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Autore: Ellie_x3    29/09/2019    1 recensioni
“Oh, qualcuno qui è stupido~?”
“Hah!? Chi stai chiamando stupido?!”
“Non è colpa di chibikko, dopotutto non c’è tanto spazio per i neuroni in una testa così piccola...”
Chuuya trattenne il respiro.
“...E poi tutti sanno che le baby gang non sono particolarmente intelligenti!”

[5+1 Volte in cui Dazai ha deluso Chuuya, e una in cui (incredibilmente) ha superato le aspettative; Questa storia partecipa alla Teen! Challenge indetta sul gruppo facebook Il Giardino di Efp]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Michizou Tachihara, Osamu Dazai
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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-

“L’hai mai fatto prima?”

 


“Chuuya. L’hai mai fatto prima?”

 

Il sogghigno di Dazai era una falce di luna che contrastava con l’oscurità totale che albergava nel fondo dei suoi occhi.
La torcia del cellulare puntata su pavimento vuoto in mezzo al cerchio che avevano formato non faceva che peggiorare quell’immagine eterea: se la malizia avesse avuto un volto sarebbe stato quello del ragazzo, terribile ed inevitabile, una maledizione incombente dal sogghigno affilato e lo sguardo scarlatto. Tachihara si strinse più vicino a Chuuya, afferrandogli il braccio, ma l’altro non esitó un istante, sostenendo la tacita sfida dello spirito che aveva avuto la sfortuna di chiamare amico.
Sentì Atsushi trattenere un respiro e Tanizaki essere colpito fra le costole dalla sorella (non poi così dolcemente, pensò, Naomi doveva darsi una regolata se non voleva spedire l’amato ‘nii-sama' in ospedale) con fare cospiratorio.
Chi avrebbe mai detto che Obbligo o Verità si sarebbe trasformato in qualcosa di crudele? D’altra parte, ricordò, si parlava di Dazai.
Chuuya maledì mentalmente Lucy e la sua orribile idea, lanciandole un’occhiata laterale. Tra Nakajima ed Akutagawa, la ragazza lo fissava con occhi carichi di curiosità.
“Sí, ovviamente,” rispose, stringendo la presa sulla mano di Michizou con gentilezza.

Va tutto bene, voleva rassicurarlo, non c’è bisogno di vergognarsi.
Tanto non è che non lo immaginino, questo branco di pervertiti.

Il sorriso di Dazai esitò e Chuuya giurò di poter distinguere l’esatto momento in cui si era sciolto, incrinandosi con il rumore di un pezzo di vetro che cade a terra.
La consapevolezza di aver zittito Dazai Osamu gli incollò un sogghigno sul volto. Finalmente quel cazzo di sorriso spariva perché Chuuya aveva una vita normale e Dazai no, Chuuya era felice e Dazai era un casino, Chuuya era tornato e tutto andava bene, meravigliosamente bene, che Dazai lo volesse o meno.
“Che c’è, spreco di bende? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”
“Hm, mi domandavo solo come fossero gli intercorsi dei gamberetti, neee, Tachihara-kun?”
Michizou aggrottó la fronte, ma Chuuya non mancò di notare la minaccia di una rissa, o di un vero e proprio accoltellamento, prima che il rosso si facesse strada sul suo volto.
“Vaffanculo, Dazai.”
“Oi, Dazai, lascialo in pace. Se vuoi morire prenditela con chi è abituato.”
“Chuuya-kun, mi posso difendere da solo,” aveva sibilato Tachihara, ma il ragazzo scosse le spalle.
Non voleva che Michizou finisse nel mirino di un idiota solo perchè loro non andavano d’accordo — non era giusto e l’idea di gettare proprio lui nelle fauci di qualcuno come Dazai gli rimestava lo stomaco. Non avrebbe rilasciato neanche il suo peggior nemico in balia del suo gelido senso dell’umorismo.
“Non con questo stronzo,” aveva risposto, esitando un momento.
“Lo so. Non ne vale la pena,” assicuró Michizou, posando la fronte contro la spalla di Chuuya con un sospiro.
Il ragazzo vi riconobbe la rigidità dell'imbarazzo e della frustrazione piuttosto che il desiderio di abbandonarsi ad un gesto intimo di fronte ai compagni. Quando Chuuya iniziava a discutere poteva buttar giù la scuola: lo sapevano loro e di certo lo sapeva Dazai, e tutti e tre avrebbero mentito se avessero detto che non era uno spettacolo frequente sin dalle medie.
Ano ne, Chuu
~ya, non cambi mai. Sempre il principe azzurro.”

Muoviti, stupida principessa.

“Dazai, stessa domanda,” rilanciò Tachihara, sollevando un sopracciglio.
Per un istante, Dazai sostenne il peso dei suoi occhi verdi, quasi neri alla luce della torcia.
“Che domande,” il ragazzo si strinse nelle spalle; “mi pare ovvio.” 

Bugiardo! avrebbe voluto urlare Chuuya, ma per qualche motivo strinse le labbra e non lo smascherò.
Sarebbe stato crudele e quel genere di azioni Chuuya preferiva lasciarle ad altri, ma anche perchè la sorpresa aveva un sapore amaro ed inaspettato. Solo, lanció uno sguardo perplesso all’amico: Dazai era quel genere di rivale e migliore amico che l’avrebbe felicemente pugnalato alle spalle, chiuso come una cassaforte ed emotivamente costipato, ma se c’era una cosa che Chuuya sapeva per certo era che lo spreco di bende da sempre si destreggiava tra più flirt di quanti potesse contarne.
Com’era possibile che stesse mentendo?
Forse era la pessima luce.
“Che c’è da fissare, Chibi, sei geloso?”
“Ah?! Ti piacerebbe! Sto pensando a quante poverine hai illuso e poi spaventato con quel tuo carattere orrendo, mummia maledetta.”
“Chuuya pensa che io sia carino, quindi~”
“Dazai, dacci un taglio, non stai divertendo nessuno,” abbaió Michizou.
Dazai sorrise, ignorando la spina che gli aveva perforato lo stomaco nel momento in cui Chuuya strinse il braccio dell’altro ragazzo con un broncio leggero, lanciando un’occhiataccia verso di lui.

Oh, i due cagnolini da salotto si sono trovati. 

Akutagawa, laconicamente, alzó una mano.
“Io lo sto trovando abbastanza divertente,” ammise, seguito immediatamente da Tanizaki, costretto però ad abbassare la mano dalla sorella.
Per la prima volta, Lucy si schiarí la voce.
“Ragazzi, è tutto molto tenero qui, ma possiamo andare avanti?” sbottó, guadagnandosi un coro di assensi.
Chuuya registró a malapena Akutagawa alzare gli occhi al cielo, dato che il suo spirito emo era troppo tormentato per un intrattenimento del genere. Si prendeva molto sul serio, Ryūnosuke, nonostante fosse solo alla fine delle medie: era una grande sfortuna che Gin fosse praticamente dipendente dal tipo di adrenalina data dallo sgattaiolare nella scuola deserta con un gruppo di amici altrettanto scavezzacollo, e che si lasciasse convincere da Michizou trascinandosi dietro anche il fratello.
Da quando aveva tagliato i legami con i ragazzi della Pecora, anche Chuuya trovava più piacevole quel tipo di divertimento.
“Atsushi-kun?” chiamó Dazai, dolcemente, passandogli la torcia.
Chuuya giuró di vedere il ragazzo inghiottire un bolo di saliva prima di afferrare con mani tremanti l’oggetto, rischiando di puntare la luce direttamente negli occhi di Lucy e guadagnandosi un ‘che stai facendo, sceeeemo?’ dalla ragazza.
Atsushi si morse le labbra.
“A—Akutagawa-kun, obbligo o verità?”
Chuuya sospirò, sperando che almeno quel giro non finisse in una rissa.

Ovviamente, come sempre più spesso gli capitava, aveva riposto le proprie speranze nelle persone sbagliate.

 

 

- - - 

 

“Ci hai trovato Narnia in quell’armadietto o sei solo stupido?”
“Cosa vuole da me Chibikko? Ti avverto, sono di cattivo umore.”
Chuuya sollevó un sopracciglio riservando una lunga occhiata la figura del ragazzo di fronte a sè, che era rimasto immobile a pochi centimetri dal proprio armadietto da almeno dieci minuti.
“È per questo che stai imbambolato in mezzo al fottuto corridoio come uno zombie?”
“Forse,” replicò, scoccandogli un sogghigno.
Chuuya sospiró profondamente, sentendo di aver bisogno di chiamare a sè tutta la propria pazienza per non lanciare in testa a quell’idiota il bento che teneva fra le mani. L’uniforme scolastica faceva apparire Dazai più alto, più adulto; mesi o anni di separazione potevano davvero cambiare l’impressione sulle persone, oltre che far comportare Dazai come il peggior stronzo. Brutto idiota di uno sgombro.
“Ascolta mackerel, non farci l’abitudine ma ti ho preparato il pranzo; vedi di riguardarti, non puoi sopravvivere di sola caffeina.”
“Ah, chibi è una mamma pecora come si deve.”
Ma,” alzó la voce, ignorando il commento “ti darò il bento ad una condizione.”
“Che smetta di parlarti per sempre o che lasci in pace il tuo fidanzatino?”
“Perché hai detto quella cazzata?”
Il sorriso di Dazai si incrinó; di nuovo. Questa volta, nessun senso di soddisfazione ruggì nel corpo di Chuuya, nessuna vendetta sostituì il sangue nelle sue vene con un bizzarro senso di calore.
“Ah. Quella. Suppongo sia uscita in modo del tutto naturale.”
“Dazai, non devi provare nulla a— e comunque, esci con le ragazze tutto il tempo.”
“E allora?” domandó, inclinando il capo.
Per un secondo i suoi occhi castani apparvero grandi, tondi e vulnerabili, le labbra socchiuse piegate all’ingiù. Sembrava più giovane del giorno di tanti anni prima in cui l’aveva conosciuto, ed istintivamente Chuuya mosse un passo in avanti, spaventato che quell’idiota fosse di nuovo sveglio da più di tre giorni e potesse cadergli a pezzi davanti.
“O—oi, come sarebbe e allora?”
“Ultimamente ho pensato che forse non voglio una ragazza, chi lo sa,” Dazai si strinse nelle spalle, e l’immagine dello studente fragile, preso alla sprovvista, era retrocessa dietro il muro di gioia feroce che il ragazzo si ostinava ad imporre a tutti, “non tutti abbiamo la fortuna di avere le idee chiare, chibikko.”
Chuuya lo fissó, la mascella a terra ma incapace di dire qualsiasi cosa.

Che diavolo…?

L’armadietto si chiuse con un tonfo metallico. Echeggiava. Chuuya si rese a malapena conto del peso di cui Dazai l’aveva alleggerito sfilandogli il contenitore di plastica dalle mani.

 “Grazie per il pranzo, ci vediamo dopo.”



 - - -

 

Per Chuuya era sempre stato chiaro: non necessariamente semplice, spesso spaventoso, ma lineare. Sapeva cosa voleva e cosa non avrebbe mai potuto avere.
Tuttavia, il dubbio era un colore nuovo negli occhi di Dazai Osamu e li rendeva più umani, più spaventosi che mai.

E allora?’

- - -

 

La biblioteca era un luogo sin troppo intelligente per un bruto come Tachihara, secondo la modesta opinione di Dazai, mentre i fratelli Tanizaki erano spariti chissà dove e non era certo di voler sapere cosa stessero facendo. Akutagawa aveva probabilmente il club di ‘guardiamoci negli occhi e chi sorride per primo perde’, mentre Atsushi-kun era corso al lavoro part-time prima ancora che Kunikida potesse dire ‘riunione del consiglio studentesco’.
Questo lasciava solo lui e Chuuya liberi di appartarsi in un tavolo tranquillo della biblioteca, una marea di libri e quaderni aperti di fronte a loro e Dazai che invece di prendere posto di fronte all’altro gli si era seduto accanto.
“ChuuChuu non è mai stanco di leggere cose strane in una lingua dove tutto sembra un menù in un ristorante?”
“Tappati la bocca, kuso Dazai.”
“Ma mi annoio~”
“Non ti vergogni, tu?! E non dovresti essere con la rappresentanza studentesca a lavorare?”
Il ragazzo si aprí in un sorriso entusiasta, alzando veementemente un braccio bendato. La divisa estiva lasciava in vista gran parte delle garze che gli coprivano la pelle, attirando più occhiate del solito, ma Dazai non vi faceva più caso da anni.
“Paaaass~!”
“Giuro che non riesco a capire come Kunikida-senpai ti sopporti,” brontoló Chuuya, alzando gli occhi al cielo.
Senza offrire una spiegazione (non ne era certo lui stesso, solo tanta fortuna) Dazai allontanò dalla propria mente qualsiasi progetto di studio e si lasciò cadere con la testa sul grembo di Chuuya, allegramente, ignorando l’insulto che si era guadagnato con quell'invasione dello spazio personale di chibi.
Sciocco Chuuya, convinto di poterlo offendere con le parole.

 

(...Quando riusciva così facilmente a lasciare tagli con le azioni.)

 

“Chi l’avrebbe mai detto? Chibi è comodo~”
Nel momento in cui aveva intravisto l’ombra di una mano calargli sul viso Dazai era già pronto a schivare una sberla — il Chuuya teppista ogni tanto rispuntava, nonostante i tentativi disperati dei suoi genitori e dei professori — ma si immobilizzò quando il ragazzo gli passò le dita fra i capelli, distrattamente, senza guardarlo in faccia.
Era gentile, come se sapesse esattamente cosa fare, come se non fosse passato nemmeno un giorno da quando si addormentavano insieme sui libri. Dazai trattenne a stento un sussulto, intrappolato nella tensione che gli aveva attraversato il corpo nel momento in cui aveva compreso cosa stesse per accadere un istante troppo tardi per impedirlo.
L’aria era pesante e gli bruciava nella gola, dove sembrava essersi incastrato un nocciolo di spine.
Si umettó le labbra con poco successo.
“Oi, Dazai.”
Senza parlare, Dazai gli lanciò uno sguardo dal basso, aspettando che proseguisse mentre assimilava ogni sfumatura del rosso squillante che aveva tinto il viso dell'altro fino alla punta delle orecchie.
Nel momento in cui la punta delle dita di Chuuya gli aveva sfiorato la fronte, quando erano inciampate in un nodo e l’avevano sciolto delicatamente passandovi i polpastrelli come se avesse fra le mani qualcosa di fragile, Dazai aveva sentito l’aria che veniva presa a pugni nel suo stomaco.
Quando Chuuya era diventato così bravo a farsi aspettare? E da quanto tempo lui lo stava rincorrendo?
“Non è sempre facile. Avere le idee chiare, intendo.”
Dazai si disse che non era affatto sobbalzato, che le dita di Chuuya non si erano fermate, che il sorriso sornione sulle sue labbra non sapeva di plastica e rimorso.
“Huh, e chibi cosa ne può sapere?”
“Hai chiesto se ho già fatto. E credo potrebbe aiutarti sapere che la mia prima volta non è—” esitó, e Dazai attese. Lasció che il vuoto riempisse lo spazio fra loro per un momento, fino a che Chuuya non sospiró, “la mia prima volta è stata una ragazza.”

Cosa?

La sensazione d’essere stato preso in giro gli strinse lo stomaco. Perchè non glielo aveva mai detto?
“Non essere disgustoso. L'ultima cosa che voglio immaginare è chibi in certe situazioni~” lo sbeffeggiò, ma la voce era animata da un punta di curiositá.
Chuuya ridacchiò, un suono che sembrava provenire da un altro mondo. Dazai immaginava fosse la ragazzina coi capelli rosa, sfrontata e sempre arpionata al braccio di chibi alle medie, ma la realtà era che poteva essere stato chiunque e lui non l’aveva mai, mai saputo.
“Per una volta concordiamo, mackerel, non è un ricordo a cui sono affezionato. E quello che intendo è che nessuno ha le idee chiare; non per sempre, quantomeno. E va bene così. Non hai bisogno di cazzate come quella che hai detto agli altri per farti accettare.”
Lo stomaco gli si torse e le dita di Chuuya esitarono sulla punta dei suoi capelli, gentilmente.
Accettazione. 
Aveva un suono minaccioso, qualcosa che prometteva di spogliarlo di ogni sua difesa in favore di qualcuno che nessuno conosceva né avrebbe potuto apprezzare: qualcuno i cui abissi erano così profondi e neri e scivolosi che a volte temeva di non riuscire a contenerli, né a scavarsi una via di fuga quando l’oscurità lo spingeva alla fine di un pozzo.
“Come ho detto, non ci ho pensato molto su,” replicò, spingendo ogni pensiero dove non poteva fare danni, “credo però di aver rubato il momento di gloria alla Tachuu~”
“Tachuu?”
Dazai mormorò un ‘hm’ sforzandosi di assicurare il sorriso lì, dove doveva stare.
“Non cercare di convincermi che non vi chiamate Tachuu e non fate stupide purikura piene di cuori, Chibikko, siete così ovvi~” canticchiò, sapendo che tutto quello che aveva detto l’avrebbe probabilmente allontanato.
Forse lo sperava. Era un tale disastro di emozioni, la sua testa, da sembrare un pavimento su cui qualcuno aveva fatto cadere un mare di frammenti di vetro e lui era a piedi nudi; doveva scappare, ma il pensiero del dolore che avrebbe provato camminando lo ripugnava. No, no. Lo terrorizzava.
Tuttavia, Chuuya rimase lì e le sue dita erano sempre tiepide, sempre intente ad accarezzargli i capelli.
“Se credi che di darò la soddisfazione di cambiare discorso, va' al diavolo. Seriamente, se hai bisogno…”
“Chibi fa già abbastanza,” replicò Dazai con un sorriso, come se non volesse dire nulla quando voleva dire tutto. In un certo senso, significava più di quanto Dazai meritasse.

Chiuse gli occhi, inalando il profumo di ammorbidente e nicotina degli orribili pantaloni tartan di Chuuya, della camicia, la delicatezza delle sue dita fatte per stringere una bottiglia di vino, un sigaretta, qualcun altro ma non lui. Immobile ed incapace di mettere in fila un solo pensiero coerente, rimase con la testa sul grembo dell’altro finché i corridoi della biblioteca non si fecero silenziosi.
Sentiva che avrebbe potuto perdere la presa sui frammenti malmessi del proprio autocontrollo se qualcuno li avesse interrotti, una bambola rotta, o si sarebbe ugualmente potuto spezzare sotto quelle dita che che sapevano esattamente come sciogliere nervi di tensione che il ragazzo non sapeva nemmeno di avere.
Stavano perdendo un’ora di lezione? O avevano tutti capito che non avevano diritto di esistere in un mondo perfetto in cui esisteva qualcuno come chibi, così perfetto e così idiota da sprecare quello che aveva con Tachihara?
Avrebbe voluto commentare qualcosa, ma ogni singola cellula del suo corpo si era fatta pesante.
Prima di potersi fermare sentí il sonno avvolgerlo e, per la prima volta nella sua vita, Dazai vi si abbandonò senza la speranza di non risvegliarsi.

 
   
 
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