Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: Crudelia 2_0    01/10/2019    3 recensioni
Bussa alla tua porta dopo quelli che ti sono sembrati secondi troppo, troppo brevi.
Vi scambiate saluti e formalità privi di importanza, inudibili sotto il rombo nelle tue orecchie. Poi un’affermazione infrange quel vetro, l’ultima tua protezione.
“Dovreste togliervi la veste.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
 
 
 

Tornare a Rivombrosa ti trasmette, ogni volta, malinconia. Non solo i ricordi dei tuoi genitori, dell’infanzia tornano alla mente, ma la gentilezza di Elisa ti ferisce. È troppo gentile, con te, che non lo meriti. Sorridi tirata a tutti, a disagio, e rimproveri Emilia con forse troppa acredine. Te ne sei pentita non appena ti ha voltato le spalle chine, lo sguardo basso.

E adesso questa lettera. Non sai come ti sia finita tra le mani, a quante pulizie è sopravvissuta per arrivare adesso tra le tue dita tremanti, ma  è qui, nero sbiadito su bianco ingiallito. Gli anni sono stati impietosi sulla carta come le parole che scrivesti lo sono adesso per te.
 

Non voglio essere come lei. Quando sarò madre non commetterò gli stessi errori che mi stanno facendo subire. Terrò alto il nome della famiglia, ma a quale prezzo! Non lo sanno, loro, come sono viscide le sue mani, come mi tocca quando siamo soli. Che ne sarà di me quando sarò sua sotto gli occhi degli uomini e di Dio, quando non potrò più ribellarmi? Io…
 

Si interrompe così, non ricordi ormai cosa avresti voluto aggiungere. Lo stomaco si stringe fino a farti venire la nausea, le lacrime ti chiudono la gola. Stai facendo ciò che ti eri ripromessa?

No.

Emilia soffre dei tuoi rimproveri troppo bruschi e troppo frequenti. Non vorresti rubarle la libertà, ma imponendole le rigide regole del protocollo reale sai di farlo.

Sospiri per sciogliere il groppo che ti appesantisce e ripercorri la strada a ritroso, i tacchi echeggiano sul marmo al ritmo dei tuoi rapidi passi. Continui alla stessa velocità anche all’esterno, ti fermi dopo pochi passi quando Amelia ti viene incontro, le gonne tra le mani per non impicciare la
corsa.

Ti raggiunge. “Contessa.” Una lieve riverenza, una mano posata sul petto a cercare di regolarizzare il respiro affannato. Apre la bocca per continuare, ma viene interrotta dalla persona che stavi cercando.

Emilia corre sorridente, si guarda alle spalle ridendo. Immagini stia scappando da qualcuno- da Martino- i capelli spettinati e le guance arrossate. Si interrompe bruscamente quando ti vede, il petto si muove veloce e gli occhi sgranati. Pensa che la sgriderai, come fai sempre, e sai che dovresti farlo. Senti invece nascere un sorriso sulle tue labbra, la lettera che ancora rimbomba nella tua mente.  Il silenzio si protrae e tu sai che dovresti parlare. E lo fai, ciò che dici, però, sorprende tutte e tre.

Te, tua figlia, la cameriera.

“Fa’ attenzione a ripettinarti, prima di cena.”

Il volto della bambina si illumina di un sorriso ampio, tutto denti e fossette. Annuisce mentre viene verso di te e ti abbraccia. Si lancia sulla tua vita, a dire il vero, ti stringe tra le braccia premendo il bustino rigido. Dovresti riprenderla anche per quella dimostrazione d’affetto troppo aperta, ma la lasci andare con una carezza sui boccoli spettinati.
Non voglio essere come lei…   

La guardi correre con le gonne alzate e i capelli al vento, la bella acconciatura caduta sulle spalle. Pensi che forse sei ancora in tempo a recuperare, ad essere migliore. La guardi finché l’ultimo lembo di stoffa sparisce dietro l’angolo ignorando lo sguardo di Amelia su di te. Il tuo nome è macchiato dalle azioni di tuo marito, se per una volta parleranno di te perché hai fatto un atto di gentilezza non sarai tu a correggerli.

Per una volta.

Ti volti verso la donna al tuo fianco, indugiando con lo sguardo agli angoli della bocca increspati in un sorriso.

“Ebbene?” La riporti ai suoi doveri, sei più curiosa che impaziente, adesso.

Amelia apre la bocca per parlare, ma ne esce un rantolo. Sgrana gli occhi, porta una mano al petto e inizia a batterlo, forsennatamente.

“Amelia!” Fai un passo verso di lei, allarmata. La prendi per un gomito e l’accompagni alla fine sedia bianca vicino a voi. Non ti curi dell’abito pregiato e ti inginocchi davanti, le fai aria con il ventaglio mentre chiami a gran voce i soccorsi.

Amelia continua a boccheggiare e l’unica cosa che fai, senza pensare, è toglierle la cuffia e aprirle il corsetto oltre la decenza. Smetti di allentare i lacci quando ormai la stoffa pende in due lembi abbandonati contro i fianchi, la camicia rivela il solco tra i seni provati dagli anni.

Ricominci a farle aria mentre qualcuno di cui scorgi solo la mano le porge un bicchiere d’acqua. La vedi afferrarlo e quasi metà del contenuto cade tanto sono forti i tremori delle sue dita.

Beve qualche sorso, riprendendo un po’ di colore sulle labbra. Ti guarda e un fugace sorriso passa nei suoi occhi, poi perde i sensi.
 


 
“Solo un mancamento, dovuto al caldo e all’affaticamento. Dobbiamo essere grati alla Contessa Ristori per essere intervenuta così prontamente.”

Non ti volti a quelle parole, continui a guardare la lieve brezza che scuote gli alberi fuori dalla finestra. Lasci che sia Elisa a rispondere, mentre quell’accennato complimento ti scivola dentro e si ferma nel tuo petto.

“Bene, se è tutto allora…” lasci la frase in sospeso, camminando verso la porta. Eviti ogni sguardo, vuoi solo lasciare quella stanza. L’aria è troppo pesante, se la condividi con lui

“In verità, Contessa, vorrei parlarvi.” Ti ferma. Stringi le labbra con disappunto. Il tuo primo istinto è negare, scappare  e mettere quanta più distanza fra te e quegli occhi troppo chiari che ti guardano con una celata supplica.

Quindi annuisci, secca, e aspetti mentre istruisce Elisa sui sali da somministrare ad Amelia e chiude la valigetta di cuoio. Lo accompagni al calesse in silenzio, sentendo crescere dentro te l’ansia ad ogni passo. Quando arrivate al piccolo carro posa la valigia e ti fa cenno con un braccio verso i giardini. Lo assecondi, come se fosse lui il padrone di casa, ma soltanto perché non riesci a sentire nient’altro se non il cuore che, furioso, ti pulsa nelle tempie.

Fate un po’ di strada in silenzio quando, il cappello tra le mani, decide di parlare.

“Ho visitato vostro marito, qualche tempo fa.”

“Alvise?” Ti senti un po’ sciocca a ripetere il nome di tuo marito con così tanta sorpresa, ma immaginarti i due uomini in tale contesto ti destabilizza.

“Se posso permettermi, Contessa.” Esita, umettandosi le labbra. Quel gesto, quel guizzare di lingua, ha il potere di farti dimenticare il lieve fastidio che ti suscita quando si rivolge a te con quel titolo. Per tutti sei la Marchesa Radicati, non per lui. “Avete adempiuto ai vostri doveri coniugali, ultimamente?”

Ti fermi, gli occhi sgranati. “Ma come vi permettete?” Avresti voluto suonare indignata, ma sembrava uno sconcerto strozzato.

I suoi occhi limpidi ti guardano di rimando, calmi e tranquilli, in attesa.

“Devo saperlo, Contessa.”Riprende serafico, portando le mani dietro la schiena.

Deglutisci. Sbatti le palpebre, cercando una risposta che al momento proprio ti è inarrivabile. Poi riprendi il controllo e apri il ventaglio, iniziando a farti aria con stizza. “Ciò che faccio con mio marito non sono affari vostri, dottore.” Rimarchi sull’ultima parola.

Lui non si scompone, tradito solo da un lieve sospiro. “Contessa, vi prego…”

“Ditemi, allora, perché lo volete sapere.” Lo sfidi con lo sguardo. Lui, che ha avuto l’ardire di tale domanda, che almeno ti dia una spiegazione.

Questa volta prende fiato, guardandoti attentamente. “Vostro marito è malato.” Una pausa. “Ha la sifilide.”

Le parole cadono tra voi e attraverso di te. Un pugno nello stomaco. Ti manca il fiato e quella domanda, tanto sfrontata, ora appare velata di preoccupazione.

“Io… Lui…” Boccheggi. “Noi-“ Ti interrompi, il fiato ti si mozza in gola.

Ciò che vorresti dirgli è che non ti è permesso sottrarti a quei doveri che devi assecondare ogniqualvolta tuo marito li richiede. Vorresti dirgli che adesso capisci i rapporti dell’ultimo periodo: più violenti, più veloci,più rabbiosi. Vorresti gridare che è un egoista. Te l’aspettavi, vista la quantità di donnette che frequenta, ma pensavi avesse la grazia di tenertene fuori. E ad Emilia, non ha pensato? Rimarrà sola se anche tu…

Non riesci neanche a finire il pensiero mentre un gemito sale alle tue labbra.    

Riporti gli occhi su di lui e lo trovi più vicino di quanto sia lecito. Nei suoi occhi c’è preoccupazione, ma , ne sei sicura, anche pietà. Non riesci a sopportarla.

Vorresti dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma ti anticipa. “Quanto rimarrete a Rivombrosa?”

“Tre giorni.” È un sussurro.

“Lasciate che venga dopodomani, allora. A visitarvi.”

Ancora una volta provi l’impulso di contestare, porre il veto ad ogni sua richiesta solo per il gusto di non assecondarlo, ferirlo. Ma la preoccupazione nella sua voce ha il sopravvento, e cedi. Annuisci senza guardarlo, senza energia.

Quando ti passa accanto, mettendosi il cappello con un inchino e congedandosi, rimani immobile, lasciando che le sue gambe sfiorino le tue gonne indugiando in una fugace carezza.
 




 
   
 
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