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Autore: _root    02/10/2019    0 recensioni
Ritiro sportivo dell'Aoba Johsai. Il gioco della bottiglia, divertente e terribile allo stesso tempo, soprattutto quando sei obbligato a dire la verità.
"Era meglio dare una spinta forte…? O una debole…? Ahh, maledizione, ci metteva meno tempo a decidere la traiettoria quando doveva schiacciare! Senza tormentarsi oltre, affidandosi allo spirito della nonna defunta, ruotò la bottiglia."
Genere: Comico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aoba Johsai, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Memories of a long life lived together'
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«Ah-ah! Kindaichi! Tocca ancora a te!».
Si alzarono delle risate al lamento sconsolato del ragazzo, capitato sotto il tiro della bottiglia per la terza volta di fila.
«Ok, però adesso basta obblighi», rise Oikawa, «hai sempre scelto solo quelli! Hai per caso paura di cosa possiamo chiederti nel caso tu dica “verità”?», insinuò con uno sguardo divertito.
Kindaichi non lo ammise; si limitò a bilanciare mentalmente il peso di un altro obbligo con il rischio che, girando la bottiglia per vedere a chi sarebbe spettata la famigerata domanda sulla sua verità, capitasse uno di quei temibili ed impietosi senpai del terzo anno. Poteva sempre inventarsi una balla, ma era una schiappa a mentire. Se ne sarebbero accorti tutti di sicuro e gli sarebbe toccata una penitenza aggiuntiva. Quante possibilità c’erano che gli capitasse quell’anima buona di Watari, o al massimo il senpai Iwaizumi? Lui certamente se ne sarebbe uscito con qualcosa di serio e semplice, nulla da temere. Però era sicuro che, a questo punto, se avesse schivato ancora la verità, gliel’avrebbero fatta pagare con un obbligo ancora più spietato. D’accordo, tutto sembrava suggerirgli una cosa sola:
«Scelgo… verità…», deglutì, preparandosi al peggio.
Incontrò lo sguardo del senpai Oikawa, sinistramente affilato e malizioso, e gli scese un brivido lungo la schiena.
«Ottimo», sorrise il capitano, candidamente – era inquietante la rapidità con cui passava da un’espressione all’altra –, facendogli cenno con una mano: «Sai come funziona adesso. Prego, fai girare».
Kindaichi sentì l’aria caricarsi di perversione – proveniente per la maggior parte dai ragazzi del terzo anno – mentre, cercando di sciogliere quel nodo di tensione che gli si era formato in gola, allungò la mano per girare la bottiglia.
Era meglio dare una spinta forte…? O una debole…? Ahh, maledizione, ci metteva meno tempo a decidere la traiettoria quando doveva schiacciare! Senza tormentarsi oltre, affidandosi allo spirito della nonna defunta, ruotò la bottiglia.
L’affare di plastica – preso poco prima dal distributore e poi svuotato quasi del tutto – girò impietosamente, senza lasciare prevedere dove si sarebbe fermato. Passò un paio di volte di fronte a Matsukawa, che sebbene celasse quanto fosse coinvolto nel gioco era palese che non vedesse l’ora di mettere in crisi i suoi kohai; altrettante di fronte ad Hanamaki, che al contrario era di più difficile lettura, per il fatto che a volte si comportava da madre apprensiva ed altre da pestifero fratello maggiore – e nessuno aveva ancora capito con quale criterio passasse dall’uno all’altro; Kyoutani non sembrava una vera minaccia, faceva parte del cerchio attorno alla bottiglia, ma continuava a dichiarare di non voler partecipare…
Poi la rotazione cominciò a perdere di potenza e fu più facile intuire verso chi stava per fermarsi. Con panico interiore di Kindaichi puntava direttamente al numero 1 dell’Aoba Johsai, a Tooru Oikawa che, consapevole dell’ansia che stava montando in lui, gli rivolse un sorrisetto – che sapeva di tutto, meno che di innocenza – giusto per mandarlo ancora più in agitazione. La bottiglia rallentò progressivamente e sembrava proprio che Kindaichi fosse stato lasciato in pasto al leone, quando Oikawa venne raggiunto e superato. Il ragazzo non poté che rispondere con un sospiro sollevato all’espressione di disappunto del suo capitano, perché alla sua destra sedeva il puro Watari! Nonna Kotoko! Grazie della tua gentilezza, che vegli sul tuo nipote che –
Ma la bottiglia aveva ancora dello slancio da consumare. Superò anche il libero dell’Aoba Johsai con una lentezza snervante, mentre il resto dei partecipanti enfatizzò l’attesa con un verso corale. Ad ogni modo non era così importante che capitasse proprio Watari, chiunque sarebbe andato bene purché non fosse –
A Kindaichi si gelò il sangue nelle vene quando si rese conto che la bottiglia si era fermata di fronte a Kunimi.
Nonna, maledizione! Questo sarebbe il ringraziamento per tutti gli anni passati a sgusciarti i piselli e a toglierti le buccette bianche dei mandarini?! Kunimi poteva anche avere uno stramaledetto visino angelico da uke, ma sotto sotto era un venduto al lato oscuro, crudele e subdolo come se avesse impegnato l’anima ad un demone!
Kindaichi sudò freddo, mentre il resto della squadra, dopo un teso momento di silenzio, iniziò a lasciarsi andare alle prime risatine. Sapeva di non potergli dire apertamente di essere clemente per non essere deriso, perciò si concentrò e provò a mandargli un appello telepatico con tutta la forza di cui era capace. In fin dei conti non doveva per forza essere bastardo con lui. Già, avevano altri turni da giocare. Capisci, Kunimi, per la miseria… Libera quel lato di te ancora non ancora marcio e corrotto… Di sicuro esiste…
Il compagno di squadra non cambiò mai la propria espressione, tarata su un valore tra la neutralità e l’apatia.
Kindaichi intensificò ancora di più lo sguardo, seccandosi i bulbi oculari.
Kunimi sembrò ricevere il messaggio. Poi, semplicemente, guardandolo fisso di rimando, chiese: «Qual è l’ultima donna con cui sei stato?».
Kunimi, figlio di Satana! Lo sapeva benissimo che aveva esperienza zero con le donne!
Si alzarono fischi di approvazione da tutti i componenti della squadra e Kindaichi lo osservò come un animale in mezzo alla strada osserverebbe un camion che gli viene addosso ai centotrenta.
«M-mi rifiuto di rispondere ad una domanda del genere!», provò a protestare.
«Kindaichi, le regole sono regole», sentenziò il capitano.
«Mica ti vergogni, vero?», aggiunse Hanamaki.
Il volto del ragazzo avvampò: «N-Non è… Be’, anche se –?», ma per fortuna tra le risate dei ragazzi la sua brillante arringa difensiva non venne udita. Non appena però si ritirò in sé per pensare a qualcosa da dire tutti si zittirono a vicenda.
«D-dunque…», iniziò, «avete presente Mashima, della terza sezione?» – si alzarono i fischi: «Ceeeerto! E tu sei stato con quello schianto della Mashima!».
«Non ci sono proprio stato», replicò Kindaichi, «ma una volta c’è stato un bacio. E-ecco, adesso lo sapete!».
La squadra si scambiò degli sguardi interdetti: nessuno si aspettava certo che Kindaichi ribaltasse la situazione in questo modo, giocandosi la regina di cuori. I quattro del terzo anno, invece, si limitarono ad osservarlo intensamente. Iwaizumi ridacchiava.
«E dicci, quando sarebbe accaduto questo celestiale bacio?», chiese Hanamaki.
«A-alla festa di orientamento delle matricole. Lei era rappresentante di classe, scommetto che lo ricordate tutti. E, ecco, mi sono avvicinato, abbiamo parlato un po’… E poi c’è stato il bacio».
«Così? Lì davanti a tutti?», incalzò il capitano.
«Non sono un po’ troppe domande?», rise l’ace.
«Shh! Iwa-chan! Si può sapere da che parte stai?». Il capitano si rivolse nuovamente a Kindaichi, sfoderando un sorriso pericoloso: «Il fatto è che, vedi, io stavo con Mashima a quei tempi, e vorrei sapere se sei tu il ragazzo per cui mi ha scaricato». Gli altri ragazzi del terzo anno non sapevano più come trattenere le risate.
Kindaichi spalancò gli occhi e replicò immediatamente: «Ma no! Assolutamente! Ti assicuro che non è stato per causa mia!».
«E come fai a dirlo?», lo sguardo dell’alzatore si fece sempre più intenso.
«B-Be’…», Kindaichi avvampò, «perché, insomma, è stato più un bacio… Allora, abbiamo parlato, lei ha riso, pensavo di avere un’opportunità, le ho chiesto di uscire ma lei mi ha detto che non esce con i ragazzi più piccoli e mi ha dato un bacio sulla guancia, poi se n’è andata», disse tutto d’un fiato.
I ragazzi tentennarono per un secondo, sbattendo gli occhi, incapaci di credere che fosse stato davvero abbindolato da Oikawa, poi scoppiarono a ridere fino alle lacrime agli occhi.
«CLASSICO KINDAICHI!».
«L’hai sparata troppo grossa».
«Cioè, questa è stata la tua più focosa esperienza con le donne?! Ma sei adorabile!».
«Per un secondo mi è sembrato davvero di vedere te e la Mashima a darci dentro nello sgabuzzino delle scope!».
«Scusa, scusa Kindaichi», disse, senza fiato per le risate, Tooru Oikawa, «in realtà le cose con Mashima sono finite per altri motivi», alzò i palmi al cielo.
«Già, tempo due giorni dalla rottura e ha iniziato a provarci con Matsukawa», aggiunse Hanamaki, incapace di completare la frase senza scoppiare a ridere.
«Ah, ora sveliamo i segreti, eh? Che fine ha fatto la regola della bottiglia?», esclamò il capitano lasciato in pasto alla canzonature dei kohai, senza però essere realmente risentito.
«Le regole sono saltate due domande fa», commentò serafico Mattsun.
«Ormai siamo in gioco, su!», riprese Hanamaki, inserendosi di nuovo nel cerchio. «Qualcuno ha per caso qualcosa da nascondere?».
Il silenzio, lungi da essere uno di quelli carichi di tensione, parlò per i presenti: ciascuno pensò alla propria esperienza da raccontare, e nessuno sembrava particolarmente contro l’idea – Kyoutani era un caso a parte. C’è poi da dire che dopo una figura così imbarazzante chiunque si fosse tirato indietro sarebbe sembrato un mostro.
«Vero vero, povero Kindaichi», disse allora il capitano, raccogliendo i consensi di ognuno, «e come nei film, saranno queste confessioni che renderanno ancora più unita la squadra, giusto?», sorrise. «Kindaichi, a te l’onore: da chi iniziamo?».
Il ragazzo con i capelli a carciofo si voltò senza incertezza alcuna verso il suo compagno, e con il fuoco negli occhi decretò: «Kunimi».
 
Si raccontarono di baci e palpeggiate, scadendo nei particolari là dove ce ne fossero. Certo, avendo alcuni quindici anni era difficile che avessero già concluso, e ciò non era scontato nemmeno per i più grandi. Per sfortuna di Kindaichi Kunimi aveva sì una storia più interessante della sua: aveva tranquillamente ammesso che le ragazze al momento gli sembravano solo una scocciatura, opinione aggravata dal fatto che la sua vicina di casa, quindici anni, era completamente persa per lui e lo stalkerava come poteva, anche inviandogli foto private.
«M-ma “foto private” nel senso…».
«Foto sue con vestiti carini o con canottiere minuscole», scosse la testa, «ma le cancello subito. È una bambina, praticamente». Fargli notare che avevano la stessa età passò in secondo piano rispetto alla scoperta che a Kunimi piacessero, in sostanza, le ragazze più grandi, e il giro proseguì.
Watari, inizialmente, non era per la quale. Poi sospirò e con la naturalezza di chi è perfettamente in armonia con sé stesso raccontò una delle storie più strappalacrime che avessero mai sentito. L’intera squadra era scossa dai singhiozzi. I suoi vicini di posto lo abbracciarono.
«W-Watari, sei troppo puro per questo mondo…».
«Quando ha detto che stava per vacillare mi sono sentito scuotere dentro…».
«E il fatto che si stanno aspettando senza sapere quando potranno rivedersi? Mi si spezza il cuore!».
«Dannazione, Watari…», commentò Oikawa, soffiandosi il naso, «avevo una storia perfetta da raccontare, ma a parlare dopo di te sembro uno stronzo divoratore di femmine».
«“Sembri”?», risero i tre del terzo anno.
«Oikawa, tu sei l’anti-Watari. In tutto e per tutto», sentenziò Hanamaki.
«Oikawa non ha mai trattato bene una ragazza in tutta la sua vita», disse Iwaizumi, caustico.
«Scusami?», il castano girò il volto verso di lui come un gufo. «È molto, molto crudele da parte tua, Iwachan!».
«Nominami un’eccezione», disse, guardandolo fisso negli occhi.
Il capitano sostenne lo sguardo: «Be’, Nori, due sere fa, ha detto che le ho stravolto la vita».
Si alzarono immediatamente dei cori e qualcuno disse “Con cosa le hai stravolto la vita?”. L’asso scosse le spalle.
«Nessuno vuole sapere della tua ragazza, Oikawa, ti vanteresti e basta», commentò Mattsun, facendo cenno ad un curioso Kindaichi che era meglio soprassedere. Nonostante le proteste del capitano, il giro continuò.
Hanamaki raccontò della sua fiamma dell’estate, una ragazza simpatica e spigliata che, come lui, non cercava affatto una storia seria e, cominciato l’anno scolastico corrente, si erano pacificamente salutati. A volte era capitato che si vedessero in metro, ma a parte salutarsi non condividevano altro.
Dopo del ragazzo dai capelli rosa Yahaba raccontò alla squadra dell’unica ragazza che aveva avuto: una storia durata tutte le medie e terminata il primo anno delle superiori, a detta sua avevano “fatto di tutto e di più, perché quando stai insieme così tanto è naturale”, e si lasciò andare ad alcune descrizioni esplicite. Matsukawa annuì più volte con l’aria di chi la sapeva lunga, accrescendo la curiosità dei più giovani di sapere che cosa avrebbe potuto raccontare.
Kyoutani accettò di svelare qualche sua passata relazione solo perché anche Iwaizumi gli assicurò che, venuto il suo turno, si sarebbe scoperto a sua volta. Il suo primo bacio a stampo era stato all’asilo con una bambina che la mattina dopo l’aveva già scaricato per quello che portava il pongo con i brillantini da casa. Gli si scagliò contro e quello fu il primo episodio in cui cercò di risolvere le cose con la violenza.
Iwaizumi batté il pugno contro il suo, ringraziandolo di non essersi tirato indietro, poi venne il suo turno.
E Oikawa, puntuale: «Iwachan, so che l’hai promesso a Kyoutani, ma se non vuoi doverci raccontare la serie di cotte non corrisposte della tua vita saremo tutti misericordiosi e passeremo oltre», scherzò, usando la bottiglia come una bacchetta magica.
L’asso si imbronciò appena, ma disse, alzando lo sguardo: «In realtà, un episodio che posso raccontare c’è».
«Novità da Iwaizumi?! Le voglio sapere subito!», esclamò Hanamaki, imperando a tutti di fare silenzio.
Il ragazzo dai capelli a spillo ridacchiò: «È stato qualche giorno fa. Eravamo nei pressi della scuola, era il mio turno di fare le pulizie dell’aula. E lei era lì. Abbiamo parlato, mi girava attorno già da un po’… e ci siamo baciati. Un po’ banale come racconto, ma questo è quanto. Mattsun», concluse, volgendosi al compagno seduto dopo di lui.
Si fece silenzio per un secondo.
«No, no, no, aspetta», riprese Hanamaki, con enfasi crescente come se fosse riemerso da sott’acqua, «chi è questa ragazza?! Possibile che sia quella con le codine della classe vicino alla nostra? Quella che era con te nel gruppo dei cartelloni per il festival della cultura?».
«Ma chi, Saki?», rispose, «Ma no! È – lei è più piccola, e io non ho deciso bene cosa fare a riguardo, perciò… Teniamola per noi», si strinse nelle spalle.
Gli arrivò una pacca sulla spalla e qualcuno si stupì del fatto che segretamente fosse un rubacuori.
«Iwaizumi fa tanto il gentiluomo e poi tiene il piede in due scarpe!».
«Vedi che zitto zitto, si fa i fatti suoi, e prende su meglio di tutti noi».
«Sarà mica quella faccia imbronciata e tenebrosa che fa breccia nel cuore delle ragazze?».
Caddero a pioggia altri commenti, ma più o meno tutti si incanalarono sull’incomprensibile fascino che lo stoico Iwaizumi era capace di esercitare, pure a sua insaputa, a quanto pare. Oikawa lo guardò fisso.
Nel frattempo parlò Matsukawa. La sua solita nonchalance cozzava con il boato che si era sollevato dai compagni di squadra, rendendo la scena incredibilmente surreale e del tutto distante da Tooru Oikawa ed Hajime Iwaizumi. Il capitano e l’asso continuarono a guardarsi negli occhi, isolati in una conversazione esclusiva.
«Bene, questa è stata la prima e unica volta in cui mi sentirete raccontarlo», concluse Matsukawa, «Portatevelo nella tomba».
«Figurati. Se raccontassi una cosa del genere fuori da qui mi internerebbero».
«Non pensavo che così tante cose oscene potessero uscire da quella bocca».
«Certo che le donne più grandi…».
«Dunque», la voce del capitano si fece stentorea, sovrastando il vociare stralunato dei ragazzi, «è mezzanotte passata. Domani l’allenamento è alle otto del mattino, io direi di dare una ripulita e andare a dormire. Giuriamo tutti con il sangue, quello che è stato detto questa sera non uscirà mai da qui!».
 
Era buio già da alcune ore. Il campeggio non era ancora del tutto silenzioso, si sentiva un brusio provenire dalle camere alzarsi e sopirsi, come lo sciabordio stanco della risacca. Riposarsi non era esattamente tra le loro priorità, anche se il mattino dopo ne avrebbero pagato le spese. In realtà, quel chiacchiericcio sommesso faceva comodo, dava a Tooru ed Hajime la sensazione di non essere da soli, al freddo. Li faceva sentire meno in imbarazzo. La vista delle montagne, in altre circostanze, sarebbe stata mozzafiato.
«E così… hai circuito una ragazzina».
Hajime gli gettò un’occhiataccia. «Volevi dirmi qualcosa, no? E dilla».
Il capitano si appoggiò al muro, giocando con le maniche della felpa. Cercò lo sguardo dell’amico, ma lui gli si negò, guardando verso le città illuminate visibili.
In realtà non sapeva cosa dirgli. Sapeva solo che si sentiva in colpa, che aveva le mani legate, che faticava a mettere in ordine i pensieri, che desiderava con tutto sé stesso quelle esatte cose che temeva di ottenere…
«Quel bacio di cui hai parlato prima… era quello… insomma, il nostro, vero?».
L’asso continuò imperterrito a rivolgere gli occhi altrove.
«Iwachan, so che è non è facile, ma… ».
«“Non è facile”», lo interruppe, irritato. Il capitano deglutì, ricevendo quelle parole come una stilettata, ma si fece coraggio e continuò: «Sì, non è facile. Non ne abbiamo più parlato, non sapevo cosa fare… Tu non mi parli…».
Hajime si voltò, rigido e scuro in volto, percepibile anche nella semi oscurità. «Oikawa, mi hai baciato. Forse tu dovevi darmi delle spiegazioni. O scusarti. Non mi pare che per te ci fosse qualcosa che non andava: gli allenamenti, la tua ragazza, i soliti teatrini a scuola… Tutto uguale». Gli sforzi per controllarsi erano visibili.
Tooru sgranò gli occhi: «Che dovevo fare, Iwachan? Sei scappato via, senza dirmi più nulla, né scrivermi. Che avrei dovuto fare, per non perderti?».
Ma lo sapeva quanto aveva avuto paura di non vederlo più, di aver perso in un sol colpo tutto quello che li legava, il loro splendido rapporto, la loro storia, quella persona che era solo questione di tempo prima che si innamorasse di una ragazza e per cui non sarebbe stato più speciale come prima? Quanto si era trattenuto, quanto cercava di distrarsi in ogni modo, per non pensare a quanto fosse difficile non desiderare altro che chi non ti ricambierà mai?
«Lasciarmi in pace prima», disse Hajime, staccatosi completamente dal muro e fronteggiandolo, «pensavo che, tra tutti, almeno tu avessi rispetto di… questo», gesticolò, «e invece…», alzò le spalle, si riappoggiò al muro.
Oikawa avrebbe dovuto rispettare i sentimenti che provava nei suoi confronti. Non poteva non essersene mai accorto. Non gli importava che non lo ricambiasse, davvero, poteva benissimo continuare con una ragazza diversa ogni mese, come aveva sempre fatto. Però doveva lasciarlo in pace, lasciarlo dimenticare in pace.
«Iwachan…?».
«Senti», disse, enfatizzando la cesura con un gesto della mano, «ti ho dato quello che volevi. Adesso, però… ho bisogno di pensarci».
Tooru accusò il colpo. Gli pesò nello stomaco come un mattone.
Hajime era neanche a mezzo metro da lui, ma era irraggiungibile. Ed era colpa sua. Ma non voleva. Poteva rimettere a posto le cose, giurargli che avrebbe fatto finta di niente, che non gli avrebbe più dato fastidio…
 
Ho bisogno di pensarci.
 
Gli si chiuse la gola. Non gli uscirono neanche un “d’accordo”, un “va bene”, annuì soltanto, sperando che Hajime si girasse verso di lui.
Ma non accadde.
Si portò una mano al petto, stringendo la felpa.
«Allora… a domani…» – fu più forte di lui.
«Sì».
 
Confuso e terrorizzato, il capitano imboccò lentamente la strada per l’ingresso. Poi la superò, sentendo le lacrime bruciargli gli occhi, allontanandosi nel campo dietro la struttura, poi fino al limite opposto del perimetro. Lì stavano due panchine dove passò un’altra ora, prima di tornare in stanza svuotato e vinto dalla stanchezza.
   
 
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