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Autore: Benix27    29/09/2019    4 recensioni
"Non seppi come era possibile addormentarsi e poi svegliarsi in un sogno, ma fu quello che successe. Ero ancora lì e non capivo perché continuavo a restare."
Questa storia partecipa al gioco estivo Angst vs Fluff de Il Giardino di Efp.
Categoria: Angst
Prompt: Abbandono
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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2. ANIME DISPERSE

 

Sentii la mia mente bloccare ogni meccanismo per rimanere vuota al lungo.

“S-sono morta?” ripetei con voce flebile. Mio padre non rispose o forse non lo sentii perché esplose di nuovo quel rombo assordante e stavolta potei tapparmi le orecchie, anche se non servì a niente. I decibel erano troppo alti. Evitai di stringere gli occhi per guardarmi intorno, ma quel nero, o Nero Oscuro come mi aveva detto, non mi permetteva di vedere niente. Solo di sentire! Ad un tratto le mie gambe si fecero a poco a poco più leggere. Il rombo aumentò e stavolta fu molto più simile ad una specie di ruggito. Come se un’enorme bestia feroce non volesse ch’io venissi liberata, o staccata da ciò che mi teneva ferma in quel profondo buio. Ripresi ad avere paura. Volevo andarmene più in fretta possibile da lì. Soprattutto ora che in quel nero iniziarono a diffondersi delle voci sovrapposte, distorte. Si avvicinavano sempre di più. Erano assordanti quasi quanto il ruggito. Urlavano come che se qualcosa le stesse torturando, quella stessa nota che prima cantava quella donna.

“Non ascoltarle!” udii mio padre e fui felice di riuscire a sentirlo oltre quel fragore. Mi stava liberando le gambe da catene o spesse corde che non sentivo stringere attorno ai miei piedi, seppur bloccati.

“Chi sono?” chiesi, tremando.

“Le Anime Disperse! Ti hanno trovata anche loro. Stanno venendo a prenderti!” e congelai a quelle parole.

Anime Disperse?

Non feci in tempo a formulare nessun’altra domanda che mi sentii afferrare la testa, le spalle e le braccia. Dita viscide e ruvide…

“No!” gridò mio padre, poi non capii più una parola di quello che disse. Decine di mani mi si attaccarono addosso e sembravano volermi squarciare a metà da quanto bruscamente mi tiravano.

“Ti prego, aiutami!” urlai disperata, non sopportando il loro tocco e il loro canto che rimbombava incessantemente nella mia testa.

“Resisti!” gridò e poi lo sentii urlare di dolore. Stava combattendo contro quelle creature? Credetti proprio di sì. Solo che quelle cose  erano tantissime e mio padre era solo uno! Questo pensiero mi terrorizzò. Una vampata di luce totalmente inaspettata mi fulminò gli occhi facendomeli ardere dal dolore. Gridai. Subito dopo udii ossa che si spezzavano e sentii le mani che ancora mi tiravano, sbriciolarmisi addosso per scivolare via lungo il mio corpo. Fu qualcosa che mi fece rabbrividire violentemente. Poi qualcosa di soffice come una piuma e dal profumo di fiori mi sfiorò il viso. Fu solo un attimo…

“Papà!” lo chiamai, preoccupata per lui, pur non avendolo conosciuto per tutta la vita. Avevo una paura tremenda di quel posto. Se era vero che ero morta… sarei potuta morire di nuovo.

“Attaccati a me e non lasciarmi per nessun motivo, hai capito?” mi gridò. Io annuii al buio, deglutendo. I miei occhi sgranati correvano a destra e a sinistra, disturbati dalle urla strazianti che ancora mi circondavano e terrorizzati da quelle mani avide e violente che potevano prendermi di nuovo. Parevano volermi inghiottire nell’oscurità e strapparmi la pelle. “Elsa?” mi richiamò e capii che forse neanche lui poteva vedermi o semplicemente voleva una risposta vera.

“Sì...” dissi con la voce che tremava.

“Andrà tutto bene” disse, e il suo tono, seppur sempre alto per sovrastare il rombo, fu dolce come la carezza che sentii sfiorarmi il viso l’attimo dopo. Chiusi gli occhi per un momento, per quell’attimo di dolcezza che allontanò un po’ il terrore che mi aveva investita in pieno. Poi sentii nuovamente le sue braccia avvolgermi, e un meraviglioso senso di benessere che la prima volta non avevo goduto appieno, mi colse. Mi strinsi a lui come mi aveva raccomandato, il suo abbraccio era forte e mi dava calore, mi riscaldava. Poteva salvarmi da dove ero finita, da quel mostro che ruggiva e si ribellava alla mia fuga. “Stringiti forte!” e un momento dopo mi ritrovai a gridare.

Volavamo.

In picchiata, ma non verso il basso… verso l’alto. Sentivo l’aria ferirmi il viso e i miei capelli frustarlo con la stessa potenza, costringendomi a strizzare gli occhi. A che velocità andavamo? Quanto profondo era questo Nero Oscuro? Che cosa… non riuscii a finire la domanda perché ad un certo punto mi ritrovai a boccheggiare e tossire forte, a respirare rumorosamente come se poco prima avessi rischiato di annegare. Sputai fuori aria mentre sentivo di venire trascinata su qualcosa di solido. Sotto le mani sentivo sabbia, terra! Aprii gli occhi. La vedevo! Poi sussultai perché davanti a me c’era un ampio cerchio di fumo nero da cui spuntavano altre di quelle orribili mani che prima mi volevano inghiottire con loro.

“Stai tranquilla. Qui non possono raggiungerti” sentii la voce rassicurante di mio padre, ma continuavo a sentire anche le voci di quelle cose nella mia testa. Sembravano costringermi ad urlare come loro. Per di più, ora che potevo vedere una parte di loro, ne ero tremendamente spaventata! Quelle mani artigliate erano piene di pustole, scarnificate, rosse di sangue e ad alcune mancavano persino delle dita… perché gliele vidi cadere e saltare come code di lucertola. Gridai e mi voltai per alzarmi in ginocchio, ma una luce molto potente come quella di prima mi ferì gli occhi.

“Ah!” mi parai il volto con un braccio e tossii più forte di prima. Avevo la gola in fiamme. Tutto in fiamme!

“Rimani ferma!” sbattei le palpebre e quella luce si oscurò.

“Papà!” lo chiamai, tremando da capo a piedi. Mi sembrava di ardere su dei bracieri.

“Sono qui con te. E’ quasi tutto finito” mi invitò con una voce dolcissima, pur tradendo una certa preoccupazione. Lo sentivo borbottare qualcosa che non capivo mentre mi carezzava la fronte sudata con le sue mani leggerissime. Non mi ero accorta di essere caduta a terra e che lui mi stesse tenendo la testa sulle sue gambe. Continuava a sfiorarmi i capelli e il viso mentre io continuavo ad agitarmi per sputacchiare aria. La sentivo come fuoco dentro di me. Era come tossica. Faceva male e dovevo espellerla! Il mio petto si agitava, il cuore batteva velocissimo, poi all’improvviso… lo sentii fermarsi. Improvvisamente smisi di cacciare via dal mio corpo quell’aria velenosa, e dalla mia bocca uscì un ultimo respiro. Non aria, ma fumo. Guardai il mio petto alzarsi e cascare giù, per poi non rialzarsi più.

Mai più…

E seppi dentro di me che da quel momento in poi sarebbe rimasto immobile. Che il mio cuore era andato. Bruciato. Mio padre mi aveva quindi detto il vero? Ero davvero m-morta?

Aprii meglio le palpebre e la stessa luce che prima mi aveva accecato ora mi baciava la pelle imperlata di sudore. Non mi dava più alcun fastidio. Sentii le mani di mio padre lasciarmi dolcemente il viso, aveva smesso di parlottare, e scorsi di fronte a me un’altissima montagna candida che prima non avevo visto a causa di quella luce intensa che l’aveva nascosta. Quasi mi commossi di poter vedere di nuovo qualcosa di bello davanti ai miei occhi. Questa brillava e non era neve ciò che la faceva scintillare, ma quello che sembrava marmo bianco grezzo. L’unico buco nero era quel velo che ondeggiava come acqua mossa dal vento, simile all’entrata di una grotta, da cui mio padre mi aveva trascinato via. Oltre di questo vi era il Nero Oscuro? Era nascosto all’interno di una maestosissima montagna? Alzai lo sguardo per guardarla meglio. Riflessa su questa, ora cresceva un’ombra, superava quell’oblò scuro che pareva restringersi. Era quella di mio padre. Cresceva e diventava sempre più grande… fino ad assumere una forma quasi del tutto nuova.

Spalancai la bocca rimanendo a fissare ancora quella sagoma che si disegnava come su un foglio di carta e quando ebbe finito, non mi spaventai affatto per la sua grandezza, ma anzi, mi sentii finalmente al sicuro. Nell’aria c’era di nuovo quel profumo di fiori che prima, nel Nero Oscuro, mi aveva colpito. Ora capivo da dove proveniva.

Da lui, mio padre.

Mi voltai e lo vidi per davvero, per la prima volta.

Rimasi inebetita di fronte alla sua figura statuaria. Era alto almeno quattro metri, adesso, con i capelli lunghi fin sotto le spalle e ramati, la pelle chiarissima del viso tempestata di lentiggini e gli occhi, scintillanti come specchi, azzurrissimi. Mi sorrideva, mostrandomi quanto fosse simile al suo, il sorriso di mia sorella Lisa. Mi commossi a vederla lì, in un suo tratto. Io invece mi ritrovai nei suoi occhi, proprio come i miei. E ne fui felice, perché ricordai di quando la mamma diceva sempre come io e Lisa fossimo il sorriso e lo sguardo di papà. Aveva ragione. Improvvisamente sentii formarsi una voragine dentro di me. Mi mancavano da morire, volevo tornare da loro, rassicurarle che stavo bene, tornare a casa con papà… ma tutto svanì quando posai lo sguardo su quelle enormi e splendide ali dello stesso colore della chioma di mio padre, dietro la sua schiena. E realizzai che anche mia nonna aveva sempre avuto ragione. Gli Angeli esistevano veramente… e se io ne stavo vedendo uno, per di più mio padre che era morto prima che io nascessi, poteva solamente significare una cosa.

Ero davvero morta.

Stavolta ci credetti davvero. Sentii delle lacrime iniziare a cadere dai miei occhi, perché continuavo a non ricordare come fosse successo e mi chiedevo se avrei mai avuto delle risposte.

“Non piangere, Elsa” mi disse con la sua voce il doppio più potente di come me l’aspettavo, suonando comunque molto dolce. “So cosa stai cercando di capire” cercò di consolarmi mentre io non capivo com'era possibile che sentissi ancora tutte quelle emozioni senza più un cuore funzionante! Si chinò posando un ginocchio a terra e porgendomi una sua mano. La guardai, era così grande. Misi la mia sulla sua e lui chiuse le sue dita delicatamente.

“Perché non riesco a ricordare?” piansi. “Com’è possibile?” chiesi alzando lo sguardo, ancora molto confusa e cercando di non far tremare la voce. Lo vidi guardare le nostre mani e sospirare. Di nuovo ebbi il sentore che qualcosa lo dilaniasse.

“Quando sei morta sei caduta nel Nero Oscuro” iniziò. “E’ un posto dove chi vi finisce viene torturato per l’eternità a provare il dolore della propria morte senza ricordarla” fece una breve pausa alzando gli occhi sui miei. “Ecco cosa sono quei canti strazianti. Le voci delle anime che si consumano dal dolore” la sua voce sfumò e io rimasi a guardarlo. L’orrore mi rese seriamente incapace di dire qualcosa di fronte a questo. Era tutto così ingiusto, soffrire per sempre… e io sarei diventata una di quelle cose? “E io non potevo permettere che tu diventassi un’Anima Dispersa!” mio padre strinse gli occhi nel dirlo e mi lasciò la mano. Persino le sue labbra si assottigliarono, forse per non dire di più di quanto avrebbe voluto o dovuto. Per qualche motivo sentii che era arrabbiato. Il tono che aveva usato era stato quasi brusco, ribelle persino. Improvvisamente avvertii un fortissimo senso di colpa mordermi lo stomaco e ne rimasi spaventata e confusa. Quelle sensazioni che il mio corpo conosceva, io non riuscivo a capirle.

“Tu quindi sai come sono…” mio padre mi guardò al lungo, e se avevo pensato che quegli occhi fossero anche i miei, mi ero sbagliata di grosso. Avevo del dolore così intenso in fondo ad essi? Annuì di nuovo e deglutii. Sapevo perché non andava avanti. Aspettava che io ricordassi. “Sono rimasto con te fino a quando ho potuto. Ci sono limiti che nemmeno un Angelo può oltrepassare” sospirò guardando la montagna alle mie spalle. Lo scrutai aggrottando la fronte. Quella frase mi suonò strana.

“Come hai fatto a tirarmi fuori da lì?” chiesi e forse avevo beccato il tasto dolente dei suoi pensieri, perché non lo vidi muovere lo sguardo. Rimase assorto, proprio come ero solita fare io, e continuava a fissare oltre di me. Non seppi bene se la montagna o un punto vuoto.

“Devo farti vedere una persona” disse poi con tono cupo, ma frettoloso. Come se questa cosa fosse più importante della risposta alla mia domanda. La sua urgenza mi colpì molto perché per qualche motivo una nuova ondata di lacrime rischiò di investirmi. Forse il mio subconscio aveva capito di chi stesse parlando. Mio padre probabilmente se ne accorse perché mi prese nella sua mano e mi portò sulla sua spalla. Lì mi tenne stretta come un bambino teneva un peluche. Mi sciolsi in un pianto devastante senza capire perché mi sentissi così male, ma compresi che era una delle conseguenze dell’esser finita nel Nero Oscuro. Così una cosa mi divenne chiara: dovevo aver fatto qualcosa di orribile nei miei sedici anni di vita per piombare laggiù e per dover soffrire per l’eternità. Eppure mio padre mi aveva salvato da questo destino.

Papà, il mio Angelo!

Si era alzato in volo e ora potevo vedere dove ero finita. Seguivamo l’altezza di quella montagna altissima girandoci quasi intorno. E capii che aveva una forma strana per essere quello che era. Finiva con una punta ricurva e appuntita che puntava verso est… ora verso ovest… adesso attraversavamo nuvole e distanti, ora le vidi, c’erano Lune. Centinaia di spicchi di Lune! Di dimensioni diverse, circondate da cieli notturni puntellati di luminosissime stelle. Anche quella che io pensavo fosse una montagna, allora… era una Luna! La guardai meglio e compresi anche che la luce che prima mi aveva accecato apparteneva a lei. La stessa luce che ora non feriva più gli occhi. La stessa che scioglieva e bruciava ogni creatura proveniente dal Nero Oscuro.

Ero circondata da un’eco di Lune.

Mondi a parte, mondi paralleli tutti stampati lassù, in quel posto di cui non sapevo ancora il nome. Nel luogo dove papà mi aveva portato per scampare alla sofferenza. Gli strinsi il collo con le braccia sfiorando i suoi capelli come i miei e le piume di quelle ali ramate. Soffici e smesse in alcuni punti a causa della lotta che aveva fatto contro le Anime Disperse. Sembravano un manto di foglie in Autunno, e quel profumo di fiori che invece richiamava la Primavera, mi investì di nuovo.

Sapeva di casa.

Non mi sentivo più persa o abbandonata.

Dovevo solo a lui di sentirmi così anche nella morte, ma non potevo immaginare quanto tutto questo gli sarebbe costato.



 

Note autrice: secondo capitolo di questo esperimento nato per gioco! Non so proprio dove mi porterà, dato che stavolta non sto pianificando niente. Ogni cosa che leggete nasce nel momento in cui batto la tastiera del computer. Di questa parte, sapevo solo che sarebbe stata più descrittiva della prima, mentre del resto, assolutamente niente! Spero che vi piaccia e che vi renda curiosi di ciò che potrebbe avvenire in futuro. 
Un abbraccio.

Benix 

 
   
 
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