Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: xingchan    30/09/2019    3 recensioni
Sesshomaru e la cucciolata. Più di cento anni dopo.
[Mini long, post manga]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inuyasha, Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Amata immortale



Il soffio del vento e il canto degli uccelli che provenivano dalla porta scorrevole aperta erano suoni troppo dolci per potersi accompagnare al suo stato d'ansia.

Aki si alzò in piedi con gesti nervosi, provocando un fruscio del suo kimono blu che per un istante si confuse con i movimenti cadenzati del braccio di suo padre mentre pacatamente srotolava l'ennesima pergamena. Le sue orecchie sopraffine colsero questo connubio di suoni impercettibile, e ne sarebbe rimasta piacevolmente estasiata se quello scemo di suo fratello non si fosse avventurato chissà dove - e se lei non si fosse data pena per lui.

"Dove si sarà cacciato, quello stupido?" mormorò - più a se stessa, a dirla tutta - e dato che sapeva perfettamente che la sua voce poteva risultare alquanto indistinta per un essere umano, di certo non lo era per suo padre.

Aki si volse a guardarlo, come faceva sempre nel tentativo di trovare in lui quella amata figura che le infondesse sicurezza e che condividesse le sue ansie. Sesshomaru appariva così altero e tranquillo, ma Aki sapeva che quella calma estrema che suo padre indossava aveva un significato opposto. Per quanto fosse in pena e per quanto la sua aura lo dimostrasse, non avrebbe mai esternato le sue emozioni in un atteggiamento colmo di tensione.

Lui non lo farà mai. Non per Ryuu.

Aki abbassò gli occhi ritornando sui suoi passi, alla tazza di tè precedentemente lasciata a metà su un tavolino semplice, come piacevano a lei. La afferrò con impeto, quasi scottandosi la pelle delle dita - perché avrebbe dovuto comunque esserci qualcuno che riuscisse a sfogarsi in quelle ore così critiche - e si addossò allo stipite della porta della villetta con la schiena: l'etichetta di corte l'avrebbe irreprensibilmente costretta ad assumere una posizione eretta, ma fortunatamente poteva concedersi il lusso di assumerne una decisamente più sfacciata ed irriverente.

Principessa.

Quel titolo nobiliare quasi la fece sogghignare. Per quanto effettivamente lo fosse - sebbene per vie traverse a causa di una nobiltà che li voleva in loro pugno - in quei luoghi Aki non era una principessa, e suo padre e suo fratello non erano né signore, né principe.

Almeno apparentemente.

Bevve un sorso che la ristorò dall'agitazione soltanto in parte, e si scoprì grata nonostante tutto. Era contenta che suo padre si fosse ritagliato un angolo al limitar del cielo per poter stare da solo con la sua famiglia, in pace, in una magione interamente in stile giapponese, attendendo che sua madre - era troppo strano chiamare quella demone nonna - lo richiamasse alle armi in caso di attacco.

Si voltò, ancora, guardandolo di sottecchi al tavolo, seduto di spalle su un cuscino - una nuvola bianca e azzurra del colore degli hakama sormontata dalla soffice coda sulla spalla nel mezzo di un cielo di legno - intento a scrivere qualcosa che doveva essere una lettera di risposta.

Ne aveva ricevute più di una nell'arco di qualche giorno, e questo traffico spesso era indice di una guerra in corso, o che stava inevitabilmente cominciando, e che presto o tardi lo avrebbe portato lontano da lei e da suo fratello ancora una volta lasciandoli soli per anni. Forse per decenni.

Aki non era preoccupata del fatto che suo padre potesse rimanere ucciso in battaglia - la sua enorme potenza innata e le sue abilità acquisite nel corso del tempo escludevano quella possibilità a priori - ma aveva paura che cercasse la morte con avido impegno senza porsi il benché minimo ripensamento e la benché minima domanda su come gli altri avrebbero preso una faccenda così orribile.

Aki ricordava ogni singolo giorno di quella sera di venti anni prima.

Quella battaglia si era conclusa ormai da giorni, e dal momento che suo padre non accennava a ritornare nonostante le avesse promesso di farlo il prima possibile Aki era andata alla sua ricerca senza dire niente a zio Inuyasha e a Ryuu.

Ne aveva seguito l'odore, addentrandosi laddove non avrebbe dovuto secondo i dettami di Sesshomaru. Infine lo aveva trovato, solo, con gli abiti e l'armatura laceri, i capelli e la coda pregni del suo stesso veleno e del suo stesso sangue, abbandonato addosso ad un albero con sul viso accenni del suo aspetto demoniaco che testimoniavano l'approssimarsi della morte.

Era stata lei dunque a sorprenderlo, a riportarlo a casa con le sue sole forze, ed era sempre stata lei ad aiutarlo a sganciare ciò che rimaneva della sua armatura, a preparargli un bagno e a liberare i lunghi capelli dal sangue rappreso con le lacrime agli occhi e il cuore gonfio di angoscia.

Era stata lei, quella volta, a maledirlo mille volte per la sua espressione pacata, disturbata probabilmente solo dal fatto di non aver raggiunto il suo scopo. Ed era sempre lei quella costretta a mantenere quel segreto tanto opprimente per non tradirlo in alcun modo.

Non dire niente a Ryuu.”

E tu promettimi che non ci riproverai.”

"Siediti, e aspetta con calma."

Le parole lente della voce grave di suo padre la riscossero immediatamente. Probabilmente aveva intuito che si era lasciata andare dall'agitazione: di sicuro aveva sentito il suo battito aumentare e il fiume del suo sangue farsi più impetuoso; e aveva ovviamente attribuito quella tempesta di sensazioni a quella che oramai era diventata una perenne rincorsa verso un fratello che spesso Sesshomaru definiva idiota.

Non che avesse tutti i torti...

"Ma Ryuu..."

"Non darti pena per quel mezzodemone" disse lui con una punta di fastidio.

Aki detestava quella parola, perché sapeva che suo padre la utilizzava in modo dispregiativo nei confronti di suo figlio, così come un tempo la utilizzava per il proprio fratello.

Ma ora era diverso - doveva esserlo - perché Sesshomaru dai mezzodemoni ora ne era completamente circondato. E lei faceva parte, di quella compagnia di mezzodemoni.

"Lo sono anche io, mi sembra" replicò, assumendo il tono più piatto che poteva.

Amava suo padre come amava respirare, ma non sopportava il fatto che lui chiamasse suo fratello mezzodemone, soprattutto perché Aki ricordava - come poteva non farlo? - che c'era stato un tempo in cui lui e Ryuu andavano d'accordo, in cui si allenavano insieme duramente: l'uno per cercare di dimenticare che la sua compagna fosse morta, l'altro per cercare di andare incontro alle aspettative paterne. Tutto questo prima che Ryuu un giorno rifiutasse di partire con lui per una serie di guerre senza speranza, preferendo andare in giro per il Giappone - se non per il mondo - a sconfiggere demoni per poter rivaleggiare e superare la forza di suo padre.

"Perdonami, Aki" sospirò Sesshomaru, posando la penna nel calamaio.

La sua preghiera semplice, quasi supplicata, fece sciogliere la rabbia velata di Aki come neve al sole e le diede l'irrefrenabile impulso di posare la tazza e abbracciarlo stretto. E lo fece, beandosi della piacevole differenza fra la morbidezza della sua coda e la durezza del suo petto.

Era bello rifugiarsi nelle sue braccia quando era privo di armatura, ed ancora più dolce percepire il suo naso insinuarsi fra i capelli insieme alle sue dita, perché lì c'erano i gesti che il Grande Generale Cane non riservava a nessuno e che non aveva mai riservato a nessuno in passato, tranne che alla sua compagna perduta.

"Non sopporto che tu ti dia così tanto pensiero."

Che strana ironia, quella di sentirsi dire una cosa simile proprio da lui, che si cibava di pensieri e ricordi come se fossero l'unica cosa che potesse tenerlo ancora in piedi. Neanche questo le confidava, ma Aki non si faceva di certo illusioni: Sesshomaru non sarebbe mai riuscito a chiudere il suo capitolo di affetto e amore che lo legava alla loro madre, anche se quotidianamente affrontava la vita con quella serenità apparente di cui si era vestito.

Rivestito, per essere chiari.

Inuyasha e Shippo le avevano raccontato quanto Sesshmaru fosse crudele, spietato, implacabile, folle, quando era alimentato dal fuoco dell'ossessione prima che sua madre ancora bambina muovesse dentro di lui un calore differente. E comunque, avevano precisato che era stato un processo lento, che non aveva smosso del tutto l'atteggiamento di sfida e superiorità che ancora esternava davanti a molti.

"Come va con quel gioco indiano?"

La distrasse, ancora una volta, ripescandola dal suo mare di empatia - "Fin troppa", diceva lui - e riportandola sana e salva in superficie.

Aki non sapeva se ringraziarlo o rimproverarlo.

"Gli scacchi? Sto imparando" osservò la ragazza, sciogliendo l'abbraccio e portando gli occhi grandi e dorati verso la scacchiera con una partita rimasta inconclusa. Non aveva più fatto una partita seria da quando Shippo se ne era andato, qualche anno prima. "Ma Shippo è sempre in viaggio di allenamento, e se non c'è lui a farmi da valido avversario non posso chiedere a nessun altro."

Lo disse alludendo esplicitamente a suo padre, ma avrebbe tanto voluto che Shippo si fosse fatto vivo più spesso.

Era sempre alle prese con i suoi esami per diventare un grande demone volpe, ma Aki spesso aveva il sentore che si scordasse di lei. Non le faceva mai recapitare neanche una lettera, eppure quella stupida volpe sapeva che lei era lì ad attenderla solo per poterla vedere e giocare insieme, fosse anche una volta ogni tanto.

"Io non ne sono in grado" disse lapidario, arrotolando la lettera e riponendola in un astuccio di cuoio.

Non ne hai voglia, più che altro.

Dopo la morte della mamma ed in mancanza di Ryuu - lui era sempre fuori a fare chissà cosa - Aki gli chiedeva spesso di prendere parte ai suoi giochi. Ma lui aveva sempre rifiutato, relegando le sue attenzioni per lei verso una dimensione meno equivoca per la sua posizione. Peccato che la corazza con lei non funzionasse granché, non quando le dedicava minuti interi anche solo per sentirsi vicini l'uno all'altra.

"Ma io non te l'ho chiesto!"

Gli fece una linguaccia in segno di ironico dispetto, sapendo bene che il padre in fondo apprezzasse il fatto che lei riuscisse sempre a svincolarsi astutamente dai fraintendimenti che talvolta si creavano; e lui in risposta le scompigliò i capelli bianchi con una mano, sorridendo leggermente.

"Saresti un'ottima stratega."

"Detesto la guerra, lo sai."

"Già, proprio come tua madre."

Il cuore di Aki perse di un battito, quasi ferocemente, come faceva sempre ogni volta che dalle labbra di suo padre usciva un qualsiasi riferimento alla mamma. Non perché non fosse felice che Sesshomaru non avesse dimenticato Rin neanche per un solo istante, ma perché si sentiva in qualche modo chiamata in causa per la sua forte somiglianza con la madre al di là dei tratti demoniaci, come le orecchie da cane ad esempio.

Zio Inuyasha lo diceva spesso.

"Mi dispiace" mugugnò imbarazzata, mentre sentì delle lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi.

"Per cosa?"

"La mia presenza ti ricorda troppo quella della mamma e ho paura che questo ti faccia del male..."

"Quando la smetterai di dire stupidaggini?"

Benché visibilmente irritato dalla piega che aveva preso quella breve conversazione, il suo tono non ricordava neanche vagamente un rimprovero; e come a volere rimarcare il fatto che non fosse arrabbiato le cinse le spalle con un braccio, accompagnandola nuovamente sul suo petto. Aki stavolta si rannicchiò, fiduciosa, come faceva sempre da bambina.

"Era da tanto tempo che non mi abbracciavi di tua iniziativa" osservò lei, cullata dall'odore caldo del padre.

Sesshomaru non rispose - come sempre - ma replicò posandole un bacio fra i capelli e solleticandole piano il retro delle sue orecchie come era solito fare quando era di ritorno dai suoi interminabili viaggi.

"Cos'era quella lettera?"

"Una risposta a mia madre" biascicò lui, evidentemente contrariato all'idea di avere a che fare con Inukimi, seppure per via epistolare.

"Una nuova guerra?"

Aki lo chiese con riverente timore, perché aveva passato tanto, troppo tempo in attesa di suo padre. Va bene, aveva anche sangue demoniaco, perciò la sua vita era lunga e l'attesa non era tanto un problema. Ma quelle attese erano una delle più grandi sopportazioni a cui era costretta la sua giovane vita.

"No", ma ad Aki non sfuggì una incrinatura nervosa nella solita cadenza piatta - e non ci volle molto tempo per comprenderne la motivazione.

Improvvisamente Aki sentì l'odore di Ryuu insieme a quello dello zio; ed anche il padre doveva averlo sentito, perché spezzò bruscamente il contatto con la figlia esattamente nel momento in cui lei si mosse per alzarsi ed andare incontro ai nuovi arrivati.

Prima che la ragazza potesse aprire la porta, una mano artigliata la spalancò con violenza mentre l'altra teneva suo fratello per la collottola come un qualsiasi cucciolo di cane, senza contare che Ryuu sembrava uggiolasse - come un qualsiasi cucciolo di cane.

Ma il sollievo provato da Aki tenne poco conto di questi dettagli.

"Torna dentro, idiota!" gridò la voce di Inuyasha.

Lo zio scaraventò letteralmente Ryuu dentro casa, mentre al suo fianco Kirara si ritrasformava per poter entrare dentro l'abitazione agevolmente.

"Sesshomaru, un consiglio: da' una calmata a tuo figlio, o dovrò farlo io!" disse lo zio, e benché non fosse nuova a quella veemenza da parte sua, Aki trasalì ancora una volta.

Anche Inuyasha aveva assunto un atteggiamento più duro da quando zia Kagome era morta.

Era diventato freddo, scostante, e trattava i figli che gli restavano con severo ma calibrato distacco; e se non ci fosse stata lei, l'unica femmina di quel che restava della loro famiglia, avrebbe abbandonato quel po' di gentilezza che ancora serbava nel cuore e che spesso era ben disposto a donarle.

"Ryuu, ma dove sei stato? Papà era molto preoccupato" commentò la ragazza rialzando il fratello in piedi. Nel sorreggerlo per un braccio si rese conto che Ryuu aveva un graffio all'altezza dello zigomo, ma non se ne preoccupò più di tanto: sarebbe guarito nel giro di pochi minuti.

"Davvero?"

Tagliente come un rasoio, la voce tonante del fratello si propagò nella stanza con tutta la forza del suo timbro marcato. Aveva praticamente la stessa voce di Sesshomaru, come se gliel'avesse sottratta con la forza, anche se era piuttosto sfumata a causa della sua giovane età.

"Da quando lui si preoccupa per me?" proseguì sarcastico.

Aki rimase interdetta dalle sue parole, ma non appena si voltò in direzione di suo padre percependo una sfumatura infastidita aleggiargli intorno, si arrabbiò al punto da tirare al fratello un sonoro schiaffo sulla guancia, e fu un gesto così plateale che perfino Sesshomaru si voltò.

"Perché parli così?" esclamò inferocita Aki. "Sì, si preoccupa. Per te, per me, per tutti quanti!"

Per quanto volesse sembrare arrabbiata, non pensava che Ryuu ne sarebbe rimasto impressionato. E difatti, l'unica cosa che fece Ryuu fu di voltarsi in una direzione indefinita per non guardare in faccia a nessuno.

Sesshomaru aveva finito per diventare il demone più forte del mondo; dunque i suoi figli erano diventati delle prede ambite per chiunque volesse piegarlo ai suoi favori. Questo significava vivere nel costante pericolo di essere attaccati e rapiti, nel peggiore dei casi uccisi.

Certo, suo padre non avrebbe mai permesso tutto ciò, e lei e Ryuu erano in grado di difendersi da soli con una sola sferzata delle loro unghie affilate, senza scorte o cose del genere. Purtroppo però, le assenze prolungate di Ryuu finivano per impensierire lei e Sesshomaru, soprattutto nei giorni in cui perdeva i suoi poteri demoniaci, e spesso Inuyasha andava alla sua ricerca senza che il fratellastro gli dicesse niente - per affetto o gratitudine nei suoi confronti, pensava Aki - talvolta trascinando Kirara con sé.

Per quanto riguardava i figli di Inuyasha, loro erano rimasti al villaggio di Musashi, dove la loro madre era cresciuta insieme alla zia Kagome e a tutti gli altri.

Loro apparivano più grandi di lei, ragazzina poco meno che centenaria - essendo la loro vita più veloce a scorrere - ed erano adulti ormai, al pari di Inuyasha che compariva agli occhi come un giovane uomo.

Ma padre e figli avevano finito con il dividersi anche a causa del clima di ostilità degli abitanti nei confronti di Inuyasha. Invece di vagare da solo come aveva fatto dopo la morte di sua madre, suo zio aveva deciso di dedicarsi a loro e a quel fratellastro maggiore con cui non avrebbe mai avuto una intesa completa.

E non c'era niente di strano, in tutto questo. Gli umani avrebbero definito quella disparità qualcosa contro natura, che avrebbe portato chissà quali conflitti o digrazie. Ma Aki sapeva che le disgrazie erano ben altre.

La loro vita lunga, ad esempio, contro quelle dei propri cari destinate a finire presto.

Ryuu rimase in silenzio, incamminandosi nelle stanze più interne della magione cercando di fare più rumore possibile. Aki riusciva a percepire tutta la sua rabbia e l'imbarazzo dell'avere tutti quanti contro, così lo seguì per potergli parlare con più calma.

Udì Inuyasha informare Sesshomaru di qualcosa riguardo a Shippo - forse stava tornando, pensò contenta, ma non riuscì a stare attenta - poi i suoi passi e quelli dei suoi figli uscirono dalla porta.











NDA

Perché mi devo impelagare pubblicando quel che non dovrei pubblicare?

Perché non pubblico la roba ancora in corso?

Ma soprattutto, perché scrivo cose da “depression time”?

Boh.

Ah, no. Aspè.

Perché questa idea è abbozzata nella pennetta della memoria da più di un anno. Piccolo esperimento, tutto qui. Volevo capire cosa sarebbe uscito dopo un secolo circa dal finale di Inuyasha dalla mia mente malata.

Vi dirò fin da ora che sarà una sorta di mini-long (3 capitoli al massimo) e probabilmente non aggiornerò molto presto. Quindi non preoccupatevi, vi basterà uscire da questa pagina per ritornare con il buonumore.

Non ho ricontrollato, sennò non pubblicavo proprio. Sorry.

   
 
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