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Autore: Fuuma    30/09/2019    6 recensioni
Mi piace la tua faccia, Sebastian. Il tuo sorriso, i tuoi occhi, il tuo nome.
Mi piace il tuo corpo, il modo in cui ti muovi, il modo in cui stai fermo, il modo in cui mi stai addosso e mi butti sulla spalla tutto il tuo peso, tanto che a breve finirò per non avere più sensibilità in questo lato del corpo. E non ti lascerò comunque, perché mi piace averti accanto, sapere che mi cerchi, sapere che mi vuoi.

Un taxi, due attori ubriachi e una confessione.
{ evanstan }
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Evans, Sebastian Stan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Warning: slash; alta dose di fluff;

Gli attori appartengono a loro stessi; ma quanto è presente in questa fic è unicamente la loro idealizzazione.

 

 

Ho le idee confuse, ci sono immagini di braccia mulinate, di “permesso” gracchiati a gran voce partiti un tempo con l’idea di venire solo sussurrati e noi due che, mano nella mano, ci diamo alla fuga, lasciandoci il party alle spalle.

Ho le idee confuse, ma una cosa la so: sto diventando troppo vecchio per questo genere di cazzate. So anche che se non fosse per colpa tua, Sebastian, per tutti i bicchieri che mi hai messo tra le mani, per lo sguardo ammiccante e per ogni volta che hai voluto rubare il primo sorso, lasciandomi crogiolare nell’idea che nel resto avrei trovato sapore di te, se non fosse per quello, adesso non sentirei la testa pulsare e il mal di mare avanzare in ondate di nausea, mentre ti guardo stendere la schiena e fare mezza giravolta.

E anche tu mi guardi, con un volto tutto occhi e labbra rosa shocking.

Sorridi – lo stesso sorriso che hai avuto in faccia tutta la notte – e so che già lo sai che cosa provo e questo è solo un maledetto elaborato test. Forse nemmeno sei così ubriaco come vuoi farmi credere.

«Dammi le chiavi, Chris, guido io. Tu sei troppo ubriaco.»

…oppure sì.

«Siamo venuti qui in taxi, Seb. E tiratela di meno, sei più ubriaco di me.»

«Oh. Giusto. Sì. In taxi. Allora… ok. Allora di’ al tassista di darmi le chiavi, guido io!»

Decisamente .

Getti il braccio in avanti, la mano lanciata in balia della forza di gravità, che cala sgraziatamente verso il basso, seguita anche dal resto del busto. Piegato pericolosamente, hai la testa sbilanciata, gli occhi strabuzzati che non sono mai stati così azzurri e luminosi e che quasi rischiano di rotolare via dalle orbite.

Per un attimo il tempo si ferma.

Quando rimani a mezz’aria, la faccia a mezzo metro dalla strada, siamo entrambi stupiti perché nessuno di noi due si aspettava che sarei riuscito a prenderti al volo.

Ubriachi, come detto, lo siamo entrambi.

«Wo, mi hai salvato la vita.»

«Sono Captain America, kiddo, è il mio lavoro!»

«Ma vaffanculo.»

«Ehy, è il modo di rivolgersi a un eroe? Guarda che mi sei debitore. In alcune culture quando qualcuno ti salva la vita, sei costretto a rimanere al suo fianco finché non troverai il modo di sdebitarti.»

«Ah sì? Quali culture?»

«Che ne so, alcune

Ti aggrappi alla mia spalla in una scalata che ti riporta dritto in piedi: un’adorabile torretta rumena che poco dopo crolla e che per la seconda volta mette a dura prova i miei riflessi storditi dall’alcool.

Ma per quel sorriso enorme con cui mi accogli «Mi hai salvato di nuovo. Ora sarai costretto ad avermi al tuo fianco per sempre.» potrei andare avanti a farlo fino all’alba.

Parcheggiato poco più avanti, un taxi suona il clacson e una mano oltre il finestrino ci chiede se vogliamo salire.

Non vedo perché no, il problema, al massimo, sarà riuscire a raggiungerlo sani e salvi.

Arranchiamo a passo di lumaca. Il mio braccio intorno alla tua vita e la tua mano che sventola nell’aria – stringe sostegni invisibili, allargando le dita come un bambino che voglia farsi prendere in braccio da un gigante.

Rido. Una pacca verso il braccio e ti riaggiusto la mira, invitandoti a passarlo intorno alle mie spalle.

«Ci sono, ci sono» mi dici tu. Stringi la lingua tra i denti e sembra che aggrapparti a me sia l’operazione più complicata della serata.

«Non mi vomitare addosso, però.»

«Fanculo, non sono così ubriaco! Ed è successo una volta soltanto.»

«Proprio sulle mie scarpe nuove.»

Ridi, un gorgoglio di gola, un suono caldo, alticcio, che ti scopre i denti e ti rovescia la testa all’indietro. Il Pomo d’Adamo danza sul tuo collo, come un richiamo per la voglia che ho di morderti, di leccarti, di baciarti e di sapere se sai più di birra o di quell’ultimo cocktail dal nome improbabile che ti ho sentito chiedere all’orecchio della cameriera.

«Te le ho ricomprate, però.» C’è un che di tenero nel tono trionfante con cui lo dici, quasi ti aspettassi un applauso da un pubblico che non c’è. Ci siamo solo noi, Sebastian, io, te e un tassista dallo sguardo arcigno che si sta già pentendo di averci voluto come clienti.

«No, no, no, non provarci nemmeno; mi hai comprato un paio di scarpe. Completamente diverse e perfino del numero sbagliato. Dopo dieci anni, non sai nemmeno che numero porto!»

«Oww, nessuno sa mai che numero di scarpe portino gli amici!»

«Tu porti l’8[1]

Per un attimo tutto quello che fai è sbattere gli occhi. Dobbiamo perfino interrompere la patetica avanzata, perché la tua coordinazione motoria si è ridotta così tanto che non puoi compiere più di un gesto alla volta.

L’aria ti ha ridato colore, l’alcol ti arrossa le guance e ti lucida gli occhi. Sono languidi mentre mi fissi, languidi sotto ciglia che abbassi e sollevi piano, come se le avessi prese in prestito e avessi paura di rovinarle.

Non mi stupisco di quell’«Eh?» che hai praticamente scritto in faccia.

Faccio spallucce e scuoto il capo. «Niente.»

«Ok.» che forse è per me, o forse è per dire al tuo corpo che va tutto bene e puoi riprendere a camminare.

Davanti al taxi, ti aiuto a entrare. Manca poco che ti prenda in braccio, ma mi accontento di portare una mano alla tua nuca e spingerla in basso per evitare che sbatta contro il tettuccio. Non so se sia un riflesso il tuo, quello che ti spinge ad allacciarmi con forza le braccia al collo, ma il tuo volto si tuffa contro la mia spalla, il tuo alito carezza la mia guancia e l’odore di alcol mi dà alla testa. Forse, però, è solo la tua voce: «Non lasciarmi, ok?»

Non lasciarti.

Dio, Seb.

Lo sai. Lo sai cosa mi fai e stai cercando di uccidermi!

Non lasciare la presa, è la frase che intendi. Non mollarti, perché sei così ubriaco che non riusciresti a ritrovare nemmeno i tuoi piedi sul tappetino del taxi.

Ma in meno di un secondo il mio cervello è riuscito a dargli tutt’altra interpretazione e non riesco, allora, a pensare a quando alla fine saremo arrivati a casa tua, tu dovrai scendere e io no e chissà se anche in quel momento, prima di richiudere la portiera, mi chiederai di non lasciarti e di rimanere con te.

Fallo Sebastian, fallo, ti prometto che ti dirò di sì, dovessi precipitarmi fuori dall’auto in corsa per raggiungerti, tu fallo.

Quando siamo entrambi seduti – quando io sono seduto e tu invece sdraiato a metà su di me, le braccia intorno al mio collo e la fronte accoccolata alla mia spalla –, quando il taxi si avvia verso il tuo appartamento e le strade diventano dipinti macchiati di luce sul finestrino, è allora che qualcosa mi esplode dentro e mi è impossibile trattenerlo.

«Dio, se mi piaci.»

E tu, stupido maledetto ubriaco, tu pieghi il volto di lato e sorridi imbarazzato, socchiudi gli occhi ed è come se avessi capito quello che intendo.

Perché lo sai, vero? Devi saperlo.

«Anche tu mi piaci.»

La tua naturalezza mi sconvolge, forse è per questo che minimizzo facendoti il verso: «Ma cos’hai, cinque anni? “Anche tu mi piaci”?»

«Hai cominciato tu, che dovevo rispondere? È vero che mi piaci.»

Lo so, lo so che ti piaccio, ma non è la stessa cosa. E se davvero non lo sai, se davvero non sai cosa intendo, allora semplicemente, non puoi capire. E come potresti. Dio, guardati, hai addosso l’ubriacatura di un’intera serata, gli odori di un bar pieno di gente, il languore di uno sguardo stanco e assonnato e io non riesco a smettere di pensare a quanto ti renda adorabile e a quanto quel lembo di pelle scoperta dalla camicia e dall’orlo dei pantaloni, mi stia facendo impazzire.

Mi piace la tua faccia, Sebastian. Il tuo sorriso, i tuoi occhi, il tuo nome.

Mi piace il tuo corpo, il modo in cui ti muovi, il modo in cui stai fermo, il modo in cui mi stai addosso e mi butti sulla spalla tutto il tuo peso, tanto che a breve finirò per non avere più sensibilità in questo lato del corpo. E non ti lascerò comunque, perché mi piace averti accanto, sapere che mi cerchi, sapere che mi vuoi. Mi piace respirarti vicino in quest’auto e pensare che sia la stessa aria che hai respirato tu, che ha toccato le tue labbra e ti è entrata dentro.

Mi piace la tua risata, di quando ridi per davvero, di quando per un attimo ti fermi inalando, come a interrompere un singhiozzo, come in bilico su un dirupo così alto che guardarti fa venire le vertigini anche a me e, alla fine, ti butti e irrompi con quel suono che adoro.

Ecco. Non è che mi piaci. Io ti adoro. Adoro che quando mi credi arrabbiato mi ricerchi con la coda dell’occhio, troppo timido per fare di più e che, preso coraggio, ti avvicini piano e in silenzio aspetti il mio invito.

Adoro che non ti sia mai arreso con me, che la nostra amicizia sia così importante, che quando mi chiedi come sto, ti interessi davvero scoprire se tutto va bene e quando così non è, sei sempre il primo a consolarmi. Anche se quando sei tu ad essere giù di morale, non mi rispondi mai, ma in cambio tutto quello che mi chiedi è un abbraccio.

Adoro quando menti alle telecamere e dici di amarmi, adoro quando scherzando me lo dici in faccia e adoro perfino quella fitta che mi colpisce al petto ogni volta che lo fai, senza sapere che sei tutto per me.

Adoro i tuoi capelli la mattina, il tuo broncio quando sei stanco, le tue lacrime quando Mackie ti spezza con una battuta e tu dimentichi intere pagine di copione. Adoro la tua dolcezza, il tuo carattere buono e anche che non sai cantare… Dio, sei un cane castrato quando canti! Sei il ragazzo più stonato al mondo, ma ogni volta che canti per me La Sirenetta[2], ingoiando l’orgoglio e strizzando un microfono che preferiresti gettare nel cesso, rimarrei ad ascoltarti per ore, giorni, settimane, a riempirmi le orecchie della tua voce, delle tue note steccate. A sapere che sono state mie, tutte quante. Tutte mie.

Adoro i tuoi di abbracci, perché quando lo fai mi strofini il mento sulla spalla, io ti stringo e tu mi stringi e in quel momento nulla al mondo potrebbe toccarmi, nulla potrebbe preoccuparmi.

Adoro tutto di te, perfino l’attesa di te. Ci sono momento in cui è stata struggente, infinita, momenti in cui ho pensato che non saresti tornato perché avevi trovato di meglio, momenti in cui ho toccato il fondo e ho pensato che avrei dovuto dirti quello che provavo, implorandoti di non lasciarmi mai più da solo a contare i minuti. Ma l’adoro perché per quanto faccia male, non è nulla rispetto alla gioia che provo ogni volta che solchi la mia porta e con un sorriso mi saluti come fosse la cosa più naturale del mondo.

Adoro di te il semplice fatto che tu esista e che così facendo rendi la mia vita migliore.

È così che mi piaci, Sebastian; mi piaci come se quanto attorno a me fosse un’unica gradazione di grigio e tu l’unico a possedere ogni colore del mondo.

E intanto il taxi sta imboccando una via fin troppo familiare; sulla sinistra, a breve, comparirà la porta del tuo appartamento.

«Chris.» nonostante lo sbadiglio, la tua voce suona sveglia.

«Cosa?»

La pausa è lunga, tanto che mi fa temere di averti perso. Ma quando abbasso il capo, il tuo mento trova il suo incastro perfetto contro il mio e i tuoi occhi sono azzurre calamite che intrappolano i miei. «Si dice Ti amo

Cazzo.

Sono ubriaco. Sono ubriaco marcio e non mi sono accorto di aver parlato per tutto questo tempo. Sono ubriaco e tu mi sorridi e in quel sorriso c’è tutto. E lo sai, cazzo, ora lo sai.

«Forse avrò cinque anni, ma la risposta è la stessa di prima: ti amo anch’io.»

Domani, quello che è venuto dopo, sarà una macchia indistinta nella mia memoria, un buco nero che nemmeno un intero barattolo di aspirine riuscirà a riempire, ma ora c’è la mia bocca premuta alla tua, c’è un bacio che sa di birra e di rum e di te e di me, c’è il tuo segnale al tassista quando gli indichi di proseguire verso la seconda destinazione e c’è la tua voce roca che stuzzica il mio orecchio: «Lo sai qual è la parte che più preferisco di questa serata? Sapere che, anche se sono troppo stanco per fare qualsiasi cosa, domani mi sveglierò nel tuo letto insieme a te.»

La mia parte preferita, invece, è sapere che domani non sarà l’unica volta in cui ti sveglierai nel mio letto.

«Chris.»

«Sì, mio amato ubriaconcello?»

«Dimmi ancora che mi ami. Ma questa volta limitati a queste due parole.»

«Stronzo.»

Ma tu mi baci ridendo e «Ti amo» è l’unica cosa che mi resta da dire.

[ 2.182w ]




[1] misura americana, corrisponde al 41 europeo.

[2] La Sirenetta è il film Disney preferito di Chris Evans e conosce a memoria tutte le canzoni. Quindi sì, nel mio headcanon è più che normale che ci siano serate karaoke insieme a lui XD

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Avevo voglia di fluff, di cazzate e di drunk fic. Dovrei seriamente iniziare a smettere di scrivere mille versioni su eventuali dichiarazioni (?) tra Seb e Chris e trovare qualche altro trope da sviluppare, ma è più forte di me. Un giorno, prometto, mi dedicherò a qualcosa di diverso (e possibilmente p0rn, coffcoff), ma non è questo il giorno.

   
 
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