13.
Technology
Non
seppi con precisione quanto
tempo passò.
Rimasi
nel buio finché il mio
cervello non si riprese del tutto dal cocktail di emozioni che lo stava
sconvolgendo, oltre alle vertigini.
Con
un po’ di fatica mi misi
seduta, completamente legata; le mani erano immobilizzare dietro la mia
schiena
e le mie caviglie erano assicurate insieme.
Guardai
i nodi e con amarezza
vidi che non avrei potuto farci nulla, se non osservarli e basta.
La
corda era troppo resistente
per poterla spezzare e non vedevo nulla che avrebbe potuto aiutarmi a
tagliarla.
Il
cellulare mi vibrò nuovamente
in tasca e un’idea mi fulminò sul momento: mi
buttai a terra, inarcando la
schiena e ringraziando i corsi di yoga che avevo fatto qualche anno
prima.
Il
telefonino, poco a poco,
cominciò a scivolare fuori dalla tasca poco profonda e
quando sentii il debole
ciocco della cover contro il pavimento di legno mi rilassai a terra,
supina.
Mi
sentivo un salame e ormai non
mi sentivo più le mani, ma lo stesso riuscii a tirarmi di
nuovo su e presi il
cellulare.
Avevo
un paio di messaggi di mia
zia e uno di Bella.
Con
le dita fredde e deboli aprii
la conchiglia del cellulare e premetti il tasto del menu; per fortuna
il numero
di Jasper lo avevo memorizzato in modo che fosse il primo della lista.
La
mano sinistra aveva preso un
brutto colorito cianotico, ma andai avanti e premetti il pulsante della
chiamata.
Pregai
con tutta me stessa che
rispondesse: dovevo dirgli di non dare retta a quello che il suo
cervello
avrebbe intuito, di stare a Forks, di non salvarmi.
Perché
sarebbe tutto finito se lo
avesse fatto.
Mi
sentii sollevata quando
qualcuno rispose alla chiamata «pronto?
»
sentii la voce di Edward oltre il ricevitore lontano
dal mio orecchio «Edward!
Edward dov’è Jasper?? »
chiesi, tenendo d’occhio
l’entrata del capannone.
Dalla
fessura tra la porta e il
terreno la luce dell’alba che si avvicinava sempre di
più mi diceva che non avevo
più tempo «Ora
non c’è, è fuori. Se vuoi posso andarlo
a cercare»
disse il vampiro «c’è
qualcosa che non va? »
«Edward
ascoltami! »
vidi un’ombra avvicinarsi alla porta e cominciai a
sentirmi male.
Mi
avvicinai di più al cellulare
aperto sul pavimento «trattenete
Jasper a Forks! Qualsiasi cosa succeda non
fatelo andare via! »
urlai con tutta me stessa.
Sapevo
che Maria mi aveva già
sentita, ma non mi importava.
Vidi
la vampira aprire la porta e
richiudersela alle spalle «Sarah
dove sei? Jasper è tornato adesso, dice che non
sei a casa, cosa sta succedendo? ».
Maria
raccolse il cellulare da
terra, mentre io cercavo impedirle di chiudere la conversazione in ogni
modo.
Anche
a costo di perdere la vita «NON
FATELO ANDARE VIA DA FORKS! »
gridai e mentre le ultime note
di quel grido disperato si disperdevano, Maria chiudeva la mano e
riduceva
l’apparecchio a una pallina di metallo, plastica e microchip.
La
vampira mi guardò e schioccò
la lingua «oh
no tesorino, questo non me lo dovevi fare»
disse e afferrando una delle
corde che mi legavano mi tirò su e mi sbatté con
violenza contro un muro del
capanno.
L’impatto
fu tale che sentii ogni
mio osso scricchiolare e la mia testa cozzò contro il
cemento della parete; un
chiodo che spuntava dalla parete, probabilmente una volta doveva
sorreggere una
mensola ora distrutta, mi graffiò la cute della testa e
subito il sangue
cominciò a defluire.
Avvertii
il liquido caldo colarmi
sul viso, salato «ci
ho messo anni per trovare uno spiraglio in quella
dannata famiglia, anni! E tu vuoi rovinare tutto con una semplice
chiamata? »
ringhiò, con gli occhi rossi
puntati su di me.
Poi
parve rinsavire da
quell’attacco d’ira, guardando la pallina che una
volta era il mio cellulare «sai
una cosa? Mi hai fatto venire
un’idea niente male…»
sussurrò, guardando prima il soffitto del capanno,
poi sorridendomi maligna.
Il
suo sorriso da squalo si
allargò ancora di più quando, dopo un
po’ di ricerche, riuscì a trovare un
gancio arrugginito «ora
io e te faremo un po’ di ginnastica, tesorino»
disse lei, poi mi afferrò di
nuovo e mi alzò fino a una carrucola.
Con
un gesto secco della mano
infilzò la punta del gancio nella mia schiena, non
abbastanza in profondità per
uccidermi ma il dolore fu comunque lancinante.
Urlai,
sentendo la gola riarsa
bruciarmi come fuoco e il sapore del mio sangue venire su assieme allo
spasimo.
Come
carne da macello Maria mi
appese alla carrucola e mi guardò, come un’artista
che guardava con sguardo
critico il suo capolavoro «sei
perfetta tesorino»
mi disse, ridacchiando «ora
non ti muovere, zia Maria torna subito ok? »
aggiunse e uscì di nuovo dall’edificio,
lasciandomi da sola.
Sospirai,
ma il gesto mi costò
una fitta che mi percorse tutto il corpo; guardai giù le
gocce del mio sangue
allargarsi sul pavimento polveroso.
La
donna ritornò qualche ora più
tardi, quando il sole era già alto e filtrava attraverso le
travi rotte del
tetto.
In
mano teneva un cellulare nuovo
di zecca, completo di fotocamera, e accanto aveva la bambina, Marina.
La
ragazzina stava giocando con
quello che una volta era il mio telefonino e dopo un attimo ne
tirò fuori la
sim, miracolosamente intatta «bene,
ora vediamo di mandare qualche foto ricordo al
nostro amato Whitlock»
disse la vampira dai capelli neri, inserendo la sim
nel cellulare e accendendolo; qualche minuto dopo il flash del
cellulare mi
accecava e la risata tranquilla della ragazzina mi entrava nella testa
come un
trapano «allora,
vediamo…dove hai messo il suo numero? »
mi chiese, curiosando nella
rubrica «oh,
eccolo! Spera solo che lo veda presto, perché ho iniziato
a prenderci, mia cara»
mi disse, avvicinandosi con passo dondolante «non
credevo che questa tecnologia
fosse così divertente».
La
bambina seguì la madre,
guardandomi «posso
giocarci io? Per favore! »
esclamò con voce lamentosa,
mentre la donna mi tirava giù dalla carrucola.
Il
gancio rimase fisso nella mia
schiena e senza troppe carinerie Marina me lo strappò via
dalla carne con un gesto
improvviso.
Urlai
ancora, con le lacrime agli
occhi.
Iniziai
a ripetere il mantra che
avevo appena scoperto “fallo per
Jasper,
fallo per Jasper” e serrai i denti per non
lasciarmi scappare altro che
piccoli e sussurrati lamenti «mamma
passami il cellulare, voglio fare altre foto! »
aggiunse Marina, tendendo la
mano verso la donna.
Maria
le diede l’apparecchio con
un sorriso zuccheroso, guardandomi curiosa «oh,
andiamo, hai finito di lamentarti? Mi stavo
divertendo! »
esclamò ancora la bambina, tirandomi un calcio
nell’addome.
Sentii
una costola rompersi di
netto, con un sonoro crock, ma dalla mia bocca non uscì
altro che silenzio.
Certo,
mi irrigidii completamente
e strizzai gli occhi, ma le mie labbra rimasero mute sebbene aperte in
cerca
d’aria.
Non
mi sentivo più le mani e con
molta probabilità se non fossi morta avrei almeno perso
l’uso di esse; Maria
stette a guardare la figlia adottiva divertirsi con il suo nuovo
giocattolo:
Marina mi spogliò della mia maglia strappandomela via dal
corpo e cominciò a
disegnarmi sulla pelle con un cutter.
Quando
calcava troppo la mano le
piccole goccioline rosse che imperlavano il tracciato che eseguiva si
ingigantivano
e scendevano lungo la mia pelle sempre più pallida e
cianotica. Poi, dopo aver
finito il suo disegno spettrale si alzò e scattò
qualche foto.
Cominciai
a sentire freddo,
nonostante il sole scaldasse la capanna come un forno «mamma
non mi diverto più, mi
danno fastidio le corde! Non si intonano al resto »
disse la bambina, pizzicando i
legacci che mi bloccavano come se fossero le corde di una chitarra.
Maria
scosse la testa «non
possiamo permetterci che vada
via adesso, piccola. Fai una cosa: spezzale una gamba e allora potrai
togliere
le corde»
disse con leggerezza, come se parlasse di un metodo
nuovo per coltivare tulipani.
Marina
sorrise, poi si alzò e con
un unico colpo spezzò tutte le funi che mi legavano. Sentii
il sangue ritornare
a circolare negli arti e ripresi a respirare; la mia mente si
schiarì appena e
dalla mia bocca uscì spontaneo un sospiro di sollievo.
Guardai
la ragazzina avvicinarsi
al mio ginocchio e osservarmi con malizia.
Dopo
alzò il piede e di scatto lo
calò sulla mia tibia, che sentii andare in frantumi; e io
gridai, urlai come
mai avevo fatto in vita mia.
Urlai
il mio mantra, afferrandomi
a una tavola sollevata del pavimento e inarcando la schiena «che
umana coraggiosa»
disse Maria «mi
fai venir voglia di
trasformarti. Se il tuo adorato vampiro accetterà di
ritornare alla sua vecchia
vita senza opporsi, forse ti concederò l’onore di
far parte anche te del mio
esercito»
disse.
Le
sue parole mi colpirono e
passarono oltre la mia coscienza: stavo svenendo di nuovo.
Questa
volta, però, ero scusata:
avevo fame e sete, il mio corpo era stato tagliuzzato in mille punti e
il
sangue che stavo perdendo dalla schiena e dalla testa di certo non mi
aiutava a
stare sveglia.
Marina
diede un altro piccolo
calcetto alla mia gamba –con mio orrore vidi l’osso
uscire dalla carne
completamente frantumato– e si diresse verso la madre «vado
a caccia, tienimela in caldo»
disse.
Maria
diede un piccolo bacio
sulla fronte della ragazzina, poi la salutò e
ritornò a fissare il suo sguardo
rosso rubino su di me «è
ora di altre fotografie»
canticchiò, avvicinandosi e
iniziando un’altra sessione di immagini macabre che avrebbero
condotto Jasper
se non alla follia almeno dalla folle vampira.
Maria
doveva aver fatto almeno un’altra
ventina di foto prima che la ragazzina ritornasse, con gli occhi di
nuovo rossi
come sangue.
Io
non avevo più forze ormai e mi
lasciavo fare tutto quello che la vampira voleva: la mia mente era
troppo
spaccata e devastata dal dolore perché potessi recuperare un
po’ del mio
vecchio orgoglio.
Ogni
ferita pulsava come se fosse
fatta di fuoco e ormai la gamba rotta nemmeno la sentivo più.
Giacevo
stesa a terra come una
marionetta senza fili, con la schiena appoggiata al muro a cui prima
ero stata
sbattuta con i polsi mollemente abbandonati ai miei fianchi.
La
mia vista era nettamente
peggiorata e il mondo era stato avvolto da una nebbia sottile e
turbinante «è
appena tornato Johnson!»
disse la bambina, guardando fuori
dalla finestra entusiasta «e
il vento sta portando l’odore di Landon. Stanno
tornando qui tutt’e due! »
esclamò felice, saltellando sul posto.
Maria
era seduta comodamente su
un covone di paglia secca e soffice e stava giocherellando con una
ciocca dei
miei capelli, come se fossi un animale domestico da coccolare «bene!
Vuol dire che il nostro
servizio fotografico ha funzionato»
mi disse, come se fossi contenta di quegli scatti
dolorosi.
Marina
aprì la porta e uscì,
luccicando nel sole; pensai lì per lì che fosse
un’allucinazione provocata
dalla stanchezza.
Sbattei
le palpebre un paio di
volte, ma il luccichio non scomparì dalla pelle della
bambina.
Ci
misero poco ad entrare nel
capanno i due vampiri seguaci di Maria «bene,
è ora di fare una telefonata»
disse lei, sogghignando.
Risposta
alle recensioni:
Norine: Ma tu
sei Alice sotto
mentite spoglie! XD Si, Maria è perfida da
morire…ma dopotutto se non lo fosse
sarebbe disoccupata!