Crossover
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Autore: BelgiaofRome    30/09/2019    2 recensioni
Si tratta di un (mega) cross over di tipo avventura/fantascienza coinvolgendo Star Trek (prima generazione) con altri universi tratti da comics (esempio: DC), videogiochi (Tf2,...) , serie animate (MLP,...) e altri sopporti nonché personaggi della mia invenzione.
La trama ruota attorno a come dei personaggi, molto diversi tra di loro, reagiscono quando si trovano, nello stesso momento, davanti a a una minaccia comune che nessuno di loro avrebbe potuto immaginare, nonché davanti la scoperta di alcune verità insospettate e il rapporto bene/male.
La storia contiene umorismo, azione, ma anche temi profondi.
Ritmo di pubblicazione: 1 capitolo ogni 2-3 settimane (tranne in casi eccezionali, in tal caso avvertirò)
Avvertimenti: volgarità, violenza, alcune scene trash, uso di alcool
Richiesta:
--Scrivere commenti
--Essere pazienti riguardo la pubblicazione dei capitoli
-Non giudicare la scelta dei personaggi
-Indulgenza (prima fanfict)
Mi scuso in anticipo per eventuali errori grammaticali e ortografici (sono di madrelingua francese)
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Questa giornata era stata nuovamente molto esaustiva per i nostri protagonisti, i quali erano stati spinti al massimo degli loro sforzi solo per farsi sentire, dopo la fine degli allenamenti, che erano una banda di incompetenti e che a partire dell’indomani avrebbero dovuto pure iniziare degli studi teoriche – per il grande terrore di Esploratore che era allergico al concetto stesso di studiare. Più preoccupante: Kalash’ar aveva anche dichiarato che avrebbero avuto un esame per verificare la loro…utilità. Conoscendo ormai i metodi degli zalgo, i più attenti degli nostri personaggi sapevano che ci sarebbe stato qualcosa di losco dietro questa faccenda. Ma sul momento, erano troppo stanchi per rifletterci troppo e per dunque iniziare a preparare una strategia per prepararsi a quest’evento. Per via degli corpi ormai sfiniti e dalla mente già indebolita da un manco di sonno, le reclute, una volta tornati nelle due camere, non si parlarono, neanche per concludere il discorso iniziato la mattina stessa. Al contrario, si accontentarono di mangiare il più velocemente possibile il schifoso Mok’star prima di andare al letto. In circostanze normale, andare al letto dopo una giornata ben riempita di sforzi fisici era una garanzia di un’ottima notte influenzata da un sonno profondo. Però, come detto, erano da quando erano statti salvati dall’Ammiraglio e che avevano fatto il patto con lui che ogni nostro personaggio era vittima di una serie di incubi. Kirk e i suoi sotto-ufficiali nonché amici, avevano già discusso tra di loro dei loro tormenti notturni rispettivi, riuscendo a sostenersi a vicenda e di espiare una parte della loro ansia per via di catarsi. Però, per i altri che tenevano per sé stessi le angosce viste nella notte, sia perché erano solitari per natura, o per orgoglio o, come per Derpy, per Vergogna, l’ansia non era smessa di crescere negli ultimi giorni, nonostante le apparenze. Ma quali erano esattamente questi incubi? Una visione troppo dettagliata dell’inferno, nella quale i peggiori aspetti dell’umanità erano esaltati al parossismo per la più grande gioia dell’incarnazione degli sette peccati capitali e dove i sensi umani erano perpetuamente sottomessi a emanazioni malsane di una tale malvagità e di un tale orrore che nessuna concezione umana ne potrebbe farne una descrizione precisa, come in un racconto Lovecraftiano? Per fortuna delle vittime di insonnia, questi incubi non erano così crudi, espliciti o immaginativi nella manifestazione del disgustoso. I loro incubi, però, erano comunque traumatizzante, ma in un altro senso del termine: Non per via della grandiosità dell’orrore generale, ma per via del fatto che colpiva ognuno dei nostri personaggi su un livello in cui anche i più duri e coraggiosi individui potevano rompersi: Il livello personale, e lo sguardo pessimo su sé stesso. Ma per capire meglio cosa intendiamo, è forse il caso di andare a vedere da più vicino quello che, alcuni dei nostri protagonisti, stavano appunto sognando so.
Il sogno di Camus
Come c’era da aspettarcelo, gli incubi di Camus erano soprattutto centrati sugli eventi che aveva vissuto negli ultimi giorni: la sua cattura e la coscienza che sarebbe stato torturato dagli Jenesiani, il fatto di scoprire il suo mondo non era l’unico ad esistere e che perfino Atena era solo una dea tra migliaia di universi. Soprattutto, però, lui faceva degli incubi su questa triste scena che Tyresius e Osirius gli avevano mostrato, sulla verità riguarda la natura del Grande Sacerdote, sulla dea Atena e sulla morte del suo amico Mycene. Ogni sera da quando aveva scoperto la realtà, Camus rivedeva ancora, e ancora, e ancora lo stesso e identico flash-back, rivedendo di continuo il sacrificio del suo amico e il tradimento di Arles. Ogni volta, l’angoscia prendeva il sopravvento su Camus, che si sentiva male e perso tra i vari sentimenti contrastanti degli quali era ormai prigioniero. Da un lato, si sentiva terribilmente colpevole: colpevole di non avere avuto fiducia in Mycene e di averlo considerato ingiustamente un traditore; colpevole di essere stato cosi cieco e ingenuo per non capire prima e da solo la verità e di avere fallito il suo dovere di cavaliere di Atena. Da un’altra parte era divorato dall’odio: Odio verso sé stesso per il proprio fallimento e la propria incompetenza sia verso il suo dovere sia nel fatto di essere stato sconfitto dagli Jenesiani; odio verso Tyresius e i suoi maledetti zalgo che lo avevano reso – in qualche modo – il loro schiavo e sembravano divertirsi della sua debolezza; ma soprattutto un odio molto profondo verso Arles per tutto quello che aveva fatto: tentare di uccidere Atena da neonato, manipolarli tutti e quanti convincendoli di uccidere Mycene e altri individui probabilmente altrettanto innocenti. Inoltre, era preso da un grande sentimento di paranoia crescente: Poteva fidarci o meno degli altri prigionieri di Tyresius o meno? Quel Batman, o Bruce Wayne, sembrava essere un uomo di fiducia, ma si mostrava distante e piuttosto freddo, visibilmente non interessato a stabilire una relazione di amicizia e ancora meno di alleato permanente. Questi uomini spaziali sotto gli ordini di Kirk non sembravano essere cattive persone, ma non erano per niente degli guerrieri sugli quali poteva contare; a dire il vero Camus non capiva come mai Tyresius gli costringeva a partecipare agli allenamenti contro gli Jenesiani, visto che era più che ovvio secondo lui che non c’è l’avrebbero fatta contro un esercito di soldati che lo avevano sconfitto perfino lui. Lo stesso ragionamento valeva per la piccola cavallina, che inoltre non sembrava non avere né un cervello né nessuna capacità utile per una guerra come quella descritta dagli Zalgo. Secondo lui, quella Derpy e questi uomini spaziali dovrebbero essere subito spediti negli loro mondo. Per quanto riguarda quei mercenari, almeno sembravano essere qualificati per combattere, ma quanto Camus li disprezzava, sia per il loro totale manco di moralità sia per la loro ovvia stupidità a momenti. Solo la Spia e Conhager sembravano avere un cervello, e ancora! Un manco totale di professionalità o di strategia! Di fronte a questi… personaggi, Camus pensava, a torto o a ragione, che tra le varie reclute era il più qualificato a combattere i Jenesiani. E lì veniva la sua seconda paranoia: visto che quest’ultimi lo avevano sconfitto una prima volta, sarebbe riuscito a fargli fronti nel futuro, o sarebbe stato a sua volta vittima della loro sete di conquiste? Più che per la sua vita, Camus era ansioso di sapere se c’è l’avrebbe fatta, perché sapeva ormai che era la sua unica chance non solo di tornare nel suo universo e di rimediare ai suoi errori del passato aiutando Atena, ma anche perché. Sé Tyresius non gli aveva mentito, era la sua unica possibilità di salvare il suo mondo da un’invasione armata. La paura del fallimento, e gli dubbi riguarda le sue nuove responsabilità, andavano a crescendo ogni volta che rivedeva la scena del combattimento tra Mycene e Shura e che sentiva la voce di Tyresius deriderlo, ricordandogli che a suo modo era anche lui colpevole. E poi, si aggiungeva la terza paranoia, quella meno diretta ma quella che lo ossessionava di più: Cosa avrebbe fatto una volta tornato nel suo universo, se per miracolo ci riusciva? Come Tyresius gli aveva riccordato, e che nel suo profondo di sé lo sapeva già, è che non basterebbe sicuramente dichiarare agli altri cavalieri che aveva saputo la verità: Se avesse detto così, non gli avrebbero creduto, come lui stesso non lo avrebbe creduto fino a pochi giorni fa, e poi Arles gli avrebbe convinti che era un traditore come Mycene e avrebbe dovuto combattere i propri compagni…anzi…un pensiero ancora più perturbante colpì la mente di Camus: e se i cavalieri di Grecia, o addirittura degli cavalieri d’oro, erano a conoscenza della malvagità di Arles, ma avessero deciso di spontanea volontà di servirlo? Se fosse cosi, se veramente oltre a coloro che erano stati manipolati c’erano degli convinti sostenitori del male, allora come Camus avrebbe fatto? Come avrebbe distinto coloro che, dopo un ragionamento e una spiegazione degli fatti – se lo lasciavano parlare – lo avrebbero aiutato di coloro che lo avrebbero ucciso nell’immediato o, peggio, tradito dopo avere ottenuto la sua fiducia? Poteva almeno ancora fidarci di qualcuno o era davvero solo? E anche se avesse avuto un sostegno, come avrebbe fatto a rovesciare il falso Arles e a salvare Atena? Atena, almeno era salva? Ogni ora in cui Camus era prigioniero del Virgilius era un giorno in cui il falso Arles, aiutato dagli cavalieri d’oro rimanenti, avrebbe potuto ritrovarla e… a questo Camus provava invano di non visualizzare il pensiero…in vano.
A questo punto, era comprensibile che, per via dell’accumulo constante di tutto questo stresso notturno, Camus era diventato taciturno e isolato, in qualche modo fuori della realtà, nel corso delle ultime giornate. In effetti, nella sua mente ormai disturbata, Camus provava in vano di trovare la pace interiore, almeno per potere ragionare su tutte le sue domande e di trovare una soluzione ad esse… ma non ci riusciva, la stanchezza, le emozioni e il manco totale di sostegno psicologico (che lui stesso rifiutava quando McCoy ci provò) lo impedivano completamente di trovare la luce nell’oscurità che lo stava invadendo. In qualche modo, sperava che la situazione si sarebbe migliorata, che gli incubi si sarebbero calmati e che avrebbe finalmente potuto riflettere in modo concreto.
Gli incubi non smisero… questa notte, anzi, peggiorarono.
 
- “Camus?! Almeno tu, perché non mi hai creduto?! Sono morto perché ero l’unico ad essermi opposto al tiranno! Per colpa tua e degli altri, Atena è ormai in pericolo!” urlo il cadavere di Mycene mentre provava ad afferrare Camus allora che quest’ultimo si era avvicinato a lui quandò morì su l’acropolis di Atene.
 
-“AHAHA! Tutto procede secondo i piani! Questi ingenui cavalieri d’oro, convinti che servono Atena allora che in realtà mi stanno solo aiutando a conquistare il mondo e a sterminare i deboli! AHAHAHAHA! Tra pochi anni, sarò io il nuovo e unico dio che tutti lodano!” iniziò a ridere il Falso Arles, che sembrava essere un gigante che distruggeva tutto nelle fiamme.
 
-“Camus! Camus dove sei?! Abbiamo bisogno di te! Ho bisogno di te! Ti cercherò ovunque, ma prego che tu sia ancora in vita! Camus!  A gridare era Milo dello scorpione, che disperato sembrava cercare nelle rovine degli edifici che Arles aveva distrutto, prima di scomparire nelle fiamme.
 
-“Mio fratello… era un traditore… devo dimostrare la mia lealtà a Arles… a ogni costo….” A piangere era Ioria del Leone, Camus provò allora a gridargli che non era vero, che Mycene non era un traditore, anzi che era il vero eroi, ma niente fa fare: Le risate del grande sacerdote, i rumori delle distruzioni, gli gridi di persone che morivano tutt’attorno, coprivano completamente la sua voce. E mentre Camus poteva solo osservare la scena di distruzione surrealistica di Atene, la voce di Tyresius continuava a ripetergli ancora e ancora a quale punto era inutile, che era stato un sciocco e che non c’è l’avrebbe fatto. Combinato con tutti gli urli che aveva appena sentito, Camus, dopo avere provato disperatamente ma inutilmente di scappare, di chiudere gli occhi e di tapparsi le orecchie, fine con l’esplodere dalla perdita di pazienza.
 
-“Basta…Basta…BASTAAAAA!!! BASTA TUTTI BASTTAAAAAA!!!” fini con urlare il cavaliere dell’aquario, il quale esplose tutta la sua frustrazione in un’immensa esplosione di ghiaccio che congelò assolutamente tutto attorno a lui, ricomprendo tutti i paesaggi, personaggi e rumori che lo ossessionavano da notte intere. Allora che tutto fu ricoperto dal ghiaccio, e che le fiamme della distruzione avevano lasciato posto a una violenta tempesta di neve, Camus si lasciò cadere sui ginocchi, insensibile al freddo ma piangendo tutto lo stress, tutte le paure e tutti i rimpianti che aveva sul cuore. E fu così che per lunghi minuti, egli rimase lì a piangere, lasciandosi scappare ogni volontà di fare qualcos’altro. Poi, finalmente quando ebbe finito, si rese conto della situazione attorno a lui: La tempesta di neve era diventata ancora più violente e, alla sua più grande più grande sorpresa, egli cominciava a risentire il freddo. Nel suo più profondo di sé, sapeva che tutto questo era solo un sogno e che non era in pericolo… eppure, la sensazione crescente che le sue dite stavano per congelarsi e dei suoi membri tremare si faceva sempre più forte e dolorosa. Camus, nonostante alla sua perplessità che proprio lui, il cavaliere dell’aquario e che controllava il potere del ghiaccio, poteva soffrire del freddo, decise che era meglio non rimanere piantato li, senza muoversi, e che dovrebbe piuttosto trovarsi un riparto, soprattutto perché aveva notato che il sole era scomparso per lasciare il posto a una notte a luna piena. Camus iniziò allora a camminare con estrema difficoltà contro la tempesta, la quale lo respingeva come se non fosse niente. Inoltre, più passava il tempo, è più Camus ebbe la sensazione di salire una penta. Il suo dubbio venne confermato quando, più tardi, preso allo sprovvisto da una burrasca di vento, fu lanciato contro una parete rocciosa e che, rendendosi conto e approfittando di una calma temporanea della tempesta, riuscì a distinguere le varie cime di una catena di montagne e delle rocce disseminate su tutto il terreno, il quale era sinuoso, pieno di rilievi diviso da profondi e pericolosi crateri.
 
-“Questo paesaggio… questa montagna…mi sono familiari” pensò Camus che sentì una strana sensazione di dolore al petto, prima di pensare che, se non voleva morire di freddo, doveva trovare un riparo. Proprio a questo momento, vide lontano da lui una luce rossa. “Sarà una torre di controllo, o qualche luce di un villaggio?” pensò il cavaliere che decise di attraversare il pericoloso sentiero per raggiungere questa luce. Per ore, almeno per lui sembrava, camminò verso questa luce, ferendosi contro le parate di roccia tagliente e ghiaccianti, scivolando più volte con ogni volta il rischio di cadere nel vuoto, il tutto con sempre questa maledetta tempesta che sembrava volerlo morto ad ogni costo. Però, manteneva la speranza, perché ad ogni passo la luce sembrava diventare più grande e luminosa, convincendo il cavaliere che era vicino a un villaggio, nel quale avrebbe potuto trovare ospitalità, calore e soprattutto aiuto, perché ormai le sue ferite erano grave: il sangue che usciva dalle varie parte del suo corpo si erano congelati per via del freddo, e le sue dite erano ormai nere, e sapeva che se non fosse un cavaliere di Atena sarebbe già morto o condannato ad essere amputato per sopravvivere.
 
“Un…ultimo…sforzo” si diede coraggio Camus quando era quasi arrivato alla cima dalla quale la luce proveniva e, con il poco di energia che rimaneva, riusciù a salirsi sopra, urlando aiuto in attesa che uno degli abitanti gli venisse al soccorso. Ma lì, Camus capì di cosa proveniva la luce: Egli senti una grande fonte di calore che lo riscaldò, ma non c’era nessuno villaggio o campo. Egli vide numerosi individui, ma nessuno dei quali poteva venirgli in aiuto: La fonte della luce in realtà le fiamme di un aereo, il quale aveva visibilmente avuto un incidente e che era precipitato sulla montagna. Per quanto riguarda i passeggeri, coloro che non avevano avuto la fortuna di morire sul colpo, erano morti congelati, ormai parzialmente ricoperti dalla neve mentre i loro visi blu pieno di angoscia era pietrificato in eterno.
 
-“No…” si lasciò scappare Camus che, con un colpo di adrenaline, si rialzò e si precipitò verso l’aereo ancora in fuoco. Lui iniziava a ricordarsi, ma non voleva riconoscere questo ricordo senza una prova. Arrivo presso l’ala dell’aereo e vide una piccola deformazione del terreno e un piede uscire della neve, indicando che la neve aveva ricoperto un corpo. “No no no!!” iniziò a piangere disperato Camus mentre iniziò a scavare freneticamente il terreno a mani nude fino a fare uscire allo scoperto due visi, quello di una donna e di un uomo…
 
-“No…padre…madre…” iniziò a piangere Camus quando ebbe la prova che stava rivivendo la sua peggiore esperienza personale, quando à l’età di cinque anni, mentre i suoi genitori lo portarono in Francia e poi avevano preso la decisione di mostrargli la città natale di sua madre, a Irkutsk, nell’entroterra russa, l’aereo nel quale erano ebbe un problema di motore e si schiantò, uccidendo tutti i passeggeri tranne lui. Mentre Camus piangeva sul corpo dei suoi, per i quali non aveva mai avuto l’occasione di dirgli quanto li amava, una mano gli toccò la spalla. Camus, sempre piangendo, si girò e vide una versione gigante della sua armatura. Normalmente, qualcuno avrebbe avuto paura, ma Camus ricordandosi che era in un flash-back doloroso ma realistico, e dopo avere notato che era nel suo corpo di quando aveva cinque anni e che si ricordava che colui che aveva di fronte era il suo predecessore, l’allora cavaliere dell’aquario… il suo zio Konrad. Questa sera, Konrad, che aveva sentito l’assenza del cosmo della sua sorella – la madre di Camus – e si era precipitato verso la montagna dove sapeva che l’aereo sarebbe passato e dove poteva solo constatare l’accaduto. Però, Konrad aveva visto un potenziale in Camus che aveva resistito al freddo e aveva deciso, oltre che a prenderlo sotto la sua ala in qualità di unico parente rimasto, di farne il suo allievo. Li, Camus fu invaso da tutta una serie di flashbacks dei suoi allenamenti con il suo zio, che gli insegnò le base del combattimento e a controllare il cosmo, prima di portarlo, quando aveva dieci anni, nel tempio dove avrebbe ricevuto un allenamento più spinto e completo.
Camus si ricordò allora che, quel giorno, pianse e, nonostante nella sua mente era ormai adulto, la sua versione di sé bambino a dieci anni iniziò, come all’epoca, a piangere.
 
-“Ey, Camus, cosa ti prende?” chiese con affetto Konrad. In effetti, il suo zio, al contrario della maggioranza degli allenatori dei cavalieri o degli cavalieri stessi che Camus aveva conosciuto, non era un essere freddo senz’empatia che considerava gli sentimenti una debolezza, e che provava sempre a capire l’origine del problema con compassione prima di agire. “Lo sai che in questo luogo imparerai tutto quello che ti servirà per diventare un cavaliere come me?”
 
-“Lo so…” continuò a piangere la giovane versione di Camus mentre il suo zio provò a consolarlo
 
-“Sei tu che mi hai chiesto se potevi diventare un cavaliere, per potere servire Atena e difendere la giustizia e gli innocenti, un po' come gli eroi dei libri che leggi?”
 
-“S…Si, è vero” continuò a piangere Camus. La versione giovane di Camus piangeva sul momento per una ragione personale, ma lo stesso Camus adulto iniziò anche a piangere, ricordandosi come il suo desiderio di diventare cavaliere era nato dalla sincera voglia di aiutare gli altri, e che non capiva come mai era diventato una sorte di servo accecato che ubbidiva solo alle direttive di un Tiranno senza rimettersi in dubbio. Come questo bambino, onesto e amato, era diventato il fallimento che era so?”
 
-“Allora perché piangi Camus?” chiese allora il zio.
 
-“Perché non voglio perderti!” fece il giovane Camus abbracciando Konrad “Ho perso Mama e Babbo, non voglio perderti!”
 
Konrad rimase fermo, senza dire niente, e poi, con la mano, alzo la testa del suo nipote per guardarlo negli occhi, disse:
 
-“Ascoltami Camus, il mio dovere è laddove devo intervenire, e non sono luoghi dove posso portarti…non ancora. Io non potrò sempre occuparmi di te, e quindi devi anche imparare a proseguire da solo… Ma non essere triste, perché sei un ragazzo meraviglioso che ha compiuto così tanto nonostante le difficoltà e la giovane età. Hai tutte le carte in mano per riuscire ogni impresa che vorrai compiere e sono più che sicuro che c’è la farai. Questo luogo non è la fine, ma bensì l’iniziò della tua vita di apprendista cavaliere! Devi solo avere fiducia in te e nelle tue capacità! E poi, mica ti dico addio, tornerò a trovarti!”
 
-“Sniff…lo…lo prometti?” chiese Camus
 
-“Te lo prometto, e anzi, quando sarai pronto, ti porterò insieme a ti insegnerò perfino il mio attacco personale che solo io conosco…”
 
-“Vorresti dire… Davvero?!” fece allora entusiasta il giovane Camus.
 
-“Lo giuro sulla grande Atena!” fece allora Konrad abbracciando il nipote, il quale fiducioso e contento di potere rivedere il suo zio in futuro, cambiò atteggiamento e andò con grande eccitazione nel tempio. Li, il Camus dei giorni nostro tornò ad essere un testimone in terza persona a vedere la separazione tra la sua versione infantile e il suo zio… con una lacrima all’occhio. In effetti, all’epoca non lo sapeva, ma era l’ultima volta che avrebbe visto Konrad. In effetti, solo pochi mesi dopo, allora che aspettava il suo zio che doveva rendergli visita, i suoi professori gli comunicarono che Konrad era stato ucciso in uno scontro contro gli cavalieri di  in Antartide, e che ormai non c’erano più cavalieri dell’Aquario. Camus si riccordò che, per qualche anno, fu arrabbiato contro il suo zio per non avere mantenuto la sua promessa ma che, verso la fine dell’adolescenza, quando capì che quest’ultimo era morto da eroi e che aveva fatto quello che era giusto, non solo si pentì del suo risentimento, ma anzi iniziò nuovamente a considerarlo come il suo modello e giurò di onorarlo mostrandosi degno di ricuperare la sua armatura, la quale divenne sua dopo un durissimo allenamento verso l’età di vent’anni. Ma lì, vedendo che il suo zio stava scomparendo all’orizzonte, decise di inseguirlo. Nonostante era tutto un sogno, Camus voleva veramente riuscire a entrare in contatto con il suo zio, per dirgli addio, ringraziarlo di tutto e, forse inconsciamente, avvertirlo sul pericolo verso il quale andava.
 
-“ZIO! ASPETTAMI!!!” urlò Camus correndo verso il suo zio, il quale non lo sentì e continuò ad andarsene. Camus finì per afferrare il suo zio, prima di essere acciecato da una luce così chiara che neanche il sole avrebbe potuto illuminare meglio lo spazio attorno a lui. Quando la luce scomparì, Camus aprì gli occhi e vide che era di nuovo in un corpo da adulto e, ancora meglio nella sua armatura d’oro di cavaliere dell’Aquario. Per un corto ma profondo instante, Camus fu sollevato e rassicurato, convinto di avere finalmente concluso tutto quest’incubo che era stata la sua vita da quando aveva incontrato questi maledetti esseri strani in questa dannata foresta. Però, presto si ricordò che tutto quello che aveva vissuto, dalla sua cattura e dalla perdita della sua armatura a quel patto che lui e gli altri avevano fatto con Tyresius, era vero e che stava ancora sognando. Non si ricordava del paesaggio che stava vedendo mentre il suo corpo continuo a camminare fuori dal suo controllo: tutto quello che vedeva era un’infinita estesa di ghiaccio e di neve pura a perdita di vista, con ogni tanto qualche colline molto alte e delle specie di Iceberg in movimento vicino a un mare grigio.
 
-“Allora Krassio” si mise a parlare il corpo di Camus con una voce che non era la sua ma che riconobbe “E’ li che si è visto un attacco degli cavalieri neri contro un gruppo di civili?”


-“Siamo quasi arrivati signore Konrad” rispose allora un uomo di circa trent’anni che indossava un’armatura d’argento che Camus non riconobbe “Inoltre, sento una presenza di un cosmo ostile nelle vicinanze, dobbiamo stare molto attenti”.
Camus fu allora preso di panico: Il suo incubo non era finito, e aveva deciso di tormentarlo nel modo più crudele. Non solo era stato costantemente confrontato alle sue paure e agli eventi più difficile della sua vita, ma so era costretto a rivivere in prima persona la morte dell’essere che aveva ammirato di più! Camus provò disperatamente a parlare o a muoversi di sua volontà, ma senza successo: egli poteva solo rifare i gesti e pronunciare le parole che il suo zio aveva fatto il giorno della sua morte.
 
-“Hai ragione. Per prima cosa, ravviciniamoci quest’iceberg in formazione laggiù, da sopra penso che avremmo una bella visuale il tutto rimanendo discreti.” Rispose Konrad.
 
-“Mentre proseguiamo il nostro cammino, posso chiedergli cos’è questa collana che avete al collo, signore Konrad?” chiese Krasio indicando una piccola collana d’argento a forma di pentagono con un gioiello blu del simbolo dell’Aquario.
 
-“Questo?” fece sorpreso Camus/Konrad prima di mostrare il gioiello e di aprirlo di fronte al compagno, rivelando da una lato una foto dello stesso Konrad con i genitori, la sorella e il marito di quest’ultima e, dall’altro lato, la foto di Camus al suo decimo compleanno “Questo porta-foto è l’ultimo regalo che mi fece il mio padre prima di morire, poco tempo che ero diventato il nuovo cavaliere d’oro dell’aquario, e come era un regalo di famiglia e ho deciso di metterci le foto degli miei familiari più cari.”
 
-“E quel bel giovanotto con i capelli blu chi sarebbe? Tuo figlio?” chiese Krassio mentre si stavano ravvicinando alla loro destinazione.
 
-“Lui?” inizio a dire Konrad, il quale stava per fare un discorso che avrebbe commosso e rattristito il suo nipote che poté osservare e sentire tutto nonostante era solo un sogno “Lui è Camus. No, non è mio figlio, ma lo considero come tale. In realtà è il mio nipote che ho preso in custodia quando i suoi genitori sono morti in un incidente di aereo qualche anno fa. so l’ho lasciato nel tempio per allenarlo, e anche se ho una grande tristezza a non essere accanto a lui, sono sicuro che è la cosa migliore per lui. Dopo questa missione, ho comunque intenzione di rendergli visita e di osservare i suoi progressi. So che non dovrei fare nepotismo, ma Camus è proprio un ragazzo promettente, e metto tutte le mie speranze che sarà capace un giorno di diventare il mio successore.”
 
-“Addirittura?” fece allora il cavaliere d’argento “Senti il suo talento tramite il suo cosmos?”
 
-“No” rispose Konrad, sicuramente con un sorriso “Lo so perché ho visto la sua passione, la sua volontà e la sua forza di carattere. In altre parole, credo semplicemente in lui.”
 
Camus, in questo momento, se fosse nel proprio corpo e se potesse farlo, si sarebbe lanciato per abbracciare il suo zio, ma non ebbe il tempo di godersi quest’instante sentimentale che il corpo del zio nel quale era prigioniero e Krassio si fermarono. Erano quasi arrivato al picco che videro un cavaliere con un’armatura nera avvicinarsi lentamente di loro. C’era una grande distanza tra di loro e questo cavaliere, forse trecento metri, ma nonostante questo i due compagni riuscirono a sentire l’individuo gridargli “Non avvicinatevi!”, ma seppero inoltre distinguerlo distintamente.
 
-“Un cavaliere nero!” gridò Krassio mentre lui e Konrad si misero in posizione di combattimento “Siamo stati scoperti!”
 
-*Probabilmente l’uomo che uccise il mio zio* pensò con rabbia Camus
 
-“Forse ancora no! E’ da solo! Se non facciamo un attacco troppo potente e che siamo veloci lo possiamo fare fuori prima che avverta i suoi alleati.” inizio a dire Konrad con più calma mentre la neve iniziò a girare tutt’attorno a lui “Io so mi precipitò su di lui e provo a fermarlo. Mentre sarò in combattimento con lui, raggiungici e dammi una mano se necessario”. Detto ciò, e con l’approvo del cavaliere d’argento, lo zio di Camus iniziò a correre, riuscendo a controllare la neve che era al suolo per accelerare il ritmo, come se delle onde di neve lo sollevavano con facilità, rapidità e assoluto controllo, dopo solo qualche secondo Camus ebbe l’impressione che il suo zio usava la neve per potere volare e in un solo minuto arrivò all’altezza del cavaliere nero per dargli un pugno congelato. Al momento del suo arrivo, il cavaliere nero cadde a terra… ma non per via del pugno. Infatti, come Konrad e, qualche minuto dopo Krassio quando arrivò, videro è che il cavaliere di nero era già mortalmente ferito, con la sua armatura spezzata in parte. Konrad, rendendosi conto che l’individuo stava comunque per morire e non avrebbe rappresentato una minaccia, prese quello che in altre circostanze sarebbe stato il suo nemico nelle sue brace per aiutarlo un minimo a respirare, il quale ormai era a terra in una neve diventata rossa del suo sangue, e chiese con una voce calma cosa gli era accaduto e perché lui e i suoi avevano attaccato degli scienziati civili in zona.
 
-“Vi…vi avevo detto di non avvicinarvi… vi troveranno… vi tortureranno e uccideranno come l’hanno fatto con me e il resto della mia squadra… scappa finché puoi cavaliere di Atena” disse il cavaliere di Atena sputando litri sangue dalla sua bocca mentre Konrad vide che la sua ferita al torace aveva toccato molti organi vitali.
 
-“Chi? Non vorrai mica farmi credere che degli civili senza armatura ti hanno ridotto in questo stato?” rispose con calma ma anche con qualche dubbio Konrad mentre Krassio, si mise a guardare attorno in posizione difensiva, pronto a attaccare il primo individuo in vista.
 
-“No… i scienziati erano già morti… un massacro ignobile… quando siamo arrivati… Parlo di questi uomini in armatura moderna e armati da arme che distruggono perfino le armature divine… quelli sembrano scavare sotto la terra... quelli che parlano in una lingua che nessun di noi abbiamo sentito… io e miei compagni eravamo venuti perché… abbiamo sentito un cosmos molto potente... e volevamo controllare se non fosse voi del culto di Atena… avrei preferito fosse voi…almeno combattete con onore e concedete una morte nell’onore… loro ci hanno fatto prigionieri….torturati per il piacere…per ore…solo per miracolo sono riuscito a sfuggire… Ti scongiuro cavaliere di Atena… fammi la grazia di mettere fine al mio dolore e scappa per la tua vita…”
 
Konrad, come Camus lo rissentì a questo momento, era preso di compassione, e, dopo avere chiesto il nome di quest’ultimo, gli giurò che sarebbe stato vendicato e che la sua morte non sarebbe stata in vano. Dopo di, con la mano, Konrad iniziò a congelare il cuore del cavaliere per rallentarlo e permettere a quest’ultimo di finalmente riposare in pace senza soffrire. Una volta il cavaliere di nero morto, un sorriso sereno e di sollievo sul viso, Konrad e Krassio, decisi di mettere fuori gioco un gruppo di esseri sadici e pericolosi che avevano ridotto un cavaliere in questo stato e, se quello che il defunto aveva detto era vero, avevano ucciso diecine di innocenti, decisero di camminare verso la direzione che indicava la traccia di sangue lasciata dal servo di nero. Camus sentì che Konrad avrebbe preferito avvertire subito il resto degli cavalieri di Atena, ma che temeva che nel frattempo i colpevoli sarebbero scomparsi senza lasciare traccia e che doveva fermarli il primo possibile per il bene comune di tutti. Camus a questo punto inizio a pensare chi fossero questi individui… se non erano stati i cavalieri di nero a uccidere il suo zio… allora erano loro?
 
A un certo punto, Krassio e Konrad, che si erano sbrigati senza prendere dintorni, finirono per arrivare dove c’era questo famoso campo di scienziati. Se da un lato gli edifici temporanea per le ricerche scientifiche erano ancora al loro posto, i due cavalieri di Atena osservarono che l’altro non gli aveva mentito: Circa una trentina di individui, vestiti da armature molto ma molto moderne, più simile a delle tutte di cosmonaute ultra modernizzate piuttosto che alle armature di stile antico come quella dei altri cavalieri, stavano andando avanti-indietro tra gli edifici e una specie di tunnel che entrava sotto terra e che sembrava recente nonostante le sue dimensione.  Alcuni di questi uomini stavano dando fuoco a una sorte di piccolo ammasso di rifiuti. Però, e Camus sentì il disgusto che risentì il suo zio a questa visione, tra gli rifiuti che bruciavano c’erano i corpi di numerosi individui. Alcuni vestiti da civili in tutte invernali, altri in armature nere. Non si sapeva come erano morti, ma la presenza abbondante e caotica di sangue sulla neve tutt’attorno al campo sembrava confermare la versione del cavaliere di deceduto secondo la quale questi uomini si erano divertiti a uccidere in maniera cruenta e lenta le loro vittime.
 
-*Ma loro…sono degli Jenesiani?!* pensò con spavento Camus riconoscendo le armature degli esseri che vedeva *Ma allora c’erano già all’epoca?!*
 
Ovviamente, un cavaliere d’argento e un cavaliere d’oro non potevano passare inosservati nell’Antartide, e presto i Jenesiani si girarono per osservare gli intrusi e, come c’era da aspettarlo da loro come aveva avvertito più volte Osirius, quest’ultimi non persero neanche un secondo a prendere delle armi e a sparare potente raffiche di raggi laser che esplosero al primo contatto in direzione dei due cavalieri di Atena. Quest’ultimi, preparati per queste circostanze, fecero un altissimo salto per evitare di essere ridotti in polvere, ma Camus prese paura: quelli Jenesiani erano solo una trentina, eppure erano riusciti a fare quest’attacco che da solo avrebbe già spazzato buona parte di un regimento di semplici soldati. Non solo Camus capì come mai il cavaliere nero era stato ridotto in questo stato, ma so che vide i Jenesiani in vera azione, contrariamente a prima, egli capì che Tyresius aveva detto la verità su almeno un punto: Che un intero esercito poco scrupoloso di questi Jenesiani avrebbe potuto effettivamente avere la meglio su gli guardiani del Grande Tempio e su ogni esercito normale degli vari stati. Camus sentì che in questo momento, nonostante il suo allenamento e il fatto che ormai serviva il tempio di Atene da anni, avrebbe esitato di fronte a un nemico a priori debole ma che si rivelò effettivamente molto pericoloso. Al contrario il suo zio e Krassio, senza farsi domande, si precipitarono dritto contro il nemico. Il cavaliere d’oro inizio a girare su sé stesso fino a creare un mini tornado di neve che lanciò dritto sugli nemici. Camus conosceva quest’attacco, e sapeva che di solito chi veniva preso dentro ad essa era spazzato via e lanciato a diecine di metri, spesso ridotto male, almeno che era un cavaliere particolarmente resistenti. I Jenesiani però, non fecero questa sorta, nonostante l’attacco di Konrad era particolarmente violente grazie all’ambiente: Certo, ebbero un po' di difficoltà a rimanere in piedi, e dovettero smettere di sparare per trovare un equilibrio, ma non ebbero nessuna conseguenza se non di fare solo uno o due passi indietro. Anzi, uno di loro provocò Konrad chiedendogli se era tutto di quello era capace. Proprio questo Jenesiano ebbe la pessima sorpresa di prendersi un colpo di gamba da Krassio il quale, approffittando della tempesta di neve causata da Konrad, comparì dal nulla. Il colpo dato dal cavaliere d’argento bastò per rompere in parte l’elmo del Jenesiano e buttarlo a terra, dove fu preso dalla tempesta e portato via su una decina di metri prima di riuscire a tirare una spada di laser blu e piantarla al suolo per non più muoversi. Krassio, approfittando della confusione e dell’effetto di sorpresa, diede un pugno sotto la testa di un altro Jenesiano e un colpo di gamba al ginocchio di un terzo, rovesciandogli e facendoli prendere nel vento ghiacciale di Konrard. Purtroppo, allora che Krassio era sul punto di attaccare un quarto Jenesiano, un quinto Jenesiano, che si distingueva dagli altri per portare un’armatura che sembrava più leggera e di colore neve come potere immedesimarsi con l’ambiente dell’Antartide, e che visibilmente aveva osservato le mosse di Krassio, decise che era il suo momento e, contro ogni aspettative fece un salto – nonostante la tempesta – in direzione del cavaliere d’argento e riuscì ad afferrarlo al gli afferrò il braccio sinistro e tiro fuori un piccolo coltello laser per provare per sgozzare la sua prede. Konrad, vedendo la sua situazione del suo compagno, decise di smettere il suo tornado e si buttò a terra, creando un’immensa e potente onda di neve che destabilizzò tutti gli individui intorno, e ancora di più il Jenesiano che aveva afferrato Krassio. A questo nemico preciso, Konrad lanciò con estrema precisione un piccolo pugnale di ghiaccio che creò all’instante. Il pugnale di ghiaccio esplose contro l’elmo senza ferire il soldato, ma distraendolo abbastanza per permettere a Krassio di rovesciare la situazione, prendere il controllo del nemico e girarlo su sé stesso con grande velocità prima di buttarlo contro Konrad il quale urlando un potentissimo “Polvere di Diamante” lo mandò via su ben sessanta metri, sicuramente ferito ma probabilmente ancora in vita.
 
-“Ah… Vedo che per una volta abbiamo due prede un po' più interessanti…” disse allora l’uno degli Jenesiani, quello che sembrava essere il capo visto che la sua armatura era la più grande di tutte, con una voce sadica mentre Konrad e Krassio si misero in posizione di difesa di fronte ai loro nemici e che gli altri Jenesiani si rialzavano e che alcuni di loro tirarono fuori delle arme laser di corpo a corpo “Meglio così, iniziavamo ad annoiarsi degli individui che piangono per la loro vita o che offrono poco resistenza”
 
-“Konrad…” disse allora con spavento Krassio quando vide che la parte del armatura che gli copriva il braccio e dove era stato afferrato era già parzialmente rotto “…dobbiamo stare veramente attenti, il cavaliere ha detto la verità riguarda la loro capacità di distruggere delle armature.”
 
-“In questo caso provvediamo a sconfiggerli prima di essere toccati” disse Konrad prima di urlare un nuovo “Polvere di Diamanti” di una grande potenza nella direzione del gruppo di nemici. Coloro che erano stati un po' più lenti a rialzarsi furono portati via, ma la grande maggioranza di loro tirarono fuori dai loro braci degli scudi laser blu e si misero in posizione di difesa per evitare i proiettili di ghiaccio e, quando furono al riparo, iniziarono a ridere e iniziarono a correre in direzione dei due cavalieri di Atena.
Camus sentì che il suo zio non prese paura e quest’ultimo, senza un secondo di esitazione, cambio attacco e materializzo un immenso muro di giacchio alto di ben 10 metri di altitudine. I Jenesiani, convinti che Konrad e il suo compagno avevano preso paura e provavano a creare un riparo, iniziarono a ridere e, chi con la pistola chi con la spada, iniziarono a distruggerlo. Quello che non avevano calcolato, è che era proprio quello che Konrad voleva, e quest’ultimo fecce infatti abbastanza danni quando, all’improvviso, buttò giù il muro sugli suoi nemici, i quali senza potere reagire si presero in pieno gli pesanti detriti di ghiaccio che gli cadde sopra. A questo punto, sicuro che i loro avversari erano feriti, o almeno scombussolati, Krassio si lanciò e iniziò a dare velocemente, non fermandosi mai più di dieci secondo su un bersaglio, a dare violenti colpi di pugno nelle facce degli Jenesiani distratti mentre il cavaliere d’oro fece un’ulteriore attacco di polvere di diamanti prima di crearsi due lance di ghiaccio per entrare in mischia, colpendo i Jenesiani che provavano a sparare a Krassio.
Camus, che era prigioniero dentro il corpo del suo zio, poté finalmente ammirare il suo stile di combattimento, il quale lo impressionò tantissimo per il fatto che si rese conto quanto il suo zio e predecessore era molto più bravo di lui. In effetti, non solo Konrad riusciva a canalizzare il suo cosmos per fare attacchi molto più potenti ma soprattutto più precisi, colpendo con estrema precisione degli nemici che erano comunque vicini a Krassio laddove Camus si tratteneva di usare gli stessi attacchi quando era accompagnato per non ferirgli per sbaglio. Ma, inoltre, Konrad riusciva a fare con estrema rapidità tutt’una serie di mosse ignote a Camus o che quest’ultimo non sapeva usare al massimo delle sue capacità. Ad esempio, a un momento Konrad, rendendosi conto che uno degli suoi avversari stava per sparargli sopra, ma che al contempo il suo compagno era in difficoltà con degli nemici che stavano per circondarlo, Konrad fece un semi cerchio su sé stesso, creando successivamente una nebbia di ghiaccio, una serie di mini-proiettili di ghiaccio. Così facendo, in un primo momento il cavaliere d’oro impediva al tizio che lo mirava e chiunque altro di vederlo. In secondo luogo, con la pioggia dei proiettili, questi stessi nemici sarebbero stati feriti o, almeno, sarebbero stati costretti a spostarsi. Infine, so che aveva creato un muro di ghiaccio per proteggersi, Konrad lancio le sue due lance di ghiaccio sugli due Jenesiani che stavano per colpire Krassio e, prima che gli altri potessero reagire, colpì il suolo con un potente pugno, trasformando tutto il terreno in direzione degli aggressori del suo compagno in un ghiaccio scivoloso dal quale uscivano delle stalattiti. I nemici, già colpiti dagli proiettili lanciati da Konrad, dovettero stare attenti alle punte e al non cadere, offrendo così possibilità a Krassio di difendersi e di riprendere il vantaggio e di potere contrattare. Una volta assicurato che il suo amico era nuovamente capace di combattere in vantaggio, Camus fece un grande salto e creò un’immensa pioggia di ghiaccio in direzione del nemico che lo aveva sparato, il quale fu preso in pieno e buttato via, ma non ferito. L’altra cosa che Camus notò, è che il suo zio combatteva in sinergia con il suo amico. Laddove uno si trovava in difficoltà, l’altro interveniva per sostenerlo, e vice-versa. Inoltre, sembrava che riuscivano, nonostante la situazione e il fatto che i nemici erano veloci e agili, a combinare i loro attacchi. Ad esempio, Krassio provò a spinse uno degli Jenesiani contro una roccia. Mentre quest’ultimo provò a mirare con la sua specie di pistola il cavaliere d’argento, quest’ultimo si spostò e fu Camus, uscendo dal nulla, che gli lanciò un attacco a sorpresa, congelando parzialmente sulla roccia prima di dargli un potente pugno congelato in faccia. Subito dopo, mentre un altro Jenesiano stava per colpire Konrad alle spalle, fu Krassio a intervenire, respingendo il nemico. E eventi di questo genere avvenerò più di una volta nel corso del combattimento, per la più grande perplessità di Camus. In effetti, non è che non aveva mai combattuto in compagnia, né elaborato piani strategici prima di uno scontro. Però, lui e tutti gli altri cavalieri d’oro, se non addirittura tutti gli tipi di cavalieri, combattevano in un stile piuttosto solitario, e anzi pochi erano i cavalieri a preoccuparsi degli altri. Perfino Camus stesso, pur amico e preoccupato per alcuni dei suoi amici come Ioria e Milo, si rese conto che non aveva mai combattuto insieme a loro come Konrad e Krassio, né che aveva mai rischiato la propria vita per aiutarli come il suo zio e Krassio sembravano fare di continuo. Infine, un’altra cosa che egli notò è che nonostante gli attacchi potenti del suo zio, e quelli anch’essi impressionanti di Krassio, gli Jenesiani rimanevano comunque in piedi. Certo, alcuni di loro iniziarono a mostrare segni di stanchezza, e alcuni sembravano essere leggermente feriti, ma nessuno di loro – contro ogni aspettativa – era stato messo K.O. Dopo circa dieci minuti, toccò a quello che sembrava essere il capo degli Jenesiani, a confrontarsi contro i due cavalieri. Questo nemico portava un’armatura che ricordava un po' quella di Hy’ardolfius, ma era molto più piccola e di argento bianco. Nonostante era meno impressionante, questo Jenesiano dava proprio l’impressione di essere un pazzo. In effetti, contrariamente ai suoi sottoposti, si era tolto il suo elmo, rivelando un viso di un uomo piuttosto anziano, calvo ma sorridendo come uno psicopatico. Il fatto che era molto bravo a combattere velocemente con due spade laser molto pesante fece capire subito a Camus che quest’individuo combatteva per gioco, godendosi la situazione piuttosto che prenderla sul serio. E il peggio è che poteva permetterselo, visto che era abbastanza tosto, che non si faceva avvicinarsi facilmente e che i suoi sottoposti lo sostenevano, costringendo i due cavalieri a giostrare tra i tentativi d’attacco e soprattutto nell’evitare sia gli attacchi frontali del capo sia quelli degli suoi sottoposti, soprattutto che ormai quest’ultimi tirarono sopra degli scudi composti di una strana energia per proteggersi dei proiettili di ghiaccio e delle polveri di diamanti di Konrad. I due cavalieri, capendo che erano bloccati, decisero di fare una mossa un po' pericolosa: dopo avere respinto nuovamente i nemici, Krassio aiuto Konrad a fare un grande salto e quest’ultimo atterò violentemente al suolo, ricreando nuovamente una potente onda di ghiaccio che di nuovo buttò via in aria una buona parte degli Jenesiani, mentre gli altri – compreso il leader – erano bloccati e temporaneamente acciecati. A questo momento, Krassio, dopo avere dato degli pugni in piena faccia agli Jenesiani che lo circondavano, si precipitò dritto verso il capo e, urlando un attacco ignoto a Camus, colpì in pieno quest’ultimo con la conseguenza di causare un’immensa esplosione di luce, con un’onda ancora più forte di quella causata prima dall’originale cavaliere dell’aquario, la quale finì per buttare giù tutti gli altri Jenesiani ancora in piedi all’eccezione del capo, il quale però aveva la sua armatura danneggiata con un piccolo buco all’interno. Quest’ultimo, che non si era reso conto che la sua armatura era rotta, iniziò a ridere prima di tentare di decapitare con le sue lunghe spade il cavaliere d’argento, ma a questo momento, dal cielo, Konrad gli lanciò un piccolo coltello di ghiaccio, abbastanza leggero e trasparente per non essere visto ma abbastanza resistente e lanciato con una tale precisione che tagliò l’orecchio del capo il quale, giustamente, iniziò a urlare di dolore. Per via di questa distrazione, il capo Jenesiano mancò di tagliare la testa del suo bersaglio, ma riuscì comunque a colpirlo alla sua armatura, tagliandola orizzontalmente. Nel frattempo Camus scese a terra e lancio un potentissimo “Execution Aurora!” in direzione di tutti i loro nemici, i quali vennero tutti congelati sul posto, compreso il loro leader, il quale rimase pietrificato mentre la sua armatura iniziò a sgregolarsi.
 
-“Krassio!” inizio allora a dire Konrad correndo verso il suo amico dopo avere guardato che i loro nemici erano paralizzati, “Tutto apposto?!”
 
- “Io si… ma la mia armatura” inizio a rispondere con grande tristezza il cavaliere d’argento notando il colpo devastante che aveva ricevuto “Ha preso un solo colpo, ma… non so se riusciremmo mai a ripararla… ho fallito la mia armatura…”
 
-“No Krassio, non hai fallito nessuno” disse Konrad aiutando il suo amico a rialzarsi mentre Camus continuò ad osservare il tutto con uno strano mischio di curiosità, di paura, di tristezza e di orgoglio “Anzi, non penso che c’è l’avrei fatto da solo, questi uomini erano piuttosto tosti e le loro armature, anche se non divine, erano temibile! Non riesco a credere che hanno resistito ai tuoi pugno o al mio polvere di diamante!”
 
-“Almeno sembra che non resistono al freddo assoluto della tua Aurora Execution, altrimenti non so quello che sarebbe successo… bene, almeno così potremmo studiare quello che è successo e prevenire un…”
 
Krassio smise di parlare mentre guardò, insieme a Konrad e Camus con un’aria di spavento e di sorpresa i Jenesiani iniziare a muoversi nonostante il ghiaccio del freddo assoluto, rompendo le loro prigioni di ghiaccio. Certo, ormai le loro armature erano più che danneggiate, ma essi erano ancora tutti vivi, e nuovamente pronti a combattere.
 
-“No…è impossibile….” Iniziò a sussurare Konrad “Era il freddo assoluto…”
 
-“Sorpresi inferiori?!” iniziò a provocare il capo degli Jenesiano, uscendo dalla sua armatura ormai completamente fuori uso e tirando fuori due coltelli “Pensate che i vostri attacchi sarebbero bastati per mettere fuori usi degli rappresentati del più grande e glorioso esercito mai esistito?! Lo ammetto, per degli passa-tempi siete piuttosto bravi a danneggiare i nostri equipaggiamento, ma questo rende il mio gioco soltanto più divertente.
 
-“E’ uccidere, massacrare e combattere rappresentato che consideri un gioco?!” gridò Konrad mentre Camus sentì un profondo sentimento di odio crescere nell’anima del suo zio “Sei solo un mostro ignobile che non merita nessuna grazia!”
 
-“La mia armatura è probabilmente danneggiata per sempre e siamo esausti, ma metteremmo tutte le nostre forze per sconfiggervi, voi e chiunque sia il vostro padrone!” urlò Krassio mettendosi in posizione di combattimento.
 
-“Che parole! Mi piace quando le mie prede la prendono sul serio, questo rende la caccia più interessante! Prima mi divertirò con voi, e poi porterò i vostri cadaveri in tributo alla nostra divinità e tornerò cui con il resto dei nostri eserciti per ridurre in polvere questo mondo che non merita di esistere!” rispose allora con un’aria sadica il capo degli nemici, riprendendo in mano le sue grande spade mentre i suoi uomini si rimisero in sesto e, nonostante erano visibilmente un po' sbalorditi, si misero in formazione. Il gruppo degli Jenesiani e i due cavalieri si guardarono in silenzio negli occhi, provando a capire la mossa degli avversari e capire come e quando provare a colpire per primo. Preso dall’impazienza, il leader sembrò correre per saltare e caricare i due protettori di Atena dall’aria, ma proprio al momento in cui questi, che avevano intuito una mossa del genere, si prepararono à un’immediata intercezione, un rumore veloce e stridente si fecce sentire, seguito da una luce blu scura. Camus ebbe un brutto presentimento che fu confermato quando Konrad guardò il suo compagno. Krassio era immobile, pietrificato sul posto con un’espressione di sorpresa e di profonde dolore… Con orrore, Konrad vide che il petto del suo compagno era bucato… non da un piccolo colpa di pistola ma da un grande buco di almeno quindici centimetri, il quale era circondato da un fumo di colore blu scuro. Tramite l’apertura del petto dell’ormai condannato amico, oltre gli organi e parte dello scheletro di quest’ultimo, Konrad/Camus videro sopra una collina, a circa cento metri da loro, uno degli Jenesiani… LO Jenesiano in armatura bianca, che era quasi riuscito a colpire Krassio e che aveva sfidato la tempesta del cavaliere d’oro.
 
-“Ko…Konrad”, riuscì a sussurrare a voce bassissima il cavaliere d’argento, mentre il fumo blu si transformò in vero e proprio fuoco e che, il povero Krassio cadde a terra, velocemente e completamente ridotto in cenere. Dell’amico di Konrad, non rimaneva neanche più l’armatura. Camus risentì la totale incomprensione, la tristezza immensa e la rabbia sempre più incontrollabile del suo zio, però iniziò a pensare e provare ad avvertire il zio di non lasciarsi distrarre, che il nemico era ancora tutt’attorno a lui e che stavano per attaccarlo da un momento all’altro… E invece no, al contrario, tutti i Jenesiani rimasero fermo e il leader, piuttosto che approfittare dell’occasione, rimase dov’era e iniziò a urlare, nella sua lingua, proprio al Jenesiano che aveva sparato. Né Camus né Konrad capirono quello che stava per succedere, anche se riuscirono ad intuire che il leader sembrava rimproverare quell’altro.
 
-“Tep’eius, kir tas paries?! Nor soar wir ludoriis?! Nori klatar feaas !” urlo il capo
-“Kapor, nir rendar cont’ra?! Wir diar zalgo’rs actraor! Dordear doarn kchinvallar’s et tor naar capitarsi na ! ” rispose allora, anch’esso arrabbiato e visibilmente difendendosi, lo Jenesiano che aveva sparato da lontano, facendo gesti che fecero capire a Konrad che quest’ultimo era preoccupato per qualcosa.
-“Istar chintar, Tep’eius! Na komvar icta! Zalgo’rs zar no vienear et Ika wlassial ludoriis!” rispose il capo, mentre i suoi altri sottoposti iniziarono a scambiarsi sguardi di perplessità. Lo stesso soldato, sul sommo della collina, sembrò un instante esitare, ma poi disse
-“Ikar disoriar, Kaptori, abair ikar saarvir Somnar Aentiar, niar ivir ludoriis!” e, detto ciò, iniziò a correre, ma non verso Konrad gli altri Jenesiani, ma bensì verso l’uno degli edifici dove sembrava essere depositato del materiale. Il capo degli Jenesiani iniziò ad urlargli di rabbia, distraendosi abbastanza tempo per permettere a Konrad, preso di una rabbia terribile dovuta sia al massacro sia dalla morte del suo amico, di preparare il suo attacco. Camus sentì che il suo zio concentrò tutto il suo cosmos nel suo pugno, una tale quantità di energia che tutto il braccio del cavaliere d’oro tremava talmente tanto che Camus aveva l’impressione che il suo braccio si sarebbe spezzato. Anzi, il braccio di quest’ultimo iniziò a congelarsi, come tra l’altro i capelli mentre tutte le vene del suo corpo diventavano blu…
-“Avete torturato…massacrato innocenti e prodi cavalieri… ucciso mio amico… minacciato la mia vita… la mia dea e il mio mondo… questo non posso accettarlo…mi costringente a rilasciare il mio pieno potere…”
-“AHAHAHA!” iniziò allora a ridere il Jenesiano pazzo “Il tuo potere? Non farmi ridere, l’hai appena visto e, come l’hai visto, non ti è servito a nulla…le nostre armature resistono al quasi freddo assoluto, e anche se potresti danneggiarle, ormai che il tuo amichetto non c’è più non c’è la farai a resistere di fronte a tutti i miei uomini! Sono deluso che il mio secondo abbia rovinato l’interesse dello scontro, mi divertirò meno a ucciderti da solo e non insieme all’altro… Vabbè, vedi il lato positivo, la tua morte sarà più veloce! AHAHAHA!!!”
- “Ridi bene, è l’ultima volta che la tua malvagità sarà udita” disse Konrad con calma prima di urlare con tutte le sue forze “TERREMOTO DI BERING!!! E, detto ciò diede un potentissimo pugno sul suolo. I altri pugni che aveva fatto erano stati potentissimi, e avevano rovesciato un po' di nemici a terra…Ma questo pugno li faceva sembrare i suoi predecessori per degli pugni di neonati. In effetti, l’onda del terremoto si fece sentire su una decina di chilometri, fratturando le parte più deboli creando crateri e immensi blocchi di ghiaccio di cadere nell’oceano. Una buona parte del campo scientifico, nonché l’entrata visibilmente scavata nel suolo, scomparvero dunque il ghiaccio e il mare. Ma sul posto, l’effetto dell’onda propulsò tutti gli Jenesiani a circa cinquanta metri del suolo. Nessuno di loro ci sarebbe aspettato a questo, e mentre iniziarono a pensare a come atterrare o a ribaltare la situazione, furono tutti colpiti da centinaia di lance di ghiaccio, le quale uscivano senza sosta dal suolo. Tutte le armature degli Jenesiani ancora indenni furono trafficati e rovinati, mentre i coloro che avevano delle armature già rotte o che, come il leader stesso, si erravano parzialmente levati l’armatura, furono feriti. Ma, visibilmente era solo l’inizio. In effetti, Konrad non gli lasciò neanche il tempo di cadere al suolo che creò una nuova tempesta di neve ancora più potente di prima, a punto tale che non solo gli nemici erano nell’incapacità di agire, non solo furono ancor più violentemente colpiti dal ghiaccio, ma iniziarono anche a colpirsi a vicenda. Mentre la tempesta sembrava ancora amplificarsi e il terreno di ghiaccio continuava a crollare tutt’attorno, Konrad continuò ad emanare una potentissima energia blu chiaria da tutto il corpo e i suoi stessi membri sembravano congelarsi, ma rimase concentrato mentre continuo il suo attacco.
 
-“Non so chi siete, e non capirò mai le vostre gesti… ma ai vostri crimini, solo la morte potrà assolvere i vostri crimini….so assaggerete il pieno potenziale della casa dell’Aquario, che uso solo in casi estremi proprio per non rischiare la vita degli innocenti… Valanga delle Alpi!”
 
A questo momento, non furono più lance di ghiaccio a colpire gli Jenesiani nella tempesta, ma veri e propri fulmini di ghiaccio, usciti direttamente dal cielo e che colpivano direttamente tutti gli Jenesiani gli uni dopo gli altri. A questi fulmini devastante, che distrusse una buona parte delle armature di quest’ultimi, susseguirono immensi blocchi di ghiaccio, scomparsi dal nulla, che gli colpissero altrettanto. Camus era sbalordito, nonostante tutti i suoi anni di allenamento, non era mai riuscito a compiere un attacco del genere. Neanche sapeva che lo poteva fare. E ancora, quello che successe dopo lo rese ancora più incredulo. In effetti, un momento il suo zio alzo il braccio e, urlando “Cristallo eterno!” inizio a trare l’acqua del mare vicino e a trasportarlo direttamente verso la tempesta, la quale era sempre violente ma più concentrata, intrappolando i Jenesiani in un spazio più ristretto, dove vennero presto pure affogati nell’acqua gelida e salata. Mano a mano, l’acqua e la tempesta di neve iniziarono a dissolversi, lasciando poco a poco il posto a una grande sfera di cristallo di ghiaccio nella quale erano intrappolati tutti i soldati. In situazioni normali, qualsiasi individuo sarebbe già morto, ma Camus/Konrad notò presto che, mentre alcuni Jenesiani sembravano finalmente avere reso l’anima, altri stavano ancora in vita e provavano a liberarsi, riuscendo già a fare delle crepe nella sfera. Konrad, per il quale Camus sentì che aveva già previsto l’azione dei suoi avversari, lanciò violentemente la palla di ghiaccio contro il suolo, facendola esplodere in mille pezzi. Certo, I Jenesiani furono liberati, ma erano completamente sbalorditi e quelli ancora vivi erano ormai feriti e indeboliti, con ormai grande difficoltà di muoversi.
 
-“Allora, è questo il tuo potere?! so tocca a noi!” provò à provocare il capo degli Jenesiani, in vano, visto che Camus concentrò tutta negli suoi bracci e, alzandoli prima di puntarli dritti verso tutti gli Jenesiani che erano ormai tutti nello stesso posto, urlò un potentissimo “AURORA…EXECUTION…”
 
Una potente energia blu, talmente potente da acciecare tutti attorno a un chilometro di diametro, uscì dagli bracci di Konrad per sparare con una potenza che Camus non avrebbe immaginato possibile gli Jenesiani. Quelli morti, o che erano stati troppo lenti ad alzare il loro scudo, furono congelati sul posto. I altri, tra i quali il capo, iniziarono a prendere paura, ma quest’ultimo continuò a provocare. “HAI GIA FATTO QUEST’ATTACCO! HAI VISTO CHE NON SERVE A NIENTE! LE NOSTRE ARMATURE E I NOSTRI SCUDI CI PRO….”
 
Al momento in cui stava per concludere la sua frase, egli notò che il suo scudo iniziava a rompersi in seguito al freddo assoluto…anzi no… un freddo ancora più gelido del freddo assoluto, e fu a questo momento che Konrad prosegui ad urlare il suo attacco “ETERNA!!!!”
Lo spirito di Camus fu molto perplesso, non solo perché non aveva mai immaginato il suo zio così potente, capace di causare un freddo ancora peggiore del freddo assoluto, ma infine vedeva questo famoso attacco che il suo zio aveva inventato e che era stato perso con la sua morte. Da bracci di quest’ultimo, un secondo raggio, ancora più potente, colpì in pieno i Jenesiani, i quali stavolta furono tutti prigionieri del ghiaccio in posizione di fuga o di spavento. Al raggio sussegui una grande onda che causò un’immensa esplosione di neve. Konrad non si mosse di un millimetro, ma l’esplosione fu tale che tutto a circa due chilometri di diametro fu completamente spazzato via e che la neve salì nel cielo proprio come una bomba atomica. Non c’è bisogno di dire che, quando la neve scomparve, non rimaneva niente del campo né degli Jenesiani, le statue dei quali erano statti polverizzati in migliaia di microscopici pezzi, lasciando solo un silenzio di morte.
 
Camus era felicissimo di vedere che il suo zio c’è l’aveva fatto, e trovò di nuovo un po' di speranza. Così, i cavalieri potevano sconfiggere i Jenesiani! Non doveva preoccuparsi troppo, perché anche se doveva mettercela tutta, poteva anche lui sconfiggerli e salvare il suo mondo… Ma presto le sue idee divennero più scure… se questo era un flash-back del suo zio il giorno della sua morte, allora cosa lo aveva ucciso? Li, il corpo di Konrad nel quale Camus era prigioniere cadde a terra. Il cavaliere d’oro non era morto, e riuscì a rialzarsi, ma visibilmente il suo attacco aveva completamente esaurito le sue energie, ed era ovvio che non avrebbe retto un ulteriore scontro per le prossime ore.
 
-*Zio* provò in vano a parlare Camus *Hai già fatto un miracolo, c’è l’hai fatta! so torno a casa, prima che qualcuno arriva!”
 
Konrad inizio, con difficoltà, a camminare. Per il sollievo del suo nipote, sembrava anch’esso desideroso di andarsene e di avvertire il Grande Tempio di ciò che era successo… Ma Konrad/Camus sentirono un rumore e il zio si girò per vedere da lontano un individuo scappare.
Era lo Jenesiano in armatura bianca, quello che aveva ucciso Krassio e che non aveva partecipato all’ultima battaglia. Giustamente, era stato troppo lontano per essere preso dalla tempesta e, perciò, era riuscito a svignarsela.
 
-*Zio… lascialo perdere* provo a sussurrare Camus, nuovamente in vano. In effetti, sapeva già che il suo zio non avrebbe lasciato scappare un nemico, per di più quello che aveva ucciso suo compagno di squadra e che era l’unico che poteva ancora interrogare… Però aveva già capito che, probabilmente, a questo punto sarebbe stato quel Jenesiano a causare la morte dell’amato zio. Camus iniziò a piangere allora che Konrad uso di nuovo la sua capacità di usare la neve per volare per dare la caccia al fuggitivo. A circa dieci metri del bersaglio, Camus iniziò a gridare “Polvere di Diamante!” ma, non ebbe il tempo di concludere il suo attacco che l’avversario si girò facendo un salto e usando la stessa arma che aveva usato per uccidere in un colpo il povero Krassio. Konrad riuscì a evitare il colpo con un salto, ma il laser del nemico che colpì di conseguenza il suolo fece un’esplosione così potente che il cavaliere d’oro fu catapultato con violenza in aria. Il cavaliere iniziò a pensare a una strategia, quando senti qualcuno afferrarlo. Ebbe solo il tempo di rendersi conto che il suo nemico aveva saltato in aria per avviare una lotta che sentì un profondo colpo di coltello nella coccia. Capendo la situazione e sentendo l’adrenalina risalire nelle sue vene, Camus congelo l’integralità del suo corpo per rallentare il suo nemico e, quando fu fatto riuscì a dargli un pugno ghiacciato in piena faccia per farlo cadere a suolo, prima di lasciarsi cadere con violenza a terra. In effetti, non riusciva a capire come il pugnale aveva avuto ragione della sua armatura, ma soprattutto il dolore assurdo che né risentiva. Perfino Camus riusciva a sentire il dolore, la quale era la più forte che non aveva mai risentito nonostante i colpi violenti che si era preso in piena faccio. Oltre il dolore del colpo in sé, Konrad/Camus aveva l’impressione di sentire un forte bruciore simile a del fuoco, risalendo dalla gamba fino al torace. Per questo motivo, nonostante il fatto che era appena uscito vincitore di uno scontro contro trenta nemici, Konrad riuscì a rimettersi in piedi solo lentamente, ma mentre era in ginocchio il Jenesiano in armatura bianco, che visibilmente non si era fatto male cadendo, colpì violentemente il nostro bravo cavaliere in piena testa con un calcio sorprendentemente potente, facendolo cadere indietro su ben cinque metri. Pensando potere approfittare del fatto che il suo nemico era sbalordito a terra, il misterioso Jenesiano provò nuovamente a lanciarci coltello in mano con la speranza di dargli un colpo mortale. Però, Konrad, questa volta, era preparato e, senza lasciarsi prendere alla sprovvista lanciò subito un attaccò polvere di diamante sull’avversario, il quale riuscì a evitare il grosso dell’attacco, ma fu comunque colpito e cadde in a terra. I due avversari si misero in ginocchio e iniziarono a guardarsi direttamente negli occhi. Il cavaliere congelo la sua ferita e si tenne pronto a difendersi, mentre il suo avversario, coltello in mano e una specie di pistola nell’altre, lo osservò attentamente. Visibilmente, almeno cosi Konrad/Camus lo interpretò, il Jenesiano lo stava valutando so che aveva capito che non lo avrebbe ucciso in un colpo unico.
 
-“Chi sei e cosa te e i tuoi compagni stavano facendo?!” chiese Konrad al nemico: se dovevano aspettare un attimo prima di combattere, almeno poteva approfittarne per tentare di estrargli informazione.
 
Per la più grande sorpresa di Camus, che aveva fin ad allora i Jenesiani urlare, vantarsi, comportarsi come degli esaltati, il Jenesiano in armatura bianca iniziò a rispondere al suo zio con una voce molto calma, particolarmente fredda da fare venire i brividi al corpo di Konrad.
 
-“Le nostre faccende non ti riguardano, e tanto come vedi dalla distruzione del nostro accampamento, è come se non fossero mai avvenute… Combatti bene per un inferiore, e per questo sono disposto a farti una proposta. Io non posso rimanere a lungo qui e immagino che tu non vuoi morire come il tuo compagno. Facciamo come se non ci fossimo mai visti e andiamo via per il proprio conto.”
 
-“Dopo quello che te e i tuoi amici hanno fatto a questa povera gente e a Krassio, pensi davvero che ti lascerò andare?! Mai nella mia vita permetterò a una potenziale minaccia negli confronti di Atena di rimanere in libertà! L’offerta te la faccio io: Arrenditi e dimmi tutto quello che sai e chi siete e ti permetterò di avere un giudizio equo e leale, altrimenti ti riserverò la stessa fine che ho dato ai tuoi compagni!”
 
Dopo un minuto di silenzio, interrotto solo dal vento ghiacciale dell’Antartide, il Jenesiano iniziò a ridere. Non era la risata potente e forte come nelle caricature degli malvagi, ma una risata lenta, a scatti regolari, e grave, la quale che era più ansiosa. A un momento, lanciò la sua pistola in direzione di Konrad, non con l’intenzione di colpirlo. No, semplicemente la lancio senza cura, facendola cadere a circa un metro di fronte al cavaliere, quasi come se ne fregava e che voleva dare un vantaggio all’avversario.
 
-“Perché ti metti a ridere?!” gridò Konrad, agitato sia dalla rabbia che da una paura sempre più crescente: nel passato si era già confrontato a nemici più numerosi, forti o presuntuosi. Ma da una parte sentiva che lo sforzo del suo precedente attacco micidiale e la sua ferita avevano diminuito la sua energia e non era nella migliore condizione per combattere. D’altra parte, il nemico non sembrava essere né pazzo né idiota, e con il tempo, come Camus lo sentì, Konrad sapeva che gli nemici più pericolosi erano quelli che sapevano usare il cervello.
 
-“Per varie ragioni…” rispose nuovamente con grande calma il Jenesiano “Per prima cosa, sappi che non me importava niente dei miei colleghi che hai ucciso…erano solo soldati di secondo ordine comandati da un pazzo del quale gli unici meriti erano di essere un bravo macellaio e di essere il figlio di un generale defunto molto più onorevole. Erano in ogni caso una disgrazia per la nostra dea e, so che il nostro compito in questo luogo è stato compiuto, non erano più necessari alla grande causa. Trenta uomini in più o in meno, non c’è differenza, non trovi?”
 
“Dea? Grande causa? Cosa stai dicendo?!” provò a insistere Konrad 
 
“La seconda ragione per la quale rido” prosegui tranquillamente il Jenesiano ignorando completamente l’interruzione del servo di Atena “E’ che pensi davvero che io possa credere alla tua minaccia di congelarmi così facilmente? Ti rivelerò una cosa: Io sono quello che si potrebbe definire un esploratore, osservo i fatti e ne faccio l’analisi. Ho visto come te e il tuo compagno vi muovevate, e ho notato che cammini più lentamente, e che i tuoi reflessi sono diminuiti. Sono sicuro che hai appena la forza per reggerti, mi sbaglio?”
Il silenzio e il pallido e il sudore che tradivano il tentativo di Konrad di rimanere serio e confidente tradirono il suo stress e confermarono il sospetto del misterioso Jenesiano.
“Come ti chiami a proposito?” chiese allora quest’ultimo a Konrad.
-“Konrad, cavaliere dell’Aquario” rispose lo zio di Camus dopo un attimo di esitazione
-“Konrad dell’Aquario…” ripeto più volte il Jenesiano che smise progressivamente di ridere “Sei un inferiore interessante… per questo purtroppo non posso permettermi di lasciare un testimone come te in vita!” Il Jenesiano tirò allora dalla mano in cui aveva in precedenza la pistola una sorte di piccolo telecomando, sul quale premo un pulsante. A questo preciso momento, l’arma che aveva mandato presso il cavaliere esplose violentemente. Konrad, che non si era preparato a questa mossa, fu preso in pieno dalla deflagrazione, e se la sua armatura gli impedì di morire sul colpo, sentì sia la sua ferita riaprirsi sia la pelle del suo viso bruciare leggermente. Ma non fu tutto, mentre era catapultato indietro dall’onda dell’esplosione, senti come una corda allagarsi attorno alla sua gamba. Prima di potere reagire, Konrad fu trascinato in avanti e, dopo avere visto per un solo micro secondo che era lo Jenesiano ad avere tirato fuori una sorte di catene, egli fu sbattuto violentemente a terra. Camus risentì lo stesso dolore dello zio e, quando quest’ultimo aprì a malamente i suoi occhi, vide che la neve era stata sporcata dal sangue che usciva del suo naso rotto. A questo momento la testa del povero Konrad fu presa come bersaglio ai colpi di calcio del Jenesiano, il quale però ni si scatenava come un pazzo in questo tipo di situazione, ma come un professionale – se questo termine può essere adatto a questo tipo di situazione – che faceva un movimento quasi meccanico e con estrema precisione. Non voleva sfigurare l’avversario, stava provando a rompergli il primo possibile le vertebre cervicale per causargli una morte veloce. Nonostante aveva preteso essere un grande osservatore, e che sembrava riflettere sugli suoi gesti prima di agire, il Jenesiano aveva sottovalutato la determinazione di Konrad, visto che quest’ultimo, nonostante i colpi e l grande debolezza, gli afferrò la gamba e iniziò a congelarla immediatamente con il freddo assoluto. Per la sorpresa di Camus e probabilmente dello stesso Jenesiano, l’armatura cominciò a rompersi e un odore di carne bruciata iniziò a farsi sentire. Il Jenesiano iniziò a gridare di dolore e, visibilmente, provo a tirare nuovamente il suo coltello per farla finita subito, ma Konrad urlò “Anche al limite dello sforzo, un cavaliere non si arrende mai, dovesse morire per la sua causa! Tu che dici analizzare le cose, avresti dovuto capirlo!” e, approfittando del dolore del suo nemico, si fece grande forza per riuscire a rialzarsi in un solo salto e dare subito un colpo di calcio congelato in piena faccia del nemico. Anche se il colpo non fecce cadere il Jenesiano, fu sufficientemente violento da spaccargli una parte dell’elmo di quest’ultimo. Capendo che era forse la sua ultima occasione di riuscire a fermare l’assassino di Krassio, Konrad inizio subito uno violento e frenetico scontro di corpo a corpo, con colpi che ricordavano gli arti marziali giapponesi. Mentre sembrava che Konrad colpiva a caso, in realtà stava provando a colpire alcuni punti precisi dell’armatura dell’avversario suscettibili, a suoi parere, di essere meno resistenti del resto. Naturalmente, mirava particolarmente l’elmo, il quale era già danneggiato e dunque l’unica apertura immediata. Dopo pochi minuti, era riuscito in effetti a fare completamente a pezzi l’elmo mentre era anche riuscito a fare un buco al livello del petto, ma purtroppo come poteva immaginarlo, il Jenesiano non era rimasto fermo a fare il pagliaccio di allenamento senza reagire, ma provava anche lui a dare colpi con la sua mano libera e la sua arma bianca. All’iniziò, visto che era stato preso alla sprovvista, non riusciva nemmeno a allungare i bracci per difendersi, ma poco a poco riuscì ad assegnare a sua volta degli colpi, per la maggioranza non abbastanza forti o precisi per rappresentare un vero pericolo, tranne per uno. In effetti, allora che Konrad riuscì a dare un bel pugno nella faccia ormai esposta del suo rivale, quest’ultimo riuscì a colpirlo col pugnale non troppo lontano dalla giugulare. Per fortuna, il colpo non era stato abbastanza preciso per causare un’emorragia immediata né la morte, ma giustamente litri di sangue iniziarono a uscire da Konrad che, preso dal dolore e nell’incapacità di respirare correttamente, non ebbe altra che di respingere il primo possibile il nemico. Fu cosi, che liberando tutta l’energia che gli rimaneva, Konrad uso un potentissimo e precisissimo attacco di aurora execution in direzione del petto. Per via del suo accertato indebolimento, l’attacco non fu micidiale come prima, ma ebbe comunque un effetto a quanto pare grave sul Jenesiano. In effetti, dopo avere respinto Konrad, il Jenesiano si era rimesso in posizione per saltargli addosso ma, al momento del salto, si fermo, stringendo il suo petto in cui lo zio di Camus lo aveva colpito e che stava formando un cerchio di carne leggermente bruciata. Per causa della sua ferita piuttosto grave, Konrad non poté approfittare di quest’esitazione per colpire, e riuscì solo a mettersi in piedi per osservare il suo avversario. Quest’ultimo, ormai tolto l’elmo, sembrava essere un giovane ragazzo, forse di ventisei anni circa e di buona costituzione, con i capelli e una barba di colori biondi scuri e degli occhi dorati come quelli degli altri nemici che Konrad aveva appena sconfitto. Il nemico, visibilmente addolorato, guardò con un’espressione sbalordita Konrad.
-“Co…Cosa mi hai fatto…inferiore?!” chiese allora con una voce falsamente calma che tradiva la preoccupazione il Jenesiano
-“Ti ho fatto un attacco di pugno di ghiaccio dritto per…il sistema cardiaco…” rispose sforzandosi Konrad, che iniziava lentamente a perdere le sue ultime forze dalla sua perdita di sangue “Sembra che hai una resistenza… migliore della media della gente… di solito le persone muoiono sul colpo… però sono sicuro che sono riuscito a iniettare cristalli di ghiaccio negli tuoi polmoni… probabilmente sopravvivrai… ma sarai sicuramente limitato nelle azione fisiche…avrai meno capacità di respirare e dunque meno resistenza.. in altre parole, non ti ho ucciso, ma ti ho condannato a non essere mai più un grande combattente”
Lo Jenesiano guardò allora con orrore il cavaliere, provando un attimo a convincersi che era un bluff, finché il cavaliere aggiunse “Se non potevo sconfiggerti oggi, almeno mi sono assicurato che non potrai mai più fare del male a nessuno”
Fu a questo momento che il Jeneiano capì che il suo avversario non gli aveva mentito, e rimase per lunghe minuti silenzioso, con lo sguardo svuoto e perso negli pensieri. Proprio al momento in qui Konrad stava pensando a elaborare un contrattacco, il Jenesiano rialzò nuovamente i suoi occhi, guardandolo direttamente nei suoi con un’espressione di odio ghiacciale che il cavaliere dell’aquario non aveva mai visto prima d’allora, a punto tale che senza sapere il perché, rimase fermo.
-“Konrad dell’Aquario…giusto?” iniziò a dire con un voce calmissima e profonda il Jenesiano “Hai combattuto bene, meglio di quello che lo avrei immaginato… grazie della lezione di umiltà… come ricompensa ti rivelerò una cosa… per la nostra razza, non c’è più grande disonore che il non-essere in misura di servire la nostra ente suprema, e che per colpa tua rischio di subire il più grande degli disonori… un disonore che dovrò lavare… Osservare il tuo mondo, per invaderlo, sappilo che non era una cosa personale, che eseguivo solo gli ordini… ed ero pronto a darti una morte onorevole… ma ormai, quando i miei simili invadere il tuo pianeta arretrato, mi goderò, tantissimo, ogni singola morte, ogni singolo grido di agonia di ogni individuo di quelli che difendi, e che nel frattempo, quando avrò tolto personalmente la tua vita, porterò via la tua armatura dal tuo cadavere e la porterò in tributo alla mia dea… e per quanto riguarda questo bambino…” li, il Jenesiano mostrò a Konrad che teneva in mano la collana d’argento nella quale c’era la foto di Camus bambino con la sua famiglia. Camus risentì la stupefazione e il panico del suo zio che, mettendosi la mano al collo, si rese conto che non lo aveva più nel suo possesso. “…quello che suppongo essere tuo figlio, o almeno un parente vicino e possibile allievo, mi assicurerò personalmente che sia ridotto allo stato di schiavo e che non diventerà mai una minaccia per il mio popolo!”
Konrad, come lo risentì Camus, fu preso di una rabbia incredibile, ma che non riuscì a muoversi bene e che non osò attaccare quando vide che il suo nemico gli punto una pistola sopra di lui, pronto a sparare.
-“Dai, fai la tua mossa cavaliere… abbi la decenza di morire nel tentativo di salvare tutto ciò a quale tieni…” iniziò a dire con grande il biondo, poco prima che un grande rumore di tuono, allora che il tempo era chiaro e bello, simile a un potente colpo di fulmine. A questo rumore assurdo e quasi non naturale, sussegguì una specie di buco nero e verde scuro nel cielo, un po' come un vortex che si era appena aperto. Konrad notò che il Jenesiano, alla vista di questa scena, sembrò essere preso da un grande panico, come se fosse paralizzato dal peggiore sensazione che un uomo potesse avere. Inoltre, si rese conto che il suo nemico era a circa dieci metri del bordo del ghiaccio, e che a circa cinquanta metri sotto c’era l’oceano. Camus allora capì gli ultimi pensieri del suo zio: egli non sapeva cosa fosse questa luce verde né perché il nemico era cosi spaventato per questo, ma sapeva che la sopravvivenza di tutti dipendeva dal fatto che quest’uomo sopravvisse o meno. Sicuramente c’erano altri invasori agli occhi dorati, e che la minaccia non era destinata a scomparire per sempre… ma forse poteva fare guadagnare tempo neutralizzando quel nemico di fronte, il tempo di lasciare la prossima generazione, giovani promettenti cavalieri come Camus, di prepararsi…*Camus* pensò allora Konrad mentre Camus lo acoltò *Mi dispiace, non potrò onorare la mia promessa…Ma è la cosa che devo fare per te…per tutti…* e, lì, senza più nessuna esitazione, si precipitò verso il suo bersaglio. Quest’ultimo, riprendendosi del suo blocco mentale e rendendosi conto dell’attacco, sparò e colpì Konrad all’ancia, ma quest’ultimo, sforzandosi ad ignorare il dolore, proseguì la corsa e salto addosso al nemico con le sue due mane completamente ricoperti di un ghiaccio di un freddo assoluto. Una mano afferrò la gola del nemico mentre l’altro gli copri metà del viso, con il dito maggiore entrandogli e crepandogli un occhio. Il Jenesiano provò a urlare di dolore, ma ormai la sua trachea era completamente congelato e nessun suono uscì dalla sua bocca. Sorprendentemente era ancora vivo, e egli provò a colpire ripetutamente il suo aggressore. Ormai Konrad era troppo ferito per potere sperare essere guarito, e quindi fu senza un’ombra di esitazione e che si precipitò al contatto del nemico. Quest’ultimo, rendendosi conto che l’essere che stava per abbattere era diventato come un buffalo americano, noti per scatenarsi anche a costo di morire contro chi li attacca, e che non sarebbe scappato allo scontro frontale, decise di prendere un altro pugnale, ma fu troppo tardi. Nonostante il Jenesiano colpiva ancora e ancora Konrad nelle costole, il pugnale riuscendo a attraversare l’armatura – il che sorprese molto Camus, che capì meglio perché gli dicevano che aveva dovuto subire una cerimonia per essere resa nuovamente viva – il vecchio cavaliere dell’aquario fu troppo forte… e per la grande sorpresa dello stesso Camus, particolarmente violente. In effetti, con una della sua mane congelato allo zero assoluto, Konrad afferrò la meta del viso del suo nemico e piantò direttamente il suo indice in uno degli occhi del suo nemico. Il Jenesiano si mise a urlare di dolore quando il suo occhio esplodo e che il sangue che doveva uscirne si congelò in microscopici ma dolorosissimi punti che entrarono nella sua carne cornea, ma appena il suo grido si fece sentire, Konrad usò la altra mano per prenderlo alla gola e congelarne la trachea, al punto tale che in pochi secondi il grido si trasformò in un semplice soffio acutissimo e appena udibile. Nonostante il dolore ormai insopportabile, Konrad ebbe ancora la forza di riprendersi la collana prima di proiettare con tutta la sua energia il nemico dalla cima de ghiacci dritto nell’Oceano, urlandogli sopra: - “Cadi nel vuoto dell’eterno abisso, e che tutti si scordino delle tue azione malvagie!!!”. Una volta questa faccenda fatta, e il nemico ormai scomparso dal suo campo visivo e, sperandolo, del mondo degli vivi, Konrad si lasciò cadere presso il bordo, pronto a lasciarsi morire serenamente. Egli guardò la foto del suo nipote, il quale, rassegnandosi di non potere parlare direttamente al suo zio, si accontentò di piangere di fronte alla scena e del sacrificio per il bene dell’umanità al quale aveva appena assistito. Però, non era ancora finito per il povero Camus. In effetti, la specie di vortex verde si era ingrandito e copriva ormai tutto il cielo. Konrad/Camus furono allora curiosi, e provarono a capire cosa stava succedendo, quando una specie di corda gli afferrò il collo. Prima che il cavaliere dell’Aquario poté reagire, una potentissima scossa elettrica emanò della corda e, senza lasciare il tempo al povero Konrad di reagire al dolore, egli fu trascinato in giù, dritto sotto l’Oceano. Camus, sempre imprigionato nel corpo del suo zio, non riuscì a liberarsi del cavo, il quale diventò più stretto, mentre continuò a scendere sempre più in profondità. Finalmente, quando ogni singola forza in lui fu svanita, e che non riuscì neanche più a muovere il suo corpo, Camus/Konrad non potessero fare niente altro che provare a vedere gli ultimi raggi del sole mentre l’oscurità degli abissi marittimi li invasero…
Il sogno di Batman
L’oscurità totale…nonostante era il suo elemento, quello nel quale aveva imparato a combattere per portare la giustizia a Gotham e combattere i peggiori criminali, Bruce Wayne non poteva non pensare che era sinistra, poco piacevole e che un giorno rischiava a sua volta di essere avvolto nell’ombra, senza potere uscirne. Più di una volta, aveva pensato prendere la sua pensione, vivere una vita normale da benestante, trovarsi una compagna come Selina Kyle e fare crescere i figli. Ma ogni volta che gli venivano queste idee, la dura realtà lo colpiva violentemente. Se lui lasciasse Gotham, chi avrebbe combattuto la criminalità al suo posto? Il commissario Gordon? No, era un bravo uomo e un ottimo poliziotto, ma da solo non avrebbe la capacità di fare fronte agli peggiori psicopatici, terroristi e super criminali. Dick Grayson o Barbara, aka Nightwing e Batgirl? Neppure…una volta Bruce Wayne era convinto che allenando la prossima generazione, avrebbe assicurato la sua eredità e la sicurezza della città, ma dopo che egli fallì a salvare la vita del secondo Robin, il giovane impulsivo ma promettente Jason Todd, ucciso in modo barbarico dallo Joker, non era sicuro di potere lasciare il suo posto. Questo pensiero si rinforzò il giorno in qui, mentre era stato temporaneamente paralizzato dopo il suo scontro contro Bane, il successore che aveva scelto, Jean-Paul Valley aka “Azrael” dimostrò di essere troppo violente e crudele per diventare l’eroi di cui la popolazione di Gotham aveva bisogno. Inoltre, non poteva veramente contare al cento per cento sugli altri super-eroi: quest’ultimi erano già troppo occupati con i propri nemici, se non addirittura con minacce molto più grave. Come convincere, ad esempio, di convincere Green Lantern di occuparsi di un “semplice” mafioso come il Pinguino quando nell’universo c’erano intere razze di extraterrestri desiderosi di massacrare intere pianete? Come convincere Aquaman di occuparsi delle regolari evasioni di Arkham Asylum quando quest’ultimo, oltre che a dovere gestire il regno di Atlantide, era già attivo a proteggere gli Oceani? Inoltre, anche se potesse prendere la sua pensione, cosa Bruce potrebbe fare? Selina Kyle, la donna per la quale aveva degli sentimenti, era pur sempre Catwoman, una nota ladra che non avrebbe rinunciato facilmente alla sua cleptomania per vivere una vita tranquilla da sposa. Inoltre, oltre al suo maggiordomo Alfred o i suoi allievi, Wayne non aveva né veri amici né famiglia, quindi nessuno con il quale poteva stabilire una relazione sana di lunga durata. Infine, ogni volta che il giornale di Gotham o nazionale riferiva un crimine, un omicida, un attacco, Wayne non poteva fare a meno che pensare a questa fatidica notte, nella quale da bambino uscì dal cinema con i suoi genitori, ridendo di gioia e saltando come solo i giovanissimi possono permettersi di fare imitando il grande Zorro che aveva appena visto, pensando che sarebbe stato troppo fico potere essere a sua volta un eroi mascherato combattendo e umiliando i cattivi che causavano danni alla popolazione innocente. Mentre l’allora bambino Wayne si divertiva, lui e i suoi fecero l’errore di volere attraversare una strada isolata per tornare alla macchina. Li, nella strada immersa nel buio della notte, lontana dalle grandi avenue illuminate della città, Bruce si ricordò che iniziò a preoccuparsi, e allora che i suoi presero la decisione di tornare indietro, e tri proseguire su una via più sicura, un delinquente di trent’anni uscì allo sprovvisto con una pistola in mano, e minacciò di sparare se Thomas Wayne, il padre di Bruce, non gli dava il portafoglio e l’orologio. Nonostante, per quanto se ne ricordava Bruce, Thomas non era un vigliacco, accettò e diede al ladro quello che desiderava. Dopo tutto, cosa erano qualche centinaia di dollari per un miliardario? Però, quando il ladro minacciò la moglie, e provo a strappargli la collana di perle che gli aveva regalato al matrimonio, lì Thomas provò ad intervenire. Per Bruce, fu un vero trauma quando vide due flash bianchi accompagnati da un paio di rumore di spari, prima di vedere i suoi genitori, colpiti al petto crollarono sul cemento, le perle della collana saltando a terra mentre l’assassino si diede alla fuga. Bruce era allora ancora un bambino, ma quel giorno, mentre l’ambulanza portò precipitosamente i suoi in urgenza e che lui, portato in custodia dagli poliziotti che provarono a rassicurarlo sulla salute dei genitori prima di annunciargli, qualche ora dopo, che purtroppo non c’è l’avevano fatta, egli fu costretto a diventare un adulto. L’infanzia di Bruce, come se lo ricordava tramite regolari flash-back che lo mettevano sempre in ansia, era tutt’altro che facile. Certo, era fortunato di essere ricco, di crescere in un’immensa dimora con Alfred che se ne occupava come il proprio figlio assicurandosi che aveva tutto a disposizione, dai viaggi all’estero al migliore cibo e agli migliori istruttori privati. Ma per il resto, la sua vita era stata solo miseria: essere testimone dell’assassinio dei genitori che amava e ammirava così tanto lo aveva traumatizzato, a punto tale che gli psicologi gli avevano diagnostico la sindrome di Post-traumatismo, e lo costringerò a seguire terapie nonché di studiare lontano dagli altri giovani, per proteggerlo dalla pressione degli altri giovani ma impendendogli allo stesso tempo di stabilire normale relazioni per la sua età. Inoltre, solo poche settimane dopo la cerimonia funebre, Bruce si rese conto dell’ipocrisia del mondo. Oltre che a sentire nelle strade o negli giornali della gente sconosciuta, che non conosceva per niente la sua famiglia, congratularsi dalla morte dei Wayne, dicendo cose del tipo “Ben fatto, i ricconi come loro hanno tutto quello che si meritano! Bruce sentì una volta Alfred discutere con un avvocato, e rendersi conto che gli associati del padre, i presunti amici di quest’ultimo, stavano tentando di prendere il pieno possesso della compagnia creata dal padre. Infine, il fatto che l’assassino del padre e della madre, un disperato senza tetto e sotto eroina di nome Joe Chill fu arrestato e condannato ma al contempo diventò al suo malgrado un simbolo della disperazione e della povertà delle fasce meno fortunati della città e, di conseguenza, sostenuto da numerosi attivisti, rese Bruce Wayne amaro, arrabbiato e assettato desideroso di vendetta. Fu così che verso dodici anni, disgustato dalla società ipocrita nella quale viveva e desideroso di essere preparato a combattere nelle strade lo stesso genere di criminale che aveva ucciso i familiari, l’adolescente Wayne prese la decisione di consacrare gli anni successivi a preparare la sua vendetta contro Chill e altri criminali.
Alfred era originariamente opposto all’idea, ma visto che capì che il suo giovane protetto non troverebbe la pace interiore altrimenti, decise di fare del suo meglio per aiutarlo nella sua imprese. Oltre, come detto, che a difendere la legittima posizione di Bruce nella compagnia familiare e a offrirgli la migliore dell’educazione, lo stesso Alfred insegnò al giovane Wayne qualche tecniche di combattimento o di conoscenze strategiche e militare che egli stesso aveva imparato quando era ancora un soldato della Royal Army britannica. Verso tredici anni, Alfred fece venire un certo Ted Grant, un ex-campione di Boxing noto sotto lo pseudonimo di “Wild Cat”, per dare delle lezioni più avanzate di combattimento di corpo a corpo. Impressionato dall’ostinazione di Bruce a volere sempre superarsi sé stesso e a diventare sempre più forte nonostante i colpi presi, Grant convinse Alfred di portare l’allievo a fare una competizione internazionale organizzata nel Brasile, e fu così che Bruce lasciò gli Stati-Uniti. Purtroppo per lui, visto che la vita aveva deciso di essere orribile negli suoi confronti, proprio la sera della competizione una gang locale attaccò il locale, sparando alla gente tra cui Ted che fu mortalmente ferito mentre Bruce fu rapito nonostante la sua resistenza e fatto prigioniero in un campo di prigionieri nell’Amazzonia nel quale fu umiliato dalle guardie, costretto a lavori forzati e dove il suo odio per la gente della peggiore specie iniziò a crescere a punto tale che pensava volentieri a come avrebbe fatto a uccidere questi criminali.
Però, quest’esperienza gli permise di imparare varie cose: Per cominciare, imparò a nascondere le proprie emozioni e a sviluppare una più grande resistenza fisica per non attrare l’attenzione su di sé o, meglio, per non essere più impaurito dalle guardie. Inoltre, visto che nel campo non c’erano solo degli brasiliani, ma anche degli latino-americani di lingua spagnola, olandese e francese, Bruce imparò ad ascoltare silenziosamente fino a riuscire a capire quello che si dicevano. Non lo sapeva ancora, ma stava imparando una cosa essenziale per fare l’eroi: capire e imparare altre lingue, con gli accenti appropriati, nonché semplicemente essere discreto e attento per sentire, ricordarsi e usare al proprio vantaggio i dettagli delle conversazioni. E poi, un giorno il campo fu attaccato da militari, visibilmente arrivati per liberare i prigionieri. Bruce tentò di sfuggire, ma venne messo K.O. da un colpo alla testa e si risveglio qualche ora dopo su un letto di ospedale accanto. Accanto a lui, c’era un uomo, alto, che aveva come caratteristiche di avere i capelli bianchi e gli occhi blu. L’uomo, un ovvio militare, chiese al giovane Bruce chi fosse, e come mai un giovane statunitense si trovava in un campo di uno degli più grandi narcotrafficante della regione. Bruce stava per rispondere onestamente, ma poi ci pensò: se dicesse la verità, l’uomo l’avrebbe probabilmente riportato a casa e da lì. Alfred non l’ho avrebbe più lasciato continuare il suo allenamento né la sua preparazione per fare fuori Chill quando sarebbe uscito dalla prigione.
 
-“Mi chiamo Billy…Billy Jones” iniziò a mentire allora l’adolescente “Ero in vacanza con i miei… e purtroppo siamo stati al luogo sbagliato al momento sbagliato… Contrariamente a loro sono miracolosamente finito in questa prigione ancora vivo”.
 
-“Quindi non hai nessun luogo dove andare?” chiese l’uomo, in modo stoico senza permettere a Bruce se era cascato o meno nella sua bugia “Ma sento che sei arrabbiato, deve essere duro vedere i suoi scomparire della sorte, vero?” chiese l’uomo, allora che Bruce si accontentò di rimanere silenzioso, guardando con rabbia e odio l’uomo. Non che c’è l’aveva personalmente contro l’individuo, a parte che la sua ultima frase lo aveva offeso su un tema che lo toccava personalmente, ma bensì contro tutta la schifezza del mondo che aveva visto. “Se vuoi, posso aiutarti a prendere la tua rivincita…” propose l’uomo.
 
Ancora oggi, da adulto, Bruce non sapeva se aveva preso la buona decisione quel giorno. In effetti, dopo un po' di esitazioni, lui accettò, pensando che l’uomo in questione era una specie di agente segreto o di un soldato di élite che erano mandati dal governo nelle zone più pericolose del mondo. L’uomo, prendendosi allora il cosiddetto Billy sotto la sua ala, lo porto effettivamente in varie zone del mondo dove c’erano dei conflitti o delle fortissime tensioni, come dalla giungla Africana al deserto arabo, passando dalla periferia cinese e dai quartieri sensibili di alcune città dell’Europa dell’est. Come Bruce immaginava, l’uomo era una sorte di militare, che faceva nell’intervento pesante, e per questo motivo imparò al suo allieve un grande insieme di cose che avrebbero permesso a Batman di diventare un ottimo combattente. Laddove Alfred e Ted lo avevano introdotto alla boxe, alla strategia e alla preparazione, l’uomo con i capelli bianchi insegnò a Bruce a usare delle armi e degli esplosivi, a rimanere nelle strade per raccogliere delle informazioni. Però, l’uomo non diceva niente a Bruce sulle missioni né su stesso, e manteneva sempre le distanze, evitando di creare un legame altro che quello di maestro e di allievo. Con il passare del tempo, Bruce inizio a insospettire sempre di più il suo nuovo professore, notando che frequentava sempre gente strana, che non sembravano, quando si era attento, a delle persone molto oneste. Il dubbio si confermò quando decise di seguire discretamente il suo mentore, nonostante quest’ultimo gli aveva ordinato di rimanere in albergo, allora che per due settimane gli aveva chiesto di frequentare alcuni bar di Ginevra alla ricerca di informazione su un certo Richard Knox, un statunitense trasferito di recente in Svizzera. Bruce seguì il suo mentore fino a un tetto, dove capì finalmente che quest’ultimo non era un soldato di élite, bensì un assassino, quando lo vide pronto a sparare con un fucile da cecchino il cosiddetto Knox nella sua camera di albergo. Wayne, nonostante il rispetto che aveva per colui che lo aveva aiutato e insegnato tanto, non poté accettare essere il complice conscio di un omicida, e provo a interrompere il cecchino. Quest’ultimo fu inizialmente preso dalla sorpresa, e manco il suo bersaglio che, sentendo un sparo, scappò via. Però, l’uomo ai capelli bianchi aveva molto più esperienza del suo allievo e non ci mise tanto a metterlo a terra, con un pugnale sulla gola. Li, l’uomo rivelò a Bruce la sua vera natura: Era David Cain, l’uno dei più famosi assassini professionista al mondo, indurito dall’esperienza in Vietnam e di altre conflitti del genere. Ammise anche che aveva sempre saputo chi era Bruce, e anzi che in realtà era lui il suo vero bersaglio quel giorno in Brasile. In effetti, il mafioso di Gotham, Carmine Falcone, pensava che se il giovane Wayne venisse a scomparire, sarebbe stato più facile corrompere l’uno dei suoi successori per ottenere una parte dei profitti di Wayne Enterprise, nonché di promuovere programmi ufficialmente utili alla città ma che in realtà avrebbero direttamente servito i suoi interessi. Però, nonostante la sua fama di assassino spietato, Cain aveva un senso dell’onore, e quando aveva visto che Bruce era solo un ragazzino che aveva sofferto una vita ingiusta, aveva deciso di dargli una chance e di incoraggiarne il potenziale. Dopo di che, Cain disse che ormai si era affezionato al suo allievo e che non aveva il cuore di ucciderlo, ma che era chiaro che quest’ultimo non poteva essere il suo successore. Di conseguenza, lo attaccò a un ventilatore del tetto per impedirgli di inseguirlo, e lo salutò, lasciandolo da solo.
Bruce mise circa tre ore per riuscire a liberarsi e a scappare. Per qualche giorno, riuscì a cavarsela da solo, facendo il punto sulla sua esperienza. Aveva ormai una buona cultura, una buona formazione fisica che, se potenziata ancora un po', l’ho avrebbe reso più agguerrito dei veterani di guerra; conosceva varie lingue e aveva sviluppato l’ascolto e la memoria per ritenere un massimo di informazione in poco tempo, sapeva usare arme; raccogliere informazioni e si rendeva conto che ormai sapeva come funzionava la mente degli criminali, dai semplici dealer alle organizzazioni di più larga scala. Però, mentre ormai sapeva che avrebbe potuto vendicarsi tranquillamente di Chill, si rendeva conto che aveva potenti nemici, contro i quali non poteva fare niente, soprattutto in una città corrotta dalla stessa mafia che lo voleva fare fuori. L’apprendista pensò un attimo provare a entrare in contatto con Alfred, il quale non sentiva da anni ma che sapeva ancora in vita e leale per via delle poche interviste che quest’ultimo faceva negli giornali riguarda la scomparsa del maestro.
Però, proprio al momento in cui stava per andare all’ambasciata americana per dichiararsi, un uomo lo afferrò e, nonostante Wayne era ormai bravo combattente, non ebbe il tempo di reagire che fu buttato dentro un furgone nel quale fu raggiunto dall’uomo prima che quest’ultimo chiuse la porta e ordino all’autista di accendere i motori. L’uomo aveva proprio l’aspetto un membro di una gang di motociclista come si vede in America: Giacca e pantalone neri di cuoio comprendo un corpo abbastanza muscoloso coperto di alcuni tatuaggi, guanti neri con punte in metallo, un bandana sulla testa di capelli neri rasati su un viso serio, con la tipica barba rasata tranne attorno alla bocca, e dei quali i occhi erano nascosti da occhiali da sole da pilota di corsa. Questo strano individuo, però, non si rivelò essere un ennesimo criminale, bensì l’opposto nonostante l’aspetto. Si presentò come Henri Ducard, un svizzero francofono che era detective e cacciatore di testa internazionale specializzato nella ricerca, l’arresto o la neutralizzazione di mafiosi o di persone ricercati con un mandato internazionale. Ducard spiegò che, nonostante non sapeva chi fosse in realtà Bruce, visto che aveva indovinato che Billy era un falso nome ma che non era riuscito a trovarne la vera identità (dopo tutto, l’aspetto di Bruce era molto cambiato da quando era ufficialmente scomparso in Brasile per via della crescita e degli allenamenti, a punto tale che solo coloro che lo conoscevano bene potevano riconoscerlo al primo occhio), ma che in ogni caso aveva abbastanza prove per farlo arrestare come complice di Cain. Prima però che Wayne inventò una scusa, o provò a cercare un modo di svignarsela di questa situazione imbarazzante, lo stesso Ducard aggiunse che sapeva però che il ragazzo non era direttamente partecipe di Cain e che era stato abbandonato da quest’ultimo, e gli fece dunque una proposta semplice: Wayne poteva decidere tra andare in prigione per dieci anni, oppure aiutare lo stesso Ducard a trovare e arrestare Cain in cambio della distruzione di tutte le prove contro di lui. Wayne accettò ovviamente la seconda soluzione, non solo perché giustamente non voleva finire in galera, ma anche perché voleva avere la sua rivincita su Cain ma anche perché, inconsciamente, voleva imparare dallo stesso Ducard. E non ebbe tutti i torti.
Ducard si rivelò infatti un strano individuo, e di tutti quello che aveva di meno le qualifiche per essere un mentore: essi era volgarissimo, amorale nel senso non esitava a usare la forza, a minacciare o a picchiare i sospettati pure di sottrargli informazioni. Una volta, minacciò una delle persone che aveva chiesto i servizi di Cain di buttarlo dal tetto di un grattacielo se non gli rivelava esattamente quando e dove aveva visto l’assassino. Infine, era uno che giocava per soldi a carte, anche se in realtà barrava quasi sempre pur di vincere, faceva scommesse e non esitava a consumare per se stesso dell’alcool e droghe minore. In altre parole, sembrava più essere un criminale che un uomo al servizio della legge. Eppure, presto Wayne si rese conto che non solo in realtà Ducard aveva un buon fondo e che trattava i suoi compagni (Bruce compreso) come membri della famiglia, ma che era effettivamente un detective molto bravo, capace di usare ogni singolo mezzo, dalla pressione degli interrogatori previamente menzionati alla ricerca in vecchi giornali o registri statali, dall’inseguimento per ore fino allo spionaggio tramite lo hacking di computer. Dopo avere osservato direttamente come i criminali funzionavano, Bruce imparò, oltre a tutte le qualità menzionate di Ducard, a conoscere sia la professione di detective, a capire come fare delle ricerche molto spinte e soprattutto a capire come funzionavano e come potevano essere smantellate intere organizzazione illecite a livello globale. Bruce imparò anche qualche trucchetti non proprio leciti che Ducard però usava con la scusa di “farlo per una causa giusta”, come a barrare al gioco, travestirsi e modificare la voce o ancora falsificare degli documenti per ingannare gli sospetti e fargli cadere in una trappola. Con quest’esperienza, Bruce riuscì ad impressionare Ducard il giorno in cui fu proprio lui che, dopo avere hackerato il database di un diplomatico americano in Giappone, recentemente arrestato, per scoprire che quest’ultimo aveva recentemente trasferito un’importante somma di denaro a un account che Wayne sapeva appartenere a Cain. Riuscendo a usurpare l’identità di uno dei parenti del diplomatico, Wayne riuscì a entrare in contatto con uno degli intermedi di Cain e a farsi dare il luogo, l’ora e il bersaglio dell’assassino: L’uno dei testimoni del processo, in un quartiere sud di Kyoto alle 22.30. tra tre giorni. Ducard, come detto precedentemente, era abbastanza impressionato e, mentre lui, l’ancora giovane Bruce e il resto della team iniziò a piegare i bagagli per sbrigarsi di cogliere quest’occasione di fermare l’assassino e di toccarne la prima, propose al suo discepolo di diventare ufficialmente un apprendista detective del suo servizio, offerta alla quale il futuro eroi rispose che ci avrebbe pensato dopo che il suo altro mentore sarebbe stato arrestato, ma per la quale era sinceramente interessato. Proprio come la squadra dell’eccentrico svizzero aveva previsto, riuscirono ad entrare nella casa del bersaglio proprio al momento nel quale Cain lo aveva messo K.O. e legato a una sedia il tempo di mettere in scena un falso suicidio. Però nonostante l’accurata preparazione di Ducard, Wayne e del resto della team, la loro “preda” era comunque un maestro nell’arte di uccidere il prossimo e di svignarsela, e riuscì a uccidere l’uno dei compagni del detective prima di saltare dalla finestra, inseguito da Ducard e Wayne che gli diedero la caccia sugli tetti della città nipponica nonostante il diluvio che c’era a quest’ora. Alla fine, Cain riuscì a sparare alla spalla e alla gamba dello francofono, ma prima che l’assassino potesse dargli il colpo di grazia o scappare definitivamente, Bruce intervenne e iniziò una lotta a pugni violentissima con il suo vecchio mentore. Alla fine, contro ogni attesa, il giovane riuscì ad avere la meglio e mise a terra il mercenario prima di prenderlo a pugni sul viso finché quest’ultimo fu completamente coperto di sangue.
 
-“RAGAZZO! BASTA COSI!” ordinò Ducard che provava a rialzarsi e che vedeva che il suo allievo stava per uccidere il mercenario allora che quest’ultimo doveva essere consegnato vivo. Sentendo questo, e rendendosi conto che il suo prossimo pugno poteva essere quello in troppo, Bruce si fermò.
 
-“Ah…ahahah” inizio a ridere per la prima  volta in anni Cain sputtando sangue e guardando con un aria di soddisfazione Bruce con il suo occhio ancora aperto “Dai… fallo… ti ho promesso che potevo aiutarti a vendicarti… quindi non avere pietà…”
 
Bruce rimase immobile. Da una parte, era sempre desideroso di fare fuori sia Chill che Falcone una volta tornato a Gotham e che se voleva farcela doveva farsi forza e imparare a uccidere… Ma d’altro canto non riusciva a fare fuori Cain nonostante sapeva che quest’ultimo era responsabile della morte di diecine di persone e che alla base lo doveva anche ucciderlo lui. Però, non ci riusciva: qualcosa bloccò il suo gesto. Forse era per il fatto che nonostante tutto rispettava il suo vecchio allenatore… o forse perché era in realtà troppo debole per sporcarsi le mane...
 
-“Peccato…” sospirò Cain “Ancora un po' e saresti diventato il combattente perfetto… almeno posso essere orgoglioso di essere stato sconfitto dall’unico bersaglio che ho giudicato degno di sopravivere… Bruce Wayne” finì per dire il criminale prima di svenire.
 
-“Bruce Wayne? Sei Bruce Wayne, il figlio del defunto miliardario Thomas Wayne e erede dell’omonima compagnia?” fece sorpreso Ducard, ancora a terra, scombussolato di imparare finalmente la vera identità del suo apprendista in questa maniera, prima di iniziare a ridere come fanno le persone sotto shock… “Allora è vero che sei sopravvissuto a quest’attacco in Brasile? Ed è così che hai incontrato David Cain?! Ho raggione?! E cosi?!”
 
-“Si” rispose silenziosamente Bruce, sempre interrogandosi sé stesso sul perché non aveva avuto la forza di uccidere l’assassino.
 
-“AHAHA! so che ci penso era ovvio AHAH!” inizio a ridere Ducard nonostante il suo dolore “Lo sai, non sei solo bravo a trovare i nascondini dei altri, lo sei anche per nascondere te stesso! Sei stato bravo a nascondere la tua identità! AHAh… Ma perché non me l’hai detto subito?! Lo sai che ci sono delle persone, tra le quali alcuni impiegati importanti della tua compagnia o quello che, se non sbaglio, ti fa da maggiordomo che ti cercano ovunque ancora oggi?”
 
-“Non te l’ho detto perché non ero pronto a tornare… dovevo ancora preparami per essere pronto.”
 
-“Pronto a cosa?! Bah, chi se ne importa giovanotto! Ormai tutto è finito ragazzo.” Fece Ducard un po più calmo e con una voce di sincera amicizia “Dai, aiutami a rialzarmi. Consegnammo quel tizio alle autorità locale per toccare la paga e ti riporto a casa. Immagino che saranno tutti felici di ritrovarti e che potrai finalmente avere la tua legittima vita tranquillo di giovane riccone!”
 
Bruce si avvicinò lentamente a Ducard, il quale sorridente gli stendo la mano per essere rialzato… però, il suo giovane allievo non lo aiuto, bensì gli prese il cellulare, il portafoglio e un paio di manine…
 
-“Cazzo fai ragazzo?! Sto per riportarti a casa tua dal tuo tutore!”
 
-“Lo so…” fece Bruce con una voce molto serie mentre mise le manine all’inconscio Cain per impedirgli di scappare in caso in cui si risvegliava, prima di prendere il cellulare e di iniziare a mandare SMS “E proprio per questo che me ne vado”
 
-“Cosa?! Ma perché?! Non vuoi rivedere la tua casa?! Sai quanti giovani vorrebbero avere la fortuna di vivere nel lusso come potresti farlo!?”
 
-“Certo che voglio tornare a Gotham… ma te lo detto, non sono tornato prima perché non ero pronto… e ancora non lo sono…”
 
-“Pronto a cosa? A fare il super-eroi come negli fumetti[1] per sradicare tutta la corruzione di Gotham da solo? AHAHA!” scherzò Ducard prima di rendersi conto, dalla faccia silenziosa e molto seria di Bruce, che era proprio questo che voleva “Tu... tu sei pazzo!” aggiunse allora lo svizzero tutt’altro che sorridente “Credi davvero che un giovane come te può confrontarsi da solo contro le mafie più potente degli Stati Uniti?! E’ un miracolo che fino ad so te la sei cavato, ma so devi smetterla con questi scherzi! Se vuoi, ti aiuterò a proteggerti della gente malintenzionata negli tuoi confronti! Ti aiuterò a diventare poliziotto o commissario nella tua città!”
 
-“Ducard… siete stato un ottimo professore... e vi ringrazio di avermi aiutato, salvato nonché  delle vostre proposte che in un'altra situazione avrei accettato… ma è una faccenda personale che potrò fare solo quando sarò pronto… Vi chiedo solo di contattare Alfred Pennyworth, e dirgli che sto bene e che tornerò a Gotham quando sarò finalmente preparato…”
 
-“Non fare l’imbecille Bruce!” si arrabbiò Ducard che provava in vano a rialzarsi
 
-“Ho comunicato la nostra posizione al resto della squadra… penso che ci metteranno solo poche minuti ad arrivare per prendersi cura di te e assicurarsi che Cain non scappa… Scusa se prendo il tuo portafoglio, ne ho bisogno per vivere qualche giorno. Ma te lo restituirò quando tornerò a Gotham… Grazie di tutto” finì con dire Bruce lasciando cadere il cellulare prima di scomparire nella notte e nella nebbia causato dagli ventilatori del tetto, allora che Ducard iniziò a gridare disperatamente il suo nome per convincerlo di fermarsi.
 
Un paio di mese passò da quest’evento, mesi durante i quali Bruce, per via di un insieme di circostanze, si spostò a Hong Kong dove ebbe qualche problemi con la giustizia locale per, ironicamente, avere tentato di rubare con un complice del materiale di Wayne Entreprise da rivendere sul mercato nero. Per la seconda volta, egli si ritrovo in un campo di prigionieri, ma stavolta non ci rimase molto perché un strano individuo pago le guardie in cambio della sua liberazione. Prima di uscire dal carcere, Bruce incontrò quest’uomo: Sembrava avere quarant’anni, ma li portava molto bene, come se faceva continuamente un allenamento intensivo. Il viso, pulitissimo, con una barba tagliata perfettamente in punta e dei capelli marroni tranne sugli lati dove erano bianchi, rifletteva una grande intelligenza, ma anche una grande severità. L’uomo aveva un vestito elegante orientale, di colore verde, che sarebbe stato strano vedere in Occidente. Oltre al vestito, Bruce notò una strana collana d’oro, sulla quale c’era un disegno con delle scritture in arabo e un disegno di due spade incrociate su un fuoco.
 
-“Sei tu che mi hai liberato?!” fece Bruce senza buone maniere mentre inizio a farsi la barba prima di uscire.
 
-“Mi sembra ovvio” rispose l’uomo sedendosi sull’unica sedie presente nella cella.
 
-“E perché ti preoccupi di un ladruncolo in un carcere sperduto nel mezzo di nulla?”
 
-“Non mi preoccupo di un ladrone… mi preoccupo di Bruce Wayne” rispose tranquillamente l’uomo alla più grande sorpresa dell’interessato, il quale smise di lavarsi il viso per ascoltare, incuriosito.
 
-“Come lo fai a sapere?”
 
-“Beh… semplice… è da qualche tempo che la mia organizzazione ti tiene d’occhio. So praticamente tutto di te: della tua sfortuna da bambino, dal tuo passato con Cain e della tua amicizia con Henri Ducard… So anche la vera ragione per la quale non sei tornato a casa… Tu vuoi la vendetta… vuoi sfogare la tua rabbia su coloro che commettano le peggiori ingiustizie e che fanno della società nella quale viviamo un ambiente squallido sporcato dalla corruzione, dall’ipocrisia e della follia degli uomini. Però so anche che non hai avuto il coraggio di fare il passo necessario per mettere David Cain definitivamente fuori gioco…”
 
-“Ebbe, a te che te ne importa?!”
 
-“Diciamo che anche io credo in una società più giusta, senza criminali o gente cattiva che opprime i deboli e gli innocenti, e che vedo che oltre ad avere un punto in comune con te intravedo un particolare potenziale negli tuoi confronti”
 
-“E quindi vuoi propormi di diventare il mio maestro e di raggiunge la tua… organizzazione?”
 
-“No, questa è la tua scelta Bruce” fece l’uomo rialzandosi e buttando un giornale statunitense sul tavolo sul quale era scritto in prima pagina “Bruce Wayne è vivo! Contattate le polizie internazionale per ritrovarlo”
Accompagnato da una foto di Alfred commosso sostenuto da Ducard “Io ti do questi due biglietti” aggiunse l’uomo con appunto degli ticket “Il primo è per prendere un treno dalla città più vicina fino a un aeroporto civile per riportarti direttamente a Gotham, dove puoi riprendere la tua vita di prima e vivere tranquillo. Il secondo biglietto ti permette di andare in treno per la città di Ya’an, a una sessantina di chilometri dell’Himalaya. In questa zona delle montagne, si dice che cresce un fiore blu ma con i bordi verdi, molto raro. Se vuoi, vai a trovare il fiore e, chiedendo di me, prova a trovare la mia base nelle montagne di questa catene e lì, se mi trovi, ti aiuterò a diventare l’uomo che vuoi essere e darti quello che ti manca. Come detto, la scelta è tua…” disse l’uomo prima di aprire la porta per andarsene.
 
-“Ey!” fece Bruce ancora scombussolato per l’improvvisa situazione e la strana offerta “Come posso fidarmi di quello che mi hai detto?! Non mi hai neanche detto come ti chiami!”
 
-“Il mio nome vero è un segreto per tutti. Ma puoi chiamarmi Ra’s Al Ghul”
 
Buttato via del carcere come un sacco di spazzatura, con addosso solo un vestito sporco e una borsa di plastica con un po’ di acqua e gli famosi biglietti, Bruce fu molto esitante: Iniziava a pensare che doveva rinunciare al suo progetto e a tornare a Gotham. Dopo tutto, cominciava veramente a sentire la mancanza di Alfred e a vergognarsi di averlo lasciato da solo, senza spiegazioni nonostante tutto quello che aveva fatto e continuava a fare negli suoi confronti. Ma d’altro canto, sentiva che Ra’s non gli mentiva, che gli poteva dare quello gli mancava, e non se la sentiva di rinunciare al suo percorso allora che sentiva che era quasi arrivato alla fine. Fu così che in un mese e venti giorni, Bruce decise di seguire la seconda opzione, e imparando a cacciare o a mendicare, nonché a parlare un minimo di cinese per chiedere informazione, riuscì a raggiungere un monte roccioso e a trovare questo famoso fiore. Dopo di che, parlando con la popolazione contadina locale, scoprendo simboli nascosti che decifrò, egli riuscì finalmente a capire dove si trovava la base di Ra’s Al Ghul e, scalando la montagna finché arrivo in una zona costantemente sotto la neve anche di giorno finì miracolosamente per arrivare a una specie di tempio orientale, proprio al momento in cui aveva finito le sue provviste e che non c’è la faceva più. In effetti, riuscì a malapena a salire le scale e ad aprire la porta, dove lo aspettavano una cinquantina di persone interamente coperti di nero, un po' come degli ninja, e il misterioso Ra’s Al Ghul che, felice, lo felicitò per avere superato la prova di iniziazione, ma che l’allenamento sarebbe stato più difficile. Per un ulteriore anno, infatti, Bruce ricevette il suo più duro, ma anche più completo allenamento: Ra’s gli insegnò l’arte del combattimento a varie arme bianche e di alcuni arti marziali più intensivi. Ma anche altre cose molto più particolare: l’arte della dissimulazione, sia usando il proprio ambiente che bombe i fumo; l’arte dell’infiltrazione, entrando in luoghi custoditi senza farsi notare; l’arte della comprensione delle piante e degli prodotti chimici, per creare bombe di vari generi o prodotti di varie utilità, dalla guarigione temporanea agli sonniferi; l’arte di concepire se stesso arme o strumenti, come una corda da lanciare per arrampicarsi sugli tetti più facilmente; l’arte della conoscenza antica e della decifrazione degli testi segreti o codificati; l’arte di concepire trappole e della pazienza. Allo stesso tempo, una profonda amicizia nacque tra gli due uomini, e Ghul confessò che ebbe il desiderio di sradicare ogni forma di criminalità il giorno in cui la sua prima moglie fu selvaggiamente assassinata da un ladro allora che era incinta. Grazie agli constanti allenamenti e alla Fu così, che nonostante un bel po' di botte (nonostante ormai si era abituato) e di prove difficili, Bruce riuscì a superare Ra’s al Ghul in un duello amichevole allora che lo doveva prima identificare tra un centinaio di individui nascosti e mascherati. Ghul fu allora molto contento, e disse a Bruce che, dopo anni di vita, era finalmente riuscito a trovare un suo degno successore al comando della Ligua dell’Ombra., ma che doveva compiere un’ultima prova. Ghul fece allora segno e due dei suoi uomini iniziarono a trascinare fino a Bruce un uomo, che visibilmente era stato sotto tortura.
 
-“Quest’uomo è un ladro nonché un assassino. Come me, so che vuoi la fine della fine dell’ingiustizia in questo mondo. Per questo, bisogna levare combattere i criminali alla radice. Fallo fuori, e diventi uno dei nostri.”
 
Bruce alzò il pugnale che Ghul gli aveva dato, ma fu di nuovo preso dalla stessa esitazione che aveva avuto per Cain. Eppure questa volta non conosceva personalmente questo tizio, colpevole di un crimine simile a quello di Joe Chill nei suoi confronti. Bruce si rese allora conto di una verità che non voleva ammettersi prima di allora: Lui semplicemente non riusciva a uccidere, perché nel più profondo di sé, sapeva che se iniziava a uccidere, soprattutto per la rabbia, che allora non sarebbe stato diverso da coloro che voleva combattere.
 
-“Bruce, cosa aspetti?!” iniziò a impazientarsi Ra’s
 
-“Mi dispiace maestro” disse allora Bruce consegnando il pugnale a Ra’s mentre l’uomo che avrebbe dovuto uccidere inizio a piangere di speranza. “Io non sono un boia”.
 
-“Bruce” provò a convincere in modo chiaro Ra’s Al Ghul “Sai come me  di quello che questa gente è capace di fare. Non ho bisogno di parlarti di nuovo del dramma che ho avuto con mia moglie o di parlarti di tutti coloro che commettano peccati nel proprio interesse. Il filosofo francese Rousseau diceva che l’uomo è fondamentalmente e che era la società stessa a corromperlo, ma si scordava di dire che erano gli stessi individui ad avere costruito le società decadente! Se vuoi veramente pulire il mondo della schifezza, devi capire che bisogna sporcarsi le mani e rasare i fondamenti degradanti per rifarne degli nuovi! Quest’uomo ha ucciso freddamente tre persone, esattamente come quel Chill ha fatto con i tuoi genitori, senza mostrare nessuna pietà! Se tu fai prove di compassione, allora fai prova di una debolezza che i tuoi nemici potranno sfruttare!”
 
-“E’ questo il punto…” rispose Bruce, sfidando dall’occhio il suo maestro “E’ questo che gli distingue da noi. Se ci mostriamo come loro, accecati dall’odio, allora non siamo migliori. Non lo volevo vedere, perché tutti questi anni pensavo solo a vendicarmi subito di Chill e degli criminali come Falcone, ma anche se le facesse fuori tutti, altri sputerebbero e sarebbe un solo ciclo di sangue senza fine…”
 
-“E cosa pensi fare?” s’innervosì allora Ghul “Portarli alla giustizia? Sai meglio di me che i criminali si ridono della legge, quando addirittura non la controllano! Guarda Gotham, dietro i discorsi rassicuranti del commissario e del sindaco, perfino i ciechi si rendono conto di che realmente comanda! Anzi, il commissario Loeb non si nasconde neanche più di pranzare con Falcone!”
 
-“E tu cosa pensi di fare Ghul?” rispose Bruce, redendosi conto che la discussione prendeva una direzione che non gli piaceva. “Fare giustizia tutta da te: dall’arresto all’esecuzione delle persone senza un giudizio?”
 
-“Fare giustizia? Scherzi vero? Saranno anni che giro nel mondo e non ho visto un singolo luogo dove la giustizia è un vero valore! No. Io non credo a queste teorie studentesche benestante secondo le quali tutto si risolve con il tempo, la buona fede e gli bei discorsi ingenui! Io ormai sono convinto che solo una azione diretta, violenta e totale sia l’unica soluzione, e per questo è necessario sapere fare quello che è necessario!”
 
-“Cioè?”
 
-“Distruggere la società stessa! Fare scomparire ogni singolo individuo potenzialmente dannoso e fare scatenare l’anarchia totale, finché non rimarranno solo che rovine e le persone che saranno degne di rimanere in vita per potere ricominciare da capo! E insieme, Bruce, cominceremo dal peggiore covo di criminali di questa era: Gotham city! Tu conosci la città, sai quant’è corrotta, e sai anche come farla crollare per rifarla nascere!”
 
-“Quindi pensi di essere abbastanza degno per decidere chi merita di vivere o no?” rispose Wayne, preparandosi al peggio sentendo che avevano raggiunto il punto di non ritorno “E quante persone innocente, o giuste ma che sono costrette a piegarsi, morirebbero inutilmente? Diecine, centinaia, migliaia? Mi dispiace Ra’s, hai ragione su tante cose: sulla necessità di combattere il crimine con tutte le forze, sul fatto che la giustizia stessa deve tornare ad essere una norma, e che bisogna agire… ma non in questo modo… io troverò un altro modo, un modo che non faccia di me quello che odio di più. Ra’s… con il tuo aiuto, possiamo trovare un altro modo…”
 
-“Sei ancora giovane Bruce, e come tale sei ancora un inconscio. Sono convinto che un giorno mi capirai, e che sarai un mio degno successore… ma nel frattempo se non sei con me, allora sei contro di me!”
 
Bruce, nonostante erano passati anni e che era diventato un adulto conscio delle proprie capacità e dei propri limiti, pensava sempre a quello che succede dopo con una grande ansia. In effetti, Ra’s al Ghul buttò l’uomo sul piano di sotto, dove c’era un rogo cerimoniale accesso e prese la sua spada. Bruce dovette allora combattere, questa volta sul serio, contro il suo maestro e gli altri allievi di quest’ultimo. Non si ricordava di tutti gli dettagli, talmente tutto si svolge precipitosamente. Si ricordò solo che riuscì a salvare in extremis il condannato a morte al costo di una grave ferita sulla schiena, e che, per via di una granata lanciata male a un posto sbagliato, ci fu un’esplosione che lo butto lui, l’uomo che aveva appena salvato e Ra’s fuori, su una penta della montagna che portava a un precipizio. Bruce si ricordò anche che salvò in extremis Ra’s, il quale reso incosciente dall’esplosione, stava per cadere nel vuoto. Dopo essersi assicurato che il suo mentore era vivo, ma neutralizzato, Bruce partì insieme all’uomo che consegnò alle autorità locale. Dopo di che, decise di tornare finalmente a casa.
Il suo ritorno, che Bruce vide in Flash-back, fu tutt’altro che piacevole. Prima di tutto, dovette confrontarsi con Alfred, che certo fu felicissimo di rivedere il suo giovane padrone, come un padre che sarebbe felice di rivedere il figlio tornare sano e salvo dalla guerra…ma d’altra parte, Bruce sentiva che l’unica persona che poteva ormai considerare come una famiglia aveva nei suoi confronti un spizzico di delusione. In effetti, Ducard gli aveva narrato tutto, e Alfred si era sentito tradito, anche se da canto suo non mancò mai alla sua lealtà. Inoltre, Bruce dovette affermarsi anche nel mondo degli affari, per finalmente ricuperare il suo legittimo posto di direttore della compagnia contro i membri del consiglio che, durante gli anni in cui era ancora un bambino o che era assente, avevano quasi rovinato l’azienda pur di ottenere un massimo di guadagno sul corto termine, lasciando il compito al giovane Wayne di ristrutturare tutto. Bruce dovette anche confrontarsi contro i giornalisti e i paparazzi che iniziarono, come c’era da aspettarlo, ad assediarlo di domande ad oltranza. Ma il peggiore shock fu che solo qualche giorno dopo essere tornato, gli giornali annunciarono che Joe Chill, l’uomo che aveva assassinato i suoi genitori, era stato a sua volta ucciso in carcere. Qualche anno fa, Bruce sarebbe stato contentissimo di sentire questa notizia, ma i tempi erano cambiati, e soprattutto il contesto della morte di Chill non gli permetteva di festeggiare. In effetti, Joe Chill aveva negoziato una riduzione della pena in cambio di informazione sul sistema criminale in vigore, ed era più che probabile che il suo compagno di cella lo aveva ucciso per ordine di uno dei mafiosi locali, probabilmente Falcone o quel misterioso Balck Mask che era comparso sulla scena qualche anno dopo la scomparsa in Brasile. Inoltre, Bruce venne a sapere che Chill lasciava dietro di lui una bambina, che aveva circa la stessa età di lui quando erano morti i suoi genitori. Convinto ormai della sua idea secondo la quale, se avesse ucciso Joe Chill come l’ho voleva prima, sarebbe diventato a sua volta un assassino che lasciava orfani, Bruce, con il supporto di Alfred e quello occasionale di Ducard, iniziò il suo percorso di eroi. Usando il materiale tecnologico che Wayne Enterprise gli aveva messo a disposizione, e ispirandosi alla sua paura infantile che aveva nel confronto degli pipistrelli, decise di crearsi un’armatura con le somiglianze di questi mammiferi notturni per inspirare la paura agli criminali nelle strade notturna e, dopo qualche modifiche, innovazione e tentativi, Bruce riuscì mano a mano a diventare il giustiziere che ironicamente aveva sognato di essere quando aveva visto Zorro al cinema. Con il tempo, riuscì a mettere in carcere la maggioranza dei mafiosi, a tenere a bada i nuovi super-criminali che erano comparsi, compreso lo stesso Ra’s Al Ghul che come aveva promesso aveva tentato di distruggere Gotham. Batman era anche riuscito a cancellare la corruzione della città, facendo arrestare Loeb per farlo rimpiazzare dal molto più integro e onesto poliziotto James Gordon. Però, nonostante fino ad so ebbe una maggioranza di successo, aveva comunque avuto dei grandi fallimenti, e si chiedeva sempre se aveva fatto la cosa giusta quando da bambino si era giurato di eliminare la criminalità.
Ansioso fino allo svenimento per tutti questi ricordi, Bruce si alzò sudato dal suo letto e, dopo esserci messo un accappatoio, percorse i corridoi della grande dimora nella quale viveva. Questi erano lussuosi, riempiti di mobili di alto valore, di quadri rinascimentali nonché di un largissimo insieme di oggetti di lusso, dalle armature medievale alla porcellana cinese e prussiana, e di impressionate collezione di biblioteche esposti in vitrina. Ma nel mezzo della notte, con solo lui e Alfred a viverci, il luogo era freddo, inospitale, assente di vita, e chiunque avrebbe finito con finire in disagio a vivere in solitudine in un luogo cosi immenso. Bruce uscì nel giardino, e andò in direzione del piccolo mausoleo dove erano sepolti i Wayne. Li, entrando, si fermo di fronte alla tomba dei suoi genitori e, lasciando scappare tutte le angosce e i rimpianti che teneva nascosti a tutti per tutti questi anni, si lasciò cadere in ginocchio e iniziò a piangere per lunghi minuti…
 
-“Padre…madre… mi dispiace cosi tanto…”
 
-“Ti dispiace cosa, Brucie? AHAHAHA!”
 
Il miliardario smise subito di piangere e ritrovo il suo serio, riconosceva questa voce da psicopatico tra mille… Però come faceva il suo nemico di sempre a conoscere il suo nome?! Bruce si girò, pronto a combattere, ma non solo quando si girò non vide nulla… non “nulla” nel senso che non c’era nessuno, ma proprio nel senso che non c’era più niente, né le altre tombe né la porta d’entrata! Al contrario, sentì una mano afferrarlo e stringerlo con molta forza. Si girò nuovamente per scoprire con orrore che la tomba dei suoi parenti era aperta e che due paia di braci lo trascinavano dentro. Contro ogni attesa, Bruce non riuscì a liberarsi e fu portato dentro la tomba. Lì inizio a cadere in un vuoto scuro senza fine, mentre centinaia di pipistrelli, all’aspetto vampiresco, giravano tutto attorno a lui, mordendolo e graffiandolo ovunque allora che la risata infame dello Joker tuonava in continuazione, rafforzata da una profonda sensazione di echo.
 
-“ALLORA BATSY? COSA TI DISPIACE? DI ESSERE SOPRAVISSUTO ALLA TUA CADUTA IN QUESTA FOSSA PIENA DI PIPISTRELLINI?! Urlò la voce dello Joker allora che Batman finalmente atterrò violentemente. Mentre si rialzò, si rese conto che so stava indossando la sua armatura, ma che aveva le mane coperte di sangue. Preso di spavento, l’eroi guardo attorno a lui e vide che si trovava in una strada abbandonata, con dietro di lui, alla sua sinistra e alla sua destra degli muri così alti che non vedeva la cima, lasciandoli come univa possibilità di camminare in avanti, nonostante era poco illuminata e che finiva dentro l’oscurità. Ma il pipistrello fu terrificato quando, nonostante la strana composizione del luogo, si rese conto che questa era la strada dove i suoi genitori erano stati uccisi, e fu terribilmente alterato di vedere i cadaveri di quest’ultimi, ormai freddi e bagnanti nel proprio sangue, a pochi metri da lui.
 
-“Ey tu” fecce la voce dello Joker sotto Bruce, quest’ultimo guarda e vide che, non sapeva come, teneva nelle sue mane Joe Chill, coperto di pugni e visibilmente moribondo. Ma Chill non somigliava a sé stesso la notte in cui uccise i genitori di Batman, ma aveva lo stesso sorriso difforme e orrendo dello Joker, nonché i capelli e gli occhi impazziti verdi di quest’ultimo “Forse ti dispiace di non averle salvati e di non avermi fatto fuori, è così ragazzino?! AHAHAHAHA” ride la versione Chill dello Joker prima di morire.
 
Batman era un eroi che era abituato a superare le proprie paure e a nascondere i propri sentimenti, ma già che l’incubo degli flashbacks lo avevano reso molto ansioso, lì iniziò ad essere disperato. Sentendo che la voce dello Joker continuava a parlare oltre l’oscurità, Batman iniziò a correre in questa direzione. Mano a mano che correva, dietro di lui diventava completamente scuro con dei urli di dolore mentre davanti compariva sempre più luce… e trace di sangue… Dopo un po', pur non smettendo di correre, Batman fu alterato di vedere sempre più cadaveri di persone a lui ignote, tranne tre persone ancora vive, che riconosceva nonostante avevano tutti i tre lo stesso viso orrendo dello Joker che aveva visto su Chill.
Il primo di questi tre individui, fu Carmine Falcone, il mafioso che aveva tentato di uccidere Bruce da bambino e che fu il primo criminale arrestato da Batman quando entrò in azione.
 
-“Forse ti dispiace di non avermi arrestato prima, o che ancora oggi ci sono degli tizzi come me! Sai, ci saranno sempre della gente come me, che profitterà delle crepe del sistema per il proprio beneficio! Faresti meglio ad abbandonare, e considerare la vita come un gioco nel quale si ride quando si vince e si muore quando ci perdi! AHAHAHA!” fini col ridere alla Joker Carmine, prima di essere trascinato via e di scomparire sotto i cadaveri delle sue vittime che Bruce non era riuscito a salvare.
 
Il secondo degli individui fù David Cain, seduto su un banco accanto alle sue vittime.
 
-“Forse ti dispiace di non esserti reso conto prima della mia natura, e di avermi inconsciamente aiutato? Faresti meglio di darti una ragione: Non vali meglio di me alla fine, e sei un ipocrita, come tutti gli altri! AHAHAHA!” ride con la voce dello Joker Cain prima di tirare fuori una pistola e spararsi in testa, come aveva fatto per suicidarsi in carcere allora che Bruce seguiva gli insegnamenti di Ra’s Al Ghul.
Quest’ultimo fu appunto il terzo individuo che Bruce incontrò sul cammino, quest’ultimo aveva in mano la sua spada sporca di sangue, e vederlo con la faccia impazzita dello Joker mise particolarmente terrore a Batman.
 
-“Forse ti dispiace di non avere seguito il mio consiglio? Cosa sono qualche morti innocenti in confronto a tutte quelle delle vittime dovuta agli pazzi che hai lasciato in vita?! Tu non volevi essere come questi criminali, e guardati, alla fine degli conti tu sei peggio! AHAHAHAHA!” urlò come un pazzo Ghul buttandosi per uccidere Bruce. Quest’ultimo, colto alla sprovvista, riuscì in extremis ad afferrare il suo aggressore e a urlare “NO! NON E VERO! SEI TU IL MOSTRO!” prima di dargli un pugno.
 
 Senza spiegazione, Ra’s scomparì in una nuvola di cenere al momento dell’impatto, una nuvola che coprì interamente Batman il quale, quando ricopro la vista, vide che era all’entrata di Arkham Asylum. Cioè la prigione e asilo psichiatrico di Gotham, costruita su un’isola lontana del resto della città, dove erano rinchiusi i peggiori pazzi, psicopatici e super criminali della città. Batman era molto familiare con questo luogo, visto che ci rinchiudeva i suoi nemici sconfitti con la vana speranza che un giorno quest’ultimi sarebbero stati curati e avrebbero potuto reintegrare la società come onesti cittadini. Ma purtroppo, tranne pochi casi, i suoi nemici rimanevano dei pazzi, che evadendosi commettevano ulteriore atrocità, e ogni evasione, ogni morte commessi da loro, era una sconfitta personale per il giustiziere, visto che sembravano dare ragione a Ghul e che dimostravano i limiti della moralità del giustiziere.
In ogni caso, Batman sentiva che le risate continue dello Joker provenivano dell’edificio, e, provando a farsi forza, decise di entrarci. Apri il cancello e, dopo avere attraversato il parco per entrare dalla porta principale, si fermo di fronte a una scena surrealistica, fascinante ma soprattutto spaventosa: I muri, le finetre, e il tetto erano uguali all’edificio Ottocentesco dell’Asilo nella realtà, ma il pavimento non c’entrava niente con il resto del luogo. In effetti, era interamente composto di una griglia metallica sopra un’immensa piscina di un liquido verde chimico e altamente tossico, del quale i vapori e gli gas dello stesso colore illuminavano da solo il luogo dandogli un’impressione malsana, spettrale, malefica. Al fondo della stanza, dove di solito c’era il balcone dove c’era la statua del fondatore dell’Asilo, c’era un trono composto interamente di ossa, e sul quale era seduto il Joker, sempre ridendo. Però, lo Joker non era vestito con il suo abituale vestito viola e verde, bensì con un vestito normale e di lusso nero, con una camicia bianca e una cravatta. L’unica cosa particolare, e che portava una capa rossa e teneva nelle sue mane una specie di elmo, completamente liscio. Batman riconobbe questo vestito, nonché di questo liquido tossico, ma nonostante il dolore di questa notte risalì in lui, ebbe solo un’idea in mente, raggiungere lo Joker e farlo smettere di ridere. Il giustiziere inizio a correre, ma inciampo su qualcosa. Quando si rialzò vide con orrore che erano scomparsi diecine e diecine di cadaveri, ovunque, dal suolo sugli muri fino ad essere appesi dal tetto. La maggioranza di loro gli era sconosciuta, ma alcuni di loro erano familiare: Dick Grayson, il primo Robin e attuale Nightwing, tagliato letteralmente in due. Barbara Gordon, la figlia del commissario che per un tempo era stata Batgirl prima che lo Joker la paralizzò di sparandogli alla colona vertebrale, era stesa morta con una ferita immensa sulla pancia. Ducard e Alfred erano entrambi impiccati su delle cornici. Selina Kyle per canto suo era stata trafitta da lance per tutto il corpo. Infine, riconobbe Jason Todd, il secondo Robin, nella stessa posizione in cui lo trovò quando lo Joker l’aveva lasciato morto dopo averlo massacrato con un piede di porco.
 
-“Cosa ti dispiace?” parlò una voce che Bruce riconobbe. Quando alzò gli occhi, vide che era l’ex suo amico e procuratore di Gotham Harvey Dent, il quale dopo essere stato sfigurato a metà da un criminale era caduto nella follia ed era diventato il criminale Two Face. Quest’ultimo teneva nella sua mano sinistra la moneta sgraffiata su un lato che usava sempre per prendere delle decisioni e teneva con quella destra una pistola che puntava sulla testa del commissario Gordon. “Ti dispiace che non sei riuscito a salvarmi? Ho a salvare la giustizia di Gotham? Non importa, tanto la tua missione è solo una cosa vana” finì di dire lo sfigurato prima di fare esplodere la testa di Gordon.
 
Bruce, preso dalla disperazione e dalla rabbia, provò a buttarsi contro Dent, ma fu afferrato. In effetti, mentre la risata dello Joker diventò sempre più forte, tutti i altri super criminali comparirono all’improvviso, e iniziarono a prenderlo di botte mentre lo trascinavano verso lo Joker. Nonostante fosse un sogno, Bruce sentì ogni singolo colpo con grande dolore, ma a tormentarlo erano le parole che uscivano dalla bocca dei criminali.
 
-“Cosa ti dispiace? Che saremmo sempre cui? Fatene una ragione, i mercenari che hai incontrato hanno ragione di dirti che l’unico modo di riuscirci è di farci fuori!” ride un nano obeso con un fisico difforme ma vestito molto bene, notò come il mafioso che si faceva chiamare il Pinguino, allora che diede un colpo di ombrella in faccia a Batman mentre i nove RED mercenario, comparsi all’improvviso, ridevano della scena.
Di solito il Pinguino era un avversario facile da sconfiggere al corpo a corpo, ma li Batman non riusciva più a muoversi, ed era letteralmente un giocatolo alla merce dei suoi nemici.
 
-“Lasciami indovinare” disse allora un uomo vestito con un abito verde sul quale c’erano dei disegni di punti interrogativi, Edward Nigma detto “L’Enigmista”, un pazzo di grande intelligenza ossessionato col dimostrare la sua superiorità intellettuale anche al costo di fare degli “giochetti” che potevano costare la vita agli cittadini “Ti dispiace perché nonostante i tuoi sforzi noi rimaniamo pazzi, che non possiamo tornare normale cittadini?”
 
-“Come se uno come me potesse reintegrare la società” urlò un gigantesco mostro rettile, di nome Killer Croc, mentre alzò Batman per buttarlo violentemente contro una colonna in direzione di dove il Joker stava.
 
-“E perché dovremmo smettere di essere pazzi? La pazzia è cosi bella! Grazie a te, ho finalmente trovato chi ero davvero, nonché l’amore della mia vita! Grazie di tutto Batsy!” ride come una demenziale una ragazza bionda vestita di un abito di carnevale rosso. Questa ragazza era l’uno dei più grandi fallimenti di Batman: una volta era Harley Quinzell, una promettente psicologa dell’Asilo alla quale era stata affidato il compito di curare il Joker, ma alla fine era stato il pazzo a corromperla, a convincerla di diventare la sua ragazza e di commettere crimini insieme a lui. Bruce aveva per lungo tempo sperato di potere curare almeno lei, ma non c’era niente da fare contro la sua ossessione per il suo amore per il Joker. L’ormai criminale nota come Harley Quinn diede allora un potente colpo di martello a Bruce, il quale cadde in un gruppo di malfamatti che iniziarono a calpestarlo di colpi, insultandolo sulla sua ipocrisia, la sua inutilità e la sua debolezza. Non riuscì a riconoscere tutti i criminali che lo picchiarono a questo momento, ma penso vedere Poison Ivy, una donna una volta vittima di una sperimentazione e che da questo momento era diventata legate alle piante, al punto tale da preferire quest’ultime agli esseri umani che provava a sterminare, e il Mad Hatter, un uomo di piccola statura ossessionato dagli racconti di Alice al Paese delle Meraviglie. Dopo qualche minuto, fu afferrato al collo da un colosso esageratamente muscoloso, che aveva come vestito una tunica da wrestling nera, una maschera di catch messicana e un insieme di tubi metallici che, attaccati da un dispositivo sulla sua schiena fino ad entrare in varie parte del suo corpo. Bruce prese paura quando riconobbe Bane, l’unico uomo che lo aveva sconfitto e quasi ucciso sul serio. Quest’ultimo inizio a buttare in ogni direzione Batman, distruggendo il luogo, prima di dargli una serie di pugni molto potenti.
 
-“Rialzati Wayne! E’ tutto quello che hai? Pretendi essere un eroe, eppure ti lasci sconfiggere come un volgare pupazzo di allenamento!?” provocava Bane mentre tutti i altri ridevano come lo Joker “E questo che ti dispiace?! Di non essere forte come lo volevi?! Di non essere degno del tuo titolo di eroi?! Di essere un constante fallimento?!”
 
-“O forseeee” disse allora improvvisamente un voce spettrale allora che una mano gigante afferrò il pipistrello, il quale si rese conto che era una versione gigante dello Spaventapasseri, un criminale che era diventato un maestro nell’arte di creare prodotti allucinogeni che facevano risalire le peggiore paure delle persone per scatenare caos, disperazione e suicidio alle sue vittime. Batman aveva provato a trovare un antidoto, ma nel migliore dei casi riusciva solo a cancellare gli effetti sul momento, e ogni volta doveva di nuovo confrontarsi ai suoi peggiori ricordi, e il fatto di essere sprovvisto di materiale, di essere ferito e di essere di fronte a una versione gigante di questo genio dell’orrore, il quale aveva anche creato un costume difforme, sporco e misterioso per aumentare l’ansia e la paura delle sue vittime, rendeva qualsiasi possibilità di cavarsela impossibile “Fooorseeee, ti dispiaceee di non esserrreeeee capaceee di superareeee le tue paureeeee…dopo tutto sei un sempliceeeee umano come tuttiiiiiii. Non hai nessuno potereeeeee… nessunoooo amicoooooo… come farestiiii tu sempliceeee individuoooo a salvareeee il mondoooo se decidessimooo di unireeee le forzeeeeee…. O se i altriiiii superoiiii diventassssserrooooo malvaggiiiii? E cosa sucederaaaa quandooo non ci saraaaai piùùùù? Tutto sarà statoooo vanoooooo, non crediiiiiii? Hai sentitoooo la storiaaaa degli zalgooooo…. Hanno provatoooo a salvare il loro mondooooo…e hannoooo fallittooooo…e tu falliraaaai lo stessooooo!” finì con dire il spaventapasseri prima di lanciare Batman direttamente agli piedi dello Joker, il quale, si alzò e, fermando Bruce a terre mettendo un piede sul petto di quest’ultimo e spingendo con una forza molto superiore a quello che aveva nella realtà, iniziò a parlare, allora che la grande finestra circolare che era sopra di lui iniziò a illuminarsi, come se fuori c’era un grande incendio che iniziava.
 
-“Ragazzi! Ragazzi! Avete tutte le buone ipotesi! Ma la realtà, e che a lui dispiace soprattutto una cosetta!” disse il clown prima di smettere di sorridere, il che con la sua cicatrice alla bocca gli dava un aspetto ancora più preoccupante del solito “La verità è che ti dispiace di essere la causa di tutto questo? Di essere la causa della morte dei pochi tuoi compagni… tutto questo perché ti rifiuti di uccidere…di uccidermi…di avermi creato… vero?” fece allora lo psicopatico entrando in un lungo silenzio, prima di ricominciare a ridere come un demonio. Allo stesso momento, il muro dietro di lui crollò. E Batman vide una scena che non aveva mai visto di persona prima. Dietro lo Joker, per chilometri c’era quello che somigliava a una città. Ma non una città odierna, con i grattacieli, né una città che somigliava a una città conosciuta. L’architettura, in effetti, era completamente sconosciuta, con case in terracotta che somigliavano più a dei piccoli nidi di api che a delle case umane. La struttura più vicina a questi edifici noti a Bruce erano i mausolei di terracotta in Mali, prima della loro distruzione dagli islamici, ma perfino questi erano troppo diversi da quello che vedeva. Ma la cosa che lo terrificò fu di vedere questa città nelle fiamme, mentre coloro che sembravano essere gli abitanti, delle strane creature a metà umanoide e a metà feline, di colore giallo proviste di pelliccia, code e di corna, e vestiti come ai tempi della preistoria, provavano a scappare disperatamente o a proteggere i più piccoli. Non ci volle molto a Batman per capire chi fossero i responsabili di tale distruzione. Allora che il Joker rideva sempre, un immenso astronave a forma di aquila comparì nel cielo e iniziò a sparare raggi ovunque, distruggendo diecine di quartiere. Allo stesso tempo, degli Jenesiani in armatura comparirono, e iniziarono a massacrare, senza pietà e senza distinzione, ogni creatura alla pelliccia gialla sul loro passaggio. Il resto dell’edificio di Arkham crollò e Batman, girando la sua testa, vide che al posto di tutti i cadaveri umani che aveva visto prima c’erano i cadaveri di questi esseri felini, e che al posto dei suoi nemici di sempre c’erano degli Jenesiani in armatura che continuavano a sparare agli superstiti. Batman allora guardò lo Joker, disperato, e vide che quest’ultimo aveva a sua volta lasciato il suo posto a un Jenesiano in una grande armatura, simile a quella di Hy’ardofius, e che alzando un’immensa spada per decapitare il nostro eroi di Gotham, disse in una lingua sconosciuta ma che Bruce riuscì a capire.
 
-“Questo è il destino che spetta ai deboli!”
 
Bruce, riuscì solo a vedere la spada essere sbattuta su di lui, prima di svenire nell’oscurità.
 
Il sogno di Spia
Strasburgo, piccola ma non poco importante città tipicamente medievale, con i suoi canali divisi tra ponti che sostenevano alte torre di guardia in pietra e la sua cattedrale, nonché del suo palazzo settecentesco, era sempre stato un luogo abitato dagli uomini. Ironicamente, però, la città era sempre stata luogo di litigo tra i popoli latini e Germanici. Già nell’Antichità, i romani difendevano la loro base sulla loro frontiera del Reno che sarebbe diventato Strasburgo contro le orde germaniche dell’est; poi, nel medioevo erano i Franchi che partivano da li per assediare i popoli germanici e per secoli la città, nonché la sua regione nota come l’Alsazia, passava regolarmente dalla Francia al Sacro Romano Impero Germanico e vice versa, sempre con il prezzo di migliaia di morti in battaglia. Nel 1870, la Francia conobbe una grande umiliazione quando il suo secondo Imperatore, Napoleone Secondo, subì una clamorosa disfatta a Sedan di fronte al neonato Secondo Reich Tedesco retto dall’Imperatore Whillem I e dal suo geniale cancelliere Bismarck, i quali erano riusciti in pochi anni a unificare tantissimi piccoli stateli insignificanti in un vero e proprio impero e prima potenza militare terrestre in Europa. Ovviamente, Bismarck non si privò di fare pagare il prezzo caro prezzo agli sconfitti, costringendo l’Imperatore Francese di abdicare e di cedere al Reich, appunto, l’Alsazia e la Lorena. Per quarant’anni, i Francesi, popolo noto per essere particolarmente presuntuoso e per considerarsi i migliori del pianeta che non ammettevano mai i propri fallimenti, non seppero digerire tale umiliazione, e fu con grande gioia che colsero la Grande Guerra nel 1914 come l’occasione di prendere la rivincita. Nonostante erano vigliacchi, e che senza l’aiuto degli Britannici, degli Cani, Italiani, Algerini etc. non ci sarebbero mai riusciti, i Francesi riuscirono a ricuperare le due province. Ma a un prezzo costosissimo di migliaia di morti, compresi civili e di intense distruzione. I Francesi, pensandoci i più grandi del mondo, commisero però un errore molto importante, di quello che non si vede subito le conseguenze ma che peggiora nel tempo fino ad esplodere. In effetti, oltre a ricuperare i propri territori persi nella guerra Franco-Prussiana, i Francesi convinsero gli altri alleati a mostrarsi particolarmente severi negli confronti della Germania: Soppressione dell’Impero, confiscazione di tutte le colonie, perdita di un terzo degli territori a favore della Polonia, Belgio e Danimarca, divieto di avere un esercito, costrizione di essere sotto osservazione internazionale ma soprattutto la responsabilità di tutti i danni materiali della guerra con un pagamento di oltre 132 miliardi di Marchi Tedeschi, il che era una follia, come provarono a fare capire i diplomati tedeschi, visto che era molto di più che tutte le risorse nazionale messe insieme, e che esigere una tale somma condannerebbe la Germania o a pagare per quasi un secolo, o di tassare al massimo il proprio popolo condannandolo alla miseria. I francesi, sostenuti dagli inglesi, comunque, non cambiarono idea. Anche quando il popolo tedesco iniziò, come previsto, a vivere nella miseria e che, per tentare di salvare l’economia, il governo locale decise di fermare temporaneamente le esportazioni di carbonio e di acciaio che servivano in parte a ripagare il debito, i Francesi, dopo avere convito i Belgi, non esitarono ad entrare in territorio tedesco e ad occupare la ricca regione minerale della Ruhr per prendere con la forza il riscatto, senza preoccuparsi minimamente della popolazione locale. Non c’era niente da stupirsi quando, nel 1929 la crisi Americana di Wall Street colpì l’Europa e la Germania molto indebolita dal Trattato di Versailles imposto nel 1919, che centinaia di tedeschi furono rovinati, finendo nelle strade o suicidandosi per la disperazione e che gli superstiti, disperati, umiliati e delusi dal governo democratico che non era riuscito a difenderli dalla pressione straniere o dalla crisi, decisero di eleggere nel 1932 un uomo, fino ad allora escluso dal resto della politica, che prometteva di rimettere il paese in sesto, abolire il Trattato di Versailles e di ridare alla Germania la sua gloria passata vendicandosi degli alleati, in primis la Francia e gli traditori della patria. Quest’uomo, ormai famoso, si chiamava Adolf Hitler, e imponendo poco a poco una dittatura ispirata al Fascismo con un rinforzamento del totalitarismo, riuscì a migliorare l’economia tedesca, infrangendo il trattato di Versailles e creando un’economia di guerra. Approfittando del fatto che gli inglesi e gli Francesi lo sottostimavano nelle sue ambizione, e della loro debolezza dimostrata durante i negoziati di Monaco sulla Cecoslovacchia, Hitler decise nel 1939 di scatenare una seconda grande guerra con l’invasione della Polonia, seguita da quella danese, norvegese e degli paesi del Benelux. I Francesi, che si ritenevano gloriosi e invincibile, non avevano modernizzato le loro difese e si buttarono in pieno nella trappola di Hitler, molto più preparato. Dopo solo diciotto giorni, il Maresciallo Petain, eroi della Grande Guerra che era l’unica speranza, decise di capitolare all’invasore, confermando la vigliaccheria dei Francesi quando quest’ultimi sono in posizione di svantaggio, visto che contrariamente agli paesi precedentemente citati e al Regno Unito che resisterò fino alla fine ad ogni costo, decise di arrendersi allora che gli rimanevano la maggioranza delle sue forze militare. Il paese degli presuntuosi subì allora l’umiliazione di essere diviso in due: La metà Nord sotto diretta occupazione nazista e una metà sud, retta dallo stesso Petain che aveva giurato fedeltà a Hitler…in altre parole tutta la Francia era occupata. L’Alsazia e Strasburgo, però, furono integrati direttamente all’amministrazione tedesca, come lo era stato nel 1870, e questo fatto era stato reso più facile per il fatto che buona parte della popolazione locale sosteneva Hitler. In effetti, nel 1919 quando la città torno ad essere francese, centinaia di abitanti locali, tedeschi o discendenti di matrimonio tra francesi e tedeschi, si trovarono esclusi della società, considerati dagli nuovi arrivanti come degli “traditori” o degli “impuri”, e presi spesso come bersaglio degli “veri” francesi quando volevano sfogarsi o trovare una pecora nera. In altre parole, Strasburgo era diventato un centro nevralgico del commando militare tedesco per controllare il territorio a Ovest del Reno e per organizzare gli attacchi contro il Regno Unito, e la popolazione locale e in grande parte favorevole a punto tale di aiutare quanto fosse possibile gli SS, rendendola una città molto sicura per i nazisti. Eppure, in una sera del giugno del 1944, proprio in una cella di un bar in periferia della città, un piccolo gruppo di sei persone di varie età, stava discutendo proprio di un piano per danneggiare l’occupante. Quello che sembrava essere il cervello dell’organizzazione, un uomo di sessant’anni, vestito come un contadino con il tipico berretto grigio ma che portava un paio di medagli ottenute durante la Grande Guerra, caratterizzato da degli baffoni grigi tipicamente ottocenteschi e da un naso grossissimo e rosso, dava ordine agli altri, mostrandogli una mappa.
 
-“Allora, ragazzi, ecco la situazione: Come sapete abbiamo ricevuto un messaggio codificato da parte che del reparto dei nostri compagni a Londra, il che ci diceva che l’informatore tedesco che si è arreso di sua spontanea volontà l’anno scorso agli mangia-pudding fa non aveva mentito sul fatto che lavorava a un progetto che poteva dare un vantaggio a questi paraculi di tedeschi.”
 
-“Ma comandante Rochefort” chiese allora un ragazzo biondo di circa diciott’anni, anche lui vestito come un contadino, che portava una borsa piena di strumenti di elettricista e di forbice metalliche di grande dimensione “Se non sbaglio, quest’informatore aveva dichiarato avere distrutto i piani di questa arma”
 
-“Esatto Focult” rispose Rochefort, con una voce che faceva capire che non amava essere interrotto “Però le sue ricerche erano comunque sotto stretta osservazione, e sembra che provano a rifare quest’arma, o quest’invenzione, basandosi sulle osservazioni e sugli sbricioli rimasti alla loro disposizione. In ogni caso, il messaggio ci parlava anche di una possibile dimostrazione di un prototipo di quest’arma proprio cui a Strasburgo. Informazione confermata dal nostro amico Graudlard” finì col dire Rochefort indicando un altro individuo nella stanza, quest’ultimo era un quarantenne obeso, con degli baffoni nere, e che si distingueva degli altri dal suo uniforme da poliziotto.
 
-“In effetti” rispose con una voce un po' ingenua Graulard “Dopo domani, alle ore 22.30, arriverà una nave al porto fluviale con a bordo…non indovinerete mai…Heinrich Himmler in persona!”
 
-“Himmler?! LO Himmler?!” fece tutti in coro tranne Rochefort “Il secondo di Hitler, il capo della Gestapo?!”
 
-“Proprio lui” fece Graulard, provando a darsi un aspetto di genio e di orgoglio, ma rendendosi ridicolo “Arriverà per assistere alla dimostrazione dell’arma, proprio in questa piccola fattoria, requisita dagli SS, sul lato est del Reno.”
 
-“Gli ordini di Londra sono chiari” fece Rochefort “Anche se siamo solo noi, abbiamo come compito di rubare, o almeno distruggere il prototipo dell’arma, rubare i piani e, se l’occasione si presente, fare fuori Himmler.”
 
-“Ma comandante” fece allora un terzo individuo, di circa trent’anni che sembrava venire dal Maghreb e che teneva un fucile da cecchino “Siamo dieci… otto tenendo conto che Graulard non deve fare scattare la sua copertura e che lei… senza offesa, non può partecipare all’operazione per la sue età”
 
-“Te ne darò dell’età! Irrispettoso Algerino che non sei altro Ahmed!” s’innervosì Rochefort dando un colpo di canna in testa all’arabo, prima di calmarsi e di riprendere “E comunque si, perché abbiamo lavorato a un piano che dovrebbe darci il vantaggio nonostante l’inferiorità numerica. Ma dovette essere tutti coordinati altrimenti siamo finiti! Allora ascoltatemi bene, soprattutto voi due i gemelli!” disse Rochefort, puntando a due ragazzi perfettamente simili. Entrambi dovevano avere appena compiuto vent’anni, e si distinguevano degli altri su ogni aspetto. Per prima cosa, erano abbastanza belli ragazzi, somigliando a degli attori hollywoodiano, con dei capelli neri lisci e luccicanti grazie alla cera che usavano per mantenerla ferma e da occhi blu particolarmente misteriosi. Inoltre, laddove i altri erano vestiti comunemente, loro portavano vestiti eleganti, con piccola giacca rossa su una camicia bianca nuova di zecca e perfino la cravatta, come se fossero uomini d’affare. Però, i gemelli si distinguevano di loro stessi solo per una cosa, il loro carattere: L’uno sembrava nervoso, un po' arrabbiato e impaziente, e giocava con un coltello; mentre il secondo era molto più rilassato, anzi troppo rilassato, e agiva da presuntuoso fumandosi una sigaretta che usci dalla suo porto sigaro in metallo.
 
-“Oh comandante Rochefort” fece ridendo il gemello rilassato “Vi ho già detto di trattarci un po’ meglio che degli furfanti… dopo tutto, siamo stati direttamente allenati dagli servizi inglesi prima di essere stati mandati per aiutarvi… inoltre vi ricordo che mi chiamo Jean-Luc”
 
-“E io Jerome” aggiunse infastidito il gemello nervoso.
 
-“Conosco già la vostra biografia e le vostre capacità, ma non vi dispensa di ascoltare e di prestare attenzione! Maledetti giovani che non si rendono mai conto dell’importanza delle cose, ai miei tempi i giovani rispettavano l’autorità, non perdevano il loro tempo a curarsi del proprio aspetto guardandosi allo specchio allora che i loro padri…”
 
-“Ehm… comandante…” provò a parlare un po' intimorito Ahmed “Forse sarebbe tempo di riprendere le spiegazioni della missione…”
 
-“DECIDO IO QUANDO RIPRENDO IL DISCORSO, FURFANTE MANGIANTORE DI HALLAL!” urlò Rochefort dando un secondo colpo di canna al povero Ahmed, prima di calmarsi “Però hai ragione il mio buono Ahmed… quindi ecco il piano: Graulard come lo sapete è un poliziotto della città, ed è noto dalle guardie e dagli cittadini. Inoltre è in parte responsabile della sicurezza per quando verrà Himmler, anche se finirà ufficialmente il suo servizio prima. Negli fatti, il nostro bravo Tom” fece Rochefort indicando un ragazzo con i capelli rossi, un po' bruttino per via dell’acne ma che dava un’apparenza di simpatia “contatterà il commissariato facendosi passare per un ufficiale tedesco che chiederà di rinforzare all’ultimo minuto la sicurezza del fiume mandando una piccola squadra di SS. Graulard sarà ovviamente contattato e porterà questi soldati a una piccola nave che porterà a metà del fiume”.
 
-“E chi sarebbero questi soldati SS?” chiese nervoso Jerome
 
-“Non hai capito, fratellino?” deride Jean-Luc, “Saremmo noi, ovviamente!”
 
-“Esatto, voi tutti, tranne io che rimarrò cui per darvi le istruzione tramite radio e Tom che sarà in un altro edificio, pronto a comunicarvi o a comunicare a Londra ogni eventuale problema, e Graulard che rimarrà sulla nave, voi indosserete tutti degli uniformi che i nostri compagni hanno rubato. Sbarcherete sulla costa est del fiume e vi dirigerete verso la fattoria. Focult darà il segnale quando trafficherà il sistema elettrico facendo cadere tutto nell’oscurità. Lì Jean-Luc entrerà nella fattoria e ruberà i piani o l’arma mentre il buono Ahmed farà da copertura a distanza. Ahmed, se vedi che Jean-Luc a un problema, o se vedi l’occasione dopo che egli sia tornato, spara a quel figlio di cane di Himmler! Hai capito!”
 
-“E io, cosa devo fare?” chiese impaziente Jerome
 
-“Tu rimane di riserva e organizzi la fuga in caso in cui le cose vanno storte per tuo fratello” rispose Rochefort
 
-“Ma perché lui a la parte più interessante mentre io devo fare il poveretto che aspetta?!” si lasciò esplodere Jerome “Ho le stesse capacità sua!”
 
-“Certo certo” moco il sue fratello “Ma in realtà no, tutti sanno che sono più bravo di te in ogni campo… beh tranne per giocare al coltellino, ma mi sa che non perdo niente!”
 
-“Non offenderti Jerome!” provò a calmare Rochefort “Lo sappiamo che sei bravo, ma è anche vero che i vostri istruttori a Londra mi hanno comunicato che eri un po' troppo testa calda, frettoloso e impaziente. E questa è la nostra grande missione, quella che non dobbiamo assolutamente fallire, ed essa richiede la massima discrezione, il che è più adatto a tuo fratello. Però hai comunque una grande responsabilità quindi…”
 
-“Certo, mio fratello lì! Mio fratello là! Sai una cosa, decidete pure, tanto sono solo uno che deve eseguire gli ordini! Mi farete un recapitolo sul momento, ma so ho bisogno di uscire prendermi l’aria! Non vi dico buona notte signori!” fece molto arrabbiato Jerome prendendo pugnale e giacca prima di uscire, sbattendo la porta.
 
-“Certo che tuo fratello è impetuoso!” disse con un po' di rabbia Rochefort
 
-“Jerome è sempre stato un po' impulsivo” rispose indifferente Jean-Luc “E ogni tanto abbiamo i nostri conflitti. Ma nel fondo è un bravo ragazzo che vuole solo affermarsi e dimostrare che è capace… Penso che quando avrà un po' più di autostima e capirà la nozione di sarcasmo si calmerà”
 
-“Vabbè, comunque non è un problema che sia partito visto che ho detto le basi del piano” disse Rochefort sedendosi e tirando fuori una bottiglia di vino con cinque bicchieri e una baguette “Anche se devo aggiungere che l’arma sia come una specie di fucile molto potente e pesante, e che dovrai prepararti a portare un grande peso. Ma so, ragazzi, facciamo un brindisi!” finì con dire il veterano della Grande Guerra riempiendo i bicchieri allora che tutti tranne Ahmed li presero volentieri.
 
-“Allora, furfante del deserto, non gradisci il mio buon vino locale?” disse offeso Rochefort
 
-“Ma io sono musulmano e la mia fede me lo impedisce!” provò a giustificarsi terrificato il povero Ahmed “Inoltre è scritto che questo vino è Italiano!” Rochefort guardò la bottiglia, e arrabbiatissimo di vedere che il suo compagno aveva ragione lo tirò verso di lui “A ME NON IMPORTA DELLA TUA FEDE DI MANGIATORI DI PECORE, GIA CHE HAI RIFIUTATO DI MANGIARE IL SALAME CHE TI HO PORTATO L’ALTRA VOLTA, ALLORA MI FARAI IL PIACERE DI BERE QUESTO VINO?! HAI CAPITO BEDUINO?!”
 
-“Certo che il comandante esagera un pochino con il povero Ahmed. Che bravo ragazzo di sopportarlo così!” sussurrò Tom a Focult
 
-“Vedrai, il comandante era in stazionamento in Algeria ed è cresciuto con la convinzione che noi europei dobbiamo educare i altri popoli… ma a suo modo rispetta e apprezza Ahmed” rispose a voce bassa Focult allora che Ahmed, avendo accettato a suo malgrado il bicchiere per accontentare il suo superiore. A questo punto, tutti alzarono il bicchiere con un grande “VIVE LA FRANCE, DE GAULLE E MORT AUX BOCHES!”[2]
 
Qualche ore dopo, i giovani del gruppo lasciarono Rochefort, il quale viveva nella cella nascosto dalla Gestapo con la complicità del barista, e Ahmed che non solo dormiva anche lui cui, ma che sarebbe stato comunque incapace di uscire visto che, dopo avere bevuto un solo un bicchiere di vino, si era addormentato pesantemente. Accompagnati da Graulard, che in virtù di essere un poliziotto locale, Tom, Focult e Jean-Luc se ne andarono verso le varie zone in cui alloggiavano, visto che dormire nello stesso posto sarebbe stato troppo rischioso nel caso in cui l’uno di loro sia scoperto dalla Gestapo tedesca o dagli collaborazionisti. Però, questa piccola camminata durò un po' di tempo, e questo lasciò i vari membri del gruppo a conoscersi meglio. Graulard era il tipico poliziotto obeso del quartiere, quello che nessuno prendeva veramente sul serio, e che viveva ancora dalla madre. Però, nonostante era un sfigato della vita, aveva deciso di rimanere a Strasburgo dopo l’invasione, proprio perché sapeva che quest’ultima sarebbe diventato l’uno dei centri più importanti del controllo tedesco e che avrebbe potuto partecipare alla resistenza nonostante il pro-germanismo locale. Focult non aveva niente di particolare da narrare sulla sua vita, se non era cresciuto in Lorena, l’altra regione direttamente integrata dagli nazisti, e che era scappato della casa familiare dove il suo padre, che era sempre stato un nostalgico del Secondo Reich, lo voleva mandare nell’esercito della gioventù Hitleriana. Tom infine, spiegò che era ebreo, e che era riuscito a sfuggire in tempo il giorno in cui un gruppo di soldati SS entrarono a casa sua per portarsi via i genitori e il resto della famiglia. Non sapeva dove erano finiti, ma sperava che gli rivedrebbe in futuro, e che nel frattempo voleva contribuire a modo suo a combattere l’invasore, soprattutto nella comunicazione di informazione e nella falsificazione di documenti per permettere alle persone ricercate dalle autorità di sfuggire in Svizzera o, anche se era più pericoloso, in Spagna per poi uscire dal continente. In poche parole, questi tre erano brave persone, ma che somigliavano a tanti nella loro stessa situazione, e quindi ebbero finito abbastanza presto la loro presentazione. Al contrario, Jean-Luc suscitò particolare interesse ai suoi compagni.
 
-“Ci pensavo Jean-Luc” chiese Graulard “E’ vero che te i tuo fratello siete eravate le celebrità del teatro Vaudeville di Lille[3]?”
 
-“In realtà non eravamo solo a Lille, ma facevamo prestazioni un po' ovunque nel paese, ma anche nel Benelux o la Svizzera” rispose l’interessato, facendo finta di essere indifferente ma contento di essere al centro dell’attenzione “Ma si, fino alla guerra nonostante eravamo ancora adolescenti eravamo il duo dei “Fréres Diablotin”, o dei piccoli diavoli se preferite.”
 
-“Strano nome” commentò Tom “E, scusami la mia incultura, ma non ho mai sentito parlare di voi prima, cosa facevate in questo gruppo teatrale?”
 
-“Ebbeh, Jerome e Io siamo purtroppo orfani, e abbiamo dovuto cavalcarsela da soli, contando solo sull’altro per sopravivere. E sai, quando vivi nelle strade si impara abbastanza velocemente a fare i ladri. La differenza tra noi e i altri ladruncoli di strada è che non ci accontentavamo di prendere discretamente la borsa delle vecchie signore mentre facevano le passeggiate. Noi eravamo ambiziosi! E facevamo anche delle belle truffe sotto il naso degli poliziotti! Senza offesa Graulard”
 
-“Se ci fosse stato io, credo che tuo fratello e te saresti ancora in prigione” provo a dire con orgoglio Graulard, mentre Jean-Luc, rotolando i occhi proseguì
 
“Certo certo… In ogni caso, in pochi anni eravamo diventati proprio bravi per fare gli attori e travestirsi. Alcune volte facevamo finta di essere i figli di un garagista che si proponevano di rimettere in sesto le auto di qualche borghese e, quando tornava, vedeva la macchina nuova di zecca, ci pagava e se ne andava prima di rendersi conto troppo tardi gli mancavano alcuni pezzi di meccanica o di effetti personali che avevamo già rivenduto. Altre volte, l’uno faceva il ragazzino noioso che chiede domande inutile al magazziniere di strada mentre l’altro ne approfittava per prendere un po' di merce nelle tasche. Ma penso che il nostro colpo più grosso sia stato quando ci siamo truccati per distinguerci abbastanza da non fare vedere che eravamo fratelli, farcendo finta di litigare tra di noi come se eravamo di due villaggi rivali che insultavano l’un l’altro, con lo scopo di fare partire una vera e propria guerra di strade tra gli abitanti e, quando c’è stata abbastanza confusione, prendere tranquillamente oggetti di valore. Ehehe!”
 
-“Ma eravate dei veri criminali!” si offese Graulard, mentre i altri due erano piuttosto impressionati che dei bambini erano riuscito a causare un caos del genere.
 
-“Quando vivi nelle strade non pensi se quello che fai è bene o male” disse un po' più serio Jean-Luc “Fai quello che puoi per sopravvivere, anche se per questo devi rubare. Inoltre eravamo realmente degli orfani, non dei ladruncoli che non volevano trovare un lavoro onesto o degli zingari che sfruttano i più deboli per arricchirsi. In ogni caso, un giorno abbiamo fatto un spettacolo di strada, nel quale imitavamo le personalità più famose del momento o anche alcune persone del pubblico. Questo spettacolo era illegale, e infine pensavamo andarsene prima che arrivasse la polizia, ma invece fu il proprietario del teatro vicino che ci trovò e, impressionato dalla nostra performance nonostante eravamo giovani, ci propose di lavorare nella sua truppa. Ovviamente, degli talenti come noi sarebbero stati sprecati nelle strade, e con l’età non sarebbe stato più altrettanto facile manipolare la gente con le truffe, quindi abbiamo accettato questo lavoro più onesto e redditizio senza esitazione. Ma abbiamo conservato il titolo dei piccoli diavoli per ricordo dei bei tempi. E per quanto riguarda le nostre attività, erano molto varie: Prestigiazione” fecce facendo all’improvviso comparire una sigaretta dietro l’orecchio di Focult “Dissimulazione di oggetti vari, per lo spettacolo ovviamente” prosegui consegnando a Graulard un oggetto, il quale fu molto sorpreso quando si rese conto che era il proprio portafoglio, controllando freneticamente su di sé se non gli mancava qualcos’altro “E ovviamente la recitazione. Quest’ultima cosa è diventata la mia specialità: ormai sono capace di improvvisare un grande catalogo di personalità, e se osservo una persona per qualche ore, sono capace di imitarlo alla perfezione”.
 
-“Davvero?” decise di sfidare Focult “Provalo”.
 
A questo momento, accettando la sfida, Jean Luc inizio ad abbassare la schiena, fare finta di camminare zoppicando un vecchietto e, imitando alla perfezione i gesti e soprattutto la voce di Rochefort iniziò a dire “Prestate attenzione al piano! Giovanotti irrispettosi del sacrificio dei avi! Ahmed, brutto figlio di una cammello in turbano, cosa cacchio fai?!” dopo di che, Jean-Luc si rialzo, prese una postura più alta, ma più insicura e, riuscendo a imitare l’espressione faciale dell’algerino, iniziò a dire imitando la voce di quest’ultimo “Ma comandante, la riunione si è conclusa un’ora fa! Al contrario, è ora di pranzo quindi forse è tempo di…” E fù cosi che per qualche minuto Jean-Luc fece ridere i suoi compagni imitando un litigio tra il comandato e il maghrebino.
 
-“Ebbe, devo ammettere” disse Focult riprendendosi dalle risate “Se non fosse per l’aspetto, non c’è niente che ti distingue di loro due! Come fai a immitarli cosi perfettamente, perfino con la voce?!”
 
-“Te l’ho detto, mi sono specializzato nell’imitazione e l’usurpazione dell’identità. Già che ero bravo quando ero al teatro, il fatto che gli servizi segreti inglesi mi hanno allenato quando io e Jerome siamo scappati raggiungere la resistenza a Londra, mi ha perfezionato. Anche se ammetto che sarebbe ancora più impressionante se c’era un modo di prendere pure le somiglianze delle persone che imitò”
 
-“Ma dici che tu ti sei specializzato nell’imitazione, ma per Jerome?”
 
-“Ah, mio fratello” riprese Jean-Luc accendendosi un’altra sigarette “Anche lui è bravo nell’imitazione, ma finisce sempre col commettere un errore che lo tradisce, soprattutto quando è nervoso. Ma al contrario, è diventato molto bravo al lancio dei coltelli e nella manipolazione negli giochi. A proposito non giocate mai a carte con lui!”
 
-“Ma, posso fare una domanda personale?” chiese Tom “Parli del tuo fratello come di un bravo ragazzo, però non smettete di litigarvi quando siete l’uno accanto all’altro, e sembrava essere – scusami – uno nervoso in crisi”
 
-“Beh” rispose un po' perplesso Jean-Luc “E’ il mio unico parente e amico, siamo cresciuti insieme, non ci nascondiamo niente e siamo sempre stati complici, sempre qui per aiutarci a vicenda… Però a Londra mi sono dimostrato migliore, e dunque preferito mentre lui non smetteva di essere paragonato a me… Ma ci siamo litigato prima di tornare in Francia.”
 
-“Lasciami indovinare” ride Focult “Per una ragazza?”
 
-“Come hai fatto ad indovinare?” rispose Jean-Luc, sinceramente sorpreso
 
-“Beh, intuizione” fece Focult come se fosse normale.
 
-“Ebbeh, hai ragione” ride Jean-Luc, tirando fuori una foto di una giovane ragazza, vestita di un uniforme blu, con degli capelli neri e degli occhi blu simile ai suoi “Carol Graham, figlia di uno degli segretari dell’ambasciatore statunitense in Inghilterra, che era venuta a salutare il padre nonostante la guerra. Bella, intelligente, ma anche intraprendente, tipicamente il mio tipo!” spiegò con orgoglio l’ex attore di teatro.
 
-“Ma sembra ancora una ragazzina!” fece perplesso Graulard
 
-“In effetti ha solo sedici anni…” rispose Jean Luc con una voce inamorata, prima di notare che Graulard lo guardava con un aria seria “Ma non pensare che abbiamo fatto qualcosa di perverso! Lei è stata molto chiara di volere aspettare i diciott’anni prima di… vabbè hai capito… e mi sono accontentato di parlargli e di farla ballare. E ci siamo promessi di rivederci in America quando la Guerra sarà finita…”
 
-“Mi sa che dovrai aspettare per un bel po'” scherzò Tom “Purtroppo mi sa che questa guerra durerà un bel po'”
 
-“E vabbè, più l’amore è inaccessibile, più bello è!” fece molto romanticamente Jean-Luc, prima di distruggere la sua immagine di principe azzurro aggiungendo “E poi, così potrò divertirmi ancora un po' con altre damigelle, AHAHAHAHA” iniziò a scoppiare a ridere insieme agli altri. Dopo tutto, ricordiamo che eravano francesi e che, contrariamente allo stereotipo delle persone romantiche, essi sono la maggioranza degli egoistici che trattano le donne come degli oggetti.
 
-“Immagino che lei ti ha preferito a Jerome” chiese Focult tornando serio “so capisco perché era cosi nervoso. Pensi che si calmerà”
 
-“Certo!” rispose Jean-Luc “Certo, è stato molto frustrato, ma anche lui a delle ammiratrice, dopo tutto è seducente come me”
 
-“Normale, siete gemelli identici!” commentò Graulard
 
-“E comunque” proseguì indifferente Jean Luc “Lui e me abbiamo sempre fatto pace, dopo tutto siamo nel fondo inseparabili! E’ una piccola crisi che gli passerà. Dopo tutto, une de perdue, dix de trouvée![4] Anzi, dopo la missione dite a Rochefort che lui ha fatto un ottimo lavoro, anche se non sarà necessariamente vero, in modo di fargli risalire l’auto stima” chiese l’ex-attore con una sincera voglia di sostenere il fratello nonostante il conflitto con quest’ultimo.
 
-“Contaci” fece Focult con il pollice alzato e con grande sorriso “Se possa fare sentire meglio il tuo fratello e aiutarvi a fare pace!”
 
-“Comunque, non è per cattiveria, ma siamo arrivati proprio nell’albergo dove tu e tuo fratello dormite, e comincia a farsi troppo tardi. Perfino io non ho il diritto di rimanere troppo tempo dopo il copri-fuoco. Quindi ci salutiamo cui” fece Graulard quando furono arrivati di fronte a un albergo. Il poliziotto, l’ebreo e l’elettricista che era sfuggito di casa salutarono l’ex-attore di teatro, il quale entro in quest’edificio settecentesco dopo avere buttato la sua sigaretta all’entrata, e se ne andò nella sua camera, dove Jerome era già sdraiato sul letto a leggere il giornale.
 
-“Lascia perdere questo pezzo di carte, tanto lo sai che è solo un accumulo di propaganda pro-tedesca” fece Jean-Luc mentre si svesti e andò alla toilette per lavarsi i denti e le ascelle.
 
-“E’ impossibile trovare un libro decente, e ovviamente non c’è niente alla radio che gli discordi di Adolf, quindi fammi un piacere e lasciami godere il poco che ho a disposizione!” rispose nervoso Jerome
 
-“Ascolta fratello” disse con una voce seria Jean-Luc, con la voglia di risolvere il conflitto “Lo so che sei arrabbiato contro di me, e posso capirlo, ma non voglio litigarmi con te. Dai, smettila di farmi il muso lungo per una storiella allora che abbiamo vissuto molto peggio insieme!”
 
-“Ascoltami Jeanlu” rispose Jerome usando il soprannome che solo lui usava per chiamare il fratello, con una voce particolarmente infastidita “Non te lo nascondo, sono particolarmente arrabbiato per via di Carol, ma so che sei il mio fratello e che sarai sempre cui per me. Quindi lasciami solo un po' di tempo per digerire la faccenda, okay?” finì per dire prima di buttare il giornale a terra e di girarsi per addormentarsi, chiudendo la conversazione.
 
Jean-Luc rimase un po' deluso. Egli sperava di potere risolvere la faccenda una volta per tutta la sera stessa. Ma il fatto che il suo fratello gli confessò apertamente il suo risentimento ma allo stesso tempo gli confermava il loro profondo legame lo confortò sulla speranza di potere fare pace più tardi. Fu con questo sentimento preoccupato ma con un po' di speranza che Jean-Luc finì di lavarsi e andò al letto.
Qualche giorno dopo, come previsto, Jean-Luc, Jerome, Focult e Ahmed andarono a trovare Graulard al luogo di appuntamento. I due gemelli portavano uniformi di SS, ma Jean-Luc si era messo falsi baffi e si era truccato leggermente il viso per non somigliare al fratello e aveva un uniforme di caporale mentre l’altro quello di un semplice soldato, mentre gli altri due portavano una divisa del reparto degli volontari francesi.
 
-“Allora, hai ottenuto l’autorizzazione di prendere una nave sul Reno?” chiese Focult al poliziotto.
 
-“Si” rispose l’interessato con grande orgoglio, mostrando il detto documento “Firmato dal commissario principale. Però dobbiamo sbrigarsi e farci discreti, visto l’importanza della venuta di Himler i boches potrebbero farci un controllo e bloccarsi.”.
 
Il gruppo si sbrigò allora a camminare verso l’uno dei canali della città, di quelli non troppo lontani dal fiume principale sul quale dovevano andare ma che non era immediatamente collegato ad esso. Li, come previsto da Rochefort e Graulard, trovarono una piccola nave di polizia, provista di una cabina con una piccola radio e di un proiettore per illuminare una zona. Al grande dispiacere del gruppo, però, fu il fatto che la bandiera tricolore era stata rimpiazzata da una bandiera del partito nazista. Mentre salirono dentro la nave e che Focult aprì la borsa che conteneva tutto il materiale per la missione, tra cui le pinze che avrebbe usato per tagliare i fili della corrente o le varie parte del fucile da cecchino di Ahmed, sentirono un imperativo “HALT! KOZA CI FATTE CUI!” provenire dalla strada.
 
-“Merde!” sussurrò Focult provando a nascondere tutto il prima possibile “Cosa facciamo?!”
 
-“Ho il documento!” provo a calmare Graulard prima di uscire “Normalmente se gli lo mostro dovrebbero lasciarsi in pace senza problemi!”
 
-“E se non funziona?!” chiese in panico Ahmed “O se decisero di comunque fare un’ispezione?!”
 
-“Lasciatemi fare” fece con fiducia Jerome, uscendo per raggiungere Graulard mentre il suo fratello lo guardava con diffidenza. Come temuto, il poliziotto obeso sembrava avere difficoltà a gestire i due soldati tedeschi della Wermacht che lo stavano controllando.
 
-“Ma se vi dico che è il vostro comandante che ha autorizzato questo pomeriggio il commissario a mandarci in rinforzo sul Reno per la sicurezza della delegazione del signore Himler!” provo a giustificare in sudore il poliziotto indicando con frenesia le firme e lo stampo ufficiali sul documento.
 
-“Die Kommandante non c’hai fatto zapere niente ma c’ha khiesto di kontrollare alles perzonen vicino fiume! Inoltre perkhe khiedere aiuto a voi fransen incapaci e pigri di partecipare a mizure di zicurezza kuando c’è gia ein regimento pronto?!” fece molto scettico l’uno dei soldati con una voce tipicamente arrabbiata dei tedeschi mentre il suo compagno guardava la lettera.
 
-“Il dokumento di grozzo fransen ridikolo zembra autentiko” fini per dire l’altro “Aber[5] non mi konvince il fatto khe non abbiamo avuto aggiornamenti zulle truppe adatti alla zicurezza… Andiamo kontrollare la nave e i pazzegieri”
 
-“Si può zapere kosa succede cui?!” fece Jerome comparendo in scena, provando a parlare con un accento tedesco abbastanza maldestro e provando a fingere di essere arrabbiato, conscio che gli SS avevano la superiorità sull’esercito di base nella gerarchia del terzo Reich. “Dobbiamo ezzere in zona di sicurezza tra fünfzehn[6] minuten!”
 
-“Ma guarda ein po'” fece con una voce provocatoria il primo degli soldati della Wermarcht “Ein degli SS, zembri kui per fare i prezentuozi e farzi belli, aber mai zul kampo di battaglia in eerst linea!”, finì per insultare il detto soldato, dimostrando che, nonostante la propaganda del regime di “tutti i popoli germanici uniti e solidali”, c’erano delle tensione e delle animosità tra i vari gruppi militari
 
-“Kome osi parlarmi zu kuesto tono!” si offese Jerome, il quale, sentendo che le cose potevano peggiorare, inizio a toccare il pugnale che aveva nascosto nella sua tasca.
 
-“Ich parlo kome voglio!” si arrabbiò nuovamente il soldato tedesco “Khi penzi ezzere?! Die general di kuesta mizzione?! Zei forze ein SS, ma non mi zembri ezzere ein vere zoldaten!”
 
-“Ja!” aggiunse l’altro “Per komminciare, da kuale regimento vieni?! Dove eri ztazionato prima?!” iniziò ad interrogare il secondo vero soldato tedesco, mentre Jerome iniziava a perdere fiducia: sperava di impressionarli e farli muovere, e al contrario ecco che quest’ultimi stavano per avviare un interrogatorio per il quale non era preparato. L’infiltrato, notando che i due soldati stavano per avvicinarsi a lui, era sul punto di tirare fuori il suo pugnale, con l’intento di lanciarlo nella trachea di uno dei tedeschi, quando il suo fratello Jean-Luc arrivò dietro di lui schiaffeggiandolo sulla testa come un padre che punisce il figlio.
 
-“Bleib in den Reihen, Soldat! Sie sind doch nur ein Kadett!” brontolò Jean-Luc prima di ridargli un schiaffo quando il suo fratello provò a protestare “Entschuldigen Sie den unverschämten Ton meines Untergebenen, es ist immer noch ein Kind, das noch Respekt und Disziplin lernen muss! Auf jeden Fall bin ich Leutnant Hans Vonskhaft, was kann ich für Sie tun?”[7]
 
-“Dieser französische Idiot gibt vor, die Erlaubnis zu haben, ein Boot zu nehmen und die Sicherheit auf dem Rhein zu gewährleisten. Aber wir wurden nicht von unseren Vorgesetzten gewarnt und Ihr zweiter Schurke dachte, wir könnten uns beleidigen! Wenn Sie SS, Sie waren die Elite, wir ...”[8] iniziò a parlare il primo degli soldati, prima di essere interrotto da Jean-Luc
 
-“Für meinen Untergebenen entschuldige ich mich noch einmal. Es ist wahr, dass es unter uns SS-Leuten zu viele Inkompetenzen gibt, die unseren Ruf verschlechtern, wenn wir in Wirklichkeit nur ein weiterer bewaffneter Zweig sind, der der Wermacht gleichkommt. Was für eine Schande, dass der Respekt vor Gefährten nicht mehr von dieser Welt ist! In Bezug auf die Genehmigung hat Ihr Vorgesetzter, Sergeant Von Drick, möglicherweise vergessen, es Ihnen mitzuteilen. Ich habe gehört, dass er aus Dresden kommt, und ich weiß, dass sie dort draußen ziemlich faul sind. Plus, es ist eine Last-Minute-Entscheidung, also ist es wahrscheinlich”.[9]
 
-“ Es ist wahr, dass die in Dresden eher faul sind ...”[10] si lasciò scappare il secondo soldato
 
-“Zu wem Sie sagen, ich komme aus Munchen und ich garantiere Ihnen, dass Disziplin und Pünktlichkeit Teil des Alltags sind!”[11] rispose Jean-Luc, mentre Graulard e Jerome lo guardavano perplesso, il primo non capendo cosa stava dicendo e il secondo ansioso dall’audace del fratello.
 
-“ Kommen Sie aus Munchen? Was für ein Zufall, wir auch!”[12] fece interessato il primo soldato, che sembro calmarsi
 
-“ Ja, und ich muss sagen, dass ich in diesem Moment lieber vor dem Propileo spazieren gehe, als in dieser von den Franzosen beschmutzten, dreckigen Stadt zu bleiben!”[13]
 
-“ Wen sagst du? Nicht, dass ich mich über unsere Leistungen beschwere, aber wir haben so viele schöne Dinge im Land, dass ich manchmal nicht verstehe, warum wir Länder ohne Interesse wie Frankreich erobern müssen! "”[14]
 
E fu cosi, che, di fronte agli occhi sbalorditi di Graulard e Jerome, che “Hans Vonskhaft” e i due soldati tedeschi iniziarono a parlare tra di loro nella lingua di Goethe per ben venti minuti, prima di iniziare a ridere insieme come se fossero un gruppo di amici di lunga data..
 
-“Beh, kommandante Vonskhaft, die is la eerste volta khe inkontro un SS khe zia zimpatico e niet ein falunone burokratico!” fini per dire l’uno dei soldati guardando nuovamente il documento con le firme “E infatti, adezzo ho la prova konkreta khe die dokumento is autentiko. Zcuzateci delle noztre…maniere… ma dobbiamo ezzere zicuro khe non ci ziano problemi o rizchi per die zicurezza di Himler!”
 
-“Nezzuno problema!” rispose sorridente Jean-Luc “Anzi, Ich zono kontento di vedere khe la Wermacht produce eccelenti e attenti zoldaten! Zono zikuro khe grazie a voi e ai voztri kompagni di regimento la zicurezza del grande Himler è guarantita!”
 
-“Ci fa molto piacere!” fece con orgoglio il secondo soldato, prima che lui e il suo compagno iniziassero ad andarsene “Vi abbiamo già fatto verlossen troppo tempo, vi auguro buona ozzervazione del Reno e ein buona mizzione! Heil Hitler!” fecero entrambi i soldati tedeschi con il saluto nazista con esaltazione, imitati dalla perfezione da Jean-Luc e da Jerome e Graulard, anche se questi ultimi due ci misero meno entusiasmo e convinzione. Quando i due tedeschi furono partiti e che il trio tornò alla nave, però, Jean-Luc si arrabbiò contro il suo fratello.
 
-“Si può sapere cosa ti eri venuto in mente?! Andare a provocare inutilmente l’avversario è l’errore peggiore per farci saltare la copertura! E’ un errore indegno per la formazione che abbiamo avuto!”
 
-“Vabbè, ho commesso un errorino!” rispose nervosamente Jerome “Al peggio ci sarebbero stati due tedeschi in meno a vivere stanotte!”
 
-“E anche noi cretino!” s’innervosì Jean-Luc “D’ora in poi, mi occupo solo io di parlare e di imitare!”
 
-“Ma io sono bravo quanto te!”
 
-“Si è visto quanto sei bravo! Senza offesa, io voglio vivere oltre questa maledetta guerra e godermi la vecchiaia con una dona, e se vogliamo sopravvivere d’ora in avanti starai zitto!”
 
-“Ma Jean-Luc” iniziò a parlare Graulard, provando a trovare un pretesto per interrompere il litigio tra i gemelli “cosa hai detto a questi tedeschi per calmargli e lasciarsi andare?”
 
-“Oh questo” rispose Jean-Luc interrompendo la discussione con Jerome “Contrariamente a quello che dice Hitler, i tedeschi non si considerano uguali, e ci sono ancora vive tensioni e rivalità tra le varie provincie. Questi cui venivano da Monaco di Baviere, ho riconosciuto il loro accento e l’ho imitato per fargli credere che ero della stessa zona e, da una bugia all’altra nel senso del pelo, ho stabilito una relazione di rispetto che mi ha permesso di convincerli a lasciarsi in pace… Inoltre il fatto che ho rimesso il mio “subordinato”” fece guardando con rabbia Jerome “a posto suo ha aiutato la mia recitazione”
 
-“Ebbe, devo dire che sei stato in gamba!” complimento Focult aiutandoli ad entrare nella nave mentre Ahmed inizio ad accendere i motore e che Graulard prese i comandi per portarli sul Reno “Per un attimo ho pensato davvero che eri un SS! Ma, se permetti, anchio vorrei impressionarti!” fini col dire l’elettricista dando a Jean-Luc una specie di radio modificata alla quale era stato aggiunto una specie di nastro da film e di mini-calcolatrice.
 
-“Ehm…che cose questa roba?” chiesero scettici Jean-Luc e Jerome
 
-“Non ancora trovato un nome” fece un po' nervoso Focult “Ma è una mia piccola invenzione. Praticamente ho inserito dentro la radio un piccolo dispositivo elettrico-magnetico a rotatoria invertita che emette frequenze abbastanza basse per non essere audibile, ma al contempo abbastanza regolare e sostenuto per interrompere altre frequenze e corrente alternative. In poche parole, basta che lo metti su un apparecchio qualsiasi che funziona all’elettricità o che usa una forma di generazione di energia statica, e che premi questo pulsante e pouf! L’apparecchio sul quale l’hai messo sarà irrimediabilmente danneggiato e rotto in un arco di un minuto a cinque minuti, a seconda della dimensione e dell’energia.  Te la do so perché sembra che l’arma che Himler vuole vedere funziona appunto con un principio di generatore di energia statica con una corrente regolare e che potrebbe tornarti utile per romperla!”
 
-“Non ho capito tutti i dettagli…” fece perplesso Jean-Luc, nascondendo comunque l’apparecchio dentro la sua giacca “Magari se lo apro e che vedo il meccanismo capirò meglio come funziona…ma nel frattempo se mi dici che funzionerà per mettere fuori uso questa arma, allora ti ringrazio!”
 
-“Ed è la tua unica invenzione?” disse con scetticismo e una dose d’insulto Jerome “Non è che per caso hai inventato anche un apparecchio per prendere le somiglianze altrui? Un orologio per rendere invisibile o, meglio, per fare fingere la propria morte?! Chiedo perché potrebbe aiutarci!”
 
-“Ehm, non lo so se questo cose sono fattibile… o piuttosto penso che lo siano ma non ci posso lavorare con i pochi mezzi che ho a disposizione. Comunque, Jean-Luc” riprese Focult concentrandosi sul fratello che non lo prendeva in giro “Se vuoi, dopo la missione, ti mostro i piani di questa piccola radio, li ho nascosti nell’esemplare della Bibbia che ho sotto il mio letto.”
 
-“Beh, sarebbe interessante come festeggiamento!” finì per ridere Jean-Luc “Quando avremmo fatto fuori Himmler e che avremmo sconfitto l’invasore, andremmo tutti nel mio villaggio natale presso le Pirenei e berremo il vino catalano locale!”
 
-“Non avevi detto che tu e Jerome eravate originari di Lille presso il Belgio?” chiese perplesso Ahmed.
 
-“No, ci siamo cresciuti li, ma preferiamo tenere la maggioranza delle nostre avventure d’infanzia private” rispose annoiato Jerome.
 
 Inizio una piccola discussione tra i veri membri dell’equipaggio per circa un’ora, sull’organizzazione delle operazioni con Tom e il Comandante Rochefort tramite radio e sulla fama che avrebbero avuto con l’uccisione del secondo del regime nazista, finché Graulard informò tutti che erano arrivati in posizione e che dovevano muoversi. Lasciando da solo il poliziotto con l’unica compagnia della radio, Jerome, Ahmed, Focult e Jean-Luc presero una piccola e discreta imbarcazione e navigarono per mezz’ora sulla costa est del fiume. Una volta arrivati, Ahmed e Focult si allontanarono, ricordando che avrebbero fatto saltare le luce il tempo necessario per permettere a Jean-Luc di fare fuori l’arma e che avrebbero coperto la sua posizione.
 
-“Rimani lì come convenuto” fece allora con sincera preoccupazione Jean-Luc al suo fratello “Se senti un rumore strano o che avverti un pericolo, e che non mi vedi o i altri, corri verso Graulard e lascia subito la città.”
 
-“Jean-Luc” interrompo allora Jerome, visibilmente colpito e con un aria di tristezza, mentre il suo fratello stava per partire “Sii prudente, non vorrei che ti succedesse qualcosa”
 
-“Merci” fece allora Jean-Luc, contento di almeno avere potuto fare pace con il suo gemello prima di questa missione che, nonostante le apparenze, lo terrificava, visto che il singolo errore significherebbe la morte. Prendendo il suo coraggio a due mani, Jean-Luc, o piuttosto Vonskhaft si recò verso il luogo dove Himmler e gli ufficiali nazisti si trovarono. Il posto fu piuttosto facile da trovare, non solo perché egli aveva studiata la mappa, ma perché era l’unica fattoria per vari chilometri ad essere illuminata da fari di auto, di proiettore ed essere riempita di una cinquantina di soldati tedeschi. Prima di infiltrarsi, Jean-Luc osservo attorno a lui e studio la situazione. Da lontano, riuscì a percepire da lontano Ahmed e Focult che, discretamente, andarono vicino a l’uno dei piloni elettrici della zona. Non vide ancora Himmler, dopo tutto quest’ultimo sarebbe sicuramente arrivato all’ultimo momento per la propria sicurezza, pero vide degli soldati portare dentro quello che sembrava essere il mulino una grande cassa.
 
-“Sicuramente è questa l’arma” sussurrò a se stesso Jean-Luc prima di farsi coraggio e di avvicinarsi al campo. Ovviamente, non poteva né sperare entrare senza farsi vedere, visto che la zona era abbastanza ristretta, né andare lì come se niente fosse. Per questo motivo si avvicinò dal lato più agitato della fattoria, dove i soldati sembravano sbrigare a mettere apposto varie casse o a preparare le telecamere per mandarne le registrazioni a Hitler e dove, dunque, erano piuttosto distratti. Jean-Luc, nascondendosi dietro un albero a pochi metri, analizzò la situazione, e dopo avere notato che i pochi tedeschi presenti erano tutti degli SS senza grado e che erano vicini a un camion, il francese afferrò una pietra che lanciò con grande precisione sulla lampada sopra le telecamere, con un doppio scoppio: quello di dare il segnale convenuto con Focult che tra esattamente un minuto e mezzo quest’ultimo doveva spegnere la corrente, e d’altro canto potere entrare nel campo. Quando la pietra tocco la lampada, quest’ultima esplodò lascendo cadere delle piccole fiamme sulle telecamere
 
-“Scheiße!” inizio a urlare terrificato un tedesco mentre il gruppo corse verso le telecamere “Ich hoffe die Kameras sind nicht kaputt! Ansonsten sind wir in der Scheiße!”[15]
 
*Ehehe esattamente quello che volevo* risse Jean-Luc prima di uscire dal suo nascondino e dirigersi proprio verso gli individui che aveva distratto, imitando alla perfezione un comandante sugli nervi.
 
-“ Was ist das für ein Zirkus? Sie können nicht auf das Material achten?! Es ist das Reichssicherheitshauptamt Himmler, das wir erhalten, wir sind nicht da, um eine Partei der Inkompetenz vorzubereiten!”[16] iniziò ad urlare Jean-Luc
 
-Vergib uns, Commander! Wir wissen nicht was passiert ist!”[17] rispose preoccupatissimo uno degli soldati mentre lui e gli altri guardarano alle telecamere, senza fare troppo caso a Jean-Luc e dunque senza notare che questo commandante non gli era familiare.
 
-“ Dieses Mal schließe ich ein Auge, aber wenn es noch einmal passiert, ergreife ich die entsprechenden Maßnahmen! Heil Hitler!!”[18] si sbrigo allora di dire Jean-Luc, mentre fini con l’entrare nel campo senza avere passato sotto controllo, mentre i soldati si accontentarono di rispondere con il saluto nazista. *Fino ad so tutto è andata liscio, c’è la puoi fare* penso Jean-Luc, mentre si avvicinò lentamente verso il mulino, mischiandosi agli altri SS e facendo finta di fare gli controlli di sicurezza. Quando arrivo a destinazione, la quale era ovviamente sorvegliata da uomini armati, Jean-Luc aspettò tranquillamente, facendo finta di niente, che Focult causasse il Black out. E quando le luci scomparvero come previsto, e che gli soldati tedeschi furono improvvisamente immersi nell’oscurità totale ed entrarono in stato di allerta, urlandosi a vicenda cosa fosse successo, il francese uso della sua voce tedesca per ordinare agli uomini di andare subito controllare fuori dal campo. Quando quest’ultimi, ubbidendo senza pensare che in questo modo lasciavano in mulino incustodito, se ne furono andate, Jean-Luc entrò e, assicurandosi di non essere visto, chiuse la porta dietro di sé. Accendendo un po' di luce con il suo accendino, egli salì le scale con grande prudenza ma senza perdere tempo, fino a trovare la grande cassa che aveva visto i altri portare. Senza perdere tempo, il francese aprì la detta scatola e ci vide questo famoso prototipo, il quale lo sorprese tanto. Si aspettava a vedere varie parte di un oggetto di grande dimensione, una forma di razzo o perfino una specie di costume anti gas. Al contrario, egli vide una specie di mini-canone, da prendere a due mani come un fucile, connesso a un apparecchio elettronico a sua volta composto da strumenti di misure, in tedesco ovviamente. Nonostante non era quello che si aspettava, Jean-Luc vide i documenti del prototipo e se li mise in tasca, dopo di che, visto che era ovvio che non sarebbe riuscito a portarlo via senza farsi notare, decise di usare lo strano apparecchio di Focult. Ma al momento che stava per attivarlo…
 
-“Heil Herr Jean-Luc” disse con un forte accento tedesco un uomo dietro il francese. Quest’ultimo, colto alla sprovvista, si girò sorpreso, prima di reagire, e diventò pallido quando vide che l’uomo a parlargli, completamente vestito di un uniforme nero e rosso di SS, era Himmler in persona! “Devo dire herr Jean-Luc khe ero kurioso di vedere kome zareste entrato in kuesto mulino. Devo dire khe lei è stato bravo a distrarre le mie guardie. Zi vede khe gli inglezi l’hanno allenato bene. Ma ich bin il kapo della Gestapo, o piuttosto GeheimStaat Polizei, i zervizi zegreti del fuhrer, e khe ho molto più ezperienza nel zettore khe i servi del re d’Inghilterra…Adezzo” disse tirando una pistola mentre un gruppo di uomini entrarono all’improvviso nel mulino e puntarono le loro arme su Jean-Luc “Datemi i dokumenti e zcendiamo, vorrei mostrargli kualkosa…”.
 
Di solito, Jean-Luc avrebbe resistito, o avrebbe addirittura provato a scappare saltando dalla finestra, ma era conscio che aveva più probabilità a scappare se aspettava un momento più opportuno, e soprattutto contava su Ahmed per tirarlo fuori da questa situazione, quindi si lascio ammanettare e trascinare fuori, senza dire una sola parole.
 
-“Zilenzioso?” provocò Himmler una volta che furono di nuovo fuori “Ztrano, di zolito voi francezi non smettete di parlare fino a rompre i timpani… o forze kuello khe zi dice ist vero: franceze di fronte alla sua vizione del mondo prezentuoso e zicuro di ze; di fronte alla realtà deprezzo e buon a nulla?”
 
-*Ahmed, stupido cecchino inutile, cosa aspetti?!* pensò arrabbiato Jean-Luc, reso nervoso dalla situazione e iniziando a vederla brutta.
 
-“O forze… ti ztai khiedendo kome ho fatto a kapire il tuo piano… o piuttosto il VOZTRO piano!” fece Himmler il quale, con un schiocco di dita, diede l’ordine ai suoi uomini di portare altri tre individui, i quali causarono un grande stress e un grande sentimento di disperazione a Jean-Luc.
 
-“Ci dispiace Jean-Luc, ci hanno preso” fece disperato Ahmed, anche lui ammanettato mentre venne trascinato.
 
-“C’è stato un traditore!” urlò arrabbiato Focult, anche lui prigioniero mentre tentava in vano di liberarsi
 
-“Lasciatemi, furfanti boches che non siete altri!” si mise allora ad urlare con rabbia niente di meno che il Comandante Rochefort. Visibilmente i nazisti erano riuscito a venire a conoscenza della sua esistenza e del suo nascondiglio. Purtroppo, la dichiarazione di Focult si rivelava vera: solo tramite una spia Himmler poteva avere sia previsto il piano della resistenza sia arrestare il suo comandante.
 
-“Beh, forze c’è ein traditore, o forze no…khi sa? In ogni cazo. Ich bin Kontento khe ziate kui”
 
-“Perché? Hai bisogno di noi francesi per cucinarti qualcosa di commestibile?!” provocò Focult
 
-“Eesrt.” Cominciò a fare Himmler mentre i soldati li portarono il prototipo del fucile che Jean-Luc aveva scoperto. “La voztra cucina è troppo zopravalutata. Davvero, non lo diko perkhe sono ein fanatiko della cucina germanika, ma proprio da un punto di vizta perfettamente obbiettivo: Andate ovunque, in Belgie, in Italien, perfino in Ruzzia, e vedrete khe ci mangia meglio e a migliore prezzo khe delle zemplici baguette kon rane dentro. Zwei, zono kontento khe ziete li perkhe ho bizogno di kavie per kuesta belezza.” Fini col dire mentre un soldato prese e miro in direzione di Ahmed e Focult, Rochefort essendo stato spostato accanto a Jean-Luc il quale, nonostante il suo panico, iniziò discretamente a sfatare il bottone della sua manica per tirare un ago con il quale sperava scassare il meccanismo delle manette. Visto che gli tedeschi e Himmler stesso erano presi dalla preparazione dell’arma, era abbastanza sicuro che c’è l’avrebbe fatto, ma purtroppo già aveva capito che non avrebbe avuto abbastanza tempo per reagire se Himmler avesse preso la decisione di agire subito.
Come quest’ultimo fece quando iniziò a mostrare l’arma che il suo subalterno puntava su Ahmed e Focult.
 
-“Vedete, avevamo ein skuadra dedicata a trovare di rendere i noztri mannen più reziztenzi, più forti e quazi invicibili. Però c’era ein problema khe non riuscivamo a rizolvere: il fatto khe i kuori noztri sogetti di tezto non reggevano i vari zperimenti. Per ein momento, abbiamo avuto ein promettente dottore khe era zul punto di rizolvere die problema, ma era troppo…zenzibile, e ci ha lazciato zenza niente dopo zuo tradimento. Ma, ze non ziamo riuzciti a raggiungere il noztro originalen obbiettivo, ma kuello khe il noztro dottore non ha distrutto zi è rivelato kommunque interezzante: La pikkola meraviglia khe vedete è kapace di zparare ein condenzato energetico su un’arko di venti metri, zenza che ezzo pozza ezzere dettetato ne oztakolato da muri. Ze ezpozti per cirka…trenta sekondi… beh, vedete pure!” fini per fare Himmler ordinando all’uomo di sparare. Quest’ultimo, con un sorriso sadico, sparo allora un raggio rosso scuro in direzione dei due poveri che mirava. Quest’ultimi all’inizio non reagirono, e anzi iniziarono a provocare i nazisti, ma dopo circa dieci secondi iniziarono a mostrare segni di dolore, mentre diventavano sempre più pallidi. A venti secondi erano bianchi come la morte, con solo le vene verde scure dei loro corpi che iniziavano a comparire e iniziarono a sputare dalla bocca litri di sangue mentre erano presi da convulsioni. A trenta secondi precisi, per il più grande orrore del comandante e di Jean-Luc, e il più grande godimento degli nazisti, il loro petto esplosero, proprio al livello del cuore.
 
-“Mostri! Non ve la caverete facilmente!” iniziò a vociferare Rochefort, mentre tentò di alzarsi e di dare un colpo di testa a Himmler prima di essere afferrato da un SS.
 
-“In realtà: Vizto khe abbiamo noi le karte in mano, penzo khe ziete voi khe non potrete kavalkarvela. Kuezto ist solo ein prototipo, funzionante su maximum kuindici personen alla volta. Ma penzate kuando l’avremmo migliorato in ein kanonenen di grande dimenzione il vantaggio khe avremmo: Né le maskere antigaz, né l’altezza degli aeri o il metallo degli carri armati potrà proteggervi da kuezta morte poko gradevole. Non riuzirete neanke più di avvicinarvi alle nostre baze zenza rizchiare la zemplice diztruzione intera dei voztri regimenti in zolo kualkhe zekondi…Però, non zono ein moztro, e ho rizparmiato lei e kuezto tuo infiltrato, kommandante, kon la zperanza khe potete evitarmi di zporcarmi le mani. Ditemi tutto kuello khe zapete zugli voztri kompagni della reziztenza e zugli piani dei alleati a Londra, e konvincerò il fuhrer di non zterminare tutta la voztra popolazione civile.” Fini col minaciare Himmler.
 
Il comandante Rochefort sembrò completamente distrutto e sotto shock, impallidito dalla visione orribile di vedere in diretto la morte orribile di due dei suoi uomini e di fronte all’idea che centinaia di civili potrebbero, nel corso dei prossimi mesi, subire la stessa sorte. Dopo qualche minuto di silenzio, durante le quali il comandante sembrò riflettere, quest’ultimo guardo Jean-Luc. Il loro sguardo poteva sembrare essere un semplice sguardo, ma in realtà era più che questo. Vedendo gli occhi pieni di lacrime ma anche di rabbia di Rochefort, Jean-Luc capì esattamente quello che il suo superiore avevano in mente, e, approvando con un segno di testa e assicurandosi di avere rotto le manette, aspettò la mossa di Rochefort.
 
-“Caro Himmler…” rispose con la massima calma che poteva avere in questa circostanza “Lei è abbastanza famoso per la sua perspicacità, il suo formidabile tempo di reazione e le sue competenze che non sono più da dimostrare. C’è perfino qualcuno che dice è lei il vero genio del nuovo Reich.”
 
-“Danke per i komplimenti” fece indifferente il capo della Gestapo “Ma non mi avete risposto, siete disposto a rivelarmi i voztri zekreti, o vogliamo prozeguire nelle… mie “ztanze”?” fini col dire facendo segno a l’uno dei suoi uomini di afferrare Rochefort e di portarlo direttamente ai suoi piedi dove gli diede ben dieci schiaffi con il suo guanto di cuoio nero.
 
-“Eheh…” fece allora Rocherfort quando lo rialzarono per metterlo nuovamente all’altezza del secondo di Hilter “In realtà, quando parlavo… ero sarcastico… nonostante le sue qualità per osservare i altri a distanza, sembra che siete abbastanza cieco quando si tratta di guardare quello che succede sotto il proprio naso!”
 
Himmler, confuso, non ebbe il tempo di reagire che il comandante francese afferrò la sua giacca da SS con la sua mano destra, rivelando che anche lui era riuscito a sfatare il meccanismo delle manette, e mostrando che nella mano sinistra aveva una granata attivata e pronta per esplodere. I nazisti, di solito, erano molto reattivi e pronti ad intervenire subito, ma visto che già erano sbalorditi dal cambiamento di situazione, ma anche dal fatto che non sapevano da quanto tempo esattamente il loro prigionieri aveva attivato la granata che poteva esplodere a qualsiasi momento, tutti iniziarono a scappare senza preoccuparsi dei compagni e ancora meno dei prigionieri. Himmler stesso, quando si rese conto che il suo subalterno che manteneva il prigioniero fermo, tento di liberarsi dalla prese ma, di fronte alla forza del pugno di Rochefort, decise semplicemente di lasciarli la sua giacca e di darsi alla fuga come i altri, prima di girarsi spaventato, ricordandosi che nel suo vestito appena abbandonato aveva lasciato i documenti e l’apparecchio che aveva appena confiscato a Jean-Luc. Non ebbe il tempo di urlare un ordine che vide lo stesso comandante buttarsi proprio sul prototipo dell’arma prima di esplodere in una grande deflagrazione. Una volta l’onda dell’esplosione passata, Himmler si rialzò precipitosamente e corse dritto verso quello che rimaneva del corpo carbonizzato di Rochefort, cercando disperatamente la sua giaca. Che non trovò. Gli furono necessario ben tre minuti prima di rendersi conto che non c’era nessuna traccia né del suo vestito…né dell’altro prigioniero, e di capire cosa fosse accaduto prima di urlare ordini a destra e a sinistra.
Nel frattempo, Jean-Luc stava correndo disperatamente verso il Reno, tenendo in mano i documenti e l’apparecchio di Focult non utilizzato che aveva ricuperato nella giacca che Rochefort aveva avuto il tempo di lanciarli prima di farsi esplodere con il prototipo. La missione era un completo disastro: tre dei membri del gruppo, tra cui il capo, erano morti. Graulard, Tom o qualcun altro era un traditore che poteva colpire nuovamente, e lo stesso Jean-Luc, anche se so stava sfuggendo per la sua vita, era stato traumatizzato da quello che aveva visto. Nonostante tutto, tutto non era andato perso: L’arma nazista era stata messa fuori servizio e quello che sembravano gli ultimi piani scritti di questo prototipo era ormai nelle sue mano. Quando sentì il rumore degli soldati tedeschi e dei loro cani, egli si mise a correre con ancora più sforzo di disperazione e, quando arrivo alla costa dove Jerome doveva normalmente aspettarlo e che vide che il suo fratello non c’era ma che al contrario le luce degli tedeschi, non esitò a buttarsi nell’acqua ormai gelida, proteggendo solo i documenti mantenendoli in superficie, e stancandosi ancora di più a nuotare senza sosta fino ad arrivare alla nave dopo circa venti minute. Li, quando riuscì a salire a bordo, non ebbe neanche il tempo di riprendere il suo fiato e di riassumere quello che gli era appena successo nella sua testa né di ordinare la fuga che vide il suo fratello era steso sul banco, provando a malapena a reggersi in piedi mantenendo la mano su una ferita grave sul petto.
 
-“Jerome! Cazzo ti è successo?!” fece allora spaventato Jean-Luc che lasciò cadere i documenti a terra nonostante il suo sforzo per conservarli, terrificato all’idea di vedere il suo fratello in questo stato. Quest’ultimo, visibilmente molto addolorato, riuscì a malapena a dire “Gro…Graulard…”
 
Jean-Luc allora fulminò e, preso da una rabbia incontrollabile, entro nella sala di commando, convinto ormai che il traditore era lo poliziotto, che visibilmente aveva comunicato il loro piano ad Himmler, ma anche ad avere ferito l’amato fratello. Jean-Luc buttò giù la porta e urlando “Graulard! Brutto figlio di una mignota che non sei altro, so ti faccio…”
 
E li, tutto divenne confuso: Jean-Luc vide Graulard, ma non pronto a combattere o a sfuggire, ma steso a terra, morto, sdraiato nel proprio sangue, mentre dalla radio la voce di Tom chiedeva disperatamente quello che era successo. Dopo di che, un colpo di sparo e un fortissimo dolore alla schiena, e fu lo stesso Jean-Luc a crollare a terra.
 
Nel resto del suo sogno, la Spia era tormentata, vedendo con una velocità assurda tutti gli flash-back i peggiori momenti della sua vita: questa sera appena descritto, come lui, che somigliava a Jean-Luc e Jerome con vent’anni in più, sprofondò nell’acqua ghiacciale del reno, sul fatto che venne fatto prigioniero e torturato prima di miracolosamente scappare e di vivere come un senza tetto in pieno inverno… ma al di là di questa notte, la Spia si ricordò del suo altro peggiore giorno, quando vide il suo appartamento bruciare con quella che sembrava essere sua moglie e un neonato all’interno. L’incendio era avvenuto vent’anni fa, dieci anni dopo la fine della guerra, ma Spia si ricordo perfettamente di ogni dettaglio: Dalle pitture che si scioglievano dal calore, dagli apparecchi elettronici che esplosero, dal rumore del legno bruciato a quello dei gridi disperati della compagna e soprattutto del figlio, per i quali egli stesso rischio la propria vita pur di salvarli. Quando furono messi in salvo in salvo dagli pompieri, vide un uomo losco avvicinarsi per provare a dargli un colpo di pugnale. Spia non ebbe difficoltà a neutralizzarlo, alla grande stupefazione della gente attorno. L’uomo aveva visibilmente preso del cianuro, visto che morì subito sbavando ovunque, ma non senza avere detto “T’abbiamo ritrovato, tempo di pagare il tuo debito! Heil die vierte Reich!”. Spia si ricordò con grande tristezza quando, per proteggerla, decise di abbandonarla quando la moglie e il suo figlio erano addormentati dall’albergo. Spia si ricordo anche come, prima di partire, diede un bacio sul fronte del figlio con un “Adieu, Jeremy” e, dopo di che, si ricordò in una rapidissima sequenza di flash back di tutti gli anni in cui fu in alternanza catturato e torturato, o al contrario in cui era lui a commettere le peggiori atrocità alle sue vittime, uccidendo senza rimorso tutti, perfino ovvi padri di famiglie, dal momento che erano suoi avversari. Mentre vedeva sé stesso uccidere ancora e ancora le sue numerose vittime, circondato sempre di più dagli visi di quest’ultime e di quelli dei suoi compagi deceduti, iniziava sempre di più a sentire degli urli, compresi un “Papa! Papa où t’es?![19]
 
-*Jeremy?!” pensò allora la Spia mentre continuava a sentire i gridi disperati di un bambino.
 
-“Papa, sauve-moi![20]
 
Spia allora inizio disperarsi, e a correre verso dove il rumore proveniva, correndo sopra tutti i cadaveri che aveva visto in vita sua e che provavano ad afferrarlo. Nonostante Spia, nel corso degli anni, aveva ritrovato il suo figlio ma aveva preso la decisione, per il bene di quest’ultimo, di non rivelargli la sua vera identità e di accontentarsi di tenerlo d’occhio a distanza, il suo istinto paterno prese il sopravento: Il rimpianto di una vita di famiglia persa, il rimpianto di avere assassinato gente per anni piuttosto che vedere il suo figlio crescere lo spinse a correre sempre di più verso la provenienza degli cridi. Mentre correva, i cadaveri e i luoghi a lui famigliari lasciarono progressivamente posto a una strana città, composto interamente di pietre, o piuttosto rocce preziose, completamente in fuoco e sotto assalto.
 
-“Babbo AIUTOOOO!” urlò nuovamente la voce. La lingua in cui parlava non era una lingua che Spia parlava, ma stranamente riuscì a capirla e a rispondergli con un “ARRIVO!!”.
 
Spia si rese allora conto che non era più nel suo corpo, ma nel quello di una strana creatura umanoide completamente composta di una specie di diamante verde, abbastanza alto con un viso quadrato e delle mani con solo quattro dite ma abbastanza grossi da spaccare un’anguria in pezzi senza sforzo, e che , armata da uno strano fucile anch’esso composto di diamanti viola. Senza smettere di correre verso il grido, si rese progressivamente conto che tutto attorno a lui c’erano altre creature simile a lui che combattevano degli nemici a lui purtroppo ormai familiari.
 
-“I Jenesiani?! Ma cosa mi sta succedendo?! Perché vedo tutto questo?!” fece allora la Spia mentre gli edifici crollavano tutt’attorno a lui e che vedeva i suoi simili farsi massacrare progressivamente dagli servi dell’Ente Supremo che sembravano avere la meglio nonostante la resistenza. Ma presto i gridi del figlio si fecero sentire ancora più disperati e, senza pensarci due volte, corse nuovamente, evitando gli spari. Stranamente, sembrava conoscere la strada e dopo essere arrivato a una strana casa da dove provenivano i gridi infantili provenivano. Senza esitazione, Spia sprofondò la porta e vide che dentro la casa c’erano una versione piccola, probabilmente l’equivalente di un bambino, che urlava accanto a una versione adulta e femminile che sembrava essere la sua madre morta. Non lontano, c’era un cadavere di un Jenesiano trafitto da strane piccole lance di diamante, mentre altri due, che erano sul punto di uccidere il piccolo, si girarono verso la spia. Quest’ultimo, anche se non capiva più cosa gli stava succedendo e reso conto che non era suo Jeremy, non esitò comunque a usare la sua arma e, a sua grande sorpresa a fare fuori i due aggressori che vennero alla loro volta trafitti da queste sorte di lance. Però, prima di potere festeggiare o anche solo di pensare a tutto quello che gli era successo, il corpo di Spia venne colpito da una fortissima e dolorosissima scossa elettrica, mentre il piccolo continuò ad urlare disperato, finché a sua volta venne colpito dallo stesso fulmine. La piccola versione degli esseri di pietra scappò disperatto, mentre Spia pensò un’attimo che almeno era riuscito a salvarlo e sperò che non sarebbe stato ricatturato dopo. Però, non ebbe né la forza né il tempo di parlare o di rialzarsi che una mano potente lo afferrò al colo e lo sollevo. Spia poté allora vedere con i propri occhi quello che lo aveva appena attaccato. Senza sorpresa, era un Jenesiano, ma molto diverso di quelli visti prima. In effetti, quest’ultimo portava un’armatura d’oro, molto simile a quella che Spia e i altri avevano visto nello strano museo poche ora prima di incontrare l’Ammiraglio e i Zalgo, e contrariamente agli altri Jenesiani, quest’armatura non sembrava essere alimentata da qualche energia. L’uomo non portava nessun elmo, ma al contrario una specie di corona, e spia poteva capire, vedendo questo viso di un giovane trent’enne marcato dalla guerra, con capelli neri e bianchi che lo fissava con i suoi occhi dorati, che aveva a che fare con un essere particolarmente crudele…
 
-“Tu chi sei?” riuscì a chiedere la Spia nonostante la presa al suo collo.
 
-“Io sono Ky'ouretsus, futuro Ente Supremo. Ricordati di questo nome insetto di pietra, perché sarò io a sterminare il tuo popolo.” È detto ciò, Spia ebbe solo il tempo di ricordarsi che questo Ky'ouretsus era presente nell’albero genealogico tradotto da Uhura che venne colpito nuovamente da una potente scossa elettrica e che sveni negli urli e nel rumore del massacro.
 
Il sogno di Mikail
-“Mikhail, credi che quando sarò grande, potrò diventare una Cosacca, come quelli che ci raccontava la babouchka[21]?”
-“Ahaha! Zhanna! Tu sei ragazzina di solo 13 anni! Per diventare cosacco bisogna essere uomo forte come Papa e diedouchka[22]!” a provocare scherzosamente la sorella era proprio Mikhail. Però, non era ancora il Grosso mercenario che conosciamo, anche se era già un colosso. A questo momento, era giovane adulto di sedici anni circa, già alto di quasi un metro e ottanta con il corpo lavorato di colui che lavora negli campi sin da quando aveva iniziato a camminare. In effetti, era proprio la fine della giornata e stava tornando a casa attraversando i campi, accompagnato dalla sua sorella minore.
-“Eh! Io non sono più una ragazzina! L’altro giorno ho messo a tappetto cinque ladri!” si lamento Zhanna dando un colpo al suo fratello. Quest’ultimo ride, non avendo sentito niente. Però, se non aveva sentito dolore, era perché lui stesso era molto forte e robusto, perché la sua sorellina non aveva niente di una bambina fragile. Con le dovute differenze dovute all’età e al sesso, aveva la stessa costituzione corporea del fratello maggiore, e come lui era stata cresciuta lavorando quotidianamente con le braci piuttosto che a fare i mestieri più “femminili”. In effetti, la piccola Zhanna era considerata la persona la più forte del villaggio, superata solo dal fratello e dal padre, e non aveva scherzato quando aveva detto che aveva fatto fuori da sola cinque uomini, anche se fossero degli adulti.
-“Ahaha! Per me sei ragazzina, ma più forte ragazzina al mondo!” fecce il futuro mercenario accarezzando affettuosamente la testa della sorella, la quale si mise a ridere come una fanciulla. Dopo tutto, poteva ancora permetterselo visto la sua età.
Il fratello e la sorella continuarono a camminare per un po’ di tempo attraverso la campagna. Il paesaggio era, per chi amava la natura, molto bella. Sull’orizzonte, si poteva vedere una grande e immensa foresta a perta di vista e isolato dalle terre agricole da uno splendido fiume di acqua pura nella quale salmoni, trote e altri pesci grassi e deliziosi vivevano assieme a piccoli crostacei e a piccoli uccelli. L’altra costa del fiume, lavorata dall’uomo, non aveva però niente da inviare alla natura selvaggia: grandi e maestosi campi di grano d’oro di ottima qualità si confondevano con le colline, mentre il sole cadendo offriva ancora questo tocco di calore che avrebbe fatto innamorare a questo luogo anche l’uomo più urbanizzato del mondo. Però, il giovane Mikhail si ricordava ancora di quando era ancora un giovane bambino, quando c’erano ancora le zone verte dove robuste e sane mucche e pecore mangiavano l’erba e si muovevano in quasi totale libertà, e poi, per l’incomprensione e la tristezza del ragazzo, erano scomparse dal giorno all’altro. Dopo un po’ di tempo, lui e la sorella si avvicinarono a una casa isolata fatta di legno e di paglia, ma che aveva comunque quest’aspetto accogliente e di conforto necessario per permettere a una famiglia umile di vivere la propria vita in tranquillità.
-“Mikhail! Zhanna!”  ad urlare felice correndo nella loro direzione era la piccola Bronislava, la seconda sorella minore di Mikhail, che aveva all’epoca sei anni, inseguita a sua volta da una bambina di tre anni che aveva ancora difficoltà a camminare: la piccolissima Yana, l’ultima degli figli della famiglia.
-“Eh! Cosa fate cui? Non dovete aiutare la mamma a preparare cena?” chiese Mikhail, con il linguaggio poco ricco di colui che non era mai andato a scuola.
-“Yana è ancora troppo giovane per cucinare, e conosci Bronislava: Lei non può trattenersi di abbracciare il suo fratellone. Piuttosto a te e a Zhanna la giornata è andata bene?” A parlare era un colosso, di circa cinquant’anni, molto forte. In realtà, la sua descrizione era facile da fare. Era identico al Grosso da adulto, e si distingueva da lui per pochi dettagli: un paio di baffi marroni, un paio di occhiali circolare e degli vestiti di contadino.
- “Papa Papa!” fecce felice Zhanna mentre il padre del futuro mercenario alzò la sua seconda figlia per mettersela sulle sue spalle
- “Ma guarda come sei cresciuta! Un giorno diventerai una brava moglie che sottometterà il marito come si deve! AHAHAH!”
- “DA!” fecce Mikhail al suo padre “Zhanna è veramente di nostra famiglia! Ma non sarà forte come me!”
- “Normale, figlio!” fece allora il padre che prese allora un’espressione seria “Un giorno verrà in cui sarai tu l’uomo della famiglia, e dovrai prendere cura delle tue sorelle finché non avranno la propria famiglia, dovrai prendere cura della tua famiglia e di tua madre e di me quando saremmo vecchi!”
- “Nessun Problema papa!” rispose ingenuo Mikhail “Io forte come buffalo! Gente si spaventa solo a vedermi! Io sono già capace di proteggere tutti!”
 
- “Mmf!” disse allora molto serio il padre, guardando dritto negli occhi il suo figlio negli occhi, facendogli capire che non stava scherzando “Mikhail… Hai la fortuna di essere forte, più di quanto lo fosse io a tua età. Ma la forza non è tutto, e non sempre basterà per risolvere i problemi. Purtroppo, non sono riuscito a mandarti a scuola, per darti altre capacità, ma sono riuscito a proteggere la cosa la più importante. La famiglia… più che i pugni, la mia… la tua famiglia, è la cosa più preziosa, e l’unica cosa che ti aiuterà più degli pugni. Per questo devi proteggerla, più che ogni cosa. Capito figlio?”
 
- “D..Da…” fece timido il futuro grosso, nonostante era già un giovane adulto, non osava mettere in questione l’autorità del padre. Quest’ultimo continuò a fissare il figlio con una aria molto seria prima di esplodere dalle risate e di abbracciare affettuosamente tutti i quattro figli “Ma tranquilli, oggi è una bella giornata, e c’è ancora tempo! so andiamo! La mamma ha preparato per cena dell’Okroshka[23] e del Banush[24]!” fecce indicando la moglie, un donna molto più piccola e cicciottella di lui, ma della quale emanava un sorriso che faceva capire che era una persona profondamente gentile e amante. In altre parole, la vera stereotipo della donna russa, con il velo e vestita da contadina, molto accogliente e materna.”
 
-“Sii! Banush Banush!” fece allora Bronislava felicissima, correndo insieme alla piccola Yana verso la mamma che li invitò dentro casa, seguiti dal padre di famiglia che portava ancora Zhanna sulle spalle e tenendo per mano Mikhail, il quale aveva ritrovato il suo buon umore, pensando che poteva ancora godersi la semplice ma bella vita che lui e la sua famiglia avevano…
 
 Ma non sapeva, all’epoca, che proprio questa vita idillica stava per concludersi, nel mondo più drammatico che poteva accadere nelle campagne sovietiche degli anni ’30...  In effetti, dopo avere sognato dell’ottima gioia familiare di fronte all’eccellente cena, al Grosso toccava, da quanto aveva fatto il patto con Tyresius, di sognare ancora e ancora la scena successiva…
 
Il giovane grosso, dopo avere mangiato e avere fatto gli ultimi dovere di casa, come fare rientrare le galline nel pollaio e gli attrezzi nella capanna, prima di dare da mangiare al cane e di prendersi un bagno nel fiume, prima di dare un abbraccio di buona notte alla mamma, al padre e alle tre sorelle. Andato a dormire, doveva essere circa le due di mattina quando sentì il bisogno di uscire per andare… beh, di “fare un bronzo”. Giustamente, per motivi di igiene, Mikhail andò nel bagno esterno della casa, che si trovava a una ventina di metri da casa e si mise comodo. Dopo circa un quarto d’ora, però, allora che aveva quasi finito la sua affare, Mikhail iniziò a sentire una serie di rumori. Per cominciare, iniziò una serie di movimenti dell’erba, completati da una serie di passi e del cane che abbaiava. “Sarà altra volpe”, pensò il ragazzo indifferente e distratto dalla stanchezza, finché iniziò a sentire un altro tipo di rumore, per niente di buon auguro, visto che si trattava della voce sconosciuta di un uomo, che mentre sembrava battere alla porta urlava
 
- “Bobritschew, figlio di Baranov! Esci di questa casa insieme a tua famiglia! Se non cooperi, abbiamo autorizzazione di sfondare la porta!”
 
Lì, Mikhail prese paura: Bobritschew era il nome del suo padre, e se quest’ultimo non voleva mai parlare della sua vita ai suoi figli, il suo primogenito sapeva che il paterno aveva avuto degli problemi con il nuovo governo… In effetti, Mikhail si ricordava perfettamente che il suo padre, all’annuncio del nuovo Segretario del partito e leader del paese nell’aprile 1922, gli aveva mostrato la foto di quest’ultimo nel giornale e aveva detto “Figlio, guarda l’uomo che vedi su questa carta. Oggi, lo lodano come il degno successore del Padre della rivoluzione, colui che farà del nostro paese il migliore paese al mondo. Ma te lo dico, quando sarai vecchio e che egli sarà morto, tu sentirai dire da quasi tutti che quest’uomo, Iosef Vissarionovich Stalin, era mostro, un criminale che ha portato morte e disperazione al popolo.” E, come sempre, il padre aveva avuto ragione. In pochi anni di governo, Mikhail aveva perso il conto di persone riportate come scomparse, o che al tribunale avevano ammesso di essere colpevoli di avere complottato contro lo stato del popolo e che meritavano la morte. Già all’epoca Grosso non era molto intelligente, ma non aveva bisogno di una laurea per capire che queste persone non erano sempre colpevole dei loro crimini, e che colui che era dietro alle loro fine, Stalin appunto, del quale i discorsi erano ambigui e talvolta contradittori, aveva come unica prova della loro colpevolezza il fatto che erano i suoi oppositori o che gli facevano ombra. Mikhail si ricordò di avere sentito voci secondo la quale l’esercito compariva ogni tanto all’improvviso per rapinare delle persone, le quale scomparivano per sempre. Oltre all’agitazione che sentì, tipo dagli pianti delle sue sorelline mischiate a ordini di uomini, il futuro mercenario sentì anche un rumore di camion, il che confermò la sua paura. Senza perdere altro tempo, egli uscì dal bagno e notando che per fortuna sua nessuno fosse nelle sue immediate vicinanze, ne approfittò per buttarsi nel campo di grano e, abbassandosi, avvicinarsi nascosto il più possibile da casa sua. Aiutato dal fatto che l’unica fonte di luce in questo luogo, oltre al riflesso della luna e delle stelle, erano proprio i fari del camion che puntavano verso la porta di casa. Li, il giovane Mikhail, sempre nascosto nelle alte erbe, osservò la scena, rimanendo silenzioso in attesa di capire come e quando poteva agire. All’entrata della porta, si teneva il suo padre, con lo sguardo serio e stoico, le braci incrociate come aveva l’abitudine di fare quando stava per perdere la sua pazienza. Dietro il capo famiglia, la madre teneva stretto le sue figlie, le due più giovane delle quali piangevano, senza capire cosa stava succedendo, e Zhanna che doveva essere trattenuta, visto che probabilmente voleva fare a botte i visitatori notturni. Quest’ultimi, in effetti, non avevano niente di simpatico. In totale dovevano essere una quindicina di persona: due stavano nel camion, altre due vicino a quest’ultimo, altri tre stavano perlustrando la zona mentre il resto stava di fronte alla casa. Tutti erano vestiti da uniformi dell’esercito rosso, ma a parte il loro numero non avevano niente di impressionanti: I loro uniformi erano sporchi, e parzialmente rovinati, le loro arme, a guardare bene, erano della Grande Guerra, se non di prima, il che dimostrava che erano lontani di essere l’élite della nazione. Anche gli uomini stessi sembravano più dei poveracci che degli uomini: alcuni erano altrettanto giovani che Mikhail, ma molto meno forti e robusti, e erano stati palesemente entrati nell’esercito per avere un tetto. Altri, al contrario, sembravano essere troppo vecchi, o comunque troppo indeboliti, come si poteva notare dalle loro face rovinato dall’alcool o dal sonno, per rappresentare una minaccia credibile. Solo uno di loro fece impressione a Mikhail: Colui che era al centro, precisamente di fronte al padre, e che sembrava essere il capo. Quest’uomo, infatti, oltre che avere un uniforme in migliore condizione di quello dei compagni, era più alto e più forte… molto più alto e più forte. A Mikhail fece paura, perché era la prima volta che vedeva un uomo altrettanto alto e forte del padre, che era il più grande colosso che conosceva. Il giovane vedeva quest’individuo solo dalle spalle, ma poteva intuire che, dalla sua postura, doveva avere circa la stessa età del padre. Prima di potere muoversi per ravvicinarsi, o di prendere una decisione su cosa fare, ecco che l’uomo alto inizio a conversare con il padre.
 
-“Allora… Bobritschew… quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo visti?” chiese l’uomo, tirando un sigaro che accendo, prima di rilasciare un grande fumo in direzione del suo interlocutore.
 
-“Non abbastanza, Sukolov.” rispose il padre del futuro mercenario
 
-“Ahia” rispose allora il cosiddetto Sukolov, facendo finta di essere offeso. Mikhail si ricordò che il suo padre gli aveva parlato di un certo Sukulov. Quest’ultimo era stato un suo compagno di squadra sul fronte austriaco durante la Grande Guerra, nonché durante la ribellione contro lo Zar. Ma già a partire degli primi anni della rivoluzione, e soprattutto in seguito al sollevo di Kronstadt, i due amici si erano litigati e si erano allontanati l’uno dall’altro. Bobritschew si era allora sistemato nella sua campagna natale dove aveva fatto famiglia, mentre Sukulov era, se Mikhail se lo ricordava bene, proseguì la sua carriera nell’esercito. Mikhail non ebbe il tempo di pensare a tutto questi dettagli che il detto Sukulov riprese a parlare “E’ così che tratti un vecchio amico?”
 
-“Amico?” rispose Bobritschew, trattenendosi dalla rabbia  “Hai un strano concetto dell’amicizia. Arrivare in piena notte con degli incompetenti che sono soldati solo perché altrimenti creperebbero di fame, e minacciare la mia famiglia non è quello che chiamerei “amicizia””.
 
-“Devi però ammettere che un po' colpa tua.” Sospirò Sukulov insieme a un po’ di fumo “Sei tu che hai rinegato la nostra grande rivoluzione e il compagno Stalin.”
 
-“Non ho rinegato la rivoluzione!” si offese Bobritschew, entrando in uno stato di rabbia che Mikhail non gli conosceva “Come te, ho combattuto gli austriaci, gli ungheresi e gli tedeschi che entravano nelle nostre terre mentre vedevo diecine di miei compagni morire sul fronte di fame o perché non erano abbastanza attrezzati per fare fronte al nemico! Come te, ne ho avuto abbastanza degli imperiali e dello Zar che ci mandava a morire inutilmente senza guarantirci cibo, sicurezza, salute e benessere, e per questo ho combattuto insieme a te e al popolo per liberarci della sua tirannia di un'altra era! Quello che però, al contrario di te, rifiuto di combattere, è per una distorsione degli ideali della causa che ho sostenuto! Mi rifiuto di essere partecipe di un regime che maltratta il popolo nel nome del popolo! Non ho dato il mio contributo per rovesciare un imperatore egoista che sfruttava la sua gente per rimpiazzarlo con un tiranno della stessa specie che lascia il popolo morire di fame!”
 
-“Tu?!” s’innervosì un po' Sukulov “Parli di maltrattamento di popolo, e descrivi il compagno Stalin come un mostro assetato di sangue, che sottomette il popolo agli suoi caprici! Eppure, guardati, Kulaki[25], tu stai bene qui, in questa bella casa e con tutta questa terra che hai come proprietà. La verità, è che sono le persone come te che sono la causa degli problemi che il compagno Stalin sta provando a risolvere! Con le tue terre, potremmo sfamare due, anzi tre o quattro famiglie direttamente e di ridistribuire il resto delle raccolte per il bene comune!”
 
-“Parli delle fattorie collettive? Saranno anni ormai che si parla della bellezza di queste fattorie, di come il popolo ne ricava solo benessere, eppure è proprio a partire della loro creazione che il popolo ha cominciato a soffrire” provocò il padre di Grosso “Gente che muore di fame, altri che uccidono gli animali che hanno per sfamarsi o impedire a gente come te di rubarglieli!”
 
-“Sai che cos’è la sofferenza?! Pensavo che lo sapevi, ma so ne dubito! La sofferenza non è di stare tranquilli a casa, a fare l’egoista che rifiuta di dare il suo contributo per lo stato, ma è di essere sul fronte! Mentre tu stavi cui a goderti i benefici della rivoluzione senza ridarne la tua parte, io sono stato costantemente sul fronte, a combattere gli ribelli musulmani nel Caucaso e in Uzbekistan, nonché i nazionalisti cinesi e gli giapponesi che facevano intrusioni sul nostro territorio tramite il fiume Amur o le nostre isole nel pacifico!”
 
-“Hai fatto la scelta di proseguire la tua carriera militare, e hai fatto quello era necessario per difendere lo stato. Non è sofferenza, visto che è una libera scelta, è soltanto dovere, e non meriti più lode che tutti coloro che hanno combattuto prima di noi, insieme a noi o che combatteranno dopo di loro. so però, Sukulov, mi hai stufato con i tuoi discorsetti. Allora vai al punto: per quale motivo, tu che sei ormato un comandante, che dovresti essere sul fronte orientale o a controllare le frontiere a est, vieni personalmente qui a minacciare la mia famiglia?”
 
-“Pensavo fosse ovvio” disse Sukulov buttando il suo sigaro a terra prima di spegnerlo con le sue botte di cuoio nere “Il compagno Stalin e gli compagni partecipi del benessere dello Stato sono stufi di coloro che non danno il loro contributo. E come ho detto, con la tua proprietà possiamo fare una fattoria collettiva.”
 
-“Vuoi dunque costringermi me e la mia famiglia a vivere insieme a sconosciuti, lavorare all’eccesso le nostre terre e dare la maggioranza del nostro raccolto a tuoi amici?”
 
-“Alla base, è così che dovevano andare le cose… ma ho convinto i miei superiori che saresti stato refrattario, e che tenendo conto delle tue capacità e delle tue idee politiche che sarebbe stato troppo pericoloso lasciarti incustodito.” Disse Sukulov con un sorriso a pena nascosto
 
-“Che… so che abbiamo le nostre divergenze, ma perché hai fatto questo?” s’esclamò Bobritschew
 
-“Perché?” iniziò a ridere il comandante “Semplice. Tu mi hai lasciato perdere quando hai voluto la tua vita idillica, e io ormai ho solo il regime per vivere. E cosa c’è di meglio per dimostrare la mia lealtà verso quest’ultimo che denunciando i traditori? Signore Bobritschew!” iniziò a parlare Sukulov, dando ordini ai suoi uomini che iniziarono ad avvicinarsi alla porta per afferrare i vari membri della famiglia. “Nel nome delle autorità dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, vi arresto lei e la sua famiglia con l’accusa di tradimento, di cospirazione contro lo stato, di avere rubato lo stato tenendo per uso privato degli beni comuni e di diffusione di idee politiche contrarie all’ideologia del partito! Per questo motivo, io, sergente Visalovich Sukulov, vi confisco la vostra proprietà, che ormai appartiene allo stato per il programma della collettivizzazione, e tutti i vostri beni! Vi condanno inoltre ad essere deportati al gulag, dove farete dei lavori forzati per riabilitarvi delle vostre colpe e, speriamo bene, fari tornare sulla retta via!”
 
-“Papa! Papa!” iniziarono ad urlare le due figlie minore, mentre erano afferrato da degli uomini che le portarono in direzione del camion. Per la madre e Zhanna, gli soldati ebbero un po' più di difficoltà, visto che la prima provo a picchiarli con una padella mentre la seconda iniziò a dare colpi e riuscì perfino a rompere il naso a uno degli uomini che aveva provato a prenderla. Ma nonostante la loro resistenza, la prima era una donna che aveva vissuta tutta la sua vita nella campagna, lontana dalle guerre, e per questo motivo non era abituata a usare la forza. E per la seconda, nonostante era bella robusta per la sua età, era comunque una giovane ragazza e di fronte a degli uomini di trent’anni che avevano già una formazione.
 
-“Brutto Bastardo!” urlò Bobritschew che provò ad liberare la sua moglie e le sue figlie, ma anche lui dovette a che fare a degli uomini che provavano a fermarlo, a immobilizzarlo e portarlo dentro il camion. Ma al contrario delle ragazze, lui era un colosso, e nessuno riusciva a fermarlo. Anzi, un momento, preso dalla rabbia, prese a due mani uno dei suoi rivali dal collo e, con un colpo di forza, gli spacco le ossa della cervicale. Alla vista della perdita di uno dei suoi uomini, Sukulov si mise a ridere e tirò una pistola che puntò verso il suo ex-compagno di guerra.
 
Il sangue di Mikhail bollì immediatamente: fino a questo momento, era riuscito a trattenersi solo perché sperava che il suo padre, l’uomo più forte che conosceva, avrebbe mandato a tappetto tutti questi vigliacchi prima di buttarli nel camion e buttare quest’ultimo nel fiume più vicino, ma la vista dell’arma da fuoco puntata sull’essere che rispettava e ammirava di più al mondo fu la goccia di troppo nel vaso. Senza pensare, Mikhail uscì urlando dal suo nascondino e si precipitò dritto verso Sukulov. Presi dalla sorpresa dell’inaspettato individuo, alcuni dei soldati si girarono, pronti a sparare verso Mikhail, Quest’ultimo, animato solo dalla rabbia, non li prese in considerazione nella sua corsa. Tale un toro, la carica di Grosso butto a terra due uomini, e quando un terzo ufficiale, un po' più imponente, provo ad afferrarlo, Mikail diede un potente pugno proprio nella mela di Adamo di quest’ultimo, facendolo cadere e, alla propria sorpresa di Mikhail, ucciderlo sul colpo. Lì, il futuro Grosso rimase fermo, stupefatto di quello che aveva appena fatto. Certo, si era già menato a pugni con altri giovani, e aveva già ucciso animali per mangiarli o per proteggere la sua proprietà da lupi. Ma era la primissima volta che uccise un uomo, e con un semplice pugno! Mikhail fu paralizzato per un’instante, guardando il suo pugno sporco dal sangue che la sua vittima aveva sputato prima di crollare, e non sapendo più cosa fare. Immerso negli sentimenti contrastanti, tra l’orrore, la paura, l’orgoglio di essere riuscito a uccidere un aggressore, il dubbio di sé, Mikhail perse per un po' il senso della realtà. A farlo tornare nel mondo reale fu qualcuno gridare il suo nome, prima del rumore di un sparo. Mikhail, tornato in sé, si rese conto che il suo padre si era spostato, per impedire a un soldato di sparare al suo figlio in un momento di opportunità, ma per salvare il figlio, Bobritschew aveva dovuto abbassare la sua guardia e Sukulov ne aveva approfittato per sparargli nella pancia, al livello del fegato.
 
-“PAPA!!!” urlò spaventato il Grosso del passato, il quale provò a correre verso il padre per neutralizzare le guardie attorno e aiutarlo a rialzarsi. Ma proprio a questo momento, un secondo sparo si fecce sentire e Mikhail iniziò a percepire un forte dolore alla coscia, che iniziò a sanguinare. Visto che correva quando venne colpito, egli cadde a terra e iniziò a farsi picchiare da gambe e da bastoni da tanti uomini. Mikhail provò a proteggere al meno la sua testa, quando una mano lo afferrò dal collo e lo sollevo fino a metterlo in ginocchio, non senza dargli un pugno in piena pancia. A sollevarlo, non era niente di meno che Sukulov. so Mikhail visse bene il suo viso. Quest’ultimo era coperto di cicatrice, tra le quale una grande che partiva dal fronte fino alle labbra, passando dall’occhio sinistro che era bianco di morte, mentre l’occhio destro era marrone, ma macchiato di rosso. Oltre a queste cicatrice, la pela del visto era piena di macchie nere. Sukulov non aveva capelli, ma aveva invece una grande barba, tagliata male ma che aveva la particolarità di essere nera con una riga bianca al centro. Ma la particolarità più ostentaria del comandante erano i suoi denti in oro. In effetti, gli mancavano due delle incisive inferiore, la canina superiore destra e una molare superiore sinistra, tutte le quali rimpiazzate da denti in oro, di pessima manifattura certo, ma comunque in oro.
 
-“Tuo figlio?” rise allora Sukulov, mantenendo fermo il giovane mentre il padre venne trascinato da uomini di fronte a loro allora che il resto della famiglia, piangendo e disperando, fu messo di forza nel camion “Vedo che ha un buon potenziale per diventare come te… ma mi sembra decisamente meno intelligente del padre!” Sukulov allora, con l’aiuto dei suoi uomini, afferrò Mikhail dall’orecchio, e tirandolo con molta forza, lo costrinse a guardare la sua pistola che li mise sotto il naso, come se volesse spararlo in piena testa, per il grande stress di Mikhail e del suo padre “Non servirà a niente, ragazzo, ma ti darò due consigli. Il primo, se proprio vuoi andare a pugni, allora devi essere davvero il più forte, il più grosso. Hai già dei muscoli, ma questi di sicuro non bastano! E seconda cosa, la vedi questa pistola, la vedi?!” urlò Sukulov prima di sparare in aria e tornare a torturare psicologicamente la sua giovane vittima con la sua arma. “Se non hai arme, non attaccare un tizio con la pistola! Se vuoi fare un duello con un tizio armato, portati una arma più grossa della sua! Capito giovanotto, o te lo devo mettere in testa?!” e fu lì che Sukulov inizio a picchiare ripetutamente per cinque minuti la faccia di Mikhail con il manico della pistola, mentre Bobritschew urlava parole di speranze al figlio e minacce di morte al suo nemico. Quando Sukulov finì di divertirsi, Mikhail era coperto di ferite e di marche di colpi, nonché stordito e sputando sangue provando di rimanere sveglio “Ebbe, devo riconoscere che sei resistente! Sono curioso di vedere quando sopravvivrai nel freddo Siberiano! Mettetelo nel camion insieme alle donne!”
 
-“Misha!” urlò allora Bobritschew mentre il suo figlio venne buttato nel camion. Mikhail vedeva male, e non riusciva a muoversi. Ma nonostante l’oscurità della notte vide il viso del padre. Quest’ultimo aveva le lacrime all’occhio, ma si tratteneva di piangere, desideroso di mantenere dignità fino alla fine. Il suo volto, infatti, oltre la rassegnazione, mostrava comunque una forza di carattere che non si sarebbe spenta anche nelle peggiori circostanze. “Ricordati Misha, proteggi la famiglia! Ad ogni costo!”
 
-“Tranquillo Bobritschew, sarà il Gulag a occuparsi di tua famiglia” inizio a ridere Sukulov mentre si avvicino a Bobritschew ancora in ginocchio, prima di mettere la sua pistola sul fronte del padre del futuro mercenario “Però, non abbiamo medicine nel camion e il viaggio sarà troppo lungo, quindi, nel nome della nostra vecchia amicizia, ti darò una morte veloce.”
 
-“Uccidimi pure, stronzo!” sputò allora Bobritschew “Tanto io so già come andrà a finire: Tu sarai fatto fuori come il porco che sei e il regime che sostieni crollerà e lo schifo che nascondeva uscirà alla luce!”
 
-“E stato un piacere a rivederti, amico mio!” disse indifferente Sukulov il quale sparò al suo interlocutore.
 
Mikhail, vide allora la luce dello sparo, il quale invase completamente la sua visione. Finché tutto attorno a lui fu bianco. Però, se non vedeva niente, al contrario Grosso, nel suo sogno iniziò a sentire tutta una serie di rumori. Alcuni di questi rumori gli erano famigliari, come degli ordini o degli insulti in russo, dei colpi di martello su rocce o di colpi di flagelli. Altri rumori, al contrario gli erano sconosciuti, come se fosse in una lingua straniera: Ashklatari…Ila’naari saraslar im’ diar uura’r. Zalgar! Il mercenario russo, che nella realtà stava tremando e sudando dallo stress nel sonno, iniziò a sentire legno bruciare, seguito da urli e da rumori di spari. Lì, il mercenario tornò a vedere qualcosa, e rivide nuovamente una scena a lui noto: era in mezzo nel Gulag nel quale era stato costretto a vivere e a lavorare nella carriera di pietra che si trovava in effetti non troppo lontano da lui. Era in pieno inverno, e tutto era coperto di una neve ghiacciante di almeno dieci centimetri di altezza, e questa senza contare che c’era un vento forte pieno di fioccone di neve e di palle di ghiaccio di circa cinque millimetri di diametro: non abbastanza grossi per uccidere, ma abbastanza duri per fare veramente male e ferire per via della loro velocità d’impatto. La notte era scura, talmente nera che senza una fonte di luce non sarebbe stato impossibile perfino di vedere le proprie mane oltre i trenta centimetri. Però, Grosso, ormai calvo, più grosso ma anche più alto e forte in questo momento, non soffriva nessuno freddo e vedeva benissimo. E per una buona ragione: Il campo era in un completo stato di incendio! Tutte le infrastrutture in legno, le case in cui i prigionieri dovevano dormire, gli depositi e perfino l’armeria erano in fuoco. Tutt’attorno a lui, era il caos: degli soldati in uniforme correvano ovunque, sia per tentare in vano di controllare il fuoco in modo disorganizzato, mentre altri provavano a fermare gli prigionieri, anche al costo di sparargli addosso. Al contempo, i prigionieri tentavano di sfuggire o, per i più arrabbiati di loro, a prendere i martelli e le palle con i quale erano stati costretti a lavorare per attaccare le loro guardie e, per i più fortunati dei ribelli, a uccidere i loro oppressori per rubargli le mitragliatrici e a iniziare un vero e proprio scontro armato contro l’autorità del campo.
 
-“Misha! Misha!” gridò a voce bassa femminile dietro Mikhail. Quest’ultimo si girò e rivide per la seconda volta la sua sorella Zhanna, anch’essa cresciuta ma ormai molto seria e indurita dalla vita in questo campo, che aiutava la madre e le due sorelle minore a bassare tramite un buco che avevano appena fatto nel recinto di fili spinati “E’ occasione perfetta! Fuggiamo!” Di solito, sarebbe stato un piano folle, perché gli cecchini posti alle torri sparavano a tutti coloro che riuscivano ad oltrepassare il recinto, prima di mandare i cani per finire il lavoro. Ma la confusione era tale che anche se ci fosse un cecchino al suo posto, aveva scarse possibilità di concentrarsi e vedere degli fuggitivi allora che all’interno del campo stesso c’era un campo di battaglia. A circa 600 metri del campo, c’era una densa foresta, probabilmente l’unica ma gigantesca della regione di solito desertica. Se Grosso e la sua famiglia riusciva a raggiungerla finché la situazione fosse ancora in stallo, avrebbero potuto nascondersi per giorni, il tempo che le autorità pensassero che fossero morti, prima di trovare una soluzione per il futuro.
 
-“Zhanna, porta mamma, Yana e Bronislava nella foresta. Se tra mezz’ora non ci sono, scappate. Io devo trovarla!” rispose Grosso mentre iniziò a correre nel centro del campo, allora che la prima delle sue sorelle iniziò ad urlargli sopra, dicendogli che era troppo pericoloso e che doveva tornare indietro. Ma non c’era niente da fare, nella testa di Mikhail c’era solo un obbiettivo, che né gli edifici che crollavano di fronte a lui, né gli altri prigionieri che gli chiedevano sostegno o gli soldati che provano a fermarlo prima di ricevere un pugno spesso mortale in faccia potevano allontanare. Ma quale era quest’obbiettivo che dava a Mikhail questa forza di volontà? Quest’obbiettivo, in realtà, era un giovane ragazza bionda, molto bella, anzi la più bella ragazza che il futuro mercenario aveva mai visto. Era arrivata al campo circa due mesi dopo la famiglia di Mikhail, e la sua gioventù e bellezza aveva attratto l’interesse delle guardie, in manco di presenza femminile. Mentre questi uomini senza scrupoli provarono a violentare la ragazza, Mikhail era intervenuto per metterli al tappetto. Fu allora condannato a una settimana di isolamento, nonché a colpe di frustra e a una diminuzione della razione quotidiana per un mese, ma aveva salvato l’onore della ragazza, la quale divenne la sua unica amica in questo campo oltre alla propria famiglia. Nel corso degli mesi, la ragazza si rivelò non solo molto bella, ma anche molto gentile e intelligente, e spiegò a Mikhail la sua storia. Essa era la nipotina di un aristocratico che aveva dedicato la sua vita allo studio e alle esplorazioni del polo nord per conto dello Zar Nicolas II, il quale aveva finanziato i costi delle spedizioni. Nonostante il nonno era morto durante una spedizione ancora prima della Grande Guerra, il regime attuale aveva ritenuto di lui solo il fatto che era stato un “privilegiato” al servizio del monarco, e il resto della famiglia era riuscita a sfuggire alla prima onda di persecuzione dei rappresentati dell’antico regime rinegando il scienziato e rinunciando spontaneamente ai suoi titoli, proprietà e privilegi. Però, negli ultimi mesi neanche la loro buona volontà e gli sforzi per adattarsi alla nuova società permetteva ai parenti dell’esploratore di essere protetti, e prima o poi tutti furono arrestati sotto accusa di sostenere di nascosto le potenze occidentale dandogli delle informazioni strategiche sull’Unione. La ragazza, a sua volta, era stata allontanata dalla madre e dal padre e portata cui da solo con la forza. Nel corso dei mesi, Mikhail e la ragazza si ravvicinarono, parlando dei loro sogni, delle attività che facevano prima di essere arrestati e sostenendosi fisicamente i psicologicamente durante i duri lavori forzati. E nonostante tutto le distingueva, lui un po' troppo terra terra, contadino analfabeta e figlio di un contadino nonché partecipe della rivoluzione; lei educata, colta, discendente di una famiglia aristocratica, poco a poco l’amore si fece sentire e i due giovani si confessarono l’uno all’altro, promettendosi a vicenda che, appena quest’inferno del Gulag sarebbe giunto alla fine, sarebbero scappati insieme alla famiglia di lui negli Stati-Uniti, terra che secondo la ragazza era sinonimo di libertà, e che se il futuro lo permetteva, si sarebbero sposati lì prima di partire assieme nell’Artico, come lei sognava sempre di fare da quando leggeva i diari del nonno. Però, questa confessione avvenne qualche giorno prima di quest’incendio, e il futuro mercenario non riusciva a rivedere la sua anima gemella tra le fiamme e gli gridi degli soldati e degli prigionieri. A questo punto, disperato, Mikhail iniziò, conscio del rischio che stava prendendo, a gridare il nome della sua amata.
 
-“SACHA! SACHA dove sei?!”
 
Urlò cosi per circa due minuti, mentre il fuoco stava guadagnando in intensità, a tal punto che gli soldati meno disciplinati iniziarono ad abbandonare le loro arme e a darsi alla fuga, solo per farsi sparare dai veterani che non tolleravano i disertori. Nonostante ciò, Mikhail continuò a gridare il nome di Sacha, finché, alla fine sentì finalmente la voce di quest’ultima chiamarlo il suo nome. Senza pensarci due volte, il Grosso corse in direzione della voce, continuando a chiamare la sua fidanzata. Dopo una corsa sforzata tra gli detriti in fuoco e gli corpi di coloro che erano stati uccisi o bruciati vivi, Mikhail riuscì finalmente a vedere da lontano Sacha, la quale nonostante la sporcizia dovuto alle condizioni del campo e delle cenere rimaneva, alla luce rossa del fuoco, la più bella persona che lui avesse mai visto.
 
-“SACHA!”
 
-“MIKHAIL!”
 
I due, piangendo dalla disperazione ma anche della gioia di vedere che l’altro non solo era ancora in vita ma anche che non l’aveva abbandonato, iniziarono a correre verso l’uno l’altra per abbracciarsi e consolarsi a vicenda. Ma… quando furono a soli cinque metri di raggiungerci, un rumore di sparo si fece sentire. Mikhail, ebbe solo il tempo di rendersi conto del rumore che del sangue saltò sul suo viso e che Sacha cadde immobile nelle sue brace. Catatonico, il colosso si rese allora conto che la sua amata era stata colpita alle spalle, probabilmente da un cecchino. Conscio del pericolo di rimanere fermi li, Mikhail prese Sacha e entrò nell’unico edificio che non sembrava ancora avere prese fuoco nelle vicinanze, a sapere l’armeria di riserva. Sentendo che degli soldati davano ordine di seguirli, Grosso chiuse la porta e butto cassonetti per bloccarne l’accesso. Fatto ciò, si precipitò direttamente su Sacha, la quale era ancora viva ma ormai pallida e debole.
 
-“Sacha, coraggio! Ora scappare!”
 
-“Mi…mi dispiace Misha” fece la ragazza piangendo, mentre il suo fidanzato non riusciva a trattenere le lacrime
 
-“Conservi forze! Non tempo indebollirsi! Noi dobbiamo scappare per America, insieme a Mama, Zhanna, e piccoline…Poi Polo Nord…”
 
-“Misha... Non sono… forte come te... e sento che mi avranno colpito al polmone…” parlò con molte difficoltà la giovane ragazza che sputava sangue “Anche se la facessimo a uscire da cui… non passerei la notte…”
 
-“Sacha… sono già stato incapace di salvare mio padre…Non voglio non riuscire a salvarti te!”
 
-“Non hai fallito… purtroppo le cose vanno oltre le nostre capacità…”
 
-“SONO LI! SFONDATE LA PORTE!” si fece sentire una voce fuori
 
-“Misha…devi andare…”
 
-“NO!” fece Grosso piangendo e sbattendo le mani a terra dalla disperazione “IO AMO TE! NON POSSO LASCIARTI CUI!”
 
-“E io… è proprio perché ti amo che voglio che tu vivi… che vivi per te… per la tua famiglia… e per me…” disse allora Sacha afferrando con la mano destra quella sinistra di Mikhail e, con la sua altra mano, il collo di quest’ultimo per potere baciarlo. Per Mikhail, era il primo bacio, anzi l’unico che ebbe mai in vita sua, e sarebbe stato per lui il momento più bello di sua vita se non sentì che la sua amata, allo stesso momento, si spegnò. Infatti, il suo corpo si appesantì e la sua mano cadde a terra allora che i suoi occhi si chiusero e che lasciò andare il suo ultimo sospiro… Mikhail non seppe cosa fare, e per l’ultima volta della sua vita, iniziò a piangere come un bambino disperato, afferrando la sua amata e stringendola con la vana speranza che non fosse reale…E poi, si rese conto che quest’ultima aveva lasciato nella sua mano un oggetto. Guardò e vide che era una piccola foto inquadrata che Sacha era riuscita a nascondere dalle guardie. Su questa foto, si vedeva Sacha con quelli che sembravano i suoi genitori. Il coperchio, in argento, era visibilmente di un alto valore per via della sua decorazione… però, il retro era parzialmente rovinato da un’incisione maldestra. In effetti, a fare disperare ancora più Mikhail, fu quando legge che Sacha aveva provato a scrivere in russo.
 
“A mio Misha, mio guardiano e vero amore”
 
Mentre il futuro mercenario continuò a piangere, sentì che gli soldati del gulag stavano tentando di sfondare la porta. A Mikhail non piacque sentire le urli e le minacce di coloro che avevano ucciso la sua amata… anzi, di coloro che avevano ucciso anche il padre, torturato lui e il resto della famiglia, che lo avevano strappato dalla sua vita semplice ma idillica e piacevole per confrontarlo al peggio dell’umanità. Li, Mikhail, nonostante le lacrime, smise di essere triste. Al posto della disperazione, iniziò a sentire un profondo sentimento di odio… di odio nei confronti di Sukulov, di queste guardie, del sistema, perfino degli altri prigionieri che non erano mai intervenuti per aiutarlo lui, sua famiglia o Sacha… Mikhail entro alla volta in uno stato di confusione e di grande chiarezza… In effetti, per la prima volta, sapeva esattamente quello che voleva fare: Per cominciare, avrebbe portato le uniche quattro persone per le quale aveva ancora compassione – ossia la madre e le sorelle – al sicuro. Poi, li lascerebbe al sicuro mentre lui sarebbe andato a uccidere questo stronzo di Sukulov e sarebbe andato in America, dove avrebbe trovato modo di fare venire la famiglia prima di realizzare il sogno di Sacha.
 
-“Sacha…amore mio…  babbo…vi giuro che proteggerò mamma, Zhanna, Bronislava e Yana…ad OGNI…SINGOLO…COSTO…!” finì con urlare Grosso, deciso di cominciare col fare fuori questi stronzi che stavano per entrare. Nonostante la confusione e l’ira incontrollabile dentro di sé, Mikhail sapeva che sarebbe un suicidio andare a mani nude contro un gruppo di uomini armati… e pero doveva farcela… E li, si ricordo del consiglio di Sukulov: “Se vuoi andare contro un uomo armato, assicurati di avere un’arma più grossa”. Rendendosi conto di essere nell’armeria. Egli iniziò a guardarsi intorno… piccole pistole troppo piccole per le sue mane e inutile contro varie persone, kalashnikov attraenti ma non abbastanza micidiali per la sua voglia di sangue. Allora che stava per rassegnarsi, Mikhail guardo con tristezza il corpo della sua amata e noto che il braccio di quest’ultima sembrava puntare una direzione. Egli guardò verso questa posizione e notò, a sua grande sorpresa, un minigun in perfetta condizione, e visibilmente pronto all’uso. Sentendo che la porta stava per essere sfondata, il russo si precipitò per afferrare l’arma. Quest’ultima era bel pesante, ma forse perché era forte o semplicemente perché era inibito nella rabbia, la sollevo con grande facilità e puntando verso all’entrata bloccata, Mikhail, ormai impazzito dalle emozioni estreme, urlò
 
-“DAI SACHA…FACCIAMOLI URLARE!!!”
 
E proprio a questo momento, la porta fu sfondata da cinque guardie. Ormai Mikhail non era più il colosso impressionante ma buono che pensava solo a vivere felice insieme. Quel orsacchiotto, già ferito dalla morte del padre e dai lavori forzati, era ormai diventato l’assassino spietato che non aveva più nessuno rimorso a uccidere talora fosse necessario. Non lasciò neanche il tempo alle sue vittime di entrare nell’edificio che iniziò a sparare a rafficata, trasformando i suoi nemici in pezzi di carne mischiati a una marmellata di sangue e di organi. Egli uscì e continuò a sparare a tutti. Soldati e prigionieri, senza distinzione. Però, contrariamente ai suoi ricordi, Mikhail inizio a sentire una strana sensazione, come se un freddo ghiacciale lo stava invadendo dall’interno, e mentre si ricordava di avere ucciso questa notte circa quindici persone, li iniziò a vedere che ne uccideva venti, trenta, quaranta! Anzi, dopo un po' Mikhail inizio a smettere di essere arrabbiato per lasciare posto a uno stato di incomprensione, di confusione e di leggero stress. In effetti, la scena attorno a lui inizio a cambiare fino a somigliare a un luogo che non aveva mai visto in passato: L’incendio c’era sempre, e era perfino più impressionante, ma lui stesso non si trovava più in un gulag immerso nella neve, bensì all’entrata di una foresta in fuoco, in un terreno roccioso e secco. Il cielo era rosso, e dalla foresta in fuoco scappavano tanti animali… anzi creature, visto che alcuni di questi esseri erano da lui completamenti ignoti e sembravano uscire da un racconto di fiabe. Nonostante questo, egli continuava a sparare verso la foresta, senza mirare a qualcuno in particolare.
 
-*Cosa succede?! Dove sono stronzi che hanno ucciso Sacha? Dove io sono?* iniziò a pensare perplesso mentre iniziò a vedere che dalla foresta degli individui in armatura sembravano correre come degli disperati nella sua direzione… Grosso li guardo mentre sembravano ravvicinarsi e, dopo un po', si rese conto alla sua grande sorpresa che erano degli Jenesiani che urlavano parole nella loro lingua. Il primo riflesso di Mikhail fu di volere sparargli sopra, ma invece continuò a sparare verso la foresta, senza più avere il controllo di sé. Egli guardò le sue mane e la sua arma, e si rese conto che non c’erano più i suoi grossi pugni, ma delle mane di dimensione normale, e l’arma che teneva non era il suo minigun, ma una strana specie di mitragliatrice altrettanto grande ma di forma molto diversa della sua arma. Mikhail si guardò un po' e si rese conto che era diventato a sua volta un Jenesiano. A questo momento, senza ancora capire che tutto questo fosse solo un sogno, egli riusciì a sentire e a capire i Jenesiani nonostante la loro lingua
 
-“RITTIRATA! TUTTI ALL’ASTRONAVE! PRESTO PRESTO!”
 
-“QUESTA COSA HA GIA UCCISO UNA VENTINA DI NOI! SCAPPIAMO!!
 
Grosso si girò, vedendo che i Jenesiani che scappavano dalla foresta correvano dietro di lui senza preoccuparsi della sua persona. Guardo dietro di lui, e vide che a cento metri da li c’era effettivamente una grande astronave, sempre a forma di Aquila come quelle che aveva visto dentro il Virgilius, ma molto più grande, nonché diecine di Jenesiani che imploravano di entrarci o che disperatamente sparavano alla foresta.
 
-“Ma… Jenesiani descritti come soldati esemplari… di cosa loro cosi paura a punto che diventano bambini!?” si chiese Grosso prima di sentire qualcosa afferrarlo alla gamba e trascinarlo a una velocità mostruosa verso la foresta. Lì, il mercenario non poté fare a meno che urlare, senza capire cosa gli succedeva, mentre vene invaso dalle fiamme allora che sentì centinaia di urli tormentati.
 
 
Fine degli sogni
 
-“AAAAAAAAAH!!!” urlarono allora tutti in simultaneo tutti gli ufficiali di Starfleet, fatta eccezione di Uhura, Batman, Camus e otto degli nove mercenari.
 
-“Non volevo, non volevo farlo! Perché me l’hai chiesto padre!” iniziò a piangere McCoy.
 
-“Zio! NO! Non Abbandonare!” urlo come un impazzito Camus.
 
-“AAAAAAAAAAAAH, MOSTRO TRASCINAAARMI!!! AAAAAAAH!” fece allora Grosso che, a terra, provava disperatamente ad afferrare il suolo.
 
-“Mon fils?! Où est mon fils?![26]” si mise a cercare disperatamente la spia.
 
-“Prendi questo demonio!!!” fece allora Scott afferrando la prima persona che aveva alla sua portata, in questo caso Mundy, calpestandolo “Non mi lascerò uccidere in una maniera cosi cruenta come gli altri, me lo rifiuto!!!”
 
-“Ma che ti pigli coglione?!” provò a difendersi lo cecchino “Semmai sei tu il demonio che hai appena massacrato quel povero villaggio!!!”
 
-“SIGNORI!!!” urlò allora all’improvviso Bruce Wayne, completamente sudato dallo stress ma che insieme a Spock era l’unico ad avere conservato un minimo di calma, ma che riuscì con questa mossa a calmare quasi tutti, visto il Medico sembrava ancora essere paralizzato dalla paura e ripeteva di continuo parole confuse in tedesco – tra le quale Wayne riuscì a capire “cosa ho fatto” o “non, tutto ma questo no!” – e Tavish che continuava a dire cose senza senso… ma visto che diceva sempre cose senza senso non c’era niente di sorprendente.
 
-“Ehm Ehm” fece allora nervosamente Conhager, anche lui visibilmente esausto e bagnato di sudore “Scusatemi, mi sa che ho fatto un brutto sogno…”
 
-“Anche lei?” chiese Zulu, mentre tutti lo guardarono sbalorditi.
 
-“Sembra ovvio che noi tutti abbiamo fatto un incubo” rispose Spock, mentre tutti si guardarono a vicenda negli occhi rossi dagli pianti o dal terrore.
 
-“Già! Ho ancora della maledizione del mio bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis nonno da parte di mia madre, Lord Haddock Halkool Bieravish Comash Finnegan De Groot V, detto il negro, e della maledizione ancestrale familiare dell’Eyelander e dell’inferno in cui andrò se non riesco a compiere il rito!!!” urlò come un demonio scatenato il Demolitore
 
-“Oh no, here we go again…” fece annoiato il Soldato
 
-“Cosa sta dicendo l’altro ubriaco?” commentò allora McCoy
 
-“Avete la spada tutta arrugginita e parzialmente rotta che usa Tavish?” rispose allora l’Esploratore con grande noia, come se fosse la trecentesima volta che spiegava quella faccenda. “Beh, non la vuole buttare e se la porta sempre, perché secondo lui è una spada maledetta chiamata l’Eyelander concepita direttamente negli inferi e con la quale si può fare un patto per qualsiasi cosa in cambio di qualsiasi cosa, ma che il suo antenato ha mancato alla sua parola e che, di conseguenza, tutti i suoi discendenti verranno precipitati nell’inferno finché non rispettino il contratto… Lo so, neanche noi sappiamo quant’alcool si è bevuto per costruirsi questa storia neanche degna di una fanfiction!”
 
-“Ma è vero!” fece disperato lo scozzese nero, afferrando tutti piangendo per provare a convincerli che stava dicendo la verità “Il mio-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis nonno da parte di mia madre, Lord Haddock Halkool Bieravish Comash Finnegan De Groot V, detto il negro…”
 
-“Ti ho già detto di accontentarti di chiamarlo Groot V il negro, vergognoso ubriaco di un inglese senza mutande puzzolente verme che non sei altro!!!” gridò Soldato, prima di girarsi per notare l’espressione scandalizzata degli ufficiali di Starfleet, e di dire in una maniera sorprendentemente matura da parte sua “Preciso che non ho usato il termine “negro” per razzismo, ma perché era effettivamente l’unico capo clan scozzese di colore all’epoca”
 
-“… aveva avuto la notizia” proseguì come posseduto lo scozzese, ignorando completamente l’interruzione da parte del sui collega americano “secondo la quale un grande esercito di migliaia di danesi stava per attaccare il suo castello, il De Groot Keep, che aveva solo una ventina di uomini in guarnigione! Per salvare le sue terre e la sua riserva di alcool…”
 
-“Ti pareva…” dissero all’unisoni tutti gli altri tranne Spock e Wayne
 
-“Andò a prendere la mitica spada Eyelander con la quale promise 1000 teste nemiche in cambio della forza di un ghepardo e della velocità di un elefante!”
 
-“Penso intendevate il contrario…” commentò Spock
 
-“L’Eyelander accettò e gli diede i poteri delle anime di tutti i valorosi guerrieri, e il mio antenato si precipitò verso il campo di battaglia, pronto a disfare gli vichingi!!! Ma, quando arrivo, non c’era nessuno!”
 
-“Si era ubriacato troppo e si era sbagliato campo di battaglia? O semplicemente arrivò troppo tardi?” chiese allora sarcasticamente Zulu che non si divertiva proprio e voleva tornare a parlare di cose serie.
 
-“NO!!! Non c’era nessuna invasione! Queste notizie erano solo una menzogna fatto dal rivale del mio antenato, Lord Dinkleberg, per prenderlo in giro!!!...Dinkleberg” ripeto allora a sé stesso Tavish con un’espressione di grande odio, prima di proseguire “Il mio antenato provò allora a cancellare il contratto con l’Eyelander, ma quello li voleva le sue 1000 teste decapitate!!! Allora la spada levò sia i poteri che l’occhio sinistro del mio antenato e li disse che finché non avrebbe avuto 1000 teste decapitate in campo di battaglia lui e tutti i suoi discendenti andrebbero in inferno. E fu cosi, gli uni dopo gli altri, che tutti andarono all’inferno dove subiscono le torture peggiore degli demoni!”
 
-“Lasciami indovinare” provocò Spia “Tra le torture ci sono i seminari per smettere di bere alcool?”
 
 “Ma sei stupido?! Io ti parlo del vero inferno di fuoco e di ghiaccio dove le anime saranno tormentate fino al giudizio universale!!! Ma inoltre, cosa pensa questa maledetta spada maledetta che sia facile decapitare tizzi in battaglia senza poteri quando c’è pace, o che hanno delle arci o peggio degli fucili e delle mitragliatrici e che più nessuno combatte corpo a corpo?! Al medioevo era ancora fattibile, e infatti ormai dopo 1000 anni mancano solo circa cinquanta teste, ma come faccio io che non posso neanche avvicinarmi al nemico senza essere ridotto a polpette dai loro proiettili e che i robot non contano?!?! Mica voglio andare in inferno come gli altri io!!!
 
-“Perché allora non ti accontenti di sbarazzarti della spada?” chiese allora Scott che soprattutto voleva calmare l’altro impazzito.
 
-“C’ho provato, ma essa torna sempre!!!! Ho visto l’inferno, con questi demoni che fanno arrostire le loro vittime, che li costringono a essere morsi da serpenti, sbattuti l’uno contro l’altro nelle tempeste senza fine, o quando questi tizzi agli occhi dorati e in armature del futuro hanno massacrato quel villaggio…”
 
-“Aspetta un momento, hai appena menzionato degli Jenesiani conquistare un popolo?!” interrompo Batman
                                  
-“Che? No! Io sto parlando di tizi agli occhi dorati che urlavano servire l’Ente Supremo massacrando gli inferiori!”
 
-“Già, sta parlando degli Jenesiani, è solo troppo stupido o stressato per ricordarselo” disse Conhager.
-“Vabbè, almeno non sta ancora piangendo come un disperato come il Medico” notò Kirk mentre il Tedesco stava ancora paralizzato dalla propria paura e non sembrava rendersi conto di quello che gli succedeva attorno.
 
-“Signori, dibattiti futili messi a parte” interrompo Spock nella più grande indifferenza di quello che ci diceva e della storia dell’Eyelander “Avrei una domanda. Per caso tutti voi avete sognato di flash-back delle vostre vite, magari brutti ricordi o ricordi modificati per essere meno piacevoli, mischiati con visioni di scene a voi completamente ignoti negli quali si vedevano degli Jenesiani?"
 
-“Mia vita e i mie sogni non riguardano extra-terrestre con orecchie d’elfo!” fece allora un po' nervosamente Grosso-
 
-“Senza offenderla” rispose con una calma incomprensibile per i altri l’interessato “I dettagli della vita personale di ognuno di noi sono poco se non addirittura totalmente irrilevanti per la mia domanda. Logicamente, vorrei considerare i punti comuni che credo che esistono tra i nostri sogni. Quindi, rispondete si o no.”
 
Fu così, che dopo una lunga esitazione, gli uni dopo l’altro ammisero che, in effetti, i loro sogni corrispondevano alla descrizione fatta dal vulcaino, e mentre nessuno (tranne Tavish) accettò di parlare degli suoi flash-back personale, tutti al contrario accettarono di parlare delle visioni sugli Jenesiani che avevano visto. Mettendo le informazioni le une accanto alle altre, si poteva realizzare lo schema seguente. Villaggio/città/tribu di una popolazione non umana veniva attaccato ad arme pesante dagli Jenesiani. Ad alcune occasione, venivano interamente massacrati, ma alcune volte erano fatti prigionieri dallo stesso Ky'ouretsus, figlio dell’Ente Supremo Xar’chabus, e portati via. L’unica cosa che nessuno riusciva a capire, era quando il Grosso parlò del fatto di essere stato nel corpo di un Jenesiano e di essere stato trascinato da una creatura.
 
-“Allora, signore Spock?” chiese allora Conhager, che pure essendo ancora arrabbiato contro Kirk e la sua squadra, era costretto a riconoscere che il Vulcaino era il più adatto a capire cosa stava succedendo “Sarà un scherzo mentale di quel Tyresius per convincerci che gli Jenesiani sono i cattivi?”
 
-“Gli umani del mio mondo hanno iniziò a teorizzare la correlazione tra i sogni e la conoscenza” iniziò a dire Spock mentre proseguì la sua riflessione “Fino ad adesso, l’ho consideravo un ragionamento illogico che doveva la sua esistenza solo alla fantasia umana. Ma forse mi sono sbagliato, e vorrei se possibile chiedere agli zalgo di accedere alla loro biblioteca per vedere se trovo fonti che sostengono la mia idea.”
 
-“Basta con le parole scientifiche e daci una risposta che un americano può capire, brutta parodia di romanzi di fantasy europeo di un pianeta di cretini che non sei altro!!!” provò a comandare Soldato.
 
-“In termine comprensibile per lei” fece indifferente Spock “Non so per quale motivo abbiamo questi sogni, ma non credo che sia opera di Tyresius visto che non avrebbe avuto accesso ad ogni nostro singolo ricordo del passato che abbiamo sognato e che le nostre visione riguardante i Jenesiani siano diversi l’una dall’altra per essere una semplice manipolazione mentale. Penso che abbiamo avuto in qualche modo vissuto una cosa insieme, che ci ha permesso di rivedere di persona gli ricordi di altri. Forse mentre eravamo prigionieri dagli Jenesiano ci hanno fatto degli esperimenti.”
 
-“In altre parole: Quello che abbiamo visto è probabilmente vero, ma non si sa il perché del come o del quando…” si rassegno Conhager “Vabbeh, ci penserò stasera dopo l’allenamento, adesso ho solo bisogno di una doccia.”
 
Fu proprio a questo momento, in cui lo Texano camminò per qualche passo, che tutti si resero conto che non erano nella stanza da letto in cui soggiornavano, ma bensì in una specie muraglia vicino al mare, in piena notte.
 
-“Per tutti i figli dei patriottici, dove cazzo stiamo?!” urlò soldato.
 
-“Pensate che ci hanno abbandonato su un altro pianeta sconosciuto?!” iniziò a preoccuparsi Esploratore.
 
-“Non credo” rispose allora Bruce Wayne, “Bensì sono il primo ad esserne sorpreso, mi sa che stiamo tutti nello stesso sogno, e che stiamo ancora in un Flash back degli Jenesiani”.
 
-“E cosa te l’ho fa dire?” provocò Spia
 
-“Perché riconosco la loro capitale, Aldenairi” rispose il Cavaliere oscuro, invitando tutti a guardare nell’altra direzione. Tutti si girarono e, mentre la nebbia notturna se ne andava portata via dal vento, si offrì a loro la visione di una megapolis gigantesca, con edifici immensi che sembravano essere un mischio tra i tempi antichi babilonesi e i moderni grattacieli statunitensi. “E particolarmente questa strada” indicò allora Bruce Wayne quello che sembrava essere una lunga via sulla quale, a un chilometro l’una dall’altra, si trovavano immense statue d’oro rappresentando quello che somigliavano re.
 
-“Ma che grossa via! Accanto a questa piazza rossa minuscola!” fece sbalordito Mikhail.
 
-“Secondo la mappa, si tratta della via degli Enti Supremi, la via la più importante della città. Essa collega direttamente il porto militare della città alla fortezza imperiale” proseguì il super eroi.
 
-“Quindi, se noi stiamo vicino al porto, risalendo questa strada al contrario, arriveremmo al Palazzo imperiale?” interrogò Kirk
 
-“Allora andiamo!” fece nervoso Camus “Sono o non sono, voglio delle risposte!”
 
-“Già, mi sa che prima otteniamo delle informazione, più facilmente potremmo riuscire gli allenamenti e sconfiggere l’Ente Supremo per tornare a casa!” fece entusiasta Scout.
 
-“Ey, ma a cosa state pensando?!” fece allora preoccupatissimo Zulu “E se degli abitanti ci vedessero?! Devo ricordavi che, anche se siamo in un sogno, siamo comunque nel cuore dell’impero nemico?!”
 
Fu proprio a questo momento che arrivò una pattuglia di riconoscimento Jenesiano. Tutti i nostri protagonisti, alla vista della potenziale minaccia, si nascosero, tranne il demolitore che, come al solito, fece l’idiota ubriaco e, afferrando la sua spada che prentendeva essere maledetta, e si precipitò verso la pattuglia urlando che era giunto il momento di liberarsi dell’Eyelander decapitando i nemici.
 
-“Fermati coglione!!!” si lasciò scappare Kirk mentre Batman provò a lanciare una corda per fermare lo scozzese, ma non ci fu niente da fare e il mercenario si sbatto contro il gruppo di sorveglianza Jenesiana… o almeno cosi pensava, finché egli li attraversò come se fossero un gruppo di fantasmi. Il guercio ebbe solo il tempo di dire “What the hell?!” che nella sua corsa cadde nel mare mentre i Jenesiani, che non lo avevano né risentito né visto, proseguirono la loro marcia.
 
-“Beh, sembra che non dovremmo preoccuparsi di essere discreti…” notò sarcasticamente McCoy mentre uscirono dal proprio nascondiglio per osservare la pattuglia allontanarsi.
 
-“HEEEELP ME!!! MI SONO SCORDATO COME SI FA A NUOTARE!!! NON VOGLIO ANNEGARE IN QUESTO LIQUIDO SALATO E NON ALCOLICO!!!” si fecero sentire gli urli del demolitore.
 
-“Visto che non ci sentono, non sarebbe il caso di lasciarlo cui? Dopo tutto, non è che ci sia di un grande aiuto” suggerì Camus, per la più grande sorpresa degli altri.
 
-“Non lasciò nessuno dietro, anche i più gravi idioti” rispose Batman lanciando una corda per aiutare l’altro scemo di risalire.
 
-“E poi, credici può essersi utile quando vuole” commentò allora Cecchino “Infatti, è un ottimo mezzo di distrazione per permetterci di svignarsela”
 
-“In ogni caso, questa…visione… probabilmente scomparirà quando ci sveglieremmo, quindi penso che dobbiamo approfittare di avere la via libera e di non rischiare niente per sbrigarsi a trovare risposte! Al palazzo!” incitò Kirk
 
-“Ehm” chiese Scott “Forse dovremmo aspettare l’arrivo del Pyro. So che Uhura e Derpy non dormano di notte per il momento quindi non mi sorprende vederle, ma il vostro…”


-“Nah” fece indifferente Mundy “Quel demonio mascherato non dorme mai, si accontenta di osservarci di note.” 
 
-“E’ vero, l’ho visto a fare questo” confermo Batman iniziando a camminare.
 
-“COSA?!” fecero un po' sorpresi gli uomini dell’Entreprise.
 
-“Ci si fa l’abitudine dopo qualche giorno, non c’è niente per cui preoccuparsi, al meno che egli trova una candela, li saranno cose amare” rispose Conhager tranquillo.
 
-“Eh, vi ricordate la volta in cui è riuscito a mettere fuoco in una base nel polo sud?” scherzò esploratore mentre gli altri, preoccupati, iniziarono ad camminare in direzione della città imperiale.
 
 
 
 
A migliaia di Universi da lì
 
-“NO NO NO!!! TUTTO CIO’ NON HA ALCUNO SENZO!!!” a urlare disperatamente, piangendo, era il Dr. Whooves, l’amico scienziato (e interesse amoroso nascosto) di Derpy Hooves, che lei aveva visto poco prima della sua scomparsa e che l’inventore di un segreto prototipo di machina a viaggiare nel tempo. Erano ormai, in questo universo, un mese che pegasa era scomparsa insieme alla Principessa Twilight, a Discord e alle cinque altre guardiane degli elementi dell’Amicizia. Era da un mese intero che il povero Dottore pony non smetteva di lavorare di giorno e di notte a provare a capire dove i scompariti erano andati a finire, e durante le sue ricerche aveva ottenuto una buona notizia, cioè che aveva finalmente un minimo di prove per dimostrare la sua teoria dell’esistenza di una multiverso, e una bruttissima notizia, vale a dire che non capiva né come questo multi verso funzionava né come riuscire a localizzare i sfortunati scomparsi. Per un scienziato, non c’è niente di peggio di non trovare la soluzione di un problema per il quale si è già capito la causa, ma per Dr Whooves il peggio è che si sentiva incapace di aiutare la sua amica.
A peggiorare la situazione, era la situazione geopolitica di Equestria. In effetti, per decenni le terre del regno dei pony viveva nella pace, e grazie sia alle principesse Celestia, Luna e Twilight, le poche incursione nemiche erano state sistemicamente respinti. Ma adesso che le voce secondo la quale la giovane principessa dell’amicizia e le sue compagne erano state rapite, tutti gli nemici dei pony avevano iniziato ad attaccare le frontiere: Tirek, il centauro che si nutre dell’energia delle sue vittime fino a diventare un titano stava attaccando l‘ovest; King Sombra, il pony che aveva venduto la sua anima alle tenebre e che tutti pensavano sconfitto, si era di nuovo risvegliato e minacciava l’impero di cristallo che costituiva la frontiera nord; all’interno delle città dell’est, alcuni changeling, creature con la capacità di cambiare il proprio aspetto e che seguivano gli ordini della regina Chrysalis (la quale aveva traumatizzato i pony compreso Derpy all’occasione del suo ultimo attacco), erano stati arrestati, lasciando pensare a una futura invasione; infine, a sud, un fino ad allora  sconosciuto Storm King, un specie di grande scimmia pazza, aveva bombardato la città di Keydari con le sue macchine volante. Presi ognuno singolarmente, questi nemici potevano essere facilmente sconfitti, ma tutti insieme – anche se non collaboravano tra di loro – rappresentavano una vera e propria minaccia, e si sapeva che senza gli elementi dell’amicizia o la magia caotica di Discord, sarebbe solo questione di settimane prima che l’uno di questi esseri malvagi riuscisse a precipitare Equestria sotto il proprio dominio. Per rallentare l’inevitabile, la principessa Celestia aveva dichiarato lo stato di guerra totale: Ogni città doveva essere protetta 24 ore su 24 da giganteschi scudi protettivi di magia e un coprifuoco era stato stabilito. Ogni unicorno doveva usare della sua magia per assicurare la protezione, ogni pegaso e pony terrestre maschio doveva arruolarsi nell’esercito mentre le femmine e gli bambini dovevano coltivare la terra e partecipare alla concezione delle difese. Il dottore Whooves, che era riconosciuto per la sua intelligenza, aveva ottenuto il diritto di non essere mandato al fronte, a condizione però di ritrovare Twilight e i altri e di creare piani di emergenza o – se fosse necessario – arme… In poche parole, non solo non trovava la soluzione per salvare la sua amica, ma il povero Dr. Whooves aveva la responsabilità di tutta Equestria sulle sue spalle!
 
-“Tutto apposto dottore?” a parlare era il piccolo drago Spike, assistente dell’ormai scomparsa Twilight Sparkle, e che aveva ricevuto l’ordine di assistere il dottore.
 
-“NON STO BENE PER NIENTE!!!” gridò disperato il pony prima di piangere. Spike, che oltre ad avere un cuore d’oro, era abituato a sostenere la sua amica quando essa non trovava una risposta negli suoi libri, si accontentò di dare una tazza di cioccolato insieme ad un muffin caldo al suo collega e ad aiutarlo a calmarsi.
 
-“Hai solo bisogno di una pausa… so che la situazione è grave, ma sono sicuro che c’è la faremo…e pensaci, forse Twilight e i altri torneranno prima che li troviamo noi” disse Spike. Dalla voce, si capiva che non pensava realmente quello che diceva, ma che voleva crederci e convincere il suo amico a farne altrettanto.
 
-“Non lo so…” rispose finalmente lo scienziato “Ho letto tutti i libri a mia disposizione negli archivi, studiati i piani delle due porte magiche che portavano in mondi paralleli che sono spariti insieme alle ragazze e a Discord, provato ogni mia singola invenzione, controllato i luoghi dove Derpy e i altri sono stati visti per l’ultima volta in ricerca di indizi… Io sono sicuro ormai che non sono più in questo mondo, ma…”
 
-“Ma?”
 
-“Non so come raggiungerlo! Se ci fosse ancora una delle due porte, c’è l’avrei fatta! Avrei potuto trovare un modo di capire i misteri del multiverso…”
 
-“ehm… per esserci andato so che esiste un mondo parallelo in cui i pony diventano quello che chiamano “Umani”, ma da lì à parlare di un multiverso…”
 
-“Invece esiste! E ve lo dimostrerò quando avrò inventato una macchino che mi permette di viaggiare al suo interno! Ma comunque, dicevo, con almeno una delle porte, sarei riuscito a capire come localizzare le nostre amiche e a salvarle…ma invece non ci sono più, e non so come fare per ricreare un portale cosi impressionante! La principessa Twilight ci era riuscito, ma aveva visto come funzionava il portale originale e aveva ritrovato i piani che sono stati distrutti! In poche parole, la grande principesse contano su di me per salvare il mondo, e non posso farlo perché non sono capace di costruire una dannata porta dimensionale!!!”
 
-“Già, e dire pensavo che sistemare la libreria di Twilight era un’impresa da matti!” provò a scherzare Spike per provare a fare cambiare le idee.
 
-“Se solo Derpy ci fosse… mi avrebbe aiutato a trovare la soluzione…” disse ignorando il draghetto il dottore, che guardò al muffin che sarebbe sicuramente piaciuto alla sua amica.
 
-“Derpy? Sul serio?” commento il giovane drago “Non offenderti, tutti apprezziamo Derpy, ma non è che…insomma…lei è un po'…stordita? Non so se avrebbe potuto essere d’aiuto.”
 
-“Derpy” spiegò allora Dr. Whooves, che visibilmente era stato un po' offeso ma manteneva la calma perché sapeva che Spike non voleva essere scortese “Non ha la stessa intelligenza nostra: Certo, è maldestra, si scorda troppo facilmente le cose ed è la pony la più distratta che ho mai visto… però, è anche l’unica pony che conosco che sia capace di capire le cose che gli altri neanche vedono”
 
-“Vale a dire?” chiese perplesso Spike
 
-“Ad esempio, saresti sorpreso di scoprire che è capace di capire alla perfezione un individuo solo dallo sguardo, o come riesce a immaginare una soluzione ad un problema complesso. Una volta, stavo provando a spiegare la legge della gravitò in una conferenza e nessuno capiva i miei calcoli, è arrivata Derpy e, semplicemente provando ad aiutarmi dicendo che se una mela cadde a terra è che subisce la gravità, riuscì meglio di me a fare capire il mio proprio discorso al pubblico. Un’altra volta, stavo cercando per un esperimento una pianta rarissima, che ho cercato in vano per tre settimane. Quando sono tornato, Derpy mi aspettava con un intera cassa riempita di questa pianta e, quando gli ho chiesto come aveva fatto per trovarli, mi ha semplicemente risposto che aveva visto sulla foto che sembravano provenire da una montagna, essere andata li e che li aveva trovati…Non è facile spiegare, ma credo che Derpy, a modo suo, sia svelta.”
 
-“Lasciami indovinare, è proprio perché vedi in lei una forma di intelligenza che tu non hai che sei innamorato di lei?” provò a scherzare il drago.
 
-“Cosa?! Come!? Perché dici questo?! Chi te l’ha detto?!” iniziò a parlare confuso e nervoso lo scienziato visibilmente imbarazzato.
 
-“Guarda che tutti a Ponyville sappiamo che avete la cotta per entrambi, e ci chiediamo sempre come mai non siete ancora sposati” iniziò a scherzare gentilmente Spike.
 
-“E’ meglio se torniamo al lavoro” si accontentò di dire Dr. Whooves, un po' troppo imbarazzato per proseguire il discorso, soprattutto che essendo nervoso avrebbe potuto provocare il drago sulla cotta che quest’ultimo aveva per Rarity, e non era il tempo di litigare.
 
-“E vabbè” scherzo Spike “Certo che non sei come Twilight, lei non smette appertamente di parlare delle sue passione! Sai quante volte mi ripete le storie di Daring Doo, dei libri di magia di Star Swirl il vecchio o delle storie che scrive...”
-“Aspetta un attimo!?” fece allora il Dottore Whooves, come se aveva avuto una realizzazione “Non sono un grande conoscitore della storia dei magi, ma Derpy mi ha un giorno detto che quel Star Swirl era il più grande unicorno mai esistito, e mi diceva di una leggenda secondo il quale viveva in un castello su una montagna.”
 
-“Ehm” fece Spike che non capiva la reazione del dottore “So che era il più grande mago e che è il modello di Twilight, ma non so di questa storia di un castello.”
 
-“Ho letto qualcosa su di lui negli libri della principessa riguarda i suoi gesti!” Di solito, per sconfiggere i suoi nemici, li mandava nella prigione del tartaro o…”
 
-“Nella dimensione sconosciuta…” chiuse la frase Spike che iniziava a capire il ragionamento del scienziato “come le tre sirene che io e Twilight abbiamo sconfitto nella dimensione parallela degli umani e che erano state spedite lì da Swirl centinaia di anni fa…”
 
-“Quindi Star Swirl sapeva come aprire degli portali… forse era stato lui a concepire la porta dimensionale e a darla alla Principessa Celestia..:” proseguì il Dr. Whooves che abbandonò il suo malumore con un puro sentimento di gioia e di entusiasmo quasi incontrollabile.
 
-“Può darsi, ma abbiamo già guardato i libri biografici su di lui e la principessa Celestia era ancora una bambina all’epoca e non penso si ricorderà…lui ha più di mille anni fa dopotutto!” ragionò il piccolo drago.
 
-“Si, ma se lui aveva un castello privato, di sicuro avrà avuto delle note o un quaderno!”
 
-“Si ma, come trovare un castello sconosciuto e inoccupato da più di mille anni semmai esiste? Dicevi su una montagna, ma ce ne sono migliaia solo ad Equestria!”
 
-“Purtroppo hai ragione…” disse deluso Dr. Whooves che ricominciò ad essere depressivo, prima di iniziare a riflettere finché una luce di speranza illuminò i suoi occhi “Almeno che…” e, senza una parola, afferrò strumenti di misura e una mappa della costellazione e si precipitò verso la mappa del mondo più vicina a lui, iniziando a fare calcoli in modo frenetico.
 
-“Ehm, Whooves, cosa stai facendo?”
 
-“Quando Derpy mi narrò le leggende di Star Swirl e che li chiese dove pensava fosse il suo castello, lei mi rispose che non poteva saperlo, ma che se fosse stata una vecchia maga che amava studiare, avrei preso un luogo dove potevo vedere le stelle perché sono molto carine..:”
 
-“E cosa c’entrano le stelle con il fatto di salvare il mondo?”
 
-“Come ti ho detto, Derpy in modo suo è molto più sveglia di noi, e se il suo intuito è corretto, allora basta capire il punto migliore per vedere le stelle! Possiamo escludere subito i poli e l’equatore, perché offrirebbero una visione solo parziale del cielo, però il punto deve comunque essere abbastanza vicino dell’Equatore, quindi escludiamo già un buon 50% delle catene del mondo conosciuto. Adesso, se prendiamo in considerazione che sono Celestia e Luna a gestire rispettivamente il sole e la luna, e che risiedono a Canterlot come i loro genitori che gestivano la stessa responsabilità, allora dobbiamo prendere in considerazione che le stelle sono più dense nell’area della traiettoria in prolungazione alla latitudine di Canterlot!”
 
-“Ehm…puoi semplificare?”
 
-“La montagna deve essere sulla stessa lattitudine di Canterlot! Magare a una decina di chilometri sopra o sotto!”
 
-“Non che sia convinto…” fece perplesso il drago prima di guardare il drago “Ma, se sei convinto, allora rimangono solo otto catene.”
 
-“Quelle immediatamente vicine a Canterlot sono da escludere, visto che sono abitate e regolarmente esplorate e che se ci fosse un castello antico sarebbe stato da molto tempo, stessa cosa vale per le catene sulla costa est…”
 
-“Ma, allora rimane solo…”
 
-“La catena di Black Montain, di cui il sommo è la montagna di fuoco…”
 
-“Ma, è vicino a un lago di lava! Solo un pazzo… o un drago…ci andrebbe a vivere!” commentò Spike rendendosi conto dell’ironia di questa frase da parte sua.
 
-“Adesso è un lago di lava, ma all’epoca era un lago di magia pura che è scomparso in seguito a un tentativo fallito di sfruttarlo… MA CERTO!!!” fece il Dottore afferrando di gioia il drago “IL POZZO D’ETERNITA, LA MASSIMA CONCENTRAZIONE DI MAGIA MAI ESISTITA, E LA MONTAGNA DI FUOCO CHE ERA MESSA ALLA PERFEZIONE TRA ESSO, IL MARE E LA FORESTA, ERA IL LUOGO PERFETTO PER UN MAGO CHE STUDIAVA TUTTO COME STAR SWIRL!!!”
 
-“Ma, sé il lago è scomparso, può darsi che anche il castello sia stato distrutto, fatto a pezzi e cadendo nella lava…”
 
-“Può darsi, ma dobbiamo verificare! Se avvertiamo la Principessa Celestia, potremmo fare una spedizione e, se troviamo il resto del castello…”
 
-“Potremmo forse trovare le sue note e ricreare un nuovo portale!” fece Spike, che ricominciò a sua volte ad avere un onesta speranza “E hai fatto tutto questo ragionamento solo perché Derpy ha detto che le stelle erano carine?”
 
-“Si” rispose orgoglioso Whooves “E se la mia teoria si verifica e che salviamo le nostre amiche, potrai regalare una scatola di muffin a Derpy per averla sottovalutata!”
 
-“Ehehe. Affare fatto!” rispose il draghetto, troppo contento per fare attenzione “Allora, sbrighiamoci! Se partiamo adesso, forse potremmo ottenere un treno per Canterlot e vedere le Principesse prima dell’alba!”
 
Fu così che il cavallino scienziato e il piccolo drago, afferrando tutte i fogli che avevano scritto, i prototipi e il resto delle loro affare, si precipitarono verso la porta d’uscita, con la speranza di trovare una guardia e farsi portare alla stazione nonostante il coprifuoco.
 
-“Derpy, sto arrivando!” si lasciò scappare di gioia il Dottore quando aprirono la porta, ma la gioia dei nostri due comparsi scomparì immediatamente per lasciare posto a una grande confusione quando videro di fronte a loro una strana creatura, alta di circa un metro-ottanta (cioè almeno tre volte più alta di loro, bipede con strani zoccoli che avevano ognuno cinque estensione. Il strano essere era vestito di viola, aveva la pelle bianca, i cappelli verdi e un sorriso che non sembrava per niente amichevole.
 
-“Knock knock chi è?” disse la creatura prima di tirare fuori una specie di bomba a spray “Derpy, no. Soltanto io, il vostro amico Joker che vi porta il sonno che vi meritate, AHAHAHA!!!” e, prima che il draghetto o il scienziato riuscissero a fare una mossa, lo Joker usò il suo spray che era visibilmente un prodotto a base di morfina, visto che tutti i due caddero quasi subito nel sonno. Una volta svaniti, lo clown principe del crimine li butto in una busta che mise sulle sue spalle, prima di prende una specie di pietra sulla quale comparì l’ologramma di alcuni Jenesiani, tra i quali una grande donna in armatura ma senza elmo, rivelando una donna con i capelli biondi corti caratterizzata da un’espressione severissima.
 
-“Principe del crimine a isterica, mi ricevete?” fece l’ologramma di Joker mentre i Jenesiani lo guardarono.
 
-“Se non fosse per ordine dell’Ente supremo, sappi che io, comandante Zaraslar, ti avrei già spedito nell’aldilà, miserabile umano!”
 
-“Lo prendo per un sì” ignorò il Joker che continuò a ridere “In ogni caso, il soggetto che volevate è stato catturato. Come promesso, ho messo i esplosivi in varie parte della città. Il tempo di prendere i documenti e di raggiungervi ci sarà un bel fuoco d’artificio!”
 
-“Mentre li osservavi, hai sentito qualcosa d’interessante?” a parlare era l’unico Jenesiano non visibile dall’ologramma, perché al contrario dei altri non era alzato in gruppo, ma seduto come l’uomo che pensava su una roccia, osservando da lontano Ponyville. Quel Jenesiano era Tepeius, l’ormai secondo in commando nonché grande inquisitore che parlava con una voce robotico per via di un dispositivo nella sua gola.
 
-“A dire il vero, hanno parlato di un castello nel quale si sarebbero dei piani per il viaggio del multi verso e che si trova vicino ad un’anziana fonte di energia magica pura che ormai è un immenso lago di lava!”
 
-“Bene” rispose Tepeius, girandosi per vedere l’ologramma del clown pazzo con il suo occhio robotico “Allora torna qui, che ti dirò cosa fare”.
 
Una volta l’ologramma chiuso, i Jenesiani andarono a vedere il loro capo.
 
-“Signore Tepeius!” si arrabbiò Zaraslar “Per quanto tempo dovrò subire quel umiliazione di sopportare quel parassita di Joker?!”
 
-“Finché te lo dico io, e ti consiglio di calmarti, Zaraslar, altrimenti sai come punisco i miei uomini disobedienti.” Rispose con un’assoluta calma Tepeius tornando a guardare Ponyville.
 
-“Ehm, signore” esitò a parlare quello che sembrava essere il più giovane degli Jenesiani, un ragazzo piuttosto magro con i capelli corti neri e un inizio di barba e che sembrava avere appena compiuto diciott’anni “Senza mettere in dubbio le vostre decisione, l’Ente Supremo ci ha chiesto tra l’altro di ricuperare energia per il piano, allora perché aspettiamo cui?”
 
Tepeius guardò il giovane e, dopo averlo osservato, disse “Tu sei Pharisius, fratello minore di Sacripantur e figlio dell’alto comandante Rattrerius, giusto?”
 
-“Si signore!” fece intimidito Pharisius dal viso sfigurato del suo superiore “E’ un onore servirvi durante la mia prima missione!”
 
-“Siediti accanto a me ragazzo” invitò Tepeius
 
Quando Pharisius si sedò come ordinato, non poté che fare a meno che guardare la cicatrice a forma di mano che copriva meta del viso del suo generale, ma nascondo subito la sua distrazione quando quest’ultimo iniziò a parlargli.
 
-“Visto che è la tua prima missione, forse ti chiederai per quale motivo facciamo questo, perché attacchiamo questi popoli inferiori, non è vero?”
 
Pharisius non rispose, nel fondo non capiva in cosa i primitivi erano una minaccia, ma se l’Ente Suprema lo diceva, doveva crederla. E poi aveva saputo da suo padre e dal suo fratello come alcuni primitivi potevano essere dei mostri, come lo Joker lo dimostrava.
 
-“In realtà so per quale motivo li combattiamo: L’ente supremo ha detto che era per colpa loro che abbiamo perso la nostra casa, e che se lo potessero ci sterminerebbero tutti”.
 
-“Si, esatto, o quasi.” Rispose Tepeius “In realtà, li attacchiamo anche perché le loro terre hanno l’energia necessaria per l’obbiettivo supremo, ma vedo che sei un ragazzo intelligente quindi passiamo alla domanda successiva: se sono inferiori, per quale motivo non vi ordino a te e agli altri di attaccare subito?”
 
-“Perché sono ordini dell’Ente Supremo?”
 
-“No solo…Non ti ho mai parlato della mia cicatrice?” chiese Tepeius prima di riprendere il suo discorso, non senza lasciare vedere che ormai nel suo occhio ancora valido c’era solo una visione di odio profondo “Quando avevo la tua età circa, il mio superiore non aveva preso le misure adatte alla sicurezza e arrivò uno di questi inferiori. Tutti pensarono che sarebbe stato facile farlo fuori, ma invece fu lui a sconfiggersi. Lottò fino alla fine per salvare i nostri segreti, e alla fine sono riuscito a uccidere l’intruso, ma al costo del mio viso, della mia voce e dal mio corpo. Inoltre, non potevo tornare alla base di quel pianeta perché era arrivato Tyresius. Sono riuscito a sopravvivere solo per il miracolo che l’Ente Suprema stessa era intervenuta per salvarmi, come ricompensa per la mia devozione e per il fatto che al contrario del mio defunto capo avevo capito la sua strategia. Quel giorno, ho imparato due lezione importante. La prima, è che gli inferiori non sono necessariamente degli esseri incompetenti e deboli che non possiamo permettersi di sottovalutarli, al costo di pagarne il prezzo e di perdere di vista l’obbiettivo supremo. La seconda, è che qualsiasi azione non nascosta che noi facciamo attirerà sempre l’attenzione di Tyresius. Per questo, vi chiedo di aspettare, di aspettare che i mondi da invadere non siano più solidi…”
 
 Fu a questo momento preciso che le bombe iniziarono ad esplodere e che il villaggio di Ponyville iniziò a prendere fuoco allora che i suoi abitanti iniziarono ad urlare d’incredulità e di paura mentre cercavano in vano a spegnere l’incendio
 
-“…ma deboli, prima di attaccare, e che finché non saremmo pronti, di fare in modo che siano altri inferiori – come il signore Joker – a fare lo sporco lavoro in superficie per non attrare subito l’attenzione su di noi. Adesso capisci, ragazzo?” concludo allora il grande Inquisitore che inizio a godersi la distruzione del villaggio dei pony come qualcuno che guarda il fuoco del caminetto.
 
-“Si” rispose Pharisius “Scusatemi, non vi metterò più in dubbio”
 
-“Eccomi! Ah merda, mi sono perso il bello dello spettacolo! Che peccato, da bambino la mia mama non voleva che io distruggesse le bambole di cavalline della mia sorellina e speravo cogliere l’occasione di godermi la distruzione di un intero villaggio di queste creature rose per ragazzine…Vabbè, pazienza! Tanto mi avete promesso di mostrare le mie dote in altri mondi! AHAHAHAHA ” disse ridendo lo Joker arrivando dopo poche minute e buttando le sue due prede, ormai sveglie, agli piedi di Zaraslar “Lo scienziato e il drago!”
 
Tepeius si girò e guardo i due nuovi prigionieri, prima di rivolgersi a loro.
 
-“Tu sei il Dottore Whooves, i ricordi della pegasa al servizio dell’Ammiraglio ci hanno rivelato un tuo potenziale che ci interessa…”
 
- “Pegasa…parlate di Derpy?” fece confusionale il scienziato prima di vedere l’incendio e, capendo a chi aveva a che fare, ad arrabbiarsi provando inutilmente di liberarsi “Cosa gli avete fatto, mostro di umani?!”
 
-“Umani?!” si offese Zaraslar “Trattaci ancora di inferiori umani e, ordini o no, ti massacro parassita!”
 
-“Non posso dirtelo, ma posso dirti che se vuoi avere una possibilità di rivederla lei e i altri, ti consiglio di mostrarti più collaborativo…Portatelo nella cella insieme agli altri, e costringetelo a lavorare all’obbiettivo supremo!”
 
-“NO, lasciatemi! LASCIATEMI!” urlo il Dottore mentre Pharisius lo trascino verso un mini portale che aveva appena fatto comparire.
 
-“Lasciatelo!” urlò Spike che sputò del fuoco tutt’attorno a lui, prima di rendersi conto con spavento che non era riuscito a bruciare nessuno allora che avrebbe potuto arrostire un pollo in un secondo con il calore delle sue fiamme.
 
-“Ammiro il tuo coraggio, draghetto” si accontentò di dire Tepeius prima di allontanarsi “Ma non abbiamo bisogno di un drago e non hai abbastanza energia da mettere in contributo…Zaraslar, divertiti pure…”
 
-“Aspettate, è solo un bambino! Vi prego, pietà!” provo ad urlare il Dottore Whooves mentre scompariva nel portale quando vide che la Jenesiana, un sorriso di soddisfazione in viso, afferrò un grande martello e lo schianto violentemente contro il povero drago di appena 6 anni e fratello minore adottato di Twilight Sparkle, il quale non ebbe neanche il tempo di reagire.
-“Tsss, troppo veloce Zaraslar” commentò lo Joker di fronte all’uccisione di Spike “Non gli hai neanche lasciato il tempo di prendere paura! Un omicida deve essere fatto con arte e…”
 
-“Joker! Zaraslar!” ordinò Tepeius facendo tornare il silenzio assoluto “Vi intimo il compito di recarvi in questi mondi. Joker avrà come obbiettivo di convincere gli individui di questa lista a giurarci fedeltà e di collaborare. Zaraslar, tu avrai compito di intervenire di sorvegliare il nostro amico e di intervenire a tuo modo se i negoziati falliscono.”
 
-“Io, sorvegliare quel…”iniziò a lamentarsi la comandante.
 
-“E’ un ordine!” fermò subito Tepeius prima di riprendere “Voi altri, andate in questo luogo che quel Whooves aveva trovato e vedete se trovate piani di portali e se c’è ancora una fonte di energia pura li, se si, costruiremmo la nostra futura base lì. Non attaccate su nessuno preteso la popolazione locale, le crisi di questo mondo già costituite vi offrono una perfetta copertura che non vi autorizzo a disfarvi!”
 
-“Si grande Inquisitore!” dissero tutti i Jenesiani prima di rimettersi in moto.
 
-“Noi tre ci rivediamo alla base quando avete finito, in modo tale di avviare la fase due del piano” ripeto Tepeius a Zaraslar e allo Joker. “Sono stato chiaro?”
 
-“Chiarissimo, boss! Sarete talmente contento del nostro lavoro che sono certo che mi darete una bella promozione” scherzò lo Joker
 
-“Promozione no… ma se dimostri la tua lealtà e la tua efficienza, forse avrai il tuo posto nel nuovo mondo che stiamo per costruirsi…” rispose l’Inquisitore prima di aggiungere mostrando un punto sulla mappa del multiverso “A proposito della vostra missione, vi chiedo di cominciare da quel universo in particolare.
 
-“Quel universo recentemente apparso in cui gli inferiori possiedono ognuno degli strani poteri?” interrogò Zaraslar “Perché quello lì in specifico, non è l’universo più interessanti e ci sono esseri più interessanti da sottomettere”
 
-“Oltre al fatto che ci sono degli individui sulla lista degli possibili alleati, c’è una individua che possiede un talento particolare che ho bisogno.”
 
-“Riguarda la missione?” chiese lo Joker che si permetteva di fare le domande provocatorie, visto che aveva capito che per il fatto di non essere Jenesiano era essenziale al piano.
 
-“Non proprio” rispose contro ogni aspettativa il grande Inquisitore mentre tirò fuori della sua armatura una collana blu, parzialmente rotta ma nella quale c’era ancora la foto di un giovane bambino agli capelli blu, che iniziò a guardare mentre si grattò la cicatrice in forma di mano che aveva sul viso “Ma approfitto della situazione per risolvere un conto in sospeso…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Uffa, finalmente! Io che volevo pubblicare quel capitolo a fine luglio!
 
Derpy: Almeno ci sei riuscito dai!
 
Grazie, non era facile scrivere con le responsabilità della vita reale! Maledetta sia l’amministrazione burocratica che mi fa perdere giorni interi =(
 
McCoy: E dire che si tratta solo della seconda parte su di quello che doveva essere un singolo capitolo! Menomale l’hai suddiviso.
 
Già, spero che i lettori avranno gradito quest’aggiornamento e che le varie rivelazioni o domande che ho provato a mettere in atto faranno effetto. Grazie a tutti per la lettura e spero aggiornare la terza parte di quel capitolo entro fine Novembre…ho detto “spero”. =)
 
Sulu: Io mi chiedo come reagirà il pubblico e quale teorie riguarda i sogni, la storia e la cosiddetta lista di nemici si farà
 
Vabbè, lo vedremmo negli commenti.
Ah a proposito, nell’ultimo capitolo non c’erano immagine perché non ero riuscito a metterle, Nickoku mi ha spiegato che nel frattempo avevano cambiato il modo di illustrare quindi provo il metodo che mi ha consigliato, ditemi se riuscite a vederle ormai:
 
Immagine del capitolo precedente:
 
Gary Mitchell
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Ioria del leone
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Il Grande Sacerdoto Arles
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Shura
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Aiolos combatte per salvare neonata Atena
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Alman di Thule prende in custodia Atena dopo la morte di Aiolos
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Twilight Sparkle e il resto delle Mane nella loro cella
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Discord: Spirito del Caos (ormai buono)
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Green Arrow buttato agli piedi dell’ente suprema
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Lo Joker
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Illustrazione di Zaraslar come appare nel capitolo XV
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Immagine di questo capitolo:
 
Camus:
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Illustrazione armature Jenesiane (inspirate a Warhammer 40k)
https://funkyimg.com/i/2XoJC.png
 
Jenesiano in armatura bianca
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Batman, Alfred, Robin e Batgirl
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Joe Chill il minuto prima di uccidere i genitori di Bruce Wayne
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Wildcat
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David Cain
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Henri Ducard
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Ras’al Ghul
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Commissario James Gordon
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Arkham Asylum
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I nemici di Batman
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Strasburgo sotto occupazione nazista
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Henrich Himmler
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Propaganda staliniana contro i kulaki
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Grosso ordina alla sua famiglia di sfuggire dal gulag prima di provare a salvare Sacha
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Eyelander
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Castello De Groot Keep
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Dr. Whooves
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Spike il Drago
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Nemici dei pony (in ordine: Chrysalis e il suo esercito, Tirek il centauro, Re Sombra e Storm king)
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Mappa di Equestria
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L’antico mago Star Swirl caccia i nemici di Equestria in un’altre dimensione
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Il villaggio di ponyville in fuoco per via degli esplosivi dello Joker
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Comunque, di solito rispondo alle recensioni individualmente, ma visto che ne ho avuto solo una da parte di PGV2 per il capitolo precedente, e che non gli ho risposto sul momento, lo faccio cui:
Per prima cose, grazie dell’aggiornamento della tua fic: anche se non lascio commenti sto proseguendo la lettura e aspetto di finire tutta la tua saga per lasciarti una buona recensione che ti meriti.
 
Esploratore: Ti sei sbarazzato di Sasuke? Che peccato, a me non era cosi antipatica =(
 
Spock: I signori Kirk e Camus sono ancora troppo scommossi dagli i loro sogni per potere rispondervi personalmente. Anch’io faccio incubi, ma come sono capace di neutralizzare le mie emozione, mi permetto di dirvi che vi ringraziamo per la vostra preoccupazione nei loro confronti.
 
Inoltre devo ringraziare Nickoku che mi ha riletto il passaggio del sogno di Camus, anche se ormai ho visto la saga (e non SAGA, lol) ho sempre bisogno di un specialista di Cavalieri dello Zodiaco.
 
Spia: Questo Freezer sembra notare meglio i dettagli della storia che noi stessi…potresti aiutarci?
 
 No, rovinerebbe la mia storia!... E poi  non penso che nessuno di loro sarebbe capace di concepire la verità.
 
Soldato: COME OSI CAPITANO AMERICA A CRITICARE LA BELLISSIMA AMERICA?! L’AMERICA E’ PERFETTA E LO SARA SEMPRE!!! SE DICI CHE L’AMERICA NON SIA PERFETTA, ALLORA NON SEI ALTRO CHE….!
 
Spia: Ecco, il soldato è stato triggerato, lo porto via prima che inizia a usare ogni parola del dizionario per inventarsi insulti senza senso!
 
-Demolitore: Ahia iooo sono piuttosto…buuuuuuurp…contento che sia…buuuurp…piaciuto agli altri pg di PGV2uuuuuuuppp… Ma perché parlano tutti di Camus quando anch’io sono un fottutto buuuuuuurp cavaliere…dov’è il whisky *Crolla per terra dicendo cosi incomprensibile riguarda l’alcool e la sua spada*
 
-Spia: Tu sei solo il cavaliere dell’ubriachezza!
 
Grosso: Giapponesi urlanti che si trasformano in scimmie e passono giornate a mangiare non contenti di sapere che pony forti sono!
 
Derpy: E già signore Goku e signore Vegeta, noi pony possiamo essere sorprendentemente potenti: Basta pensare che le nostre principesse Celestia e Luna controllano il sole e la luna, e una volta la principessa Twilight a sconfitto il temibile Lord Tirek esattamente come Goku a sconfitto freezer: https://www.youtube.com/watch?v=eoowtoEle14
 
Comunque ancora grazie PGV2 per la tua recensione molto carina e, te lo prometto, non ci metterò tre anni a pubblicare il prossimo capitolo XD Mica voglio diventare il prossimo Antoine Daniel.
 
McCoy: … scusami ma chi sarebbe quel Antoine Daniel
 
Era un youtuber francese che mi piaceva (anche se era francese), ormai ha smesso di fare video ma i ultimi anni in cui pubblicava video ci metteva cosi tanto tempo che si prendeva lui stesso in giro per il suo ritardo.
 
McCoy: Oh… E lo consigli?
 
Ehm… non so se apprezzate il no-sens assoluto, voglio dire i suoi video erano ancora più pazzi del demolitore sotto alcool
 
-Demolitore: Whhhaaaat? Qualcuno ha detto alcool?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] In questo periodo, il mondo nel quale viveva Batman non aveva ancora conoscenza degli super-eroi, perché molti come Superman o Green Latern erano ancora troppo giovani come Bruce o al contrario, come nel caso di Wonder Woman, si facevano molto discreti e non erano noti al pubblico.
[2] “Viva la Francia, De Gaulle e morte agli boches!”. Boche è un termine molto peggiorativo per designare i Tedeschi e, per estensione, i popoli germanici.
[3] Città Francese vicina alla frontiera belga”
[4] Per una persa, ne ritrovi altre dieci!
[5] “Ma”
[6] Quindici
[7] Rimani a posto tuo, soldato! Sei ancora un cadetto dopo tutto! Scusate il tuono impertinente del mio subalterno, è ancora un ragazzaccio che deve ancora imparare il rispetto e la disciplina! In ogni caso, sono il luogotenente Hans Vonskhaft, cosa posso fare per voi?
[8] Quest’idiota di francese pretende avere un’autorizzazione di prendere una nave per assicurare la sicurezza sul Reno, Ma non siamo stati avvertiti dagli nostri superiori, e il vostro maleducato sottoposto ha pensato potere insultarci! Se voi SS non eravate l’élite, noi…
[9] Per il mio subalterno, mi scuso ancora. E’ vero che, purtroppo, ci sono troppi incompetenti tra noi SS che degradano la nostra reputazione allora che in realtà siamo solo un altro ramo armato uguale alla Wermacht. Che disgrazia che il rispetto dei compagni non sia più di questo mondo! Per quanto riguarda l’autorizzazione, il vostro superiore, il sergente Von Drick, si è forse scordato di comunicarvelo. ho sentito dire che veniva da Dresda, e so che sono piuttosto pigri laggiù. Di più, è una decisione di ultimo minuto quindi è anche probabile.
[10] E’ vero che quelli di Dresda sono piuttosto fannulloni…
[11] A chi lo dite, io vengo da Monaco e vi garantisco che la disciplina e la puntualità fanno parte del quotidiano!
[12] Siete di Monaco? Che coincidenza, anche noi!
[13] Eh già, e devo dire che preferirei in questo momento passeggiare di fronte al Propileo (Porta monumentale di Monaco) piuttosto che stare in questa città squallida sporcata dagli francesi!
[14] A chi lo dite! Non che mi lamento delle nostre conquiste, ma abbiamo così tante belle cose al paese che certe volte non capisco perché dobbiamo conquistare delle terre senz’interesse come la Francia!”
[15] Merda! Spero che le telecamere non sono danneggiate, altrimenti siamo nella merda!”
[16] Che cos’è questo circo?! Non potete fare attenzione al materiale?! E’ il grande comandante supremo Himmler che riceviamo, non un festa per incapaci!”
[17] Perdonateci, Commandante non sappiamo cosa è successo!
[18] Per questa volta chiuderò un occhio, ma se dovesse succedere di nuovo prenderò delle misure appropriate! Heil Hitler!”
[19] Padre! Padre dove sei?
[20] Padre, salvami!
[21] Nonna in russo.
[22] Nonno in russo.
[23] Zuppa tradizionale Ucraina e del sud della Russia
[24] Piatto di cultura slava, dalle Carpate al sud della Russia, ma considerato piatto ucraino, a base di granoturco, maiale, formaggio e occasionalmente di funghi.
[25] Kulaki è un termine che indica gli contadini benestanti presenti nell’Unione Sovietico prima della grande collettivizzazione forzata delle campagne. In effetti, dopo la rivoluzione del 1917, Lenin aveva voluto procedere a una collettivizzazione totale e di imporre un’economia socialista in tutto il paese. Ma di fronte alle proteste interne e al rischio di diffusione di ribellioni a favore delle opposizioni (correnti nazionalisti, residui zaristi, correnti anarchici), Lenin prese la decisione di mettere in atto la “Nuova Politica Economica”, autorizzando un minimo di liberalismo e di libero commercio, il che ebbe come conseguenza di permettere ad alcuni ceti sociali, tra i quali i Kulaki nelle campagne, di mettere un po' di risorse da parte. Quando Stalin arrivò al potere, però, la collettivizzazione forzata riprese e gli Kulaki furono designati come essendo degli contro-rivoluzionari, degli nemici del popolo e decise di fare un proprio sterminio e deportazione di quest’ultimo.
[26] “Mio figlio?! Dov’è mio figlio?!”
   
 
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