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Autore: MissAdler    27/09/2019    7 recensioni
Storia scritta per la challenge "il tempo passa, la Johnlock resta" indetta dal gruppo FB "Johnlock is the way... and Freebatch of course"
[Post s3 ma pre s4] Mary è la mente dietro al Did you miss me, la nuova Moriarty. Ma a causa di lotte tra criminali, Mary sa che i suoi giorni sono contati e prima di morire vuole compiere un'azione buona, fingendo di farne una cattiva: rapisce Sherlock e John e, pistola alla tempia, ordina a John di prendere la verginità di Sherlock.
[#Johnlock #first!kiss #first!time #bottom!lock #virgin!sherlock #s4 #fuckordie #sfideimpossibili #complicarsilavita #ditemichenonègrottescaviprego #marycupidopsicopatico #happyending #badendingformary]
Genere: Erotico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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PARTE SECONDA – IL PERDONO

 

 

“Ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto.”

Voltaire

 

 

 

Mio fratello si chiamava Sebastian Moran ed era il braccio destro di James Moriarty.

Era sveglio, spietato come una macchina da guerra, e ciononostante fu ucciso poco dopo la dipartita di Jim, da una di quelle cellule che Sherlock Holmes si era affannato a sgominare per ben due anni.

Quel che il mio sociopatico preferito non sapeva è che quelle cellule erano impossibili da debellare, crescevano e si moltiplicavano come parassiti, si modificavano, differenziandosi, e perfezionandosi, perseguendo nuovi scopi, sfruttando il lavoro di Jim e rivoltandosi contro chi cercava di detenere il monopolio di quel lascito.

Mio fratello era morto per delle informazioni che conosceva solo lui e ora qualcuno voleva uccidere me per lo stesso motivo. Me lo disse una voce che conoscevo molto bene, in quei tre secondi al telefono, prima che l'elicottero iniziasse a perdere quota. Una voce che mi minacciava di morte e che veniva proprio da quella città indiana che era alla base di tutte le menzogne raccontate a John.

Non era la prima minaccia che ricevevo, né il primo attentato alla mia vita, eppure stavolta la sensazione che provai fu diversa da tutte le altre volte.

Chiusi gli occhi un secondo prima dell'impatto, convinta che non li avrei riaperti mai più. Il mio ultimo pensiero fu per la giacca che avevo addosso, che la salsedine avrebbe irrimediabilmente rovinato. Cosa che effettivamente accadde, sebbene io fossi sopravvissuta. Il mio copilota era annegato ma io riuscii a trascinarmi sul gommone d'emergenza, a raggiungere la riva, poi un aeroporto.

Sherrinford poteva aspettare.

Capii di essere in un campo minato, per anni avevo trascurato gli affari per occuparmi di Sherlock Holmes, per scavargli la fossa e seppellirlo vivo, una volta per tutte, senza pensare che quegli affari mi si sarebbero rivoltati contro, accerchiandomi e minacciandomi con le mie stesse armi. Mi resi conto che la fossa che avevo scavato sarebbe stata la mia tomba e che il mio cadavere l'avrebbe riempita prima di quanto credessi.

Il giorno dopo ero ad Agra, determinata a ripristinare l'intoccabilità del mio ruolo. Grazie ai contatti che mi erano rimasti fedeli in India, feci fuori il traditore e sgominai la sua cellula, mi ci vollero due settimane per insabbiare tutto e cambiare nuovamente identità, e fu quando completai questa imprevista missione, in una calda serata di giugno, mentre passeggiavo per il mercato avvolta nel mio sari* di seconda mano, immersa nell'odore pungente delle spezie, che finalmente ebbi un'illuminazione.

Io non sarei mai invecchiata.

Osservai l'anziana che imbustava lentamente del cumino dopo averlo pesato su una vecchia bilancia arrugginita, le sue mani coperte di macchie scure, il tremore delle dita, le grinze del viso incartapecorito, e realizzai che a me non sarebbe mai successo, che non avrei fatto in tempo ad avvizzire, a consumarmi come una candela accesa da troppo tempo, ché qualcuno avrebbe soffiato su quella fiamma quando la cera era ancora a metà.

Sentire la morte che viene a prenderti, il freddo che ti lambisce la schiena, l'odore di putrefazione che ti sconquassa lo stomaco, la paura che ti torce le budella e ti fa galoppare il cuore, può cambiare completamente la prospettiva con cui guardi il mondo. Stavo rivalutando me stessa ed ogni mia singola scelta fino a quel momento, divenendo improvvisamente consapevole della mia inconsistenza.

Non avrei fatto in tempo a raggiungere i miei scopi criminali, né a mettere in atto la vendetta di Jim, quel gioco sadico che includeva l'apparizione sconvolgente della sorella psicopatica di Sherlock Holmes. Non avrei fatto ritorno a Londra, né in quella che una volta avevo chiamato casa e che ora mi mancava disperatamente. Non avrei rivisto mia figlia, quello scricciolo rosa che aveva i miei stessi riccioli biondi, a ricordarmi che forse una parte di me avrebbe continuato a vivere anche dopo la mia morte e che la mia esistenza non era poi stata del tutto vana. Non avrei più rivisto John Watson, non avrei potuto dirgli quanto avrei voluto essere la donna che credeva, quanto invidiavo Sherlock per l'amore che segretamente gli riservava, quanto sarebbe bastato poco per afferrare quella felicità che si erano sempre preclusi, se non fossero stati due perfetti idioti!

Non avrei messo in atto Il Problema Finale, nemmeno se avessi avuto più tempo, perché non potevo più fare del male alle uniche persone al mondo che avessero mai contato per me, che erano state la mia famiglia, la sola che avessi mai conosciuto e da cui mi ero sentita amata davvero.

 

***

 

Fu in quei giorni che Sherlock e John mi trovarono, che si presentarono nel tugurio che occupavo clandestinamente pagando i proprietari sottobanco, più per il loro silenzio che per le quattro mura ingiallite che mi ritrovavo attorno.

Arrivarono come l'esercito della salvezza, convinti che mi avrebbero riportato a Londra, difendendomi strenuamente da qualcosa che non esisteva, ignari che in realtà il vero nemico fossi io e che probabilmente meritavo la morte più di quanto la meritasse Moriarty stesso. Non potevano sapere che fossi già morta, che la spada di Damocle che mi pendeva sulla testa da troppi anni, stava ormai per conficcarmisi nella testa.

Ma lo capirono molto presto, perché nelle deduzioni Sherlock Holmes era pur sempre il migliore.

Le minacce di morte che avevo ricevuto in quelle settimane si riflettevano nei miei occhi, tutto ciò che mi circondava, in quel rifugio, parlava di me, di chi ero davvero, della mia missione, della mia vita sospesa ad un filo.

Gli ci volle più tempo del dovuto, si guardò attorno in silenzio per un paio di minuti, ma alla fine parlò ed io non potei fare a meno di confermare ogni sua parola.

“Perché?”

Fu tutto ciò che disse John, con un filo di voce e senza nemmeno guardarmi.

Era rimasto in silenzio fino ad allora, lo sguardo basso, i pugni stretti lungo le cosce fasciate dai Jeans. Per un attimo mi sorpresi a pensare che fosse bellissimo, che quella camicia azzurrina facesse risaltare il blu di quegli occhi che si rifiutavano strenuamente di posarsi su di me.

Fu una riflessione sciocca, come la maggior parte di quelle che occupavano la mia mente negli ultimi giorni, da quando avevo preso coscienza di quella che sarebbe stata la mia sorte.

“Perché?” ripeté incurvando leggermente la schiena e stringendo più forte i pugni.

Non si aspettava una risposta, forse quella domanda era rivolta più che altro a se stesso, alla vita, o magari a qualche dio, visto che poco dopo imprecò con furia tra i denti, eppure io parlai comunque, a voce alta e lentamente, come si fa con un bambino arrabbiato, spiegando ogni cosa, senza più distorcere niente, senza tralasciare nessun dettaglio, con una sola eccezione: non gli dissi in cosa consisteva Il Problema Finale.

Raccontai di mio fratello, della sua collaborazione con Moriarty, dell'ascendente che ebbe su di me, essendo l'unico parente che avevo al mondo, raccontai della sua morte e della mia decisione di consacrare la mia intera esistenza al suo scopo, a seguire il più grande consulente criminale al mondo, a spianare il terreno per una guerra che avrebbe richiesto ciò che solo noi avevamo e che potevamo vendere per cifre da capogiro: piani bellici, armi, segreti di stato, collaborazioni. Avremmo avuto il monopolio completo, il potere e la ricchezza. Non che a Jim importassero queste cose - dannato psicopatico! - lui voleva solo avere ragione. Lui voleva giocare.

“Come te, Sherlock” aggiunsi sorridendo, tentando di apparire disinvolta.

Per tutta risposta John mi puntò contro la pistola e finalmente alzò lo sguardo su di me.

“Sta zitta, non voglio sentire un'altra parola da quella tua bocca bugiarda.”

“John...” provai a dire, ma ormai era fuori di sé, lo capivo da quello sguardo torvo e vagamente lucido.

Ripensandoci, non credo che sarebbe stato in grado di uccidermi, quel che è certo è che mi odiava come non aveva mai odiato nessuno in tutta la vita e che quello sguardo ebbe il potere di farmi molto più male del proiettile che non arrivò mai.

“John” intervenne Sherlock con tono calmo, alzando le mani con fare pacifico, “avanti, mettila via, non servirebbe a niente, pensa a Rosie...”

Ma mio marito continuava a tenermi sotto tiro con la fermezza e la determinazione di un cecchino.

“John” continuò muovendo qualche passo verso di lui e sfiorandogli il braccio con quelle dita lunghissime, “l'hai sentita, ha le ore contate, tutto ciò che ha fatto non è servito a niente, ha fallito e sta già pagando per questo...”

Una scossa mi fece drizzare la schiena e senza nemmeno rendermene conto afferrai la mia pistola e la puntai alla testa di Sherlock, tenendola con entrambe le mani, fissando John dritto negli occhi con tutta la convinzione di cui ero ancora capace.

Furono quelle parole, quella frase pronunciata solo per tranquillizzare John, ma che aveva avuto l'unico effetto di far reagire me.

Tutto ciò che avevo fatto non era servito a niente.

Aveva ragione. La mia era stata una vita sprecata, un castello di sabbia costruito troppo vicino alla riva del mare, certamente non abitabile, fragile, condannato ad essere spazzato via dall'acqua, dal vento, dall'indifferenza o dal passare del tempo. Sarei morta comunque, da sola, perché il mio retaggio infine era solo questo: bugie, inganni, guerra e sangue. Sarei morta affrontando finalmente me stessa, guardandomi allo specchio e scoprendo di non conoscermi nemmeno, realizzando che nulla di tutto ciò in cui avevo creduto, per cui avevo lottato e mi ero sacrificata, aveva importanza, che non avevo mai fatto nulla di cui andare fiera, a parte Rosie, ma quello era stato involontario e mi ci ero semplicemente ritrovata dentro fino al collo. Sarei morta senza aver mai avuto senso d'esistere, sperando almeno d'essere gustosa per i vermi che avrebbero banchettato col mio cadavere.

“Mettila giù, John, o stavolta giuro su dio che lo ammazzo davvero.”

Solo allora vidi mio marito tentennare, gli tremarono visibilmente le mani e il suo viso perse ogni sfumatura di vita, divenendo pallido e segnato dall'angoscia.

Sherlock non si mosse, continuò a tenere le dita sulla manica della camicia di John, stringendo appena, portando gli occhi su di me come per studiarmi. Povero ingenuo! Ormai non gli sarebbe servito a niente, ero stata io a studiarli entrambi per anni e nulla mi avrebbe mai distolto dall'ultima missione che mi ero appena assegnata.

“Non lo farai, Mary...” provò a dire Sherlock mentre lo tenevo sotto tiro, ma non gli lasciai il tempo di dire altro e sparai nel vuoto accanto a lui, a cinque centimetri dalla sua guancia, ringraziando mentalmente d'aver messo il silenziatore alla pistola.

John scattò in una frazione di secondo, il terrore dipinto sul viso, il panico negli occhi sbarrati, attirando Sherlock più vicino a sé, tenendolo per la giacca e voltandosi immediatamente a guardare il foro sul muro dietro di loro. Poi lasciò la presa su di lui e gettò a terra la pistola, spingendola nella mia direzione con un calcio.

Era una follia, un'idea fottutamente assurda, eppure, in quel momento, mi sembrò la migliore che avessi mai avuto in tutta la mia inutile vita.

 

***

 

Mio marito era innamorato di un altro uomo. L'avevo sempre saputo, probabilmente, e se io per prima fossi stata senza peccato avrei potuto scagliargli contro pietre, lacrime e parole cariche d'odio.

Ma non ero certo meno colpevole di lui, anzi, ero una criminale, l'aveva circuito, manipolato e indotto a sposarmi solo per raggiungere i miei loschi scopi. Non mi amava più, non mi aveva mai amata abbastanza, ma sapevo che non potevo biasimarlo, che nonostante tutto era stato un compagno fedele, amorevole e sincero. Sì, John era sempre stato sincero con me, era a se stesso che aveva mentito per tutti quegli anni, ed era il suo cuore ad essere rimasto inascoltato, mentre martellava frustrato e gridava un solo nome e un solo desiderio, mentre John si tappava le orecchie, ignorandolo, memore di quel trauma che tuttora non aveva elaborato, terrorizzato e furioso per quella messinscena di morte architettata da Sherlock che l'aveva quasi ucciso, costringendolo poi a voltare pagina senza nemmeno aver finito di leggere, scoprendo troppo tardi che l'amore della sua vita era ancora vivo.

Era semplicemente una vittima degli eventi e delle macchinazioni altrui. Non aveva colpe, se non quella d'essersi in qualche modo messo in salvo dopo la sua scomparsa, cercando di sopravvivere e di dimenticare, riuscendo nel primo intendo e fallendo irrimediabilmente nel secondo. L'istinto di conservazione è insito nella natura umana e John non era certo meno umano degli altri, sebbene spesso si convincesse del contrario. Non perché si ritenesse superiore, questo no, ma era convinto di riuscire a fare sempre la cosa giusta, di non poter sbagliare, di doversi votare ad un ideale che si era costruito lui stesso e che non aveva alcun senso, perché il suo essere straordinario era direttamente collegato al suo essere imperfetto.

Ingenuo e imperfetto.

Un uomo che non riusciva a fidarsi, che aveva deciso di farlo solo due volte nella vita, con Sherlock e poi con me, le uniche due persone che avrebbero dovuto amarlo e che invece gli avevano mentito in modo imperdonabile.

Come potevo biasimarlo per aver confuso i sentimenti e formulato voti senza senso?

Mio marito era innamorato di Sherlock, ma non si fidava più di lui ed era rimasto fedele a me, anche quando quella sera l'aveva visto ricomparire in quel ristorante di lusso ed io avevo sentito il suo cuore ricominciare a battere e spezzarsi nello stesso momento. Anche quando avevo temuto che non sarei riuscita a trattenerlo, quando mi accorsi che il richiamo di quella casa, di quella vita, di Sherlock stesso, era talmente forte da attrarlo come una falena viene attratta dalla fiamma.

Era rimasto con me, ma nonostante questo continuava ad essere innamorato di lui, senza avere la più pallida idea di essere completamente ricambiato.

Ma io sì. Io lo sapevo bene.

Ecco il mio cammino di Santiago, la mia penitenza, il modo che avevo trovato di affrancarmi, di darmi un senso, di far nascere un fiore in quella montagna di merda che era stata la mia vuota esistenza.

“Accanto al letto! Subito!”

Certo, l'avrei fatto a modo mio, con le risorse che potevo sfruttare in quel momento, non avevo avuto il tempo di organizzare un piano decente, non ero un cupido con arco e frecce, circondato da cuoricini e nuvolette, ma avevo a disposizione una Beretta calibro 9 e quel buco di casa in cui vivevo abusivamente e dove per le prossime ore nessuno ci avrebbe interrotto.

Si trattava di una sorta di open space, le pareti erano di pietra bianca, il soffitto abbastanza basso che Sherlock avrebbe potuto toccarlo con la mano. Le finestre, piccole e con le tende rosse perennemente tirate, davano su un piccolo cortile sterrato, visitato spesso da una grossa vacca marrone che ruminava indisturbata l’erba che vi cresceva a sprazzi. I mobili erano in legno vero, pitturati con tinte accese, vivaci e improbabili. Quel che balzava agli occhi era che fossero tutti molto bassi, incluso il letto da una piazza e mezza che era addossato alla parete, ancora sfatto, perché non ho mai avuto l'abitudine di rifarmelo la mattina. Le lenzuola di cotone ingiallito giacevano appallottolate ai piedi del materassi. Non avevo mai riposato bene lì sopra, così come su altri materassi. Si dice che in qualsiasi letto si dorme male, se si ha la colpa per guanciale. Chissà, forse quella notte avrei finalmente chiuso gli occhi sentendomi più leggera.

John e Sherlock si guardarono per qualche secondo di troppo, costringendomi a sembrare più sadica di quanto non fossi e a minacciare di nuovo Sherlock, piegando le braccia che reggevano la pistola e stendendole nuovamente con più convinzione, puntando alla sua testa, distante solo pochi metri da me.

“Ho detto subito!” gridai ostentando un nervosismo che non mi apparteneva.

Lentamente, senza smettere di studiarmi per capire le mie intenzioni, indietreggiarono fino al letto, alzando le mani all'altezza del petto come per assicurarmi che avrebbero fatto ciò che chiedevo.

In realtà non sapevo bene nemmeno io cosa avrei fatto di lì a poco, o meglio, cosa avrei fatto fare a loro. Ero certa del mio obiettivo, ma non sapevo bene come raggiungerlo, soprattutto perché quei due testoni avrebbero trovato il modo di rendere vano ogni mio sforzo, perciò decisi di tentare il tutto per tutto ed esagerare, a costo di apparire una maniaca psicopatica.

Oh, no, un bacio non sarebbe stato sufficiente... né una dichiarazione forzata. Avrebbero semplicemente declinato ogni responsabilità, avrebbero finto che non sarebbe mai successo, si sarebbero addirittura allontanati ed io avrei tragicamente fallito.

No... doveva essere tutto o niente, dovevo buttare giù ogni singola pietra di quel muro eretto tra loro.

“Via i vestiti!” intimai, e spalancarono talmente tanto le palpebre che per un attimo temetti di vedere i loro bulbi oculari schizzare fuori dalle orbite. Provai a cambiare bersaglio, a spostare rapidamente la mira su John, sfidando Sherlock con lo sguardo e capendo di aver fatto centro, perché non trascorsero più di due secondi che lo vidi sfilarsi rapidamente la giacca nera, con quell'eleganza innata che gli apparteneva da sempre e che non lo abbandonava nemmeno in situazioni estreme. Mi venne da sorridere pensando che solo Sherlock Holmes poteva venire in India, in missione di salvataggio, con addosso un completo di Armani, ma mi trattenni e sfoderai un'espressione ancor più truce.

Solo quando le sue dita corsero ai bottoni della camicia mi resi conto che John non riusciva neanche a guardarlo, preferendo puntare gli occhi sulla mia pistola, che ora lo teneva sotto tiro, palesemente indeciso se obbedire al mio ordine e spogliarsi anche lui o restare immobile e diventare bordeaux come il tappeto sul quale poggiava i piedi. Non l'avevo mai visto così imbarazzato, teso e furioso al tempo stesso. Provai una stretta al cuore al pensiero di ciò che gli stavo facendo, eppure dentro di me sapevo che era la cosa giusta, che un giorno forse avrebbe capito e mi avrebbe perdonato.

“Non così, ovviamente!” la mia voce echeggiò improvvisamente tra quelle pareti di pietra, non mi ero resa conto d'aver gridato, facendo sussultare John.

Sherlock si bloccò, le dita immobili nell'atto di slacciare il terzo bottone della camicia bianca, l'espressione vagamente confusa. Abbassai la voce fino a farla diventare un sussurro, ma il mio tono rimase freddo e sicuro. “John, fallo tu.”

“Che cos...”

Gli occhi cerulei di mio marito tornarono finalmente su di me, sconvolti e terrorizzati.

“Dannazione, John, a chi dei due devo sparare per convincervi che faccio sul serio?”

Ovviamente non l'avrei mai fatto, ma dovevo portarli a collaborare o saremmo rimasti bloccati in uno stallo senza fine.

“Mary, per favore...” provò a dire Sherlock, col tono calmo e conciliante che avrebbe usato per far ragionare un folle, “non sei costretta a farlo, non ha nessun senso, metti giù la pistola e ce ne andremo senza dire niente a nessuno.”

“Ascoltalo.” gli venne in aiuto John. “Pensa a Rosie, non t’importa nemmeno di lei? Vuoi che rimanga sola al mondo?”

“Oh, ti prego, John, sta zitto! Dio, sei sempre stato melodrammatico!”

Certo che mi importava di Rosie, ero sua madre, ma sapevo anche che l'avrei lasciata in buone mani, quelle di suo padre e dell'uomo che amava, e non avrei potuto essere più serena a tal proposito. Ero sempre più convinta di star facendo la cosa giusta, forse nel modo sbagliato, che tuttavia era l'unico che conoscevo. Li avrei trasformati in una famiglia a tutti gli effetti e avrei tolto il disturbo senza rimpianti.

Ripresi subito a parlare a bassa voce, quasi sibilando.

“D'accordo, mettiamola così, questo è il piano di Moriarty per vendicarsi di voi e lo porterò a termine prima di farmi ammazzare, qualunque cosa accada. Potete scegliere di collaborare e restare vivi, perché vi garantisco che uccidervi non era nelle sue intenzioni, oppure potete beccarvi una pallottola in fronte e morire insieme, tragicamente, abbandonando a se stessa quella povera creatura sfortunata e facendola crescere orfana di entrambi i genitori. In tal caso dovrò solo decidere chi far fuori per primo...”

E mentre lo dicevo, spostavo la pistola da uno all'altro, lentamente e sforzandomi di apparire spietata, vedendo tremare e sussultare entrambi, Sherlock quando miravo a John e John quando miravo a Sherlock. Cristo santissimo! Era tutto così ovvio, accidenti a loro!

“Mary, per l'amor di dio...”

“Chiudi la bocca, John, e levagli di dosso quella camicia, non lo ripeterò un'altra volta.”

Puntai nuovamente la pistola contro Sherlock e solamente allora John mi obbedì. Si avvicinò a lui e lo fronteggiò senza guardarlo, tenendo gli occhi su quei bottoni che parevano scottare, mentre Sherlock s'irrigidiva e gli zigomi gli s'imporporavano.

Mi avvicinai di qualche passo, restando comunque a un paio di metri da loro, osservando i movimenti lenti di quelle dita tremanti che pian piano facevano scivolare i bottoni fuori dalle asole, che afferravano la stoffa inamidata e la strattonavano via dal torace niveo di Sherlock con finta noncuranza. Osservai John lottare contro se stesso, ostinandosi a non guardarlo, a non alzare gli occhi sul suo petto, sulla cicatrice che io stessa gli avevo procurato e che ora risaltava come un cratere violaceo su quel pallore perfetto.

Potevo percepire il battito dei loro cuori anche da dove mi trovavo, mi sentii talmente in imbarazzo da pensare di interrompere tutto e andarmene fuori di lì lasciandoli soli.

Ma sapevo che avrei vanificato tutto, che non sarebbero mai andati fino in fondo, se non li avessi costretti io stessa.

“Era così difficile?” canzonai mio marito, guadagnandomi un'occhiataccia carica d'odio a cui non badai. “Sherlock, adesso tocca a te.”

Tentennai, ma non lo diedi a vedere, perché mi resi conto che il genio dai riccioli neri non sembrava più lui, tremava e in quegli occhi cristallini potevo leggere uno smarrimento che mi strinse il cuore, pur senza convincermi ad interrompere quella tortura.

C'era reverenza, nei suoi gesti. Una lentezza rispettosa e solenne che somigliava ben poco all'irruenza di John nei movimenti di poco prima. Gli slacciò ogni singolo bottone come se fossero perle di un rosario, come se per ognuno di essi recitasse silenziosamente una preghiera segreta. Gli sfilo la camicia azzurra dalle spalle, facendo attenzione a non toccare la sua pelle, ma non mi sfuggì il tocco accidentale con cui gli sfiorò la cicatrice di guerra, impercettibilmente, col la punta del pollice. E John si tese appena, come se gli avesse fatto male, ma io sapevo che non era dolore quello che sentiva, che presto non avrebbe ricordato più nemmeno cosa volesse dire soffrire.

“Soddisfatta?” ringhiò in mia direzione, trafiggendomi con lo sguardo. “Cos'è, Moriarty voleva farci esibire in uno show alla Full Monty? O magari aveva intenzione di torturarci facendoci morire d'imbarazzo? Perché ti garantisco che non sta funzionando.”

Avevo sempre adorato il suo sarcasmo pungente, era una delle cose che amavo di lui, ma lo ignorai, avvicinandomi tanto da appoggiare la pistola sui capelli di Sherlock, costringendolo ad inclinare la testa da un lato.

Per poco John non mi carbonizzò con gli occhi. La rabbia e il terrore che si agitavano in quelle sfere infuocate mi fecero comprendere la portata dei suoi sentimenti, la determinazione nel difendere l'uomo che amava a qualunque costo, anche uccidendomi, se necessario. Magnussen aveva ragione, John era la damigella in pericolo di Sherlock, ma non aveva capito che la cosa era perfettamente reciproca.

“Guardalo, John, non è bellissimo?” infierii.

Con la mano libera accarezzai Sherlock sullo zigomo pronunciato, sulla guancia, scendendo lungo il collo, la spalla, lentamente, mentre il viso di John si contraeva in una smorfia disgustata, non certo per la nudità di Sherlock, quella aveva il solo potere di farlo arrossire come non aveva mai fatto con me, nemmeno quando mi ero spogliata davanti a lui per la prima volta. Ero io a disgustarlo, per tutto ciò che avevo fatto, per le bugie che gli avevo raccontato, perché ero la nuova Moriarty e, più di ogni altra cosa, perché osavo toccare Sherlock Holmes.

“È così liscio” continuai con voce languida e vagamente strafottente, ignorando di proposito quello sguardo inceneritore, “non credevo che un uomo potesse avere una pelle così bella, sembra seta...” sentii i pettorali di Sherlock vibrare sotto le mie dita, intanto che accarezzavo la peluria chiara al centro del suo torace, continuando a reggere l'espressione letale di John. “Vuoi toccarlo anche tu?”

Lo vidi scattare verso di me con i pugni serrati e mi rifugiai alle spalle di Sherlock, continuando a puntargli la pistola alla testa.

“Non ci provare, amore mio, resta dove sei o gli faccio un buco nel cranio.”

“Cristo, tu sei pazza!” gridò esasperato, abbassando le mani e arretrando leggermente. “Che diavolo vuoi da me?”

“Voglio guardarti mentre fai l'amore con lui.”

Le parole mi erano uscite ancor prima che decidessi cosa dire, ancor prima di ponderare le mie reali intenzioni, senza darmi il tempo di vergognarmi di quell'ordine assurdo e perverso.

Non riuscivo a vedere la faccia di Sherlock ma riuscii ad accorgermi dello shock che gli fece sobbalzare le scapole, mentre la mia pistola gli arrossava la nuca. Quel che è certo è che a John per poco non cadde la mascella, cosa che trovai esilarante e che mi avrebbe fatto sbellicare, se non fosse che in quel momento mi sentivo praticamente una sadica depravata.

Nessuno dei due parlò, restammo in silenzio per diversi secondi che parvero un'eternità, poi John si passò una mano tra i capelli, tirandoli indietro con forza, per poi massaggiarsi nervosamente una tempia.

“Non credo d'aver capito.”

“Oh, andiamo, hai capito benissimo!” strattonai Sherlock per un braccio e lo spinsi fino al bordo del letto, continuando a tenerlo sotto tiro dopo aver indietreggiato di qualche passo. “Voglio che tu lo prenda. Qui, adesso.”

Finalmente riuscivo a vedere Sherlock in faccia. Non saprei bene come descrivere la sua espressione... se quella di John mi aveva fatto ridere, la sua mi aveva spezzato il cuore. Mio marito lo amava disperatamente, ma forse non ne aveva mai preso piena coscienza. Negava come un imputato di fronte alla giuria, accampava scuse, contestava le prove, ignorava i fatti e l'evidenza, recitando tacite obiezioni al suo cuore consumato dall'insoddisfazione.

Sherlock, al contrario, era più onesto, genuino e puro. Sapeva di essere innamorato di John, riconosceva la sua debolezza e l'aveva accettata, sacrificandosi per lui, restando in silenzio, in un angolo a ballare da solo, certo di non poter essere ricambiato, indipendentemente dalla mia presenza nella vita di John. Già dal primo momento avevo capito che il geniale detective che Jim temeva più di chiunque altro, era in realtà un uomo estremamente fragile, assetato d'amore, sicuro di non meritarlo, o quantomeno di non riuscire ad ottenerlo da anima viva. Non avrebbe mai creduto che John potesse amarlo, così come John non sospettava, neanche lontanamente, di essere l'oggetto del desiderio di Sherlock Holmes.

In sintesi, due idioti: un testone ed un pulcino bagnato.

E il pulcino adesso aveva gli occhi che traboccavano di panico.

“Stai scherzando?”

“John, se non la smetti di parlare e non lo sbatti immediatamente su questo letto, giuro che lo faccio fuori davanti ai tuoi occhi!”

Fu allora che finalmente si guardarono, senza dire niente, studiandosi e cercando di leggersi a vicenda, cosa che evidentemente non funzionava quando si trattava di sentimenti.

“Uno.”

Iniziai a contare mentre se ne stavano ancora in piedi, mezzi nudi, a meno di un metro di distanza, Sherlock con i polpacci contro il materasso, John che apriva e chiudeva i pugni ad intermittenza, nervoso come non l'avevo mai visto.

“Due.”

Se Moriarty avesse potuto assistere alla scena, si sarebbe reso conto che la strada per il cuore di Sherlock Holmes passava inevitabilmente per John Watson, che non era mai stato necessario usare sua sorella, scavare nel suo passato e riesumare antichi fantasmi, che per colpirlo davvero bastava tirare in ballo il suo amore incondizionato per il dottore, che in fondo il vero problema finale era proprio quello.

Ma Jim pensava e basta, non conosceva l'empatia e non aveva mai compreso l'amore, al contrario di Sherlock, il cui cuore era perfino più grande del suo cervello.

“John...” la sua voce suonò a malapena udibile, ma i muri di quella stanza erano spessi e facevano rimbalzare i suoni come echi amplificati, “mi dispiace...”

“Non è colpa tua...” tagliò corto John prima di fare un passo nella sua direzione.

“Tre.”

Lo raggiunse con un balzo, spingendolo sul letto e stendendosi sopra di lui, restando un po' sollevato, puntellandosi goffamente su mani e ginocchia per non crollargli addosso. Istintivamente indietreggiai, continuando a minacciarli con la mia calibro 9.

Li sentivo bisbigliare mentre i loro occhi rimanevano agganciati, mentre si guardavano in quel modo, creando quell'incantesimo a cui avevo assistito fin troppe volte.

“Sherlock, io...”

Ma l'aveva interrotto immediatamente, facendogli capire che non avevano alternative, che se volevano rivedere Rosie quella era l'unica strada da percorrere, che andava bene così, davvero, non era importante. E mentre lo diceva una piccola lacrima solitaria gli scivolò lungo la guancia, senza mai arrivare alle labbra, perché John la catturò con le dita, chiudendola nel suo pugno, continuando a guardarlo con una tenerezza che non gli era propria, o che forse semplicemente non aveva mai riservato a me.

Tossicchiai senza ottenere in risposta nemmeno un minimo cenno, eppure John mi aveva chiaramente sentito perché la sua mano carezzò la mascella di Sherlock con dolcezza, spostandosi poi sulla sua cintura e allentandola quel tanto che bastava per sbottonargli i pantaloni e sfilarglieli completamente.

Non so bene come definire il sentimento che si impossessò di me in quei frangenti. Credo fosse un misto di soddisfazione, rammarico, imbarazzo, gelosia, sollievo e tristezza. Sicuramente mi sentivo anche in colpa, perché stavo prendendo parte ad un momento che avrebbe dovuto essere solo loro, stavo assistendo ad un qualcosa a cui non avevo minimamente diritto. Fu per questo che mi avvicinai in silenzio, recuperai il lenzuolo ai piedi del letto e lo gettai addosso a John, coprendolo dalle scapole in giù.

“Sono una cospiratrice, non una pervertita.” Precisai con un ghigno, camminando all'indietro per lasciargli un minimo di privacy, la Beretta sempre pronta a far fuoco. “Niente scherzi però, me ne accorgerei.”

Di nuovo parvero non sentirmi nemmeno, mentre mormoravano parole che non riuscivo a decifrare e che parevano melodiose e calde come le note di una canzone d'amore, mentre John si abbassava i jeans senza toglierli, chinandosi fino a sfiorare il corpo di Sherlock con il suo, trattenendo il respiro finché non sentì le braccia dell'amico circondargli le spalle e attirarlo ancora più vicino.

Vidi John chiudere gli occhi e strusciarsi su di lui, il naso sul suo collo, inspirando a fondo e contraendo ogni muscolo del corpo, anche quelli che erano nascosti dal lenzuolo e che non riuscivo a vedere.

Distolsi lo sguardo non appena lo vidi bagnarsi le dita di saliva e riportarle sotto di sé.

Presi a fissare il pavimento, pur continuando ad ascoltare, costringendomi a non abbassare la pistola.

Sentii altri bisbigli, sospiri e lamenti, tra cui un “siamo solo tu ed io” che mi arrivò ovattato alle orecchie, e capii che stava accadendo davvero, che in fondo era stato facile e che, per la prima volta nella vita, potevo essere fiera di me.

Un lamento di Sherlock, più basso e prolungato degli altri, mi diede ragione, perché al contempo John gemette di piacere, procurandomi sensazioni contrastanti, che andavano dall'invidia alla gioia più pura. Mi venne da alzare lo sguardo e quel che vidi mi spiazzò completamente.

John si muoveva lentamente su di lui, dentro di lui, il lenzuolo era scivolato fino a scoprirgli del tutto la schiena, le unghie di Sherlock gli si conficcavano nella carne all'altezza dei reni, le sue ginocchia gli circondavano i fianchi.

“Sherlock, guardami” sussurrava teneramente, “senti dolore?” domandava con tono apprensivo, “ti prego non girarti, fatti guardare...”

E Sherlock si lasciava prendere, scuotere e possedere, ondeggiando sotto di lui, abbandonandosi ai suoi affondi sempre più vigorosi, soffrendo più di quanto non riuscisse a godere, e non solo fisicamente, bensì per qualcosa di più profondo, che poco dopo soffiò fuori dalle labbra bollenti, agitandosi, lagnandosi sottovoce e farfugliando parole confuse.

“John... mi... mi dispiace... non riuscirai più nemmeno a guardarmi., lo so..”

“Sssshh... rilassati adesso, o finirò col farti male sul serio” tentava di calmarlo, accarezzandolo sul viso e baciandolo delicatamente sulla punta del naso. Ma non era sufficiente, Sherlock continuava a divincolarsi e a borbottare ad occhi chiusi.

“Ogni volta che mi guarderai ripenserai a questo... ti ricorderò sempre il momento più brutto della tua vita e non vorrai più vedermi...”

“Sherlock, smettila.” John parlò con la sua voce da soldato, con quel tono fermo e deciso che non ammetteva repliche, smise di muoversi e restò immobile senza tuttavia uscire da lui, infilandogli le dita tra i riccioli spettinati e costringendolo a guardarlo dritto negli occhi. “Il momento più butto della mia vita è stato quando ti ho visto precipitare nel vuoto, quando mi sono inginocchiato nel tuo sangue tastandoti il polso senza riuscire a sentire il tuo battito. Quello è stato orribile e non voglio provarlo mai più.” Poi gli baciò le labbra, sfiorandole delicatamente e ad occhi aperti, ostinandosi a non affondare di un solo millimetro in più dentro di lui. “Può suonare ridicolo ma questa è la prima cosa sensata che io abbia mai fatto in tutta la vita, perché sei tu, Sherlock, e tutto il resto non conta.” Lo baciò di nuovo, più profondamente, infilandosi nella sua bocca in un modo che mi era estraneo, con una passione e una sensualità che con me non aveva mai usato, mentre Sherlock finalmente si rilassava, si inarcava sotto di lui, premendogli le dita sulla schiena finché John non ricominciò a muoversi con più vigore, continuando a baciarlo e sussurrando un ti amo che arrivò fino alle mie orecchie, assordandomi e straziandomi il cuore.

Mi resi conto che non gli puntavo nemmeno più la pistola, che la mia mano armata ciondolava mollemente lungo la mia coscia, che la pistola era diventata incredibilmente fredda e pesante, più di quanto non fosse mai stata. Le lacrime mi rigavano le guance senza che riuscissi a fermarle, il cuore mi si sbriciolava sempre di più, ad ogni loro bacio, e non perché facesse male, bensì perché per la prima volta mi sentivo parte di qualcosa di bello.

Fu allora che me ne andai, che mi voltai uscendo in punta di piedi da quella casa davvero troppo stretta.

 

***

 

Non ho mai pensato molto alla morte. Non alla mia, almeno. Suppongo di non essermi mai soffermata troppo a valutare i rischi del mio mestiere, perché quelli come noi non possono permetterselo.

Se temi la morte non puoi uccidere, perché quando togli una vita per la prima volta la morte si segna il tuo nome.

Non ho mai pensato che un giorno l'avrei temuta, che avrei rimpianto tutte le mie scelte e che avrei implorato più tempo, eppure ora non so cosa darei per averne, usarlo per redimermi, per fare del bene, per imparare a conoscermi davvero.

Eppure so di avere le ore contate, so che stanno venendo a prendermi e che proveranno ad estorcermi informazioni con la forza, come hanno fatto con mio fratello prima di ucciderlo, e questo non posso permetterlo, non lo sopporterei.

Voglio morire come dico io, scegliere il luogo, il momento, il modo.

Voglio andarmene qui, adesso, con la felicità nel cuore, quei gemiti nelle orecchie, l’amore appiccicato addosso. Voglio andarmene mentre il sole rosseggia sull'acqua del fiume Yamuna, illuminando d'oro il Taj Mahal, riempiendomi gli occhi e scaldandomi come una coperta di luce aranciata.

Voglio andarmene mentre mi sento viva, mentre sono pienamente consapevole di aver fatto qualcosa di bello, di aver realizzato un miracolo, di aver donato qualcosa alle persone che amo.

Ora che me ne andrò per sempre, so bene cosa potranno diventare quei due, perché so chi sono veramente: un tossico che risolve crimini per sballarsi e un dottore che non è mai tornato a casa dalla guerra, innamorati e imperfetti, gli unici genitori a cui affiderei mia figlia, i migliori amici che potessi avere.

La mia Beretta calibro 9 è improvvisamente leggera, l'accarezzo sovrappensiero e mi godo l'ultimo tramonto.

 

 

FINE

 

 

 

*Il sari, saree o shari è un tradizionale indumento femminile indiano, le cui origini risalgono al 100 a.C., ed è intuibilmente uno dei pochissimi indumenti ad essere stati tramandati per così tanti secoli.

Esso consiste in una fascia di stoffa larga circa un metro, la cui lunghezza può variare dai quattro ai nove metri, che viene avvolta intorno al corpo dell'indossatrice con metodi che variano a seconda della sua funzione.

Ovviamente Mary ne indossa uno modesto, semplice, di cotone bianco.

(Fonte: Wikipedia)

 

***

 

Prompt: [Post s3 ma pre s4] Mary è la mente dietro al Did you miss me, la nuova Moriarty. Ma a causa di lotte tra criminali, Mary sa che i suoi giorni sono contati e prima di morire vuole compiere un'azione buona, fingendo di farne una cattiva: rapisce Sherlock e John e, pistola alla tempia, ordina a John di prendere la verginità di Sherlock. Mentre loro obbediscono, Sherlock cerca di nascondere il viso, ma per capire se gli sta facendo male o meno, John vuole guardarlo costantemente negli occhi. In lacrime, Sherlock comincia a dire cose come “non doveva andare così, me l'ero immaginato e doveva essere una cosa romantica, solo tu ed io, ti amo ma ora tu non mi vorrai mai perché ti ricorderò sempre l'ora più brutta di tutta la tua vita”. Ovviamente John lo rassicura e passano dall'obbedire a Mary a fare all'aMmoreH. Mary, soddisfatta, se ne va, e mentre John e Sherlock si scambiano il primo bacio (o il primo ti amo), lei si spara un colpo in fronte.

 

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE

Mi sono presa la libertà di spostare appena la storia sulla linea temporale, contestualizzando il tutto durante il primo episodio della s4, “The six Thatchers”, altrimenti non avrei saputo come gestire Rosie. Chi mi conosce come scrittrice sa bene che non amo stravolgere troppo gli eventi e mi sarebbe dispiaciuto far sparire completamente questo personaggio dall'intera storia. In ogni caso, penso di essermi attenuta il più possibile alle indicazioni che mi sono state fornite.

Vorrei ringraziare Susanna per aver organizzato e gestito l'evento, chi mi ha fornito il prompt e chi è arrivato a leggere fin qui.

Ammetto di aver scelto quello che ritenevo il più difficile presa dalla voglia di mettermi alla prova, spero di aver tirato fuori qualcosa di piacevole, anche se un po' particolare.

Grazie anche a chi ha recensito, tanto amore per voi, non sapete che gioia trovare i vostri pareri!

 

Peace and love!

MissAdler

 

   
 
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