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Autore: Flaminia_Kennedy    29/07/2009    2 recensioni
Per la sesta volta in un giorno mi chiesi perché mi ero voluta trasferire a Forks, la zona più piovosa di tutto il continente americano.
Certo, non adoravo il sole di casa mia in Texas, ma nemmeno il perenne strato di nubi che nascondeva il cielo.
[...]
Ridacchiai, perché il volto di quel ragazzo dai capelli bruni e corti mi ispirava simpatia, un po’ come gli orsacchiotti che avevo nella mia vecchia camera a Dallas.
Quando l’auto, guidata da un ragazzo dai capelli ramati e sparati in aria, arrivò a pochi metri da me il ragazzone si infilò dentro la vettura, parlando concitatamente con il ragazzo vicino a lui.
Era un tipo dai capelli color miele e in quel momento il volto meraviglioso e pallido era contratto da una smorfia addolorata.
Genere: Azione, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jasper Hale, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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13.

Technology

 

Non seppi con precisione quanto tempo passò.

Rimasi nel buio finché il mio cervello non si riprese del tutto dal cocktail di emozioni che lo stava sconvolgendo, oltre alle vertigini.

Con un po’ di fatica mi misi seduta, completamente legata; le mani erano immobilizzare dietro la mia schiena e le mie caviglie erano assicurate insieme.

Guardai i nodi e con amarezza vidi che non avrei potuto farci nulla, se non osservarli e basta.

La corda era troppo resistente per poterla spezzare e non vedevo nulla che avrebbe potuto aiutarmi a tagliarla.

Il cellulare mi vibrò nuovamente in tasca e un’idea mi fulminò sul momento: mi buttai a terra, inarcando la schiena e ringraziando i corsi di yoga che avevo fatto qualche anno prima.

Il telefonino, poco a poco, cominciò a scivolare fuori dalla tasca poco profonda e quando sentii il debole ciocco della cover contro il pavimento di legno mi rilassai a terra, supina.

Mi sentivo un salame e ormai non mi sentivo più le mani, ma lo stesso riuscii a tirarmi di nuovo su e presi il cellulare.

Avevo un paio di messaggi di mia zia e uno di Bella.

Con le dita fredde e deboli aprii la conchiglia del cellulare e premetti il tasto del menu; per fortuna il numero di Jasper lo avevo memorizzato in modo che fosse il primo della lista.

La mano sinistra aveva preso un brutto colorito cianotico, ma andai avanti e premetti il pulsante della chiamata.

Pregai con tutta me stessa che rispondesse: dovevo dirgli di non dare retta a quello che il suo cervello avrebbe intuito, di stare a Forks, di non salvarmi.

Perché sarebbe tutto finito se lo avesse fatto.

Mi sentii sollevata quando qualcuno rispose alla chiamata «pronto? » sentii la voce di Edward oltre il ricevitore lontano dal mio orecchio «Edward! Edward dov’è Jasper?? » chiesi, tenendo d’occhio l’entrata del capannone.

Dalla fessura tra la porta e il terreno la luce dell’alba che si avvicinava sempre di più mi diceva che non avevo più tempo «Ora non c’è, è fuori. Se vuoi posso andarlo a cercare» disse il vampiro «c’è qualcosa che non va? » «Edward ascoltami! » vidi un’ombra avvicinarsi alla porta e cominciai a sentirmi male.

Mi avvicinai di più al cellulare aperto sul pavimento «trattenete Jasper a Forks! Qualsiasi cosa succeda non fatelo andare via! » urlai con tutta me stessa.

Sapevo che Maria mi aveva già sentita, ma non mi importava.

Vidi la vampira aprire la porta e richiudersela alle spalle «Sarah dove sei? Jasper è tornato adesso, dice che non sei a casa, cosa sta succedendo? ».

Maria raccolse il cellulare da terra, mentre io cercavo impedirle di chiudere la conversazione in ogni modo.

Anche a costo di perdere la vita «NON FATELO ANDARE VIA DA FORKS! » gridai e mentre le ultime note di quel grido disperato si disperdevano, Maria chiudeva la mano e riduceva l’apparecchio a una pallina di metallo, plastica e microchip.

La vampira mi guardò e schioccò la lingua «oh no tesorino, questo non me lo dovevi fare» disse e afferrando una delle corde che mi legavano mi tirò su e mi sbatté con violenza contro un muro del capanno.

L’impatto fu tale che sentii ogni mio osso scricchiolare e la mia testa cozzò contro il cemento della parete; un chiodo che spuntava dalla parete, probabilmente una volta doveva sorreggere una mensola ora distrutta, mi graffiò la cute della testa e subito il sangue cominciò a defluire.

Avvertii il liquido caldo colarmi sul viso, salato «ci ho messo anni per trovare uno spiraglio in quella dannata famiglia, anni! E tu vuoi rovinare tutto con una semplice chiamata? » ringhiò, con gli occhi rossi puntati su di me.

Poi parve rinsavire da quell’attacco d’ira, guardando la pallina che una volta era il mio cellulare «sai una cosa? Mi hai fatto venire un’idea niente male…» sussurrò, guardando prima il soffitto del capanno, poi sorridendomi maligna.

Il suo sorriso da squalo si allargò ancora di più quando, dopo un po’ di ricerche, riuscì a trovare un gancio arrugginito «ora io e te faremo un po’ di ginnastica, tesorino» disse lei, poi mi afferrò di nuovo e mi alzò fino a una carrucola.

Con un gesto secco della mano infilzò la punta del gancio nella mia schiena, non abbastanza in profondità per uccidermi ma il dolore fu comunque lancinante.

Urlai, sentendo la gola riarsa bruciarmi come fuoco e il sapore del mio sangue venire su assieme allo spasimo.

Come carne da macello Maria mi appese alla carrucola e mi guardò, come un’artista che guardava con sguardo critico il suo capolavoro «sei perfetta tesorino» mi disse, ridacchiando «ora non ti muovere, zia Maria torna subito ok? » aggiunse e uscì di nuovo dall’edificio, lasciandomi da sola.

Sospirai, ma il gesto mi costò una fitta che mi percorse tutto il corpo; guardai giù le gocce del mio sangue allargarsi sul pavimento polveroso.

 

La donna ritornò qualche ora più tardi, quando il sole era già alto e filtrava attraverso le travi rotte del tetto.

In mano teneva un cellulare nuovo di zecca, completo di fotocamera, e accanto aveva la bambina, Marina.

La ragazzina stava giocando con quello che una volta era il mio telefonino e dopo un attimo ne tirò fuori la sim, miracolosamente intatta «bene, ora vediamo di mandare qualche foto ricordo al nostro amato Whitlock» disse la vampira dai capelli neri, inserendo la sim nel cellulare e accendendolo; qualche minuto dopo il flash del cellulare mi accecava e la risata tranquilla della ragazzina mi entrava nella testa come un trapano «allora, vediamo…dove hai messo il suo numero? » mi chiese, curiosando nella rubrica «oh, eccolo! Spera solo che lo veda presto, perché ho iniziato a prenderci, mia cara» mi disse, avvicinandosi con passo dondolante «non credevo che questa tecnologia fosse così divertente».

La bambina seguì la madre, guardandomi «posso giocarci io? Per favore! » esclamò con voce lamentosa, mentre la donna mi tirava giù dalla carrucola.

Il gancio rimase fisso nella mia schiena e senza troppe carinerie Marina me lo strappò via dalla carne con un gesto improvviso.

Urlai ancora, con le lacrime agli occhi.

Iniziai a ripetere il mantra che avevo appena scoperto “fallo per Jasper, fallo per Jasper” e serrai i denti per non lasciarmi scappare altro che piccoli e sussurrati lamenti «mamma passami il cellulare, voglio fare altre foto! » aggiunse Marina, tendendo la mano verso la donna.

Maria le diede l’apparecchio con un sorriso zuccheroso, guardandomi curiosa «oh, andiamo, hai finito di lamentarti? Mi stavo divertendo! » esclamò ancora la bambina, tirandomi un calcio nell’addome.

Sentii una costola rompersi di netto, con un sonoro crock, ma dalla mia bocca non uscì altro che silenzio.

Certo, mi irrigidii completamente e strizzai gli occhi, ma le mie labbra rimasero mute sebbene aperte in cerca d’aria.

Non mi sentivo più le mani e con molta probabilità se non fossi morta avrei almeno perso l’uso di esse; Maria stette a guardare la figlia adottiva divertirsi con il suo nuovo giocattolo: Marina mi spogliò della mia maglia strappandomela via dal corpo e cominciò a disegnarmi sulla pelle con un cutter.

Quando calcava troppo la mano le piccole goccioline rosse che imperlavano il tracciato che eseguiva si ingigantivano e scendevano lungo la mia pelle sempre più pallida e cianotica. Poi, dopo aver finito il suo disegno spettrale si alzò e scattò qualche foto.

Cominciai a sentire freddo, nonostante il sole scaldasse la capanna come un forno «mamma non mi diverto più, mi danno fastidio le corde! Non si intonano al resto » disse la bambina, pizzicando i legacci che mi bloccavano come se fossero le corde di una chitarra.

Maria scosse la testa «non possiamo permetterci che vada via adesso, piccola. Fai una cosa: spezzale una gamba e allora potrai togliere le corde» disse con leggerezza, come se parlasse di un metodo nuovo per coltivare tulipani.

Marina sorrise, poi si alzò e con un unico colpo spezzò tutte le funi che mi legavano. Sentii il sangue ritornare a circolare negli arti e ripresi a respirare; la mia mente si schiarì appena e dalla mia bocca uscì spontaneo un sospiro di sollievo.

Guardai la ragazzina avvicinarsi al mio ginocchio e osservarmi con malizia.

Dopo alzò il piede e di scatto lo calò sulla mia tibia, che sentii andare in frantumi; e io gridai, urlai come mai avevo fatto in vita mia.

Urlai il mio mantra, afferrandomi a una tavola sollevata del pavimento e inarcando la schiena «che umana coraggiosa» disse Maria «mi fai venir voglia di trasformarti. Se il tuo adorato vampiro accetterà di ritornare alla sua vecchia vita senza opporsi, forse ti concederò l’onore di far parte anche te del mio esercito» disse.

Le sue parole mi colpirono e passarono oltre la mia coscienza: stavo svenendo di nuovo.

Questa volta, però, ero scusata: avevo fame e sete, il mio corpo era stato tagliuzzato in mille punti e il sangue che stavo perdendo dalla schiena e dalla testa di certo non mi aiutava a stare sveglia.

Marina diede un altro piccolo calcetto alla mia gamba –con mio orrore vidi l’osso uscire dalla carne completamente frantumato– e si diresse verso la madre «vado a caccia, tienimela in caldo» disse.

Maria diede un piccolo bacio sulla fronte della ragazzina, poi la salutò e ritornò a fissare il suo sguardo rosso rubino su di me «è ora di altre fotografie» canticchiò, avvicinandosi e iniziando un’altra sessione di immagini macabre che avrebbero condotto Jasper se non alla follia almeno dalla folle vampira.

 

Maria doveva aver fatto almeno un’altra ventina di foto prima che la ragazzina ritornasse, con gli occhi di nuovo rossi come sangue.

Io non avevo più forze ormai e mi lasciavo fare tutto quello che la vampira voleva: la mia mente era troppo spaccata e devastata dal dolore perché potessi recuperare un po’ del mio vecchio orgoglio.

Ogni ferita pulsava come se fosse fatta di fuoco e ormai la gamba rotta nemmeno la sentivo più.

Giacevo stesa a terra come una marionetta senza fili, con la schiena appoggiata al muro a cui prima ero stata sbattuta con i polsi mollemente abbandonati ai miei fianchi.

La mia vista era nettamente peggiorata e il mondo era stato avvolto da una nebbia sottile e turbinante «è appena tornato Johnson!» disse la bambina, guardando fuori dalla finestra entusiasta «e il vento sta portando l’odore di Landon. Stanno tornando qui tutt’e due! » esclamò felice, saltellando sul posto.

Maria era seduta comodamente su un covone di paglia secca e soffice e stava giocherellando con una ciocca dei miei capelli, come se fossi un animale domestico da coccolare «bene! Vuol dire che il nostro servizio fotografico ha funzionato» mi disse, come se fossi contenta di quegli scatti dolorosi.

Marina aprì la porta e uscì, luccicando nel sole; pensai lì per lì che fosse un’allucinazione provocata dalla stanchezza.

Sbattei le palpebre un paio di volte, ma il luccichio non scomparì dalla pelle della bambina.

Ci misero poco ad entrare nel capanno i due vampiri seguaci di Maria «bene, è ora di fare una telefonata» disse lei, sogghignando.

 

Risposta alle recensioni:

 

Norine: Ma tu sei Alice sotto mentite spoglie! XD Si, Maria è perfida da morire…ma dopotutto se non lo fosse sarebbe disoccupata!

   
 
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