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Autore: MissAdler    27/09/2019    8 recensioni
Storia scritta per la challenge "il tempo passa, la Johnlock resta" indetta dal gruppo FB "Johnlock is the way... and Freebatch of course"
[Post s3 ma pre s4] Mary è la mente dietro al Did you miss me, la nuova Moriarty. Ma a causa di lotte tra criminali, Mary sa che i suoi giorni sono contati e prima di morire vuole compiere un'azione buona, fingendo di farne una cattiva: rapisce Sherlock e John e, pistola alla tempia, ordina a John di prendere la verginità di Sherlock.
[#Johnlock #first!kiss #first!time #bottom!lock #virgin!sherlock #s4 #fuckordie #sfideimpossibili #complicarsilavita #ditemichenonègrottescaviprego #marycupidopsicopatico #happyending #badendingformary]
Genere: Erotico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Questa storia è stata scritta per l'evento "Il tempo passa, la Johnlock resta", organizzata dal gruppo FB "Johnlock is the Way... and Freebatch of course!"

 

 

 

~ESPIAZIONE~

 


 

PARTE PRIMA - IL PECCATO


 

“Non esiste nessuno, nessuna entità superiore a cui si possa fare appello, per riconciliarsi, per ottenere il perdono. [...]ed è proprio questo il punto. Si risolve tutto nel tentativo.”

 

da “Espiazione” di Ian McEwan

 

 

Non ho mai pensato molto alla vecchiaia. Nella mia mente non sono mai riuscita a vedermi con la faccia incartapecorita, gli occhiali da presbite e la chioma canuta, non riuscivo ad immaginare come potesse essere vivere staticamente, senza perseguire uno scopo più alto, senza combattere, senza fuggire, e forse, più di ogni altra cosa, non riuscivo a vedermi in pace.

Eppure l'autunno della vita dovrebbe essere proprio questo, suppongo. La tranquillità definitiva, una sorta di quieta e malinconica rassegnazione nei confronti del passato, accettazione di quello che è stato, di ciò che non si è vissuto e di ciò che non accadrà mai.

Ho sempre saputo che questo non faceva per me, che era il dinamismo a tenermi in vita, a darmi forza ed energia per continuare a fare ciò che credevo fosse giusto, ciò che ritenevo la mia vocazione.

Non ho mai pensato che un giorno avrei avuto il privilegio di poter rimpiangere le mie scelte, magari seduta in poltrona, con le babbucce ai piedi e un paio di ferri da calza nelle mani artritiche, ripensando alle vite spezzate, alle mie mille identità, nessuna delle quali si confaceva a me fino in fondo, alla famiglia che avrei potuto avere e alla quale ho rinunciato ancor prima di poterla sentire mia.

Ho visto la felicità così da vicino da riuscire quasi a sfiorarla, ho conosciuto l'amore, perché ne ho ricevuto più di quanto non meritassi, perché lui mi ha amata, oh, sì, nonostante tutto, John Watson mi ha amata.

Non me, ovviamente. Come avrebbe potuto amare Rosamunde Mary Moran? Nemmeno la conosceva, quella donna, la consulente criminale che ha raccolto l'eredità di James Moriarty, che ha preso in mano con entusiasmo e dedizione il suo lavoro lasciato a metà, che avrebbe dovuto vendicarsi proprio di Sherlock Holmes, dell'uomo per cui John era erroneamente in lutto. Come avrebbe mai potuto amare colei che stava finendo di orchestrare segretamente Il Problema Finale?

Dio, no! Lui amava Mary Morstan, la versione di me che ho voluto mostrargli, la donna che, lo capisco solo ora, avrei disperatamente voluto essere.

Una parte di me è stata felice con lui, a modo mio l'ho amato. Del resto come si può non innamorarsi di John, con il suo grande cuore, la spiccata ironia e tutte le sue contraddizioni?

Non era nei piani, eppure era accaduto, nonostante una consapevolezza odiosa mi si insinuò nella testa già dal primo momento, da quando pronunciò per la prima volta il suo nome davanti a me, quel nome che Jim non smetteva mai di sussurrare con tono inquietante, mentre mi spiegava il suo folle disegno per distruggerlo.

Vidi qualcosa mutare in John, nei suoi occhi lucidi, una luce che per un istante aveva brillato come una stella remota e che l'aveva portato lontano, via da me, via da se stesso, probabilmente dov'era lui, in un ricordo che non mi avrebbe mai raccontato e in cui c'erano solamente loro due.

E allora capii. John Watson non avrebbe mai amato nessuno come amava Sherlock Holmes, vivo o morto che fosse, tantomeno la sottoscritta.

E sono certa che avesse continuato ad amarlo anche dopo il suo ritorno, anche mentre lo prendeva a pugni e gli gridava in faccia di odiarlo, anche mentre sceglieva me, per motivi che non sono mai riuscita a comprendere, mentre mi guardava negli occhi senza vedermi, mentre mi giurava amore eterno senza sapere che, quel voto, il suo cuore l'aveva già pronunciato per lui anni prima, forse dal primo momento in cui era entrato a far parte della sua vita. E la verità era che a me andava bene così, che quella gelosia imprevista avrebbe reso il mio compito più semplice: avrei dovuto insinuarmi tra loro, indebolire Sherlock Holmes, allontanarlo dall'unica persona che gli era davvero necessaria e tutto ciò non senza un punta di soddisfazione. Mi serviva scoperto, fragile, solo. Mi serviva un avamposto per tenerlo d'occhio, per poterlo colpire quando sarebbe stato il momento, e quell'avamposto era John.

Se fossi stata libera da ogni secondo fine, lontana dal compiere la mia missione suprema, probabilmente sarei scappata a gambe levate non appena mi fossi resa conto di cosa Sherlock rappresentasse per lui. Mi piace pensare che se fossi stata una donna come tante le amiche che non ho mai avuto mi avrebbero dissuasa dallo sposare un uomo innamorato irrimediabilmente di qualcun altro. Ma io dovevo farlo comunque, non per amore, sebbene ne provassi più del consentito, non per la speranza di una vita felice, non per il desiderio di una famiglia mia, ma solamente per lavoro, per una battaglia che ora, improvvisamente, non sembra più così importante.

Non è stato facile fingere di essere stupida, di non accorgermi di quegli sguardi, dei sorrisi che gli riservava, della felicità che gli faceva brillare gli occhi quando parlava di lui, o con lui, o semplicemente se erano entrambi nella stessa stanza.

Non è stato facile sentirlo pronunciare il suo nome nel sonno, una, dieci, cento volte, nelle notti in cui avrebbe solo dovuto stringermi a sé, baciarmi i capelli e sognare di noi.

Sì, accidenti, mi ero innamorata senza neppure rendermene conto, ed è stato ancor più difficile ammettere che non sarei mai stata in grado di allontanarlo da Sherlock come avrei dovuto, che iniziavo a desiderare di fallire, ché separarli sarebbe stato un peccato mortale, una bestemmia, un affronto all'amore stesso.

Ciò nonostante, ha prevalso la mia caparbietà, ho continuato a puntare il mio obiettivo, a mentire, ad essere la fidanzata ingenua di un compagno che non mi amava abbastanza, a tramare, manipolare e studiare da vicino l'uomo di cui mi ritrovavo mio malgrado ad essere gelosa, colui che intralciava il mio lavoro e il mio successo. La mia missione era più importante di qualsiasi altra cosa, Il Problema Finale doveva essere orchestrato fino in fondo e gli affari lasciati in sospeso da Jim andavano portati a termine.

Quello che non avevo calcolato era ciò che mai sarebbe dovuto accadere.

Rosie.

Ricordo lo shock sul volto di John il giorno del matrimonio, il panico nei suoi occhi e quel sorriso di plastica che a malapena dissimulava il terrore. Ricordo che non riusciva nemmeno a guardarmi, che non smetteva di toccare Sherlock, di cercare i suoi occhi, come se in qualche modo potesse aggrapparsi a lui per salvarsi, per restare legato ad una vita a cui aveva rinunciato per testardaggine e stizza, pentendosi finalmente di quella scelta e desiderando solo tornare indietro e restare con lui.

E ricordo il mio, di shock, la paura schiacciante, la consapevolezza che non avrei potuto più seguire il piano originale e che avrei dovuto trovare una soluzione efficace a quel tragico imprevisto.

Non volevo di certo essere madre, non ne avevo mai avvertito la necessità e con John non era mai capitato di parlarne seriamente, eppure, nonostante tutto, sapevo che se gli avessi rivelato di non voler portare a termine la gravidanza senza un valido motivo, avrei solamente peggiorato la situazione.

Perciò avevo deciso di aspettare, di recitare la mia parte fino a che Rosie non fosse venuta al mondo. A quel punto avrei potuto lasciarla a suo padre e sparire per dare inizio al gran finale.

D'altronde, già dopo le nozze, Sherlock sembrava sparito dalla circolazione, sapevo che era interessato a Charles Augustus Magnussen, che stava indagando su di lui, che voleva avvicinarglisi, e di certo per me sarebbe stato rischioso, perché quel verme sapeva ogni cosa di me e delle mie segrete collaborazioni, lui sì che poteva smascherarmi e mandare tutto a monte! Eppure, tenendo Sherlock lontano da John, forse sarei riuscita a gestire anche il resto, perfino Magnussen, a costo di sporcarmi le mani in anticipo.

Sembrava un ottimo progetto, ne ero convinta, ma quel che ancora non sapevo è che i bambini fanno cose strane al cervello degli adulti. O forse al cuore, più che altro.

Quel che è certo è che Rosie, già da quando nuotava dentro la mia pancia, doveva avermi rammollito parecchio, perché quando mi ritrovai, senza averlo previsto e con Magnussen a portata di tiro, a sparare una pallottola dritta nel petto di Sherlock Holmes, mi sentii sorprendentemente in colpa. Temetti di averlo fatto fuori, e non perché Jim mi avesse convinto che ucciderlo sarebbe stato troppo facile e a quel punto Il Problema Finale sarebbe rimasto irrisolto, bensì perché sapevo che John sarebbe letteralmente impazzito, che probabilmente stavolta l'avrebbe seguito senza rimpianti, che Rosie non avrebbe più avuto un padre con cui rimanere, quando io me ne fossi andata. E forse, in fondo, mi dispiaceva anche per Sherlock, sebbene non l'avrei mai ammesso nemmeno con me stessa.

Era stato allora che quei due mi avevano smascherata. Non del tutto, certo. Gli avevo propinato una sciocchezza su un qualche gruppo di mercenari chiamato AG.R.A., approfittando del fatto che su una pennetta usb in mio possesso ci fosse scritta questa sigla, e allora quella menzogna sembrava una storia plausibile, abbastanza tragica da toccarli, sebbene la pennetta in questione contenesse solamente dati criptati di una nostra fonte in India, che avevo prontamente eliminato prima di consegnarla a loro.

La gravidanza era stata provvidenziale, devo ammetterlo, perché in quell'occasione, non solo si bevvero quella storia assurda, ma John non ebbe nemmeno il coraggio di lasciarmi, nonostante la rabbia malcelata, desistendo solo poiché portavo sua figlia in grembo.

E dopo qualche mese mi perdonò, contro ogni mia più accurata previsione. John Watson e il suo senso di responsabilità! Non mi ero fatta illusioni, ovviamente, perché ormai lo vedevo, l'amore di un tempo non c'era più. Non che avessi mai pensato che fosse un sentimento forte e profondo, quello no, però c'era, mentre ad un tratto era svanito, insieme ai sorrisi che mi riservava quando ero ancora la sua Mary e alla fiducia che nutriva per me.

Non sarebbe stato facile allontanarli adesso, avevo perso ogni ascendente su di lui, e se non fosse stato per quel serpente di Magnussen, probabilmente tutto questo non sarebbe successo. Non così.

Quello schifoso si era fatto ammazzare. Aveva avuto le prove che il punto debole di Sherlock fosse John, e che quello di John fossi io (solo perché sua figlia cresceva dentro di me, non certo perché mi amasse ancora), eppure non aveva tenuto conto di un fattore fondamentale, non aveva capito fino a che punto Sherlock avrebbe potuto spingersi per amore di John, un amore talmente puro e implacabile da portarlo ad uccidere Magnussen a sangue freddo, per proteggere me, per mantenere quel giuramento assurdo pronunciato il giorno del matrimonio. Tuttora sono convinta che avesse preso molto più sul serio lui il suo voto, piuttosto che John ed io quelli nuziali.

In ogni caso, entrambi i propositi si rivelarono delle velleità, Sherlock era disposto a sacrificare ogni cosa per John, il suo cuore, la sua vita intera, credendo che con me sarebbe stato felice, ignorando che il suo migliore amico provava gli stessi identici sentimenti per lui e non per me. Non poteva proteggerci entrambi, perché il vero pericolo veniva da me, perché l'unica cosa che lo avrebbe salvato, alla fine, sarebbe stata la mia morte.

Fatto sta che il mio segreto era morto con Magnussen, che avevo ancora tempo per portare a termine la gravidanza, ma che avrei anche dovuto inventarmi qualcosa per non far spedire Sherlock chissà dove, in seguito al suo folle delitto.

Per un attimo, prima della sua partenza per quell'esilio definitivo, avevo creduto che John l'avrebbe abbracciato senza riuscire più a lasciarlo andare, che Sherlock gli avrebbe finalmente confessato ciò che provava, convincendolo probabilmente ad andare con lui. Guardavo da lontano quella scena con il cuore in gola, gli occhi di Mycroft Holmes su di me, gelidi ed indagatori, mentre Rosie si muoveva e tirava calci contro il mio stomaco sottosopra, mentre un vento gelido mi sferzava le guance e screpolava le labbra.

Mi aspettavo di vederli piangere da un momento all'altro, che John scattasse in avanti e baciasse Sherlock come aveva desiderato fare per tutti quegli anni persi inutilmente, liberando tutto l'amore tenuto legato e imbavagliato troppo a lungo nel profondo del cuore. Ma nulla di tutto questo era accaduto.

Sherlock aveva detto qualcosa che doveva sembrare esilarante, perché mio marito si era messo a ridere all'improvviso, poi si erano stretti la mano, nulla di più. Holmes si era tolto il guanto e aveva allungato le dita verso John, che le aveva guardate per un tempo decisamente troppo lungo e che poi le aveva strette nelle sue.

Potrei giurare che Sherlock avesse tutta l'intenzione di non lavarsi mai più quella mano, proposito che non perseguì mai, perché quello che era il mio piano per farlo restare a Londra venne messo subito in atto, e come quell'aereo era decollato, pochi minuti dopo stava atterrando di nuovo su quella pista, riportandoci uno Sherlock strafatto e in piena paranoia.

Moriarty era tornato, ma io non me n'ero mai andata, eppure nessuno sospettava di me, tantomeno Mycroft Holmes, il che era tutto dire.

Sherlock era stato scagionato, il filmato dell'omicidio di Magnussen falsificato, il ritorno di Jim reso noto al mondo. Sherlock si era convinto che Moriarty avesse in mente un'ultima sfida post mortem per vendicarsi di lui, ma non aveva idea che fossi stata io ad orchestrare tutto e che proprio io avrei portato a termine quel gioco sadico.

Si mise in attesa.

Aspettava e nel frattempo risolveva casi, in modo ossessivo e smanioso, diventando sempre più impaziente, preoccupando John e irritando me.

Mio marito aveva ripreso a trascorrere a Baker Street la maggior parte del suo tempo, lo aiutava come poteva, anche se più che altro si limitava ad osservarlo mentre scriveva messaggi e faceva ricerche al cellulare. Spesso Sherlock chiamava anche me, sosteneva che fossi un aiuto ideale vista la mia esperienza come mercenaria, ignorando che mi avrebbe reso molto più semplice mettergli i bastoni tra le ruote.

In ogni caso John lo detestava. Odiava essere messo da parte, lasciato indietro, non potergli stare addosso costantemente, non catalizzare tutte le sue attenzioni. Non riusciva a capire che tutto ciò che Sherlock faceva era per lui, che si era convinto di rendere ancor più felice John includendo me nel loro rapporto esclusivo, coinvolgendomi in quello che fino a poco tempo prima era stata la loro quotidianità. Sherlock era disposto anche a condividere l'amore della sua vita, pur di non perderlo.

La notte in cui nacque Rosie capii definitivamente che se avessi ucciso lui avrei ucciso entrambi, che non avrei potuto risparmiare uno dei due, che le loro vite erano legate da un filo impossibile da recidere, che facendo precipitare Sherlock, avrei condannato John a morire con lui, nell'abisso dove avevo intenzione di seppellire il mio nemico, e dal quale stavolta non sarebbe risorto.

Lo capii quando John accostò l'auto, scese e si rimboccò le maniche, mentre io gridavo e le contrazioni sembravano lacerarmi anche l'anima, quando fece nascere nostra figlia in mezzo al traffico di Londra, con le macchine che ci sfrecciavano a fianco, con Sherlock che sgranava gli occhi e si agitava come se non sapesse che è così che si viene al mondo. Lo capii quando finalmente John la prese tra le braccia, avvolgendola nel cappotto che Sherlock gli aveva prontamente messo addosso, ne ebbi la certezza quando mi resi conto che la prima persona a cui aveva rivolto lo sguardo non ero io.

John aveva guardato lui, solo lui, di nuovo pareva aggrapparsi a quegli occhi come se non volesse più lasciarli, come se rappresentassero la sua unica salvezza, il suo mondo intero.

Ed io guardavo loro due, li guardavo mentre sentivo di svenire e mi arrivavano da lontano le sirene dell'ambulanza che veniva a prendermi. Avevano le mani sporche del mio sangue, erano sfatti, e commossi, come se quella bambina fosse stata solo loro, come se per un attimo si fossero dimenticati di me, come se si fossero dimenticati di ogni altra cosa. Una parte di me odiava Sherlock e ne era dannatamente invidiosa. Quel che mi sforzavo di ignorare era che l'altra metà di me, per qualche assurda ragione, stava imparando a volergli bene, forse perché mi ritrovavo troppo spesso a guardarlo con gli occhi di John, forse perché non aveva mai cercato di portarmelo via, dimostrandosi giorno dopo giorno il primo ed unico amico che abbia mai avuto. E mentre l'immagine di un quadro perfetto del quale non facevo parte diveniva sempre più sfocata, sentivo che dovevo sbrigarmi, che Il Problema Finale doveva essere messo in atto al più presto, o il mio coraggio sarebbe venuto meno e il vero problema l'avrei avuto io.

 

***

 

Era una tiepida mattina di maggio quando me ne andai senza far rumore, lasciando John che dormiva abbracciato a Rosie, tenendole delicatamente il piedino, come per assicurarsi che restasse esattamente lì dov'era. Erano passati solo quattro mesi dal parto, ma non potevo più aspettare, così infilai in borsa i miei documenti falsi, la pistola che tenevo nascosta dove John non l'avrebbe mai trovata e i soldi che avevo messo da parte esclusivamente per la messa in atto del mio piano.

Gli lasciai una lettera in cui spiegavo che stavo fuggendo per proteggerli, per non attirare fino a loro gli altri membri di quella squadra inventata di sana pianta, quell'A.G.R.A. che non era altro che una città indiana che tenevo in considerazione esclusivamente per via degli affari ereditati da Jim.

Era una giornata mite, tanto da permettermi di indossare una giacca leggera, che John mi aveva regalato per quello che pensava fosse il mio compleanno, e che ovviamente non lo era affatto, eppure avevo freddo. Un freddo strano, una sensazione che per un istante mi fece gelare le ossa e che era come un presagio di morte.

Lo ignorai, così come ignorai il brivido che mi percorse la schiena mentre mi avvicinavo all'elicottero che mi avrebbe portato a Sherrinford entro l'ora di pranzo. Avevo ancora molto da fare e fu mentre fissavo il mare dall'alto, pensando a Rosie, a John, agli ultimi dettagli da sistemare prima che il gioco fosse pronto per Sherlock, che ricevetti la telefonata che fece precipitare ogni cosa, incluso il mio elicottero.

 

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE

Eccomi qui con una storiella in due capitoli per una nuova challenge!

Dovevo scrivere una fanfiction su un prompt ben preciso che trascriverò per intero alla fine!

È la prima volta che uso il pov di Mary, spero di averlo trattato bene.

Se vi va di dirmi cosa ne pensate mi fa piacere!

Baci

MissAdler 

 

   
 
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