Questa storia partecipa al Writober2019 con la lista di prompt di Fanwriter.it
Parole: 544
Prompt/Traccia: Missing moment(s)
Brevi Deliri Pre Partum: Idea originariamente pensata per il GouFubu day, ma visto che mi sono dimenticata di volerla scrivere, approfitto del prompt del primo giorno. Olè.
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sparkles in the air
[di arrivederci e di addii]
Appena scampati a una (pseudo) invasione aliena
– quattordici anni.
Avevano
avuto tutti e due la stessa idea.
Sapevano
che avrebbero trovato Endou lì, ad allenarsi con quel
vecchio pneumatico in cima alla collina – Fubuki gli
ha detto che quando è arrivato Endou si è distratto e
lo pneumatico l’ha colpito in testa, Shuuya l’ha
tranquillizzato dicendogli di non preoccuparsi. Non è la prima volta che Endou si becca quello pneumatico sul naso.
Parlare
con Endou ha da sempre la straordinaria capacità di
calmarlo, di dare a Shuuya un lasso di tempo in cui
poter riordinare con calma i pensieri e decidere cosa fare e come fare
qualcosa.
Quando
salutano il capitano, infatti, questi agita le braccia con la sua solita
energia – e appena Fubuki si volta, una frazione di
secondo prima di lui, Endou gli sorride e solleva i
pollici, sillabando un “Ce la farai!”
che a Shuuya serviva proprio. Aveva bisogno che
qualcuno credesse in lui in questo momento, in cui è da solo con Fubuki e non sa proprio bene bene cosa dire e cosa fare.
Per qualche ragione, stare vicino al Lupo dei Ghiacci ha l’effetto esattamente
opposto al passare del tempo con Endou: riesce sempre
a mandarlo in confusione.
Scendono
le scale che conducono alla cima della collina in silenzio, Shuuya
con le mani affondate nelle tasche della giacca qualche scalino indietro
rispetto a Fubuki, che ha intrecciato le dita dietro
la schiena e ogni tanto lancia qualche sguardo al tramonto. Parla dopo quelle
che paiono ore, quando la collina ed Endou sono
lontani.
-Atsuya è ancora qui.- sussurra
allora, un sussurro che si disperde nella leggera brezza del tramonto ma che,
per qualche ragione, fa gelare il sangue nelle vene di Shuuya.
-Che
vuoi dire?-
-Non
è… andato via.- tenta di spiegarsi, ciondolando appena
con il corpo. –È rimasto qui. Si è solo… fatto un po’ da parte. Sento ancora la
sua voce.-
Shuuya si
dà mentalmente dell’idiota, pensando di avergli causato soltanto altri problemi
mentre lui voleva solamente svegliarlo dallo stato catatonico in cui era caduto
per colpa dello stress e della tensione accumulati durante la battaglia contro
la Aliea. Non sa come rispondere a quella
dichiarazione, se esserne in un certo modo felice oppure dispiaciuto. Stringe i
pugni nascosti nelle tasche e lo osserva di sottecchi: Fubuki
sembra tranquillo, sereno, non vede più quell’ombra che gli oscurava gli occhi
e il suo non è più un sorriso di circostanza, tirato, volto a nascondere tutta
la sofferenza che provava, ma è un sorriso sincero.
-Ma
alla fine va bene così.- annuisce convinto, piegando
il collo e osservando il cielo. –Almeno adesso non tentiamo più di ammazzarci a
vicenda.-
A Shuuya scappa da ridere, pochi istanti dopo anche Fubuki ride. Ha scoperto che adora la sua risata, vorrebbe
farlo ridere più spesso se ne avesse la possibilità.
–No,
davvero: tu hai visto soltanto la fine del processo. Non hai idea di cosa è
successo prima.-
-Endou e Kidou mi hanno accennato
qualcosa, ne ho una vaga idea.- Shuuya
socchiude gli occhi, scrollando le spalle. –Hai dato di matto, capita a tutti
almeno una volta nella vita.-
Fubuki si
piega in avanti per guardarlo in viso. –E tu quando qualcuno dà di matto lo
prendi a pallonate nello stomaco?-
-Metodo
non molto ortodosso, lo ammetto, ma funziona.-
sentenzia, e sente Fubuki scoppiare a ridere di
nuovo. –Scusami, comunque. Per averti colpito così forte.-
-Nah, non devi.- Fubuki scrolla testa. –Avevo bisogno che qualcuno mi
inculcasse un po’ di buonsenso, anche con la forza se necessario.-
Rimangono
in silenzio per il resto del tragitto che avrebbe portato Fubuki
in stazione per tornare a casa – nove ore di treno, sono soltanto nove ore di
treno a separarli, si può fare, può sempre salire sul primo treno disponibile e
andare a fargli visita. Così, solo perché ha voglia di andare a sciare.
-Mi mancherete.- mormora Fubuki,
quando iniziano a intravedere la stazione. –È stato bello giocare con voi.-
Shuuya
solleva le spalle e sospira.
-Ci
rivedremo al Footbal Frontier,
immagino.- questa volta su due metà campo differenti.
-Eh sì.- il numero nove annuisce. –Non pensare che mi tratterrò
perché siete voi, Goenji.-
E
gli scocca un’occhiata da sopra la spalla, un leggero baluginio dorato negli
occhi grigi, prima di allontanarsi così velocemente che gli pare stia volando,
esclamando un “Arrivederci, Goenji!” e lasciandolo lì imbambolato per qualche
secondo.
Poi
ringhia, nascondendo il viso dietro le mani.
Ha
bisogno di una doccia. Gelata, possibilmente.
Il tetto del mondo – quindici anni.
Avevano
vinto.
Loro.
Avevano vinto il titolo mondiale.
Wow.
A
distanza di quasi una settimana, Shirou ancora stenta
a crederci: ogni mattina si tira qualche pizzicotto sulle braccia per essere
certo di non stare sognando, così, giusto per sicurezza. Anche adesso che stanno
preparando le valigie per tornare a casa, con la coppa ben chiusa nella sua
scatola e affidata alle ragazze – non si fidano di Endou,
sarebbe capace di sedersi sopra la scatola o pestarla per sbaglio – e un aereo
che li aspetta per tornare in Giappone non riesce a crederci davvero.
Ammette
di essere in parte felice di tornare a casa, l’isola di Liocott
è bellissima ma fa veramente troppo caldo per i suoi standard e non vede l’ora
di tornare alle temperature dell’Hokkaido. Può ritenersi soddisfatto per non
aver preso qualche insolazione o colpo di calore, sarebbe stato veramente
fastidioso ritrovarsi in quelle condizioni quando si sta giocando contro le
migliori squadre del mondo – gli era bastato sentirsi un emerito idiota quando
si era fatto fregare con una facilità disarmante dai Fire
Dragons e la loro tattica, durante la fase
preliminare, e non ci teneva a ripetere l’esperienza.
E
quindi ora eccoli lì, finalmente di nuovo in Giappone, con Shirou
che batte spazientito un piede per terra e Goenji
seduto sulla sua valigia, in attesa che il nastro trasportatore si decida a
sputare fuori anche quella dell’albino.
-Te
l’avevo detto.- sospira esasperato, Shirou, le braccia incrociate al petto. –La mia valigia è
sempre l’ultima. È una congiura contro di me.-
Goenji
scrolla le spalle. –Che problema c’è? Aspettiamo.-
-Ma
magari avevi degli impegni… -
-L’unico
impegno che ho è ricordarmi di non impostare la sveglia per domani mattina,
visto che ho intenzione di dormire.-
-…e
tuo padre e tua sorella ti stanno aspettando… -
-Ho
già avvisato che avrei tardato.- lo interrompe ancora,
dondolando lentamente e facendo muovere un po’ le ruote del trolley.
–Tranquillo, posso aspettare.-
Come
se qualche divinità avesse ascoltato le sue preghiere, finalmente sul nastro
trasportatore scorre la valigia di Shirou, che con
uno sbuffo esasperato la afferra e la posa a terra vicino ai piedi. Goenji ha un sobbalzo, alle sue spalle, Shirou
lo nota appena.
-Beh,
ora posso davvero lasciarti andare.- sorride, quando
si volta. –Scusa ancora se ti ho fatto perdere tempo, non era davvero necessa… -
Goenji è
in piedi a meno di un passo da lui, serissimo in viso come Shirou
lo ha visto poche volte, gli occhi scuri fissi nei suoi grigi.
-G… Goenji?-
balbetta, improvvisamente spaventato. –Va… tutto bene?-
Come
a rallentatore, lo osserva piegarsi un poco verso di lui e Shirou
sente il cuore iniziare a battere forte, troppo forte, così forte da
assordarlo, quando le labbra sottili sfiorano la pelle fredda vicino alle sue
labbra.
-Sapevo
che appena atterrati in Giappone saresti tornato in Hokkaido.-
mormora, tirandosi su ma restando a un soffio dal suo viso. –Non potevo
lasciarti andare senza dir… -
Shirou lo
zittisce riducendo lo spazio tra loro: si solleva sulla punta dei piedi, stringe
il colletto della sua maglia per avvicinarlo e lo bacia, questa volta per
davvero. Sente Goenji trattenere un gemito sorpreso,
ma sorride appena quando lo sente farsi più vicino e ricambiare quel contatto
semplice ma così importante. Shirou avverte il cuore
fare le capriole nel petto per la gioia e Atsuya nella
sua testa inizia a sbraitare un “Finalmente!
Se l’è presa comoda!” che lo fa ridacchiare senza un motivo apparente.
Quando
si allontanano, Goenji ha un braccio intorno ai suoi
fianchi e Shirou le braccia che gli stringono il
collo. Non riesce a smettere di sorridere. -Ce ne hai messo di tempo, grande campione.-
Si
salutano dopo quelle che sembrano ore, con un altro bacio e la promessa di
vedersi ancora.
Terzo anno di liceo – diciotto anni.
Shuuya era
stato irremovibile, non c’era stato verso di fargli cambiare idea.
-Non posso saperti a casa da solo, non a
Natale. O vieni tu da me o vengo io da te… E non osare tirare in ballo mio
padre o mia sorella, non accetto scuse.-
E Shirou aveva ceduto e quindi alla fine ha trascorso le
vacanze di Natale a casa di Shuuya – ed è stato
bellissimo, non si sentiva così felice da anni: non crede di aver mai riso così
tanto come la sera in cui anche Endou e gli altri
della Raimon si sono riuniti per scambiarsi i regali
a casa di quest’ultimo, o come quando ha finalmente convinto Shuuya a indossare dei pattini e andare a pattinare. Ha
dovuto aggrapparsi alla ringhiera che delimitava la pista per non cadere sul
ghiaccio, le gambe che non lo reggevano più per il troppo ridere, dopo
l’ennesima caduta del numero dieci.
E,
dopo tanto tempo, ha sentito di nuovo il calore di una famiglia. Certo, il
padre di Shuuya non gli è mai sembrato il più
gioviale che si potesse immaginare – aveva già avuto modo di conoscerlo durante
la breve convalescenza in ospedale a seguito della frattura alla gamba – ma
questo non significa che non voglia bene ai suoi figli e che non faccia di
tutto per vederli felici. Yuuka, poi, è un angelo di
bambina e non si può non amarla, Shirou vede
benissimo come Shuuya la adori e farebbe di tutto per
lei. Lui stesso si è sentito per qualche giorno parte della famiglia, ricevendo
addirittura un regalo il giorno di Natale da parte di Yuuka
– un disegno in cui la bambina ha raffigurato sé stessa in mezzo al fratello e Shirou, che si tengono per mano e i sorrisi escono dai
bordi dei visi. Shirou scoppia a piangere per la
felicità, sentendo dopo tanto tempo il freddo della solitudine lasciargli un
po’ di pace.
Passare
le vacanze di Natale a casa di Shuuya, Shirou decreta mentre di nuovo alla stazione aspetta il
treno per tornare a casa, diventerà la loro personale tradizione. Shuuya è sempre lì, accanto a lui, ormai una presenza
costante nella sua vita.
-Hai
preso tutto?-
-Me
l’hai già chiesto come minimo dieci volte, Shuuya.
Sì, ho preso tutto.- ridacchia, occhieggiando verso di
lui. –Cos’è? Vuoi che resti ancora un po’?-
-Fosse
per me, non ti avrei mai fatto andare via.- Shirou non sa che fare, quando Shuuya
è così serio da essere quasi spaventoso.
Lo
saluta con un bacio che ha ancora il retrogusto dolce delle brioches che hanno
mangiato poco prima, un bacio che sa di arrivederci.
Vita da adulti, prima della catastrofe –
ventitré anni.
Shuuya osa
muoversi dalla posizione prona in cui si era immobilizzato solo quando sente il
respiro regolare di Shirou al suo fianco, segno che
alla fine si è addormentato. Lentamente, sguscia via dal suo abbraccio e dal caldo
delle coperte, cercando alla cieca i propri vestiti. È attento a ogni singolo
movimento di Shirou, terrorizzato che possa
svegliarsi e chiedergli che cosa sta facendo proprio mentre sgattaiola da casa
sua come il peggiore dei ladri. Ma aveva bisogno di vederlo, almeno un’ultima
volta, prima di imbarcarsi in questa follia in solitaria.
“Lo stai facendo anche per lui.– si ripete, mentre in punta dall’alluci
raggiunge l’ingresso e si siede per mettersi le scarpe. –Lo stai facendo anche per il suo bene.”
Sul
mobile dell’ingresso ci sono due fotografie incorniciate, le stesse da che Shuuya ne ha memoria - quella della squadra dopo la finale
del Football Frontier International e l’unica foto
che Shuuya ha mai visto della famiglia di Shirou al completo, con Shirou
che sorride con le dita intrecciate dietro la schiena e le mani della madre
appoggiate sulle spalle, accanto a loro Atsuya in
braccio al padre che ridono e sollevano il pollice verso l’obbiettivo – e una
foto che non ricorda di aver mai visto, sua, forse scattata di nascosto durante
una delle sue visite in Hokkaido, di sicuro d’estate. Sa che è stata scattata
in Hokkaido perché riconosce i tetti della Hakuren
sfocati sullo sfondo e sa che è estate perché indossa soltanto i jeans e una
maglietta con le maniche lunghe e le sneakers, mentre
d’inverno di solito è bardato come un eschimese perché ha troppo freddo.
Shuuya si
sforza di ricacciare indietro le lacrime e di zittire quell’ultimo rimasuglio
di senso di colpa che gli impedisce di fare quello che sta facendo, indossando
velocemente le scarpe e socchiudendo l’uscio proprio mentre Toramaru
risponde dall’altro capo della linea telefonica.
-Devo
venirti a prendere?- Shuuya
non riesce a formulare una frase di senso compiuto, il nodo di pianto che gli
stringe la gola sembra soffocarlo. -…ho capito, arrivo.-
Toramaru non ha mai fatto troppe domande e non ha chiesto
spiegazioni, quando gli ha proposto di aiutarlo con questa pazzia del Quinto
Settore – di domanda ne ha fatta solo una: “Perché
io?”, chiedendo implicitamente perché non ha voluto dire niente a Shirou.
Perché
sta facendo tutto questo anche per lui, per proteggere Shirou
e la Hakuren e tutti i ragazzi che amano il calcio.
Non
ci crede nemmeno lui, a questa buffonata, ma Toramaru
non ha discusso la sua decisione limitandosi a scrutarlo dubbioso e
domandandogli spesso e volentieri se è davvero sicuro di quello che sta
facendo.
-…sei
ancora in tempo per tornare indietro.- mormora, appunto,
osservandolo distrattamente attraverso lo specchietto retrovisore.
Shuuya
scuote la testa. –No, ormai ho deciso.-
È
per il bene di tutti, si ripete. Lo sta facendo anche per Shirou.
Si
chiede quanto possa reggere, questa buffonata.
Vita da adulti, dopo la catastrofe –
ventiquattro anni.
Yukimura Hyouga è un ragazzino cocciuto e
ingenuo, certo, ma di sicuro non così sprovveduto da non notare i cambiamenti.
Quando
Fubuki si era presentato nello spogliatoio
annunciando di essere il loro nuovo allenatore, Hyouga
si era chiesto come qualcuno come lui potesse allenare una squadra: avrebbero
potuto ottenere qualsiasi cosa da uno così, troppo buono per dire di no… E in
parte non si era sbagliato, perché Fubuki è davvero
troppo buono con loro, ma i suoi allenamenti sono massacranti e non transige
proprio su nulla per quanto riguarda le partite. La squadra aveva patito molto
la sua mancanza, nel periodo in cui era finita sotto il controllo del Quinto
Settore: mancava quella figura che li proteggeva da lontano, in silenzio e
senza farsi notare, come quel fratello maggiore che osserva crescere i
fratellini e li aiuta quando ne hanno bisogno.
Ma Hyouga aveva notato il cambiamento ben prima che il Quinto
Settore gli sbattesse la porta in faccia, aveva visto quella crepa sottile e
impercettibile nella sua maschera gentile e tranquilla: era apparsa
all’improvviso, senza alcun segnale, così, dalla sera alla mattina; il loro
allenatore aveva smesso di essere il fratello maggiore gentile e spensierato ed
era tornato ad essere quel ragazzino solo e spaventato che Hyouga
aveva visto nelle foto dei suoi anni come studente alla Hakuren,
quando quella sciarpa era ancora onnipresente insieme a quell’ombra che gli
oscurava gli occhi.
Aveva
capito, poi, dopo il suo ritorno, che non era solo paura che Fubuki cercava di nascondere: era anche rabbia, dolore,
delusione; verso chi Hyouga non lo sa, ma per un
ragionamento astruso e contorto del suo cervello inizia a odiare questa persona
misteriosa di conseguenza.
Perché
ha fatto soffrire il loro allenatore, che merita solamente un po’ di pace dopo
tutto il dolore che ha patito.
Hyouga
incontra Goenji Shuuya – Ishido Shuuji, il Sacro
Imperatore, ribattezzato Lo Stronzo proprio dopo questo incontro – nel peggiore
dei modi: era cresciuto quasi divinizzando il grande bomber della Inazuma Japan di cui ha fatto parte anche il loro
allenatore, credendolo quasi un essere perfetto e senza difetti, ma tutta la
sua venerazione fa un bellissimo volo dalla finestra quando capisce che dietro
tutto il macello combinato dal Quinto Settore nell’ultimo anno c’era il suo
zampino – la sua stima, invece, raggiunge il centro della Terra quando capisce
che la causa della sofferenza di Fubuki è sempre lui.
Lo incontrano alla festa per la Raimon, vincitrice
della Holy Road, a cui sono state invitate tutte le
squadre che hanno partecipato – e quindi anche la Hakuren.
Hanno
dovuto trascinare l’allenatore all’aeroporto.
Di
peso.
Letteralmente.
Fubuki ha
la faccia di chi preferirebbe trovarsi sulla Luna senza ossigeno piuttosto che
a quella festa e Hyouga si sente in colpa per averlo
costretto, ma poi lo vede venir rapito dall’allenatore della Raimon e si rilassa un pochino. Perché ha sorriso, alla
fine, quel sorriso spensierato che non vedeva da tanto.
Poi
appare Goenji Shuuya e la
temperatura della sala precipita di parecchi gradi quando i loro sguardi si
incrociano – e Hyouga capisce. Non sa cosa sia
davvero successo, ma sa che la causa della sofferenza del loro allenatore è
lui. Più tardi quella sera li sente discutere in corridoio e intuisce qualcosa
– “Non sapevo fossi tu l’allenatore della
Hakuren.”, “Non
sapevi fossi io? Ma fammi il piacere: eri il Sacro Imperatore, Shuuya. Sapevi vita, morte e miracoli di chiunque. Se vuoi
raccontarmi una balla pensala meglio.”, “Shirou, per favore, lasciami spiegare.”, “Cosa? Spiegare perché te ne sei andato da casa mia come un ladro?
Perché non hai neanche pensato di
accennarmi quello che volevi fare?”, “Avresti provato a impedirmelo e… ”, “Certo che ci
avrei provato! Hai una vaga idea dei danni che hai causato?!” - ma
preferisce mettersi le cuffiette nelle orecchie per non ascoltare.
Rischierebbe
di compiere qualche azione di cui poi potrebbe pentirsi, o che potrebbe causare
guai all’allenatore.
La
mattina dopo sono tutti pronti a partire, seduti in attesa sui loro borsoni
mentre l’allenatore firma qualche foglio che una gentilissima receptionist gli
sta porgendo. Poi posa la penna sul bancone, prende il proprio borsone e se lo
carica in spalla.
-Shirou… - Hyouga stringe
inconsciamente la bretella del suo borsone, quando sente quella voce, anche gli
altri si fermano. Ed è quasi certo di aver visto gli occhi di Fubuki assumere per un attimo una lieve sfumatura dorata,
prima di osservarlo voltarsi appena e squadrare Goenji
da sopra la spalla.
–Direi
che non c’è più niente da aggiungere, Shuuya.-
E Hyouga crede di non averlo mai sentito parlare con un tono
così gelido. Gli fa paura.
Tra
i suoi compagni di squadra corrono sguardi stupiti, confusi e preoccupati,
prima che Fubuki faccia qualche passo verso di loro e
li esorti ad andare. Perché l’aereo mica aspetta loro.
Hyouga
osserva un’ultima volta Goenji Shuuya,
immobile in mezzo alla reception, con una mano ancora tesa verso di loro e gli
occhi carichi di mille emozioni e parole non dette. Si ritrova a provare un po’
di pietà, ma si dice che in fondo è stato lui a causare questa situazione.
In
fondo, se l’è cercata.