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Autore: Arianna_Zago    01/10/2019    1 recensioni
Luna Riesling è una ragazza intelligente, introversa e di una bellezza innocente. La sua realtà sarà scossa e rivoluzionata da Zoe, sua coetanea, e da Vittore, un giovane uomo alla ricerca di una nuova vita. I tre cresceranno, cambieranno e metteranno in discussione i delicati equilibri che governano le loro fragili esistenze. Insieme conosceranno l'amore, il sacrificio e la tenacia che serve per inseguire i propri sogni.
"Questa vita di cristallo" è il primo racconto che pubblico.
Tutti i diritti riservati©
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zoe era rimasta per tre ore immersa nell’acqua dolce e profumata della sua vasca da bagno. Cominciava ad avere freddo. Le bolle di sapone si erano completamente sciolte nell’acqua, erano morte nel calore di quel bagno che si era ormai dissipato per tutta la stanza, come farfalle in primavera sembravano essere scomparse nel nulla. Ora Zoe poteva vedere la forma delle sue cosce abbronzate attraverso la trasparenza di quella vasca piena e fastidiosamente tiepida: abbastanza calda da non convincerla ancora ad uscire, ma già troppo gelida per poter pensare di voler trascorrere un’altra ora a mollo come un anfibio nel suo stagno. Aveva chiuso gli occhi, per alcuni minuti, e aveva immaginato per davvero di essere dentro ad una verde pozzanghera, mimetizzata tra il verde delle piante d’acqua dolce, mentre la sua pelle diventava verde e ruvida come una fresca corteccia nel tentativo di trasformarsi per sempre in una pianta: solida ed eterna, senza dolore e senza pensieri. Non aveva funzionato: quando si era risvegliata le piastrelle color crema del suo bagno e il vapore che si alzava in piccole nuvole verso il soffitto l’avevano accolta nuovamente in quell’ambiente silenzioso, asettico, vuoto. Sulle sue gambe non c’era nessuna traccia di verdi squame o foglie secche. La sua pelle era rimasta intatta, così come era stata quella mattina e come sarebbe stata quella successiva. A meno che… Inizialmente, quando era entrata in bagno la prima volta e davanti allo specchio che tanto odiava aveva cominciato a spogliarsi, rivelando ogni centimetro della sua pelle ai suoi occhi arrabbiati, non aveva di certo immaginato quanto una lametta argentata, luminosa e affilata potesse risultare tanto affascinante e appetitosa. Il suo richiamo era stato il canto della sirena, l’inno alla libertà che stava tanto cercando, il segno che aveva tanto chiesto a Dio nei precedenti giorni. Il rasoio sarebbe scivolato sui suoi polsi proprio come l’acqua bollente che l’aveva accarezzata lievemente appena si era immersa nella vasca bianca, pura e pulita. Poi però, quando si era decisa ad appoggiare la lama sulla carne viva, sull’evidente pulsazione nella vena che proveniva direttamente dal suo cuore colmo di sangue, su quel così lampante simbolo della sua esistenza reale, della sua vita concreta, non aveva avuto abbastanza coraggio. Si era detta e ripetuta diverse volte che non sarebbe stato così facile, che il fallimento sarebbe stato necessario tante volte: il cervello non smette di far battere un cuore, nonostante la ferrea volontà del proprietario di quel corpo. Non sarebbe bastata la convinzione che, qualunque cosa ci fosse stata al di là di quel labile confine tra vita e morte, si sarebbe rivelata comunque migliore della vita terrena; che Dio, se è vero che perdona proprio tutto, allora avrebbe perdonato anche un gesto di tale ed estrema disperazione. Si sussurrava sottovoce che dopotutto, se non avesse voluto darci la libertà di rinunciare a questa vita, allora non ci avrebbe dato la possibilità di scegliere su nient’altro. La sua vita sarebbe stata un romanzo già scritto, da sfogliare lentamente anno per anno, privo di colpi di scena e dal finale prevedibile. La morte avrebbe dovuto scovare tutti, prima o poi, anche quelli meglio nascosti. Così non si era stupita quando il suo corpo si era nuovamente ribellato al goffo tentativo di addormentarsi in meno di mezzo metro d’acqua. Le bruciavano ancora gli occhi per il sapone che aveva aggredito le sue iridi verdi smeraldo e delicate quando l’istinto primitivo del terrore l’aveva spinta a fuggire di nuovo dall’eterno sonno: aveva aperto gli occhi senza pensare a quello che stava facendo. Tuttavia, non era ancora troppo tardi. Guardò la lametta splendente, dimenticata sul bordo cristallino della vasca da bagno e avvicinò nuovamente la mano. I suoi polpastrelli grinzosi e intorpiditi avevano quasi ormai perso del tutto la sensibilità: non riusciva a sentire quanto fosse affilata la lama, quanto fosse ghiacciata e spietata tra le sue dita deboli. Sperò che lo stesso effetto di inesistenza e volatilità potesse permanere sui suoi polsi. Inspirò profondamente. Sarebbe stato il suo ultimo respiro: stava aspettando un segno che le dicesse di fermarsi, un’interruzione che la convincesse che, per quell’occasione, si era ormai fatto troppo tardi. Il treno era passato, aveva portato con sé anime più temerarie e libere della sua, lei era stata troppo debole quel giorno per fare un passo più in là dei suoi limiti così ridicolmente umani. Effettivamente quel segno arrivò: da poco più lontano il limpido cigolio della porta d’entrata si fece strada attraverso il corridoio deserto e silenzioso, falciò il buio e spezzò l’incantesimo. Suo padre aveva sempre saputo come interrompere i migliori attimi della sua esistenza. Zoe ne era certa: di tutta la sua vita sarebbero rimasti solo pochi attimi, vergini ancora dall’influenza dispotica di quella figura nera e opprimente che era suo padre. Un uomo irremovibile, severo, cieco e ottuso. Lei aveva così tante domande su come fosse possibile che un uomo solo fosse capace di prendere decisioni sulla vita degli altri. Un uomo che Zoe aveva creduto non aver mai neanche aver avuto il tempo di conoscere il vero calore di una donna, nonostante lei fosse lì, viva e vegeta, nata da un corpo femminile diciassette anni prima. Un uomo come suo padre non avrebbe mai dovuto avere la possibilità di catapultarla, ribaltarla e spostarla da un capo all’altro della sua esistenza come fosse un soprammobile scomodo. Eppure Zoe era lì, con un polpastrello tagliato stretto tra le labbra nel tentativo di fermare il sangue rosso e bollente che stava già gocciolando nell’acqua intonsa, nuda e spaventata, triste e arresa alla realtà che presto quello non sarebbe più stato il suo bagno, che forse non avrebbe più nemmeno avuto una vasca da bagno nella sua ennesima nuova casa, che avrebbe nuovamente dovuto spostare tutti i suoi poster, che il suo armadio sarebbe stato grande la metà e che, di nuovo, per l’ennesima e molto probabilmente non ultima volta, avrebbe dormito in un letto privo della forma del suo corpo e del suo odore. Sola. Sempre, nuovamente, ma inesorabilmente sola. Uscì dal bagno avvolta nel suo vecchio asciugamano ruvido e una folata di aria fredda cominciò a pungerla come tanti spilli appuntiti e si dimenticò del dito sanguinante. Suo padre non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi: la vide di sfuggita, con la coda dell’occhio, troppo concentrato a guardare il caffè nero uscire timidamente dalla macchinetta lenta. Era già nervoso prima di varcare la soglia di casa, dopo un’intera giornata trascorsa a firmare le ultime carte per il trasloco, a saltellare di casa in casa per salutare gli amici appena trovati, a correre in ufficio per ritirare le scartoffie che stava per dimenticare. Presto Genova sarebbe diventata l’ultima tappa del suo viaggio inarrestabile, ne era fermamente convinto: Paolo era un uomo severo, ma non duro di cuore ed era convinto anche di questo. La vita gli stava dando una nuova occasione, una che questa volta non si sarebbe lasciato sfuggire come il resto dei suoi tentativi svaniti come fumo. Aveva continuato a muoversi sinuosamente come una serpe di casa in casa, ma era giunto tempo di mettere radici: non si sarebbe sentito giovane in eterno e la vita con una figlia femmina e adolescente si era rivelata più impegnativa del previsto. Forse sarebbe stato meglio se non si fosse mai condannato alla paternità, ma non tutto ciò che accade nella vita è frutto delle proprie scelte e no, lui non aveva certo scelto Zoe. Nonostante tutto aveva imparato ad amarla e, in qualche modo, l’aveva cresciuta. Di Zoe aveva imparato che, benché dotata di un’intelligenza brillante, non le piaceva studiare, che adorava gli sport di squadra perché non era mai stata brava a stringere amicizie da sola, che si abbuffava di focaccia in ogni occasione possibile e che faticava a capirlo. Non che ci fosse da stupirsi: un uomo solo, nelle sue ferree convinzioni, non sarebbe mai riuscito a crescere una femmina nel modo corretto. Non esiste il padre perfetto senza la madre perfetta, dunque perché crucciarsi? Tutto ciò che Zoe doveva sapere sulle mestruazioni e sui ragazzi le sarebbe stato insegnato a scuola, così come leggere e scrivere, tutto ciò che avrebbe dovuto imparare sulle relazioni e sulle persone lo avrebbe scoperto dalla vita stessa, la necessità e le regole l’avrebbero obbligata a gestire le proprie emozioni. Lui lavorava, la vestiva e la nutriva, le aveva pagato le lezioni di musica quando lo aveva desiderato e, ovunque si trasferissero, non aveva mai rinunciato a cercare un palazzetto del ghiaccio dove la ragazza potesse giocare ad hockey in una nuova squadra. Paolo era un uomo impegnato; ancora si stupiva di come una sola estate in Liguria avesse potuto regalargli l’amore dopo tanto tempo. Aveva preparato tutte le valigie e i pochi cartoni per il trasloco di cui avrebbero avuto bisogno. Gli effetti personali di cui disponeva si erano ridotti al minimo indispensabile dopo tutti quegli anni di viaggi, ma non era affatto un problema: avrebbe trovato tutto ciò che gli mancava nella nuova casa, nella nuova città, nella nuova famiglia. Sperava che Zoe potesse finalmente placare la propria rabbia inspiegabile e irrazionale e che si decidesse a seguire l’esempio affidabile e assennato della nuova sorella. -Ti sei tagliata- disse, finalmente vedendo il dito rosso e un po’ gonfio della figlia. Zoe annuì senza aggiungere nulla, cominciando a rovistare in un cassetto in cucina per trovare un cerotto. -Sai che voglio che pulisca il bagno dopo che ti sei depilata- aggiunse lui, sorseggiando il caffè appena fatto. -Non ho mai detto di essermi depilata, ma pulirò la vasca perché mi sono fatta un bagno- rispose lei, noncurante dell’espressione vagamente interrogativa, ma per lo più disinteressata del padre. -Devi chiudere tutti i cartoni e tutte le borse entro questa sera. Domani alle sette e trenta del mattino sarà qui il furgone per il trasloco, deve essere tutto pronto- continuò lui, sedendosi a quel tavolo stretto e lungo, così piccolo da risultare scomodo persino per un pasto veloce e leggero. -È già tutto pronto, papà- rispose lei, uscendo dalla stanza senza voltarsi. Entrò nella sua camera da letto, indossò il pigiama e, con i capelli ancora bagnati, si addormentò per l’ultima volta su quel letto troppo stretto su cui aveva dormito in quell’ultimo anno della sua vita.
   
 
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