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Autore: Nina Ninetta    27/09/2019    6 recensioni
Prima classificata al contest "Tattoo studio" indetto da Juriaka sul forum di EFP
Immersa nella Napoli dei primi anni '90, la vita matrimoniale di Annalucia, insegnante di Storia dell'Arte, scorre tranquilla e serena. Una notte però una telefonata sconvolgerà per sempre il corso degli eventi: sua cognata è morta in un incidente d'auto e suo marito decide di adottare il proprio nipotino di tre mesi, sebbene Annalucia sia stata categorica: lei non vuole bambini nella sua vita! Costretta in un'esistenza che non riconosce più, sarà proprio una persona inaspettata a farle aprire gli occhi e a ridonarle la libertà perduta.
Seconda classificata al contest "L'enigma dell'Uroboro" indetto da _Freya Crescent_ sul forum di EFP
Quinta classificata al contest "Una macchia di storia" indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP
Quinta classificata al contest "I miei undici libri" indetto da Claireroxy sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3
 
L’aula docenti era in subbuglio. Fuori dalla finestra i primi fiori di pero iniziavano a sbocciare, i raggi del sole erano diventati più tiepidi e le giornate si erano allungate. Annalucia si accostò a Rita per chiederle il motivo per cui il preside e il professore Izzo di matematica stessero urlando.
«Sempre per la stessa storia. Caffè?»
«Sì, grazie. Cioè?»
«De Simone. Izzo vuole bocciarlo».
«Ma non può. All’ultimo consiglio di classe eravamo tutti d’accordo a promuoverlo. Si sta impegnando quest’anno» disse Annalucia. Rita fece spallucce, non sembrava convinta.
La prima volta che aveva cenato con Andrea a “O’panino a’ ro’ Arturo” non era stata l’ultima. Si erano incontrati per caso la settimana successiva e quella dopo ancora, fin quando era diventato un appuntamento fisso. Con Giuseppe andava sempre peggio. Litigavano di continuo, soprattutto perché lui le rinfacciava di non avere nessuna cura di Samuele.
«Neanche un nazista avrebbe la tua stessa freddezza di fronte a un bambino ebreo».
Allora Annalucia sbottava, perdendo ogni controllo di sé:
«Ti avevo detto che non lo volevo! Tu non hai voluto ascoltarmi. Eri convinto che mi sarei affezionata. Ti sbagliavi.»
«Credevo di conoscerti, e invece…»
«Appunto. Credevi…».
Assunta e Franco passavano le proprie giornate a casa loro. Andavano via solo dopo cena, quando Samuele era pronto per andare a fare la nanna.
Gli incontri con Andrea erano diventati un vero toccasana. Inoltre Giuseppe non le chiedeva né con chi uscisse né dove andasse. Durante una di quelle sere Andrea le aveva confessato che dopo il diploma intendeva arruolarsi. La cartolina per partire militare gli era già arrivata, ma suo padre aveva fatto il rinvio: non si sarebbe mosso da Napoli se prima non si fosse diplomato.
«In realtà è mia madre che insiste. Lei è francese».
«Davvero? E come si sono conosciuti?»
«Che ne saccio di come si sono conosciuti i miei genitori, che non ero ancora nato?»
La professoressa Nobile ripensò a quella sera e al desiderio di Andrea di andare via da Napoli: una città che stava diventando una tomba per i giovani, i quali non riuscivano a trovare lavoro e dovevano emigrare o morire lì. Per questo motivo – e per altri – intervenne nella disputa fra il preside e il professor Izzo.
«Ci penso io.» Annalucia riuscì a richiamare la loro attenzione solo alzando la voce. «Da questo momento in poi l’alunno Andrea De Simone sarà un mio problema».
 
Andrea accettò di buon grado di restare a scuola anche oltre l’orario mattutino solo perché c’era la professoressa Nobile a fargli da tutor. Lo disse così ingenuamente davanti al preside e al professore di matematica che Annalucia arrossì, blaterando qualcosa circa la dedizione che lo studente aveva per la sua materia.
«Non puoi dire certe cose davanti agli altri, lo sai questo vero?» Lo ammonì mentre erano diretti all’aula. Lui sghignazzò.
Durante un pomeriggio Andrea la sorprese con una domanda. Era sempre così: quando Annalucia credeva di averlo capito lui la sconvolgeva con curiosità adulte. Lei si era accesa una sigaretta dopo il caffè e rimuginava sui prossimi temi da affrontare, mentre Andrea sfogliava il librone di storia dell’arte. Quando trovò le pagine riguardanti l’artista tedesco Friedrich si soffermò in particolare sul quadro “Abbazia nel querceto”.
«Posso chiederti na’ cosa?» Lei annuì distrattamente. «Perché ti piace questo pittore? È triste, parla di morte.»
Annalucia lo guardò per qualche secondo, senza sapere bene cosa rispondere. Friedrich non era mai stato il suo artista preferito, non era neanche mai andata a Berlino a vedere le sue opere dal vivo. Eppure da qualche mese a quella parte aveva speso diverse ore di lezioni ad approfondirlo. Era vero, le sue opere erano intrise di malinconia e di morte. Si sentiva così attratta da Friedrich perché Rosa e Alberto erano morti? O forse perché era morta dentro?
Le tornarono alla mente alcune frasi che aveva letto la sera prima, tratte da “La casa degli spiriti” di Isabel Allende. Le aveva annotate sulla sua agenda/diario e decise di leggerle ad Andrea sedendosi di fronte a lui:
«”Così come quando si viene al mondo, morendo abbiamo paura dell’ignoto. Ma la paura è qualcosa d’interiore che non ha nulla a che vedere con la realtà. Morire è come nascere: solo un cambiamento”».
«Ti scrivi le frasi dei libri come le mie coetanee?» La prese in giro Andrea, in modo bonario.
«A parte che le coetanee di cui parli, ossia le tue compagne di classe, sono più piccole di te…» sorrisero entrambi, poi lei aggiunse: «Vedi, la morte non è qualcosa di negativo. È solo qualcosa di cui si ha paura perché non si conosce».
«Secondo me chi ha scritto queste cose voleva dire che bisogna cambiare se non si vuole morire. Proprio il contrario di quello che ha fatto Friedrich. Non è riuscito a cambiare la sua vita e perciò è morto.»
La professoressa Nobile sentì come un macigno sprofondare nello stomaco. Improvvisamente la soluzione che aveva tanto cercato da quella disgraziata notte del 25 dicembre le si mostrava chiara e nitida. E aveva le sembianze di un diciannovenne. Come in trance Annalucia vide il volto di lui avvicinarsi, i nasi quasi si sfioravano:
«Hai gli occhi verdi? Sai che non ci avevo mai fatto caso».
La professoressa balzò in piedi, poi la porta dell’aula si aprì e il bidello affermò che c’era qualcuno per lei.
«O’zuopp tutt’apposto?» Andrea alzò il palmo con tanto di sorriso, l’uomo si allontanò imprecando.
«Torno subito». Annalucia abbandonò la classe a grandi falcate, raggiungendo l’atrio dell’istituto dove ad attenderla trovò Giuseppe, con Samuele nel passeggino.
«È successo qualcosa?» Gli chiese, meravigliandosi di vederlo lì.
«No. Siamo usciti per una passeggiata e ho pensato di passare per un saluto.»
«Sto lavorando.»
«Lo so…» Giuseppe sospirò imbarazzato. «In realtà la gelosia mi stava mangiando vivo…» si sforzò di sorridere, ma sua moglie non sembrava affatto divertita. Con la coda dell’occhio notò il bidello Mario a pochi metri da loro, quindi propose di spostarsi in giardino. Giuseppe la seguì a ruota, fermandosi quando lo fece lei, in prossimità del pero fiorito.
«Io sto lavorando, Giuseppe! Non ho tempo per le tue stupide paranoie di mezza età!»
«Si, scusami, ma non sei mai stata tutto questo tempo a scuola. Ho pensato… oddio adesso mi sento davvero stupido…». Di nuovo cercò di far sembrare la cosa divertente.
«Che avessi un amante? È questo che hai pensato?» Annalucia era davvero adirata. Per tutti quei mesi suo marito non si era neanche degnato di chiederle con chi uscisse e adesso che aveva preso un impegno con la scuola si preoccupava?
In verità da qualche settimana Giuseppe era cambiato, o meglio, cominciava a tornare quello di prima: un marito premuroso, divertente e comprensivo. Ogni mattina accompagnava Samuele dai nonni e poi passava a riprenderlo la sera, quindi avevano avuto più tempo per loro. A essere cambiata adesso era Annalucia. Lui non aveva capito le sue ragioni quando aveva cercato di spiegargliele e ora lei non intendeva sforzarsi di comprendere le sue.
Un aereo passò sopra le loro teste, Samuele cominciò a piangere per il frastuono. Lei alzò gli occhi e notò la figura di Andrea dietro l’ampia finestra della classe in cui stavano studiando. Li osservava. Serio.
«Mi manchi Luce» Giuseppe allungò una mano per sfiorarle il viso, ma lei indietreggiò.
«Devo tornare dentro. E poi Samuele piange. Ci vediamo a casa.»
«Anche a Samuele manchi».
«Non sono la sua mamma.»
 
Andrea De Simone era ancora vicino alla finestra quando rientrò.
«Scusa, continuiamo domani.» Annalucia cominciò a riordinare le sue cose.
«Problemi a casa?»
Silenzio.
«Hai un figlio. Non me lo avevi detto».
«Non è mio figlio.»
«Ma quello era tuo marito, giusto? A proposito, ha dei baffi enormi!»
«Sì, è mio marito e sì, ha dei baffi enormi. Altre domande?»
«Sì. Chi è quel bambino?»
Annalucia sbuffò, sbattendo i libri uno sull’altro mentre li raccoglieva: parlare di quell’argomento le dava noia.
«È una lunga storia. Non ti piacerebbe.»
«Tu raccontamela».
«San Gennaro, che rompipalle che sei!» Lui sorrise. «Si chiama Samuele ed è il nipote di mio marito, è orfano e vive con noi. Contento?»
«Non avete figli vostri?»
«Non ti riguarda».
«Sei una di quelle donne… aspètt come le chiamano? Aborr… aborti…»
«Abortiste. Sì, sono una di loro. Incredibile, vero? Il mostro vive in mezzo a noi!»
«Ehi, io non ti darei mai del mostro!» Andrea si avvicinò per recuperare le sue cose. «Se mia moglie non volesse dei figli lo accetterei.»
«Dite tutti così e poi… muore una cognata e ti devi prendere cura del figlio».
«Io sono figlio unico» Andrea le strizzò l’occhio strappandole un sorriso. «No, dico sul serio. Il corpo è della donna quindi è lei che deve decidere. E comunque sia se non fosse una cosa buona non avrebbero fatto tutto stu’ burdèll ppè nientè, no?» Aggiunse, riferendosi agli scioperi pro aborto. «È il cambiamento che ci tiene in vita professorèss».
 
Epilogo
 
Il 29 aprile del 1990 il Napoli del presidente Ferlaino vinse lo scudetto battendo la Lazio con un gol di Baroni. Maradona non segnò, ma quella coppa era soprattutto sua.
L’intera città si riversò per le strade, bandiere azzurre sventolavano ovunque e con i fuochi d’artificio sembrava un nuovo Capodanno. Un nuovo inizio. I clacson delle auto e dei motorini parevano un concerto, dappertutto riecheggiava l’inno della squadra campione d’Italia. Era un popolo in festa.
Anche Annalucia e Giuseppe si erano mischiati a quella baraonda, con il piccolo Samuele al sicuro fra le braccia dello zio. La situazione tra loro si era calmata, ma erano diventati due estranei. Ognuno conduceva la propria vita senza invadere quella altrui, eppure Annalucia smetteva di vivere quando varcava la soglia dell’appartamento: la quotidianità nella quale si era crogiolata per anni si era trasformata in una prigione.
Nella ressa la professoressa sentì la propria mano afferrata da altre dita e trascinata all’indietro. Fece per urlare ma Andrea De Simone la zittì con un indice sul naso, trascinandola con sé in un vicoletto senza uscita. Lì, dalla grata della cucina della rosticceria dove lui aveva rubato un crocchè e si erano incontrati una sera di marzo, fuoriuscivano gli odori pungenti del fritto. Andrea le prese il viso fra le mani e la baciò a stampo sulle labbra, intensamente.
«Ma che cazzo fai?» Annalucia lo spinse via.
«Abbiamo vinto professorèss! Siamo campioni! Stasera il mondo è sottosopra!» Gli occhi del ragazzo brillavano, i capelli cadevano perfettamente lisci ai lati del volto, i lineamenti marcati e dolci insieme. Era bellissimo. Mano nella mano la portò con sé fino a un Bravo abbandonato qualche metro più in là. Annalucia si accomodò alle sue spalle, cingendogli il ventre per non cadere quando si immise in strada. Non sapeva dove stesse andando né cosa aspettarsi, le sue gambe avevano seguito quel ragazzo in automatico. La mente era vuota, riempita solo dai canti intorno a sé. Sfrecciarono fra le auto ferme, andando sul marciapiede quando non si riusciva a proseguire, urlando a squarciagola l’inno del Napoli.
Andrea guidò senza indugi, era chiaro che già conoscesse la propria meta. Arrestò la corsa quando raggiunse Piazzale San Martino, appena sopra il Vomero. Non c’era molta gente lì, la maggior parte delle persone avevano invaso le strade principali.
Da quel punto la vista era mozzafiato. Annalucia si avvicinò al parapetto e respirò a pieni polmoni l’aria che saliva dal mare. Si poteva vedere indistintamente tutta Napoli: il lungomare, piazza Plebiscito, il porto, il Maschio Angioino, Capri. Il Vesuvio. Inoltre, abbassando lo sguardo, si notava un’immensa distesa di bandiere azzurre. Uno spettacolo surreale.
Andrea la raggiunse e per un po’ rimasero entrambi in silenzio, a godersi il panorama e l’aria buona.
«A giugno partirò per il militare».
«E la scuola?»
«Prenderò il diploma sotto le armi».
Annalucia annuì sperando che la brezza le asciugasse le lacrime.
«Vattene anche tu» disse lui all’improvviso alzandole il mento verso il proprio. «Se non sei felice, vattene. Cambia o muori, ricordi?»
Lei gli accarezzò i capelli. Erano morbidi.
«Da adulti non si scappa. Non si può fuggire. E certe cose sono sbagliate».
«Amare è una cosa sbagliata, professorèss?» Andrea le passò una mano dietro la schiena e l’altra fra i ricci. Annalucia si allontanò con garbo:
«No, non lo è. Ma bisogna essere bravi a non fraintendere i sentimenti».
«Io sono innamorato di te.» Il ragazzo chinò il capo, per la prima volta Annalucia lo vide per quello che era: un adolescente che si vergognava di dire apertamente ciò che provava. O quanto meno quello che credeva di provare.
«No, non è vero» lei sorrise con dolcezza e lui la osservò di sottecchi. «L’amore è un’altra cosa. Quello che senti è un bene profondo e sincero, ed è ricambiato, credimi. Ma non è amore».
«Allora cos’è l’amore? Quello che unisce te e baffone? Sei innamorata di lui?»
Annalucia fece un respiro profondo, scrutando il panorama che si estendeva dinnanzi a lei. Si soffermò sull’immensità del mare: un azzurro splendente che si perdeva a vista d’occhio. Lui attese la risposta senza smettere di studiarla.
Davvero ciò che provava per lei non era amore?
«Non più» ammise sincera. «L’ho amato, l’ho sposato e... niente, siamo marito e moglie» c’era una chiara punta di amarezza nella sua voce.
«Vattene, se questa non è la vita che vuoi per te allora cambiala».
«Non è facile, io non-»
«Invece lo è!» La interruppe Andrea e lei lo guardò.
Se avesse avuto dieci anni in meno si sarebbe potuta innamorare di uno come lui? «Fai quello che desideri. Se non sei felice con tuo marito e quel bambino allora va via. Ha chiesto il tuo parere quando ha deciso di portarlo a casa vostra?»
«Sì» pausa. «No» Annalucia scosse il capo. No, in realtà non l’aveva fatto, aveva deciso senza di lei e glielo aveva imposto anche, senza preoccuparsi di chiederle alcunché. Per settimane si era comportato come se lei non esistesse, come se non si fossero promessi amore eterno davanti a Dio. Anzi, sembrava che la sua sola presenza lo disturbasse. Certo, con il tempo le cose erano cambiate, ma lei era disposta a essere comprensiva adesso? Probabilmente no. E quindi, a conti fatti, cosa le rimaneva?
Solo sé stessa.
«Lui ha scelto la sua vita, perché non puoi scegliere la tua? Cambia o muori, ricordi?»
Sì, se avesse avuto dieci anni in meno si sarebbe potuta innamorare di uno come lui.
 

 

 
Il taxi si fermò davanti all’aeroporto di Capodichino. Annalucia ringraziò l’uomo al volante e oltrepassò le porte automatiche, la ventiquattrore stretta nella mano destra. Sebbene avesse fatto il biglietto di solo andata per Berlino, aveva preferito portare con sé il necessario, avrebbe preso ciò che le serviva al momento. Mancava ancora un po’ all’imbarco, perciò si accomodò vicino alle enormi vetrate. Era una bella giornata di giugno e tutto andava bene. Dopo mesi si sentiva finalmente in pace con sé stessa. Libera.
Si era dimessa da scuola il giorno precedente e aveva scritto un biglietto a Giuseppe quella mattina stessa, in cui lo informava che voleva il divorzio e non doveva preoccuparsi di grattacapi giudiziari come chi avesse tenuto la casa o la macchina. Gli lasciava tutto. Non ne aveva bisogno. Aveva deciso di viaggiare e visitare nuove realtà, fin quando non avesse trovato il suo posto nel mondo.
La speaker annunciò ai passeggeri diretti a Milano di prepararsi all’imbarco. L’ex professoressa osservò le persone mettersi in fila, i saluti strappalacrime, poi tra queste le parve di riconoscere un sorriso famigliare e smagliante. Era Andrea. Sembrava felice di vederla lì, all’aeroporto, con una valigia accanto. Annalucia alzò una mano per salutarlo e lui fece altrettanto. Teneva con sé un bagaglio a mano (un borsone color militare) e un berretto calato sulla testa con lo stemma dell’aeronautica italiana. Lo seguì con lo sguardo fino a quando poté. Quindi chiuse gli occhi, provando a immaginarlo in divisa. Cielo, le ragazze avrebbero fatto patti con il diavolo pur di accaparrarselo. In cuor suo gli augurò il meglio che la vita ha da offrire. Davvero il meglio…
Senza accorgersene si appisolò.
Sognò di trovarsi di fronte all’abbazia nel querceto, proprio come nel quadro di Friedrich gli alberi erano spogli, l’atmosfera cupa e grigia, dell’antica cattedrale era rimasto solo uno scheletro indistinto. Sentì i vagiti di un neonato. Forse Samuele. Non voleva vederlo più. Non voleva sentirsi più così, come in quegli ultimi mesi: sbagliata. Una donna indifferente e fredda che suo marito guardava con disprezzo. Osservò l’entrata dell’abbazia – o ciò che ne restava – e decise di oltrepassarla, sebbene non conoscesse quello che c’era dall’altra parte e ne avesse un gran timore. Ma qualcuno, un giorno non troppo lontano, le aveva detto che il cambiamento è vita, il cambiamento è tutto. Oltre c’è solo la morte.
Cambia o muori, ricordi?
Con passo sicuro Annalucia si incamminò all’interno di un’abbazia che non esisteva più, sparendo nella nebbia secolare del querceto.
 
Quando la voce metallica invitò i passeggeri del volo 3253 diretti a Berlino all’imbarco, Annalucia si svegliò di soprassalto. Afferrò la valigia e si mise in fila, fissando fuori dalla finestra l’aereo che l’avrebbe portata via. Prima tappa: Castello di Charlottenburg per ammirare dal vivo le opere di Friedrich. Mostrò i documenti alla hostess e imboccò il lungo corridoio immacolato alla sua sinistra, senza voltarsi indietro, senza ripensamenti, ma con un gran sorriso sulle labbra.
Alla fine, probabilmente, non sarebbe morta. 
 

fine
  
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