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Autore: Angel TR    29/09/2019    3 recensioni
Why wait for the best when I could have you?
Lana del Rey - Norman F**** Rockwell
Otto one-shot legate da promesse mantenute da cuori troppo nobili partecipanti alle seguenti Challenge:
"Pagine di una storia infinita" indetta da molang su efp
"Parole Quasi intraducibil" indetta da Soly Dea su efp
“Drabbles, Drabbles e ancora Drabbles” indetta da HarrietStrimell sul forum di EFP
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ultraviolence'
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Partecipa alla "Pagine di una storia infinita" Challenge indetta da molang su EFP
Ventriloquo rinascimentale — traccia #4
Un patito delle citazioni? Inserisci la monetina! Semplice e banale come sembra. Per questa traccia avete più libertà di movimento per ciò che concerne la tematica/situazione centrale, c'è però un piccolo compromesso: dovrete per forza inserire uno dei generi accoppiati alla citazione scelta, uno esclude l'altro.

Grazie a molang per avermi consegnato questi premi *-*
🌞 “Artefatto” per aver portato a termine la traccia #4;
⚡ “Poliedrico” per aver completato quattro diverse tracce

1) — “Some people don't understand the promises they're making when they make them.”
— “Right, of course. But you keep the promise anyway. That's what love is. Love is keeping the promise anyway.”
[John Green, The fault in our stars]
• Genere: Malinconico

4) “Kindness and a caring mind are two separate qualities. Kindness is manners. It is superficial custom, an acquired practice. Not so the mind. The mind is deeper, stronger, and, I believe, it is far more inconstant.”
[Haruki Murakami, Hard-boiled wonderland and the end of the world]
• Genere: Romantico
No sportivo, no storico.

Partecipa anche alla Sfida delle Parole quasi intraducibili indetta da Soly Dea su efp
Kenshō: momento improvviso di fugace illuminazione, intuizione.

JinxHwoa
Alien!AU

1.Inganno

Trøllabundin eri eg, eri eg
Galdramaður festi meg, festi meg
Trøllabundin djúpt í míni sál, í míni sál
Í hjartanum logar brennandi bál, brennandi bál
~
Spellbound I am, I am
The wizard has enchanted me, enchanted me
Spellbound deep in my soul, in my soul
In my heart burns a sizzling fire, a sizzling fire


Luci psichedeliche, il ritmo della musica techno, le poche persone rimaste che si dimenavano in quella bettola nascosta nelle viscere delle Isole Faer Oer – unico avamposto rimasto per la resistenza della razza umana – gli androidi che passavano servendo pasticche e alcolici scaduti a basso costo.
Hwoarang era svenuto più volte, battendo i begli occhiali da motociclista sul pavimento a neon, i colori che si confondevano nei suoi occhi ancora umani.
Per quanto tempo sarebbero rimasti così?
Fino a quando non li avrebbero trovati, buttati nei loro immensi grattacieli e squartati vivi per analizzarli, sperimentare, piazzare innesti, venderli come schiavi alle razze superiori – gli alieni.
Com'era caduta in basso la Terra…
Hwoarang si ritrovò a valutare la possibilità di aggredire uno degli androidi, giusto per provocarlo, giusto per vedere il braccio robotico tramutarsi in lama tagliente. Finire con la gola squarciata su questo pavimento sporco dev'essere un'opzione indiscutibilmente migliore dell'essere venduto. Perché era così, tutti finivano così. L'Apocalisse non era come la immaginavano i loro antenati: era mille volte peggio.
E allora perché continuava a guardarsi intorno, il cuore caldo che gli batteva forte nel petto, il sangue che gli ribolliva nelle vene, l'ansia che montava dentro? Perché continuava a cercarlo? Perché continuava a sobbalzare ogni volta che scorgeva una chioma scura come la notte?
I sentimenti erano pericolosi in posti come quelli e, soprattutto, in tempi come quelli; Hwoarang avrebbe dovuto saperlo bene.
Avevamo un appuntamento, cazzo, o quello stronzetto spocchioso se n'è dimenticato?

Flash di scene che gli fecero attorcigliare le budella gli lampeggiarono nel cervello: ciocche di capelli neri come l'ebano, pelle lievemente abbronzata, occhi a mandorla dello stesso colore dell'ambra fusa, dello stesso colore di quelli del cyborg che sfilò furtivo alle sue spalle, apparentemente tranquillo ma dannatamente pericoloso… quelle labbra piene e morbide che sfioravano le sue guance chiazzate di rosso e si piegavano in un sorriso davanti a quella reazione così umana….
Hwoarang si sorprendeva a pensargli più del necessario, rasentando l'ossessione. La domanda che più lo tormentava era: cosa diavolo sei, stronzo? Non hai innesti, di certo non sei un androide… cosa cazzo sei, allora?
Certo, restava un'altra risposta a quella domanda, una risposta tanto assurda quanto plausibile, ma Hwoarang la scartò velocemente, scuotendo la testa, prima di afferrare un drink da un vassoio. Avrebbe preferito mille volte scolarsi uno di quegli intrugli fluorescenti – chissà quali ingredienti vi si nascondevano – piuttosto che soccombere a quell'idea malsana e, soprattutto, piuttosto che controllare l'ingresso ogni secondo.
Allo stronzo piaceva farsi attendere.
Che ansia.
Sollevò il cocktail per rovesciarne il contenuto dritto in gola ma, proprio quando il liquido iniziò a scorrere lungo le luride pareti del bicchiere, il bicchiere sparì dalla sua mano. Cosa cazzo…?
«Ti fa male.» sussurrò una voce venata da un accento straniero alle sue spalle, sorprendentemente udibile nonostante il frastuono della musica. Hwoarang rabbrividì e, improvvisamente, tutto scomparve: le mura sporche della discoteca, il fetore, i cyborg pronti a far sparire i drogati svenuti, l'assordante musica techno, persino il suo futuro incerto si dileguò in una nuvola.
Jin Kazama.
Come riusciva a fargli quell'effetto dopo una conoscenza tanto breve? Hwoarang lo odiava o, almeno, questo ripeteva a se stesso ogni mattina quando cercava il suo calore con la mano e, puntualmente, trovava solo il freddo lenzuolo sistemato. Sì, perché lo stronzo rifaceva il letto prima di filarsela.
Ridicolo.
Prese fiato prima di voltarsi per affrontarlo, maledicendo le propria ginocchia molli. «Non mi fa male, non sono rammollito come te.» sbottò, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto. I guanti di pelle che gli coprivano gli avambracci non facilitarono il movimento, emettendo rumorini a dir poco imbarazzanti. Hwoarang ringraziò le luci psichedeliche che mascheravano il suo rossore mentre accoglieva lo sguardo incantatore del ragazzo davanti a lui. «Ehi!» protestò Hwoarang, urlando per farsi sentire. Sapeva di starsi comportando da stupido ma non riusciva ad affrontare Jin.
Perché lo aveva telefonato, perché? Perché aveva detto di volergli assolutamente parlare? Ma di cosa, poi? Che vita era, la loro? Non sapevano nemmeno se si sarebbero svegliati l'indomani e lui era lì a progettare un futuro insieme. Povero stupido! Kazama non gli concedeva neppure la soddisfazione di farsi trovare la mattina successiva, figuriamoci pianificare una vita con lui.
«Di cosa volevi parlarmi?» chiese Jin. La sua voce calma e suadente come burro riusciva a sovrastare il volume delle nauseanti canzoni anche senza sforzarsi. Ma come faceva?
Hwoarang evitò il suo sguardo. «Di niente.» bofonchiò, chiaramente e dolorosamente imbarazzato.
Uno scintillio divertito balenò nelle iridi ambrate di Jin, l'ombra di un ghigno aleggiò sulle sue labbra piene. A Hwoarang girava la testa e non sapeva spiegarsi bene il perché – la mischia di rosso, giallo, verde, azzurro neon, o il ragazzo davanti a lui?
«Quando mi concedi la rivincita? La mia moto ha un motore nuovo, ora, importato dalla metropoli. Roba da alieni. Scommetto che ti farà mangiare la polvere.» cambiò completamente discorso, tanto per rompere il ghiaccio e, più importante, distrarsi dal gioco di luci sul volto scultoreo del ragazzo.
Kazama possedeva una moto da ricconi e l'ultima volta che avevano gareggiato, giusto per scherzare e ingannare il tempo, era finita male per l’orgoglio di Hwoarang. Siccome non era proprio tipo da accettare una sconfitta, aveva preteso la rivincita. Ovviamente, aveva anche protestato: insomma, come diavolo si era procurato quella moto? Jin non aveva mai risposto a quella domanda.
Il suo bel viso non ebbe nessuna reazione neanche quella volta: si limitò ad annuire. «Quando vuoi, Hwoarang.» rispose, calmo. Non raccoglieva mai il guanto della sfida eppure non aveva ancora deciso di mandarlo a fanculo nonostante le innumerevoli provocazioni; anzi, come se non fosse abbastanza, continuava a servirgliele su un piatto d'argento. Hwoarang era convinto che se la spassasse alla grande davanti alla sua goffaggine e davanti alle sue battute da adolescente in preda agli ormoni – nonostante fosse più che ventenne.
Stronzo.
«Allora adesso, Kazama!» sbottò Hwoarang, stanco della discoteca fatiscente. Lo afferrò per un braccio e lo trascinò verso l'uscita di gran carriera, anelando l'aria fresca delle Isole.

*

Grosse nuvole cariche di pioggia si erano ammassate nel cielo blu, avvolgendo la luna tonda e brillante in un morbido abbraccio. Il vento portava con sé odore di pioggia. Nonostante l'eterno stato di allarme nel quale versava, come tutti gli altri esseri umani d'altronde, Hwoarang non avrebbe potuto sentirsi più vivo. Era vero, il resto della Terra era stato conquistato dalla razza aliena, ridotto a una colonia di approvvigionamento, tutto spazzato via dalla loro tecnologia decisamente superiore. Coloro che erano riusciti a rintanarsi nelle Isole sapevano bene che era solo questione di tempo prima che anche le serene vallate e le grotte abbracciate dall'oceano venissero annesse ai domini extraterrestri. Lui, però, almeno in quell'istante, si rifiutava di pensarci: qualora fosse giunto il momento, si sarebbe occupato di combattere l'avanzata aliena. Era il leader della Resistenza e la Resistenza non si sarebbe arresa facilmente. Anche perché ho qualcosa per cui combattere, rifletté, posando il suo sguardo sulla figura imponente di Jin che montava sulla motocicletta nera. Ti stai rammollendo, coglione, si rimproverò, scuotendo la testa e cercando di reprimere il sorriso sbocciato sulle sue labbra.
Bagnato dalla luce della luna, lo sguardo carico di promesse che gli rivolse Jin, azionando la moto, parve metallo fuso.
Al diavolo.

Come mosso da fili invisibili, Hwoarang lo seguì, sfrecciando lungo i sentieri. Le motociclette si muovevano silenziose tra i sentieri grazie ai nuovi impianti. La scia verde che lasciava il turbo di Jin era il faro nella notte di Hwoarang. Un tuono echeggiò, una saetta squarciò il cielo e gocce di pioggia iniziarono a riversarsi sull'erba fresca. L'eccitazione e l'aspettativa montavano nelle sue vene mentre accelerava, sperando con tutto se stesso che la prossima svolta fosse anche l'ultima. Dove mi stai portando, Kazama, eh? Casa mia non ti soddisfa più?
E, finalmente, quando Hwoarang proprio non ne poteva più, Jin si fermò e la scia verde del turbo si dissolse nell'aria. Hwoarang scese dalla moto frettolosamente, impaziente di fiondarsi sul ragazzo che si sistemava il giubbino di pelle, pacato. Era arrivato nuovamente secondo eppure, in quell'istante, non aveva la benché minima importanza.
«Una nuova fantasia, Kazama? Vuoi farlo sotto la pioggia?» lo provocò Hwoarang, ciondolando verso di lui per circondargli la vita con le braccia. L'odore fresco e pulito del suo collo gli diede alla testa e non poté fare a meno di posargli un lieve bacio. Represse un gemito: dannazione, lo voleva tanto da star male. Sollevò la testa solo per incontrare i suoi occhi e, ancora una volta, restò senza fiato: illuminati dai lampi, scintillavano come fari nella notte.
«Che occhi del cazzo hai, Kazama? Porti le lentine?» sbottò, ricorrendo ai soliti insulti perché erano il modo migliore di fargli un complimento senza passare per smidollato.
Di solito, Jin si lasciava sfuggire un sorriso a quelle battute ma quella sera restò spaventosamente serio. La pioggia si riversava su di lui ma la sua pelle non sembrava bagnarsi.
Qualcosa non andava.
Hwoarang sentì improvvisamente freddo ed era certo che non fosse a causa della tempesta: le braccia del ragazzo non avevano ricambiato la stretta. La paura strisciò verso di lui simile a un baccello alieno per usare il suo corpo come ospite.
«Ehi, Kazama? Che ti prende?» domandò e odiò la sua voce per essere uscita vagamente stridula.
Jin non rispose ma continuò a guardarlo con quegli occhi che parevano riflettere i bagliori violacei delle saette; lo guardava con vago interesse, come se osservasse un animale bizzarro, come se osservasse un possibile…
No. Non poteva essere.
I tuoni si intensificarono – o forse era solo una sua impressione.
Giravano voci di spie tra la comunità delle Isole Faer Oer. Si diceva che, grazie ai vari isolotti che le componevano, gli alieni avessero gioco facile: nascondevano armi e velivoli, assumevano le sembianze degli umani che uccidevano senza lasciare testimoni e il tutto con la certezza che la voce non si sarebbe sparsa velocemente da un isolotto all'altro. Hwoarang non ci aveva mai creduto veramente perché, per quanto un alieno potesse mascherarsi, ci sarebbero state sempre delle caratteristiche peculiari della sua razza a tradirlo: il puzzo, i modi di fare, gli occhi… soprattutto gli occhi…
Hwoarang si staccò da lui e indietreggiò, sconvolto. «Jin…» Era la prima volta che lo chiamava per nome eppure Kazama non commentò.
Era la conferma di cui aveva bisogno; isolando l’orrore che provava affinché non intralciasse le sue azioni, intimò al suo corpo di voltarsi di scatto per correre verso la sua moto. Conosceva bene le Isole, sarebbe riuscito a tornare in tempo verso il ritrovo della Resistenza per dare l'allarme: la trappola aliena sarebbe stata scoperta e i responsabili ne avrebbero pagato le conseguenze. Avrebbe dovuto essere felice eppure sentì un pizzico allo stomaco al pensiero di ciò che avrebbero fatto a Jin. Anche lui lo aveva sentito quel pizzico quando aveva deciso di dare Hwoarang in pasto ai suoi simili?
I suoi piedi non si mossero. Aveva promesso a se stesso di proteggere Kazama. Come avrebbe potuto consegnare la persona con la quale aveva speso tutte quelle notti?
E Jin? Come aveva potuto farlo? Era davvero così facile per lui? Apparteneva a una razza diversa ma non poteva essere così freddo. L’apatia non caratterizzava nessuna specie vivente, nemmeno gli alieni.
Un vento gelido soffiò improvviso e spazzò Hwoarang carponi sull'erba fresca. Atterrito, il ragazzo girò la testa. Nessun pensiero frullò nella sua testa alla vista dell'enorme e sterile disco nero caricato dai fulmini che spuntò dal nulla. La luna parve tremolare a causa delle vibrazioni sconosciute che emanava la cosa.
Era così che andava a finire, dunque: venduto agli alieni. Non era poi così speciale, allora, visto che tutti facevano la sua fine. C’era una differenza, però: lui era al comando del plotone per la resistenza contro gli alieni. Se fosse sparito, il morale per la truppa sarebbe stato devastato. Si rese conto che l’alieno di nome Jin l’aveva sempre saputo, anzi, probabilmente era esattamente per quella ragione che l’aveva puntato.
Oltre al danno pure la beffa, pensò, gettando un'occhiata a Kazama che restava immobile in mezzo alla tempesta. Era stato adescato e tradito da uno di loro.
Peggio ancora, si era innamorato di uno di loro.
Gli venne quasi da ridere: era assurdo quanto le verità scomode si rivelassero nude e crude giusto nelle circostanze peggiori.
Cercò gli occhi, una volta dolci, di Jin. «Kazama! Non essere stronzo, andiamo!» sbraitò, disperato. Non poteva star succedendo, non poteva star succedendo… Kazama sarebbe rinsavito, avrebbe cacciato i suoi colleghi e sarebbe tornato da lui. Ma poteva essere certo che quello fosse il suo vero corpo? Poteva essere certo che quella fosse la sua vera forma? Appena illuminata dalla luce del disco, l'ombra che si proiettava sull'erba fresca non coincideva con la sua figura.
E, invece, invece di aiutarlo, invece di fare ciò che lui avrebbe fatto al posto suo, Jin tese la mano e Hwoarang strinse i denti mentre si contorceva tra l'erba bagnata, colto da un improvviso mal di testa debilitante. Si sentì sollevare di peso da sottili dita viscide e trascinare verso la scala che proveniva dal gelido e vuoto ventre del disco.
«Perdonami, Hwoarang. Non avrei mai voluto.» furono le ultime parole, pronunciate con il solito aplomb, che udì dalla bocca di Jin. L'ultima cosa che vide, invece, prima che il disco si dileguasse, furono i suoi occhi ambrati nei quali scrutò per trovare almeno uno scintillio di dispiacere.
Occhi disumani nei quali non trovò nulla.
Hwoarang se n'era accorto troppo tardi.


Trøllabundin eri eg eri eg
Galdramaður festi meg festi meg
Trøllabundin inn í hjartarót í hjartarót
Eyga mítt festist har ið galdramaðurin stóð
~
Spellbound I am, I am
The wizard has enchanted me, enchanted me
Spellbound in my heart's root, my heart's root
My eyes gaze to where the wizard stood

Eivør - Trøllabundin


N/D: Questa storia era stata abbozzata pensando a un contest al quale dovevo partecipare ma poi ho abbandonato l'idea. Però mi dispiaceva troppo lasciare Jin alieno e cattivo quindi l'ho rielaborata pensando alle tracce ma lasciando l'ambientazione originale perché questa canzone era semplicemente perfetta. Vi consiglio di leggere la storia ascoltandola...

  
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