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Autore: _thantophobia    01/10/2019    1 recensioni
[questa storia partecipa al Writober2019 con la lista di prompt di Fanwriter.it | prompt/traccia: Missing moment(s)][original IE + GO| goufubu | presenza di Atsuya perché sì | introspettivo, malinconico, piuttosto angst | ooc come sempre per paranoie]
–Non pensare che mi tratterrò perché siete voi, Goenji.-
E gli scocca un’occhiata da sopra la spalla, un leggero baluginio dorato negli occhi grigi, prima di allontanarsi così velocemente che gli pare stia volando, esclamando un “Arrivederci, Goenji!” e lasciandolo lì imbambolato per qualche secondo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel/Shuuya, Shawn/Shirou
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al Writober2019 con la lista di prompt di Fanwriter.it

Parole: 544

Prompt/Traccia: Missing moment(s)

Brevi Deliri Pre Partum: Idea originariamente pensata per il GouFubu day, ma visto che mi sono dimenticata di volerla scrivere, approfitto del prompt del primo giorno. Olè.

 

 

 

 

 

 

Like sparkles in the air

[di arrivederci e di addii]

 

 

 

 

 

 

Appena scampati a una (pseudo) invasione aliena – quattordici anni.

Avevano avuto tutti e due la stessa idea.

Sapevano che avrebbero trovato Endou lì, ad allenarsi con quel vecchio pneumatico in cima alla collina – Fubuki gli ha detto che quando è arrivato Endou si è distratto e lo pneumatico l’ha colpito in testa, Shuuya l’ha tranquillizzato dicendogli di non preoccuparsi. Non è la prima volta che Endou si becca quello pneumatico sul naso.

Parlare con Endou ha da sempre la straordinaria capacità di calmarlo, di dare a Shuuya un lasso di tempo in cui poter riordinare con calma i pensieri e decidere cosa fare e come fare qualcosa.

Quando salutano il capitano, infatti, questi agita le braccia con la sua solita energia – e appena Fubuki si volta, una frazione di secondo prima di lui, Endou gli sorride e solleva i pollici, sillabando un “Ce la farai!” che a Shuuya serviva proprio. Aveva bisogno che qualcuno credesse in lui in questo momento, in cui è da solo con Fubuki e non sa proprio bene bene cosa dire e cosa fare. Per qualche ragione, stare vicino al Lupo dei Ghiacci ha l’effetto esattamente opposto al passare del tempo con Endou: riesce sempre a mandarlo in confusione.

Scendono le scale che conducono alla cima della collina in silenzio, Shuuya con le mani affondate nelle tasche della giacca qualche scalino indietro rispetto a Fubuki, che ha intrecciato le dita dietro la schiena e ogni tanto lancia qualche sguardo al tramonto. Parla dopo quelle che paiono ore, quando la collina ed Endou sono lontani.

-Atsuya è ancora qui.- sussurra allora, un sussurro che si disperde nella leggera brezza del tramonto ma che, per qualche ragione, fa gelare il sangue nelle vene di Shuuya.

-Che vuoi dire?-

-Non è… andato via.- tenta di spiegarsi, ciondolando appena con il corpo. –È rimasto qui. Si è solo… fatto un po’ da parte. Sento ancora la sua voce.-

Shuuya si dà mentalmente dell’idiota, pensando di avergli causato soltanto altri problemi mentre lui voleva solamente svegliarlo dallo stato catatonico in cui era caduto per colpa dello stress e della tensione accumulati durante la battaglia contro la Aliea. Non sa come rispondere a quella dichiarazione, se esserne in un certo modo felice oppure dispiaciuto. Stringe i pugni nascosti nelle tasche e lo osserva di sottecchi: Fubuki sembra tranquillo, sereno, non vede più quell’ombra che gli oscurava gli occhi e il suo non è più un sorriso di circostanza, tirato, volto a nascondere tutta la sofferenza che provava, ma è un sorriso sincero.

-Ma alla fine va bene così.- annuisce convinto, piegando il collo e osservando il cielo. –Almeno adesso non tentiamo più di ammazzarci a vicenda.-

A Shuuya scappa da ridere, pochi istanti dopo anche Fubuki ride. Ha scoperto che adora la sua risata, vorrebbe farlo ridere più spesso se ne avesse la possibilità.

–No, davvero: tu hai visto soltanto la fine del processo. Non hai idea di cosa è successo prima.-

-Endou e Kidou mi hanno accennato qualcosa, ne ho una vaga idea.- Shuuya socchiude gli occhi, scrollando le spalle. –Hai dato di matto, capita a tutti almeno una volta nella vita.-

Fubuki si piega in avanti per guardarlo in viso. –E tu quando qualcuno dà di matto lo prendi a pallonate nello stomaco?-

-Metodo non molto ortodosso, lo ammetto, ma funziona.- sentenzia, e sente Fubuki scoppiare a ridere di nuovo. –Scusami, comunque. Per averti colpito così forte.-

-Nah, non devi.- Fubuki scrolla testa. –Avevo bisogno che qualcuno mi inculcasse un po’ di buonsenso, anche con la forza se necessario.-

Rimangono in silenzio per il resto del tragitto che avrebbe portato Fubuki in stazione per tornare a casa – nove ore di treno, sono soltanto nove ore di treno a separarli, si può fare, può sempre salire sul primo treno disponibile e andare a fargli visita. Così, solo perché ha voglia di andare a sciare.

-Mi mancherete.- mormora Fubuki, quando iniziano a intravedere la stazione. –È stato bello giocare con voi.-

Shuuya solleva le spalle e sospira.

-Ci rivedremo al Footbal Frontier, immagino.- questa volta su due metà campo differenti.

-Eh sì.- il numero nove annuisce. –Non pensare che mi tratterrò perché siete voi, Goenji.-

E gli scocca un’occhiata da sopra la spalla, un leggero baluginio dorato negli occhi grigi, prima di allontanarsi così velocemente che gli pare stia volando, esclamando un “Arrivederci, Goenji!” e lasciandolo lì imbambolato per qualche secondo.

Poi ringhia, nascondendo il viso dietro le mani.

Ha bisogno di una doccia. Gelata, possibilmente.

 

 

 

Il tetto del mondo – quindici anni.

Avevano vinto.

Loro. Avevano vinto il titolo mondiale.

Wow.

A distanza di quasi una settimana, Shirou ancora stenta a crederci: ogni mattina si tira qualche pizzicotto sulle braccia per essere certo di non stare sognando, così, giusto per sicurezza. Anche adesso che stanno preparando le valigie per tornare a casa, con la coppa ben chiusa nella sua scatola e affidata alle ragazze – non si fidano di Endou, sarebbe capace di sedersi sopra la scatola o pestarla per sbaglio – e un aereo che li aspetta per tornare in Giappone non riesce a crederci davvero.

Ammette di essere in parte felice di tornare a casa, l’isola di Liocott è bellissima ma fa veramente troppo caldo per i suoi standard e non vede l’ora di tornare alle temperature dell’Hokkaido. Può ritenersi soddisfatto per non aver preso qualche insolazione o colpo di calore, sarebbe stato veramente fastidioso ritrovarsi in quelle condizioni quando si sta giocando contro le migliori squadre del mondo – gli era bastato sentirsi un emerito idiota quando si era fatto fregare con una facilità disarmante dai Fire Dragons e la loro tattica, durante la fase preliminare, e non ci teneva a ripetere l’esperienza.

E quindi ora eccoli lì, finalmente di nuovo in Giappone, con Shirou che batte spazientito un piede per terra e Goenji seduto sulla sua valigia, in attesa che il nastro trasportatore si decida a sputare fuori anche quella dell’albino.

-Te l’avevo detto.- sospira esasperato, Shirou, le braccia incrociate al petto. –La mia valigia è sempre l’ultima. È una congiura contro di me.-

Goenji scrolla le spalle. –Che problema c’è? Aspettiamo.-

-Ma magari avevi degli impegni… -

-L’unico impegno che ho è ricordarmi di non impostare la sveglia per domani mattina, visto che ho intenzione di dormire.-

-…e tuo padre e tua sorella ti stanno aspettando… -

-Ho già avvisato che avrei tardato.- lo interrompe ancora, dondolando lentamente e facendo muovere un po’ le ruote del trolley. –Tranquillo, posso aspettare.-

Come se qualche divinità avesse ascoltato le sue preghiere, finalmente sul nastro trasportatore scorre la valigia di Shirou, che con uno sbuffo esasperato la afferra e la posa a terra vicino ai piedi. Goenji ha un sobbalzo, alle sue spalle, Shirou lo nota appena.

-Beh, ora posso davvero lasciarti andare.- sorride, quando si volta. –Scusa ancora se ti ho fatto perdere tempo, non era davvero necessa… -

Goenji è in piedi a meno di un passo da lui, serissimo in viso come Shirou lo ha visto poche volte, gli occhi scuri fissi nei suoi grigi.

-G… Goenji?- balbetta, improvvisamente spaventato. –Va… tutto bene?-

Come a rallentatore, lo osserva piegarsi un poco verso di lui e Shirou sente il cuore iniziare a battere forte, troppo forte, così forte da assordarlo, quando le labbra sottili sfiorano la pelle fredda vicino alle sue labbra.

-Sapevo che appena atterrati in Giappone saresti tornato in Hokkaido.- mormora, tirandosi su ma restando a un soffio dal suo viso. –Non potevo lasciarti andare senza dir… -

Shirou lo zittisce riducendo lo spazio tra loro: si solleva sulla punta dei piedi, stringe il colletto della sua maglia per avvicinarlo e lo bacia, questa volta per davvero. Sente Goenji trattenere un gemito sorpreso, ma sorride appena quando lo sente farsi più vicino e ricambiare quel contatto semplice ma così importante. Shirou avverte il cuore fare le capriole nel petto per la gioia e Atsuya nella sua testa inizia a sbraitare un “Finalmente! Se l’è presa comoda!” che lo fa ridacchiare senza un motivo apparente.

Quando si allontanano, Goenji ha un braccio intorno ai suoi fianchi e Shirou le braccia che gli stringono il collo. Non riesce a smettere di sorridere. -Ce ne hai messo di tempo, grande campione.-

Si salutano dopo quelle che sembrano ore, con un altro bacio e la promessa di vedersi ancora.

 

 

Terzo anno di liceo – diciotto anni.

Shuuya era stato irremovibile, non c’era stato verso di fargli cambiare idea.

-Non posso saperti a casa da solo, non a Natale. O vieni tu da me o vengo io da te… E non osare tirare in ballo mio padre o mia sorella, non accetto scuse.-

E Shirou aveva ceduto e quindi alla fine ha trascorso le vacanze di Natale a casa di Shuuya – ed è stato bellissimo, non si sentiva così felice da anni: non crede di aver mai riso così tanto come la sera in cui anche Endou e gli altri della Raimon si sono riuniti per scambiarsi i regali a casa di quest’ultimo, o come quando ha finalmente convinto Shuuya a indossare dei pattini e andare a pattinare. Ha dovuto aggrapparsi alla ringhiera che delimitava la pista per non cadere sul ghiaccio, le gambe che non lo reggevano più per il troppo ridere, dopo l’ennesima caduta del numero dieci.

E, dopo tanto tempo, ha sentito di nuovo il calore di una famiglia. Certo, il padre di Shuuya non gli è mai sembrato il più gioviale che si potesse immaginare – aveva già avuto modo di conoscerlo durante la breve convalescenza in ospedale a seguito della frattura alla gamba – ma questo non significa che non voglia bene ai suoi figli e che non faccia di tutto per vederli felici. Yuuka, poi, è un angelo di bambina e non si può non amarla, Shirou vede benissimo come Shuuya la adori e farebbe di tutto per lei. Lui stesso si è sentito per qualche giorno parte della famiglia, ricevendo addirittura un regalo il giorno di Natale da parte di Yuuka – un disegno in cui la bambina ha raffigurato sé stessa in mezzo al fratello e Shirou, che si tengono per mano e i sorrisi escono dai bordi dei visi. Shirou scoppia a piangere per la felicità, sentendo dopo tanto tempo il freddo della solitudine lasciargli un po’ di pace.

Passare le vacanze di Natale a casa di Shuuya, Shirou decreta mentre di nuovo alla stazione aspetta il treno per tornare a casa, diventerà la loro personale tradizione. Shuuya è sempre lì, accanto a lui, ormai una presenza costante nella sua vita.

-Hai preso tutto?-

-Me l’hai già chiesto come minimo dieci volte, Shuuya. Sì, ho preso tutto.- ridacchia, occhieggiando verso di lui. –Cos’è? Vuoi che resti ancora un po’?-

-Fosse per me, non ti avrei mai fatto andare via.- Shirou non sa che fare, quando Shuuya è così serio da essere quasi spaventoso.

Lo saluta con un bacio che ha ancora il retrogusto dolce delle brioches che hanno mangiato poco prima, un bacio che sa di arrivederci.

 

 

Vita da adulti, prima della catastrofe – ventitré anni.

Shuuya osa muoversi dalla posizione prona in cui si era immobilizzato solo quando sente il respiro regolare di Shirou al suo fianco, segno che alla fine si è addormentato. Lentamente, sguscia via dal suo abbraccio e dal caldo delle coperte, cercando alla cieca i propri vestiti. È attento a ogni singolo movimento di Shirou, terrorizzato che possa svegliarsi e chiedergli che cosa sta facendo proprio mentre sgattaiola da casa sua come il peggiore dei ladri. Ma aveva bisogno di vederlo, almeno un’ultima volta, prima di imbarcarsi in questa follia in solitaria.

“Lo stai facendo anche per lui.– si ripete, mentre in punta dall’alluci raggiunge l’ingresso e si siede per mettersi le scarpe. –Lo stai facendo anche per il suo bene.”

Sul mobile dell’ingresso ci sono due fotografie incorniciate, le stesse da che Shuuya ne ha memoria - quella della squadra dopo la finale del Football Frontier International e l’unica foto che Shuuya ha mai visto della famiglia di Shirou al completo, con Shirou che sorride con le dita intrecciate dietro la schiena e le mani della madre appoggiate sulle spalle, accanto a loro Atsuya in braccio al padre che ridono e sollevano il pollice verso l’obbiettivo – e una foto che non ricorda di aver mai visto, sua, forse scattata di nascosto durante una delle sue visite in Hokkaido, di sicuro d’estate. Sa che è stata scattata in Hokkaido perché riconosce i tetti della Hakuren sfocati sullo sfondo e sa che è estate perché indossa soltanto i jeans e una maglietta con le maniche lunghe e le sneakers, mentre d’inverno di solito è bardato come un eschimese perché ha troppo freddo.

Shuuya si sforza di ricacciare indietro le lacrime e di zittire quell’ultimo rimasuglio di senso di colpa che gli impedisce di fare quello che sta facendo, indossando velocemente le scarpe e socchiudendo l’uscio proprio mentre Toramaru risponde dall’altro capo della linea telefonica.

-Devo venirti a prendere?- Shuuya non riesce a formulare una frase di senso compiuto, il nodo di pianto che gli stringe la gola sembra soffocarlo. -…ho capito, arrivo.-

Toramaru non ha mai fatto troppe domande e non ha chiesto spiegazioni, quando gli ha proposto di aiutarlo con questa pazzia del Quinto Settore – di domanda ne ha fatta solo una: “Perché io?”, chiedendo implicitamente perché non ha voluto dire niente a Shirou.

Perché sta facendo tutto questo anche per lui, per proteggere Shirou e la Hakuren e tutti i ragazzi che amano il calcio.

Non ci crede nemmeno lui, a questa buffonata, ma Toramaru non ha discusso la sua decisione limitandosi a scrutarlo dubbioso e domandandogli spesso e volentieri se è davvero sicuro di quello che sta facendo.

-…sei ancora in tempo per tornare indietro.- mormora, appunto, osservandolo distrattamente attraverso lo specchietto retrovisore.

Shuuya scuote la testa. –No, ormai ho deciso.-

È per il bene di tutti, si ripete. Lo sta facendo anche per Shirou.

Si chiede quanto possa reggere, questa buffonata.

 

 

Vita da adulti, dopo la catastrofe – ventiquattro anni.

Yukimura Hyouga è un ragazzino cocciuto e ingenuo, certo, ma di sicuro non così sprovveduto da non notare i cambiamenti.

Quando Fubuki si era presentato nello spogliatoio annunciando di essere il loro nuovo allenatore, Hyouga si era chiesto come qualcuno come lui potesse allenare una squadra: avrebbero potuto ottenere qualsiasi cosa da uno così, troppo buono per dire di no… E in parte non si era sbagliato, perché Fubuki è davvero troppo buono con loro, ma i suoi allenamenti sono massacranti e non transige proprio su nulla per quanto riguarda le partite. La squadra aveva patito molto la sua mancanza, nel periodo in cui era finita sotto il controllo del Quinto Settore: mancava quella figura che li proteggeva da lontano, in silenzio e senza farsi notare, come quel fratello maggiore che osserva crescere i fratellini e li aiuta quando ne hanno bisogno.

Ma Hyouga aveva notato il cambiamento ben prima che il Quinto Settore gli sbattesse la porta in faccia, aveva visto quella crepa sottile e impercettibile nella sua maschera gentile e tranquilla: era apparsa all’improvviso, senza alcun segnale, così, dalla sera alla mattina; il loro allenatore aveva smesso di essere il fratello maggiore gentile e spensierato ed era tornato ad essere quel ragazzino solo e spaventato che Hyouga aveva visto nelle foto dei suoi anni come studente alla Hakuren, quando quella sciarpa era ancora onnipresente insieme a quell’ombra che gli oscurava gli occhi.

Aveva capito, poi, dopo il suo ritorno, che non era solo paura che Fubuki cercava di nascondere: era anche rabbia, dolore, delusione; verso chi Hyouga non lo sa, ma per un ragionamento astruso e contorto del suo cervello inizia a odiare questa persona misteriosa di conseguenza.

Perché ha fatto soffrire il loro allenatore, che merita solamente un po’ di pace dopo tutto il dolore che ha patito.

Hyouga incontra Goenji ShuuyaIshido Shuuji, il Sacro Imperatore, ribattezzato Lo Stronzo proprio dopo questo incontro – nel peggiore dei modi: era cresciuto quasi divinizzando il grande bomber della Inazuma Japan di cui ha fatto parte anche il loro allenatore, credendolo quasi un essere perfetto e senza difetti, ma tutta la sua venerazione fa un bellissimo volo dalla finestra quando capisce che dietro tutto il macello combinato dal Quinto Settore nell’ultimo anno c’era il suo zampino – la sua stima, invece, raggiunge il centro della Terra quando capisce che la causa della sofferenza di Fubuki è sempre lui. Lo incontrano alla festa per la Raimon, vincitrice della Holy Road, a cui sono state invitate tutte le squadre che hanno partecipato – e quindi anche la Hakuren.

Hanno dovuto trascinare l’allenatore all’aeroporto.

Di peso.

Letteralmente.

Fubuki ha la faccia di chi preferirebbe trovarsi sulla Luna senza ossigeno piuttosto che a quella festa e Hyouga si sente in colpa per averlo costretto, ma poi lo vede venir rapito dall’allenatore della Raimon e si rilassa un pochino. Perché ha sorriso, alla fine, quel sorriso spensierato che non vedeva da tanto.

Poi appare Goenji Shuuya e la temperatura della sala precipita di parecchi gradi quando i loro sguardi si incrociano – e Hyouga capisce. Non sa cosa sia davvero successo, ma sa che la causa della sofferenza del loro allenatore è lui. Più tardi quella sera li sente discutere in corridoio e intuisce qualcosa – “Non sapevo fossi tu l’allenatore della Hakuren.”, “Non sapevi fossi io? Ma fammi il piacere: eri il Sacro Imperatore, Shuuya. Sapevi vita, morte e miracoli di chiunque. Se vuoi raccontarmi una balla pensala meglio.”, “Shirou, per favore, lasciami spiegare.”, “Cosa? Spiegare perché te ne sei andato da casa mia come un ladro? Perché non hai neanche pensato di accennarmi quello che volevi fare?”, “Avresti provato a impedirmelo e… ”, “Certo che ci avrei provato! Hai una vaga idea dei danni che hai causato?!” - ma preferisce mettersi le cuffiette nelle orecchie per non ascoltare.

Rischierebbe di compiere qualche azione di cui poi potrebbe pentirsi, o che potrebbe causare guai all’allenatore.

La mattina dopo sono tutti pronti a partire, seduti in attesa sui loro borsoni mentre l’allenatore firma qualche foglio che una gentilissima receptionist gli sta porgendo. Poi posa la penna sul bancone, prende il proprio borsone e se lo carica in spalla.

-Shirou… - Hyouga stringe inconsciamente la bretella del suo borsone, quando sente quella voce, anche gli altri si fermano. Ed è quasi certo di aver visto gli occhi di Fubuki assumere per un attimo una lieve sfumatura dorata, prima di osservarlo voltarsi appena e squadrare Goenji da sopra la spalla.

–Direi che non c’è più niente da aggiungere, Shuuya.-

E Hyouga crede di non averlo mai sentito parlare con un tono così gelido. Gli fa paura.

Tra i suoi compagni di squadra corrono sguardi stupiti, confusi e preoccupati, prima che Fubuki faccia qualche passo verso di loro e li esorti ad andare. Perché l’aereo mica aspetta loro.

Hyouga osserva un’ultima volta Goenji Shuuya, immobile in mezzo alla reception, con una mano ancora tesa verso di loro e gli occhi carichi di mille emozioni e parole non dette. Si ritrova a provare un po’ di pietà, ma si dice che in fondo è stato lui a causare questa situazione.

In fondo, se l’è cercata.

 

  
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