E quando sei importante per qualcuno hai dei doveri. Come mantenerti vivo. Beh, anche adesso aveva dei doveri e doveva sforzarsi di mantenersi vivo. Le vecchie abitudini erano facili da riprendere. Il giorno precedente non aveva mangiato quasi nulla e quella mattina aveva a malapena trangugiato un caffè. 

    Sospirò, sentendo suo malgrado che i pensieri si schiarivano e tornavano più coerenti via via che gli zuccheri entravano in circolo.

    – Cos’è successo? – chiese Otabek, quando decise che uno svenimento non era più imminente.

    – Yakov ha avuto un infarto venerdì notte – Yuri controllò per scaramanzia se ci fossero messaggi prima di proseguire. – Dovrebbero averlo preso per i capelli. Ora è in terapia intensiva. Victor è partito subito dopo la mia esibizione.

    Otabek annuì. I particolari non gli servivano. Non aveva bisogno di chiedere perché Victor fosse partito subito e lui fosse in quello stato per la salute di un vecchio allenatore che non vedevano da anni. 

    – Ho visto che se ne è andato prima della premiazione. Tu quando parti?

    Yuri sospirò.

    – Mercoledì. Non ho potuto evitare tutto il pacchetto di conferenze stampa, galà, interviste e non ho trovato un volo prima.

    Otabek annuì di nuovo.

    – Va bene. Fino a che è in terapia intensiva non c’è molto che tu possa fare per lui.

    – Lo so. Ma non voglio che Victor resti solo, là. Yuuri non può mollare tutto per raggiungerlo e lui è negato per le questioni pratiche. Ci sarà da decidere per le cure, la riabilitazione, l’assistenza. E poi non è facile quando senti che potresti perdere qualcuno…

    Suo nonno non gli aveva detto di avere il cancro fino all’ultimo. Yuri lo aveva odiato per questo. Con la scusa di non farlo distrarre dalla carriera agonistica e di non fargli sperperare i guadagni si era arrogato il diritto a morire solo. Senza capire che cosa volesse dire vivere col dubbio di aver potuto capire, da un accenno, dall’aspetto più sciupato, dal tono della voce, e di non averlo fatto. Forse di non averlo voluto fare.

    – Pensavo che magari potrei prendermi una pausa e rimanere qualche mese in Russia, per vedere come se la cava – disse, a conclusione del pensiero. – …Victor vorrebbe portarlo in Giappone, ma spesso non fa bene agli anziani essere sradicati.

    – Dagli qualche giorno, e poi anche Yakov vorrà dire la sua in proposito – replicò Otabek.

    – È probabile – concesse Yuri.

    Ma quello era il momento in cui i giovani dovevano mostrarsi più ragionevoli dei vecchi e né lui né Victor avevano molta esperienza in materia di ragionevolezza. Forse era proprio il momento di diventare adulti.

    – Dove alloggi per queste due notti? – chiese il kazako.

    Yuri si strinse nelle spalle.

    – Ci sarà un hotel, da qualche parte.

    – Vieni da me – disse Otabek. Il tono era neutro, la proposta di un amico. – Non disturbi nessuno, non ho neppure un animale domestico.

    Yuri guardò di sottecchi il braccialetto. Quello che aveva detto non significava niente. Solo che non conviveva con nessuno. 

    Annuì. 

    Era una cosa in meno a cui pensare.

    Otabek parve soddisfatto di quella presa di posizione e si concesse una lunga sorsata di birra.

    – Come stanno i due pazzi? – chiese. – A parte quest’ultima tempesta, intendo.

    – Bene – rispose Yuri. – È incredibile come riescano a sembrare delle persone serie. Meglio, Yuuri è sempre stato serio, ma con l’età inizia ad apparire… Autorevole. Tranne con i cani. Con i cani rincretinisce, del tutto. Victor… È strano essere il più anziano in una pista… Ti ricordi quando sei venuto a San Pietroburgo? Eravamo tutti terrorizzati da Yakov, tranne Victor. Pensavamo che fosse, beh… Perché Victor allora era Victor, il più grande di tutti. Adesso credo fosse perché era stato preso da Yakov quando aveva quattordici anni e allora neppure Yakov era Yakov. Adesso sono io il sopravvissuto dell’era precedente, l’unico a ricordare di quando il grande capo faceva il cretino a bordo pista. Fa impressione.

    – Cosa farai dopo? Continuerai a lavorare con loro?

    Yuri si sentì rabbrividire. Faceva male pensare davvero al proprio ritiro. Il suo corpo reggeva, nonostante due operazioni, ed era ancora il migliore. Ma quanto sarebbe durato? Un anno? Due? Le olimpiadi del 2030 erano il traguardo migliore a cui potesse aspirare. E ci voleva un miracolo per fare in modo che Yuuri non fosse più l’unico pattinatore ad aver vinto due ori olimpici. Persino con quel miracolo, la fine sarebbe arrivata. Quella di Otabek non era una bella domanda da porre a un atleta nelle sue condizioni e tuttavia era terribilmente Otabek. Diretta, brutale e senza astio.

    – Victor vorrebbe. Che fossi una sorta di intermedio tra Yuko e Yuuri al settore giovanile e lui con le punte di diamante. Però vorrebbe dire prendere ordini da Victor per tutta la vita… Mi piacerebbe provare qualcosa di diverso, per cambiare.

    – Ci sono un sacco di cose che potresti fare, a parte l’allenatore di pattinaggio o il cronista sportivo.

    Yuri lo guardò storto.

    – Sai le lingue, vivi in Giappone da quanto? Dieci anni? – continuò il kazako. – Non hai idea di che fatica si faccia qui a trovare interpreti e traduttori per il russo e il giapponese.

    Qui?

    Era un qui generico, a titolo di esempio o un qui personale?

    Yuri si limitò a scuotere il capo.

    – Non sono come te. Non c’è molto che rimanga di me, fuori da una pista di pattinaggio… Tu… Qua… Non saranno i campionati mondiali, ma te la cavi bene?

    – Sì, direi di sì. Te l’ho detto, è un buon lavoro. La maggior parte dei miei colleghi si è preparata per questo per tutta la vita. Dopo tutto anch’io ho vinto un concorso per arrivare qua. Non saranno state le olimpiadi, ma è comunque qualcosa… È bello essere di nuovo quello giovane, con una carriera davanti. Quando ti ritiri è inevitabile, credo, sentirsi un po’ patetici. Ho fatto e ho detto cose in quel periodo, con te, sopratutto… Meglio cancellare tutto e ricominciare da capo… I colleghi, qui, sono persone piacevoli, un po’ meno monomaniaci ed egocentrici che nel pattinaggio. Qualcuno dice che è un ambiente competitivo, ma per me è rilassante… La gente, in generale, se ne frega di come vivi, di cosa ti piace, di chi frequenti. Riesco a tornare a casa abbastanza spesso, ma diciamo che è la giusta distanza dai miei.

    La famiglia di Otabek era mussulmana e solo la sorella sapeva che fosse gay. Non tutti erano fortunati come Yuuri, la cui famiglia aveva adottato Victor con entusiasmo. Per certi versi non avere nessuno semplificava le cose. Per la prima volta, Yuri si chiese quanto la cosa avesse logorato il loro rapporto. Lui non doveva rispondere a nessuno, se non a un nonno che viveva lontano. Che cosa aveva significato per Otabek esporsi al punto di chiedergli di vivere insieme, smettere di rubare l’amore dopo una competizione o in quelle poche settimane estive? Per la prima volta, Yuri si rese conto di cosa avesse voluto dire per l’altro il suo viso schifato all’idea di interrompere una routine a lui del tutto congeniale. Ma quattro anni e mezzo prima non era pronto, era finalmente il più forte al mondo, voleva solo gareggiare e scopare, senza un pensiero al futuro. Aveva dato del vigliacco al kazako per volersi ritirare, costruirsi una stupida vita ordinaria, con un lavoro vero e un compagno. Andare con lui avrebbe significato rivoluzionare la sua vita, Yuri lo aveva inteso quasi come un “se mi ami, ritirati insieme a me”. E invece Otabek era stato pronto a infrangere per lui tutte le illusioni che la sua famiglia si era fatta. Nessuna sorpresa che avesse reagito dando il peggio di sé. 

    Scosse il capo.

    – Hai qualcuno?

    Non lo voleva chiedere. La sua bocca si era mossa da sola. Era la stanchezza, la mezza birra che aveva bevuto. La sensazione di potersi abbandonare senza controllo alcuno.

    Otabek non sembrava disturbato dalla domanda.

    – Non al momento.

    Quindi prima sì. Forse in futuro.

    Yuri sentì un istinto rabbioso a sapere. Chi fosse stato, chi avrebbe potuto essere. Chi avesse baciato quelle labbra sottili, messo le mani in quei capelli, stretto quella schiena muscolosa che era stata sua proprietà esclusiva. Ma ne aveva ceduto il diritto ad altri. Era stato lui a gridargli di andarsene. Non poteva essere geloso di qualcosa che aveva gettato via, giusto?

    – Sai, si diventa piuttosto schizzinosi, quando si ha avuto il meglio – buttò lì Otabek.

    – Sì, lo so – replicò Yuri.

    Lui non aveva avuto nessun altro. Che cosa patetica. All’alba dei ventotto anni essere stato a letto con una sola persona. Ma cosa poteva farci? Viveva in Giappone e ci si trovava anche bene, aveva amici affezionati, ma a livello fisico i giapponesi gli facevano schifo, troppo simili a ragazzette. Quindi chi rimaneva? I rivali fintamente adoranti che magari volevano portarlo a letto per cercare di tagliargli la gola nel sonno? E in ogni caso sarebbe stato portarsi a letto il fantasma di Otabek. Frequentare qualche squallido locale quando era all’estero o, peggio, in Russia era troppo stancante per quel misero risultato. Tanto valeva farsi una sega e finirla lì.

    Era stato fortunato, fortunato davvero, Victor, a inciampare in Yuuri al momento giusto. Adesso  capiva perché l’allenatore gli avesse raccontato una volta di aver iniziato a pensare a Yuuri come a qualcosa di più di una possibile bella scopata quando avevano parlato della sfida delle Terme di Ghiaccio. Yuuri aveva chiesto come premio di condividere con lui il proprio piatto preferito. Il suo premio non era portarselo a letto o ottenere qualcosa da lui, ma condividere qualcosa. Diventa snervante, alla lunga, essere l’oggetto del desiderio di un sacco di gente, nessuna delle quali è davvero interessata a passare del tempo con te senza ottenere qualcosa in cambio… 

    Bene, la sua occasione l’aveva avuta. Era stato lui a usarla male.

    – Yuri…

    – Sì?

    – Ti stati praticamente addormentando qui. Vuoi andare a stenderti un paio d’ore?

    Yuri scosse il capo.

    Non vedersi per quattro anni e mezzo e poi finire subito in una camera da letto era troppo. Non ne sarebbe uscito niente di buono. 

    – Non sono così stanco. Ho un’idea migliore.

    

*

 

    Era una pessima, pessima, pessima idea.

    Otabek si stava legando il pesante pattino preso a noleggio cercando di capacitarsi di come fosse finito lì. 

    Tra tutti i posti del mondo proprio al palaghiaccio era voluto andare Yuri?

    E quando mai, del resto, il loro rapporto era stato nelle sue mani? Da quel primo vero bacio nei bagni prima della finale olimpica, in Corea, fino al momento in cui era stato cacciato con l’ingiunzione di non farsi più vedere, alla guida c’era stato Yuri. 

    C’era anche da dire, per onestà doveva ammetterlo, che ogni santa volta che era stato lui a prendere l’iniziativa era stato un disastro. Da quel tentativo di bacio la sera della cerimonia d’apertura della loro prima olimpiade, finito con un calcio nei coglioni che il kazako ricordava ancora troppo bene, fino al suo maldestro ed evidentemente malriuscito tentativo di chiedere a Yuri di andare a convivere che aveva fatto precipitare tutto. In qualche modo, quando accettava, proprio lui che doveva avere sempre tutto sotto controllo, che fosse Yuri a condurre, le cose andavano bene.

    Che pattinassero, dunque. 

    Nel palazzetto di Newcastle, pieno di studenti.

    E, in effetti, andare subito a casa non sarebbe stata una grande idea. Sarebbero finiti a letto, di sicuro. Nello stato in cui era Yuri, preoccupato, esausto e insonne, sarebbe stato quanto meno approfittarsene. Quante volte in passato, scopare era stata la scelta più ovvia e più facile? Per quanto fosse meraviglioso tuffarsi nel corpo nudo e bellissimo di Yuri, un Yuri per altro del tutto inconsapevole dell’effetto che poteva fare, non avrebbero fatto meglio a parlare, magari?

    Probabilmente, la cosa di cui Yuri aveva bisogno era proprio un blando defaticamento. Con un po’ di fortuna poi sarebbe crollato. Forse Otabek si sarebbe permesso di guardalo dormire, del tutto abbandonato, con i capelli biondi sparsi sul suo cuscino, una divinità materializzatasi per miracolo in casa sua… Il giorno dopo sarebbero stati entrambi più lucidi. 

    E quindi che pattinassero. 

    Una parte di Otabek desiderava soltanto vederlo pattinare un’ultima volta.

    Se avesse raccontato in giro che si era innamorato di lui quando Yuri aveva undici anni si sarebbe beccato quanto meno del pedofilo. Il fatto che lui ne avesse poi quindici non sarebbe stata considerata una scusante. Sarebbe stato più comprensibile se avesse spiegato che quando aveva undici anni Yuri lo aveva stregato con il suo modo di pattinare.

    Otabek era stato, a seconda del punti di vista, terribilmente fortunato o dannatamente sfortunato. Una volta un giornalista lo aveva definito il primo degli umani nell’epoca degli dei. Era vero. Lui aveva camminato da mortale in mezzo agli dei del pattinaggio, figure mitiche di cui Yuri al momento era l’ultimo esponente. Almeno in campo maschile, non si vedeva ancora qualcuno che potesse raccogliere lo scettro. Victor, Chris, Yuuri, Yuri e persino J.J., ognuno di loro aveva raggiunto vertici di tecnica e espressività che nessuno, al momento, riusciva a eguagliare. Ognuno era ugualmente speciale. Ma Yuri quando pattinava aveva una grazia ultraterrena che nessun altro aveva. Doveva dare atto a Victor di averne sempre saputo esaltare le caratteristiche con le proprie coreografie. Il risultato era quest’angelo biondo che si muoveva senza peso, volava sopra pista, pervaso da una bellezza androgina che non poteva lasciare indifferente. Se poi si aveva la fortuna, o la sfortuna, di conoscere la versione fuori pista di quello stesso individuo, aggressivo e rozzo, ma privo di malignità, il confronto risultava ancora più conturbante.

    Millenni di leggende non lo avevano aiutato. Innamorarsi di un dio o di un angelo non portava mai niente di buono. Almeno, millenni di leggende gli davano un alibi. Non è che si scelga di innamorarsi di un dio o di un angelo. Una volta che lui ti ha guardato, il tuo destino è segnato. Tanto vale rassegnarsi.

    Quindi, in definitiva, tutto quello che Otabek poteva fare, quel pomeriggio, era sperare di non distruggersi in modo definitivo il ginocchio sinistro, responsabile del suo ritiro, sperare di vedere il suo dio volare e prepararsi a perdere temporaneamente il controllo sulla propria vita.

    Terminò di legarsi il pattino e si preparò ad andare. Il braccialetto si impigliò nella stringa e la cosa lo fece sogghignare. Fin da quando Yuri si era  presentato in aula aveva notato che lo guardava. E lui, da bastardo qual era, lo aveva ostentato fino a farlo uscire allo scoperto con quella domanda. Un punto per lui, almeno. E così aveva saputo anche che Yuri era sigle. 

    Glielo aveva regalato sua sorella, quel braccialetto, quando lui si era trasferito in Inghilterra. Ma a Yuri non l’avrebbe detto neppure sotto tortura.

    Sapeva ancora muoversi e già questo era straordinario. Certo, sembrava di avere ai piedi dei blocchi di cemento, ma i vecchi automatismi tornavano. Il suo corpo sapeva come comportarsi e lui non doveva preoccuparsi di pensare.

    Yuri lo attendeva in centro alla pista, bellissimo anche nella semplice tuta nera. Aveva pattinato in modo banale, per non attirare l’attenzione, ma si era creato il vuoto intorno a lui. Chiunque fosse in quel momento sul ghiaccio si era portato verso il bordo pista senza neppure rendersene conto. La reazione automatica dei mortali all’incedere degli dei.

    – Allora non sei del tutto arrugginito – gli disse il russo, venendo a fermarsi di fronte a lui.

    Otabek si limitò a sbuffare, mentre cercava di sciogliere spalle e braccia.

    Certo che si era tenuto in esercizio. Se c’è una cosa che si impara se si studia mentre si procede lungo una carriera agonistica internazionale è a gestire il proprio tempo. Trovarsi con solo un lavoro a cui badare era quasi spiazzante. Andava ogni giorno in piscina o in palestra e non usciva di casa senza aver completato la propria sequenza di esercizi. Ma non metteva i piedi sul ghiaccio da più di due anni.

    – Dimmi cos’hai in mente? – chiese.

    – Niente. Pattinare insieme per il puro gusto di farlo – gli occhi verdi di Yuri adesso brillavano come se fosse ancora un ragazzino. – La coreografia per il galà del mondiale del 2019?

    Suo malgrado Otabek sorrise.

    L’aveva studiata lui, sulla colonna sonora de I tre moschettieri. Lui e Yuri che tiravano di scherma piroettando sul ghiaccio. Victor ne aveva detto tutto il male possibile, ma quando l’aveva vista aveva riso come un matto anche lui.

    – Non abbiamo i finti fioretti.

    – Che importa? Non abbiamo nulla da dimostrare a nessuno.

    Oddio… C’erano almeno dieci dei suoi studenti a bordo pista. Il palaghiaccio era convenzionato con l’università e tanto per cambiare aveva preso a piovere. Probabilmente ne sarebbero arrivati altri.

    – Solo se prima mi fai vedere una cosa – provò a contrattare.

    – Cosa?

    – La coreografia del libero. Solo la coreografia. E un salto, se te la senti.

    – L’hai vista.

    – Ammetterai che non è la stessa cosa.

    – Senza musica non ha senso.

    – Lo so, infatti la musica sta per partire. L’ho chiesto prima.

    Otabek aveva scoperto che conosceva il responsabile della pista, veniva in palestra con lui. Una sera erano anche usciti per bere qualcosa. Adesso ricordava che l’uomo aveva cercato di chiedergli qualcosa sul suo passato. Ovviamente, se gestiva il palaghiaccio di Newcastle, lo aveva riconosciuto, ma quella sera Otabek non lo aveva capito. Trovandoselo davanti quel pomeriggio, perfettamente consapevole dell’identità del dio biondo che stava prendendo possesso della pista, per la prima volta il kazako si era reso conto che forse non si era nascosto poi così bene. Forse il suo passato non era una cosa che potesse seppellire. Forse neppure ne valeva la pena…

    Yuri intanto stava facendo una faccia imbronciata da bambino capriccioso. Assolutamente deliziosa.

    Ma, quasi automaticamente, si stava mettendo nella posizione di partenza.

    La musica cominciò.

    Nessuno, se non Yuri, poteva pattinare sulle note del Lago dei cigni senza apparire stucchevole. 

    Se da adolescente aveva interpretato la purezza dell’amore ideale con un costume che richiamava il cigno, ora, però, era il mago che scompigliava i destini e trasformava chiunque a suo piacimento. Guardandolo in tv, Otabek aveva pensato che tutti i cigni incantati e il principe fossero gli altri pattinatori, costretti a ballare una musica scritta da lui, disperati nel tentativo di liberarsi del suo potere e del suo predominio, senza riuscirci. Mentre Yuri iniziava a muoversi per la pista, di colpo del tutto libera, pensò invece che il russo era una creatura unica, del tutto diversa da chiunque altro. Cosa voleva davvero il mago? Forse non lo sapeva neanche lui. Danzava una musica propria che gli altri chiamavano oscura solo perché non la potevano capire. Intesseva inconsapevole un incantesimo che imprigionava chiunque lo guardasse.

    Il suo costume, come la tuta che indossava in quel momento, era nero, in contrasto con la pelle chiarissima e i capelli biondi. Scivolava volando sulla pista, lanciando la sua magia e tutti, fosse anche chi per la prima volta, per caso, quel pomeriggio era entrato al palaghiaccio, ne erano avvinti.

    Yuri mosse il viso, lo cercò con lo sguardo e gli strizzò l’occhio. 

    Ecco il salto che gli avrebbe dedicato, dunque. Lo stramaledettissimo quadruplo Axel. Solo lui, Victor, Yuuri e J.J. erano riusciti a farlo in gara. Circolava la leggenda che ci fosse un qualche segreto tecnico che Victor aveva scoperto e che aveva trasmesso solo ai suoi allievi. Otabek, che si era allenato con loro per ogni estate, per anni, e si era distrutto un ginocchio nel tentativo di padroneggiarlo, sapeva che non era così. Servivano solo doti atletiche eccezionali e un superiore controllo del proprio corpo. Essere dei, insomma. 

    E ogni volta che Yuri partiva con quel salto, Otabek, consapevole di quanto ci si potesse far male cadendo, sentiva il proprio respiro fermarsi.

    Eccolo. 

    Yuri era più leggero di quanto non fossero stati Victor e Yuuri, raggiungeva un’elevazione maggiore il che gli rendeva più facile… Che diavolo stava facendo?

    Una rotazione, due, tre, quattro… 

    Cinque…?

    E mezzo, ovviamente…

    L’atterraggio non era… Non poteva essere facile.

    Otabek iniziò a muoversi verso di lui prima ancora che Yuri finisse sul ghiaccio. 

    Di sedere, per fortuna, senza ginocchia o caviglie con angoli assurdi e innaturali.

    – Che cazzo fai? – sbottò, troppo in ansia per essere gentile.

    Yuri però rise.

    – Hai visto? Ho completato le rotazioni, alla faccia di chi diceva che era impossibile.

    – Impossibile senza rischiare di rompersi l’osso del collo… – poi capitolò, sorridendo. – Eri bellissimo.

    – Quando tu mi guardi, pattino meglio.

    – Fortuna per i tuoi avversari, allora, che ti abbia perso di vista… Non che ne abbiano approfittato – Otabek prese un respiro, cercando di tornare serio e lo aiutò a rialzarsi. – Non avresti dovuto farlo qua.

    Yuri aggrottò la fronte. Poi considerò il palazzetto. Le persone immobili a bordo pista e sugli spalti, troppo pietrificate anche per applaudire.

    – Forse hai ragione… Se esce un video è la volta che Victor mi ammazza.

    Otabek scoppiò a ridere. Negli anni Victor aveva imparato a farsi rispettare da Yuri e dagli altri pattinatori che allenava, ma agli occhi del kazako rimaneva una delle persone meno temibili che avesse mai incontrato.

    – Scherzi? Mi dà in pasto ai barboncini! Una fine terribile e indegna… E smettila, adesso devi venirmi dietro… Dici che ce la mettono la musica del nostro galà?

    – Faranno qualsiasi cosa tu possa chiedere, a questo punto.
 

    Bene, era imbarazzante. Ma anche magnifico.

    Non era vero che il suo corpo sapeva cosa doveva fare. O, meglio, una parte sì, si muoveva in autonomia, ma la muscolatura non stava dietro, non rispondeva alla stessa velocità. Era così concentrato su quello che stava facendo che quasi non riusciva a guardare Yuri che gli piroettava intorno, bellissimo.

    E tuttavia era splendido pattinare ancora. Con Yuri.

    Non solo avevano la musica. Avevano recuperato anche due bastoncini da usare come finti fioretti. Yuri e Otabek si sfidavano, si stuzzicavano, combattevano e si seducevano sulla pista da pattinaggio.

    Otabek era in ritardo sulla musica e doveva di continuo semplificare la coreografia, ma Yuri era talmente padrone di se stesso da assecondarlo senza farglielo pesare. 

    Evitarono i salti, ovviamente.

    L’esibizione terminava con Otabek che riusciva infine a colpire Yuri al cuore. È l’unico modo che hai per sconfiggermi, goditelo, era stato il suo commento, all’epoca. Il corpo del russo si accasciava e Otabek lo sosteneva, chinandosi su di lui fin quasi a baciarlo.

    Ma era stato quasi dieci anni prima, quando la muscolatura di Otabek era al meglio e Yuri era ancora più magro.

    Yuri, con il sogghigno di chi ha già previsto tutto, si lasciò andare. Otabek fece per trattenerlo, ma ne fu sbilanciato.

    Cadde sopra di lui, cercando di puntellarsi almeno con un braccio.

    Finì con il viso sul suo petto, schiacciato contro la felpa nera. Sentiva il suo cuore battere a ritmo accelerato e il suo odore buono, con quel deodorante delicato, lo stesso di allora, avvolgerlo.

    Chiuse gli occhi. 

    Sentì la mano di lui che gli accarezzava i capelli.

    – Professore, hai una dignità da difendere – gli sussurrò Yuri.

    Con uno sforzo, si staccò da lui, mentre la sua parte razionale controllava che nessuno dei due si fosse fatto male. 

    Si trovò inginocchiato sul ghiaccio.

    Quando rialzò la testa, vide che tre delle sue studentesse si erano avvicinate, più intimidite di quando imploravano più tempo per studiare.

    – Professor Altin…

    –… Lei è stato alle olimpiadi…

    – … Pensavamo…

    – … Potrebbe insegnarci…?

    Yuri, ancora seduto sul ghiaccio, si godeva la scena sorridendo. Come se quello fosse l’obiettivo che si era posto fin dall’inizio.

    – Vedi? Non riuscirai mai a liberarti del pattinaggio.

    – O di te – osò Otabek. – Ma eri tu che volevi liberati di me.

    Tese una mano, per aiutarlo a rialzarsi.

    Yuri la strinse, sempre sorridendo, il viso leggermente arrossato e non per lo sforzo.

    – Non voglio. Non più.






Ed eccoci qui, alla fine.
Tra il termine di "Riflessi" e questa storia, è evidente, tra Otabek e Yuri è successo di tutto e di più, ma ho preferito raccontarvela così, pur avendo ben chiari tutti i passaggi, saltando direttamente al finale. Dovevano crescere e, dal mio punto di vista, anche stare da soli, perché si ronzavano attorno da quando avevano rispettivamente 19 e 15 anni e a volte hai bisogno di un po' di distanza per capire davvero di cosa hai bisogno.
Da qui in poi posso lasciar andare anche loro. Non vi racconto nulla, perché magari riuscirò a mettere giù cosa accade nel 2032 e allora ci sarà l'occasione per ripercorrere quanto successo prima, ma, in ogni caso, non sarà nulla di brutto. Saranno insieme e sapranno cavarsela, anche, a mio parere, meglio del previsto.

Questa storia è dedicata in modo particolare a Elina, che l'ha sponsorizzata in ogni modo possibile e in ogni modo possibile ha tifato per questo finale (che non era scontato, in una primissima storyline si lasciavano e basta).

Grazie di cuore a tutti voi che avete letto.

 

 

    

    

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yuri on Ice / Vai alla pagina dell'autore: Tenar80