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Autore: Imperfectworld01    02/10/2019    0 recensioni
Dicono che la vita di una persona possa cambiare in un attimo. In meglio, in peggio, non ha importanza. Perché nessuno ci crede veramente, finché non succede.
Ed è allora che gli amici diventano nemici, le brave persone diventano cattive, quelle di cui ci fidiamo ci tradiscono, e altre muoiono.
Megan Sinclair è la brava ragazza del quartiere, quella persona affidabile su cui si può sempre contare, con ottimi voti a scuola e con un brillante futuro che la attende.
E poi, all'improvviso, una sera cambia tutto. Una notte, un omicidio e un segreto. Un segreto che Megan, con l'aiuto di un improbabile alleato, cercherà di mantenere sepolto a tutti i costi.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo


«Come sto?» chiesi un'ultima volta alle mie amiche, prima di entrare dentro la casa di Dylan.

«Esattamente come stavi dieci minuti fa» rispose Tracey, roteando gli occhi.

«Em, non devi farti così tante paranoie solo per un ragazzo. L'importante è che tu stia bene con te stessa» disse Megan, mettendomi una mano sulla spalla.

Certo, per lei era facile dirlo. Megan era praticamente perfetta: un fisico da urlo, le forme giuste, le gambe magre, la pancia piatta, capelli sempre in ordine, un viso stupendo, occhi grandi e dolci, sembrava quasi una bambola.

Ogni volta che la guardavo, la mia autostima andava a farsi fottere.

Non che avessi mai avuto tanta autostima. Quasi per niente, a dirla tutta. Ma quell'estate, quando esistevamo soltanto io e Dylan, ero riuscita a sentirmi speciale, per una volta. Non mi ero più sentita come l'amica di Megan Sinclair, ma ero soltanto io, Emily Walsh.

E Dylan aveva occhi solo per me.

Poi era finito tutto. La scuola era rincominciata, e così io ero tornata a vivere all'ombra della mia migliore amica.

Una volta dentro, cercai subito Dylan con lo sguardo, e lo vidi accerchiato da alcuni dei suoi amici. Non mi avvicinai per salutarlo, rimasi in disparte in un angolo della casa con Meg e Trace.

«Lo sai che quando torneremo a scuola tutto questo finirà?» mi aveva detto prima dell'inizio della scuola.

Per lui ero stata solo come un buco, nient'altro. Mi aveva usata durante l'estate e basta. E io, come una stupida, gliel'avevo permesso. Che sarà mai?, mi ero detta, lo fanno tutti. Non pensavo che mi sarei legata così tanto a lui. E invece, come prevedibile, mi ero presa una bella sbandata.

«Magari potrei passargli di fianco e urtarlo di proposito con la spalla» dissi, continuando a guardarlo da lontano.

Meg scosse subito la testa: «No, non farlo».

Che c'era di male? Lei e Trace non sapevano niente di quell'estate. Avevamo deciso entrambi di mantenere il segreto. Quindi perché Megan sarebbe dovuta essere contraria? Per quel che ne sapeva lei, Dylan aveva iniziato a interessarmi neanche un mese fa.

Sembrò notare il mio sguardo confuso, perciò aggiunse: «Guarda, si sta strusciando contro quella tipa. Non ne vale la pena».

Mi voltai nuovamente verso Dylan e lo vidi mentre ballava in modo poco dignitoso con una ragazza. Sentii subito il mio stomaco contorcersi dal fastidio, dalla gelosia.

Perché lo stava facendo? Non era tipo da fare certe cose, non lo era mai stato. Anzi, solitamente era uno abbastanza timido con le ragazze.

«Che porco» commentò Trace, proprio quando Dyl strinse le sue dita attorno alle chiappe di quella ragazza.

Dio solo sa cosa farei affinché toccasse me in quel modo, pensai.

«Dov'è Herman?» chiesi poi a Tracey, per cambiare discorso.

Il vero porco era il suo ragazzo, che tre giorni prima avevo sorpreso a scoparsi Olivia Goldberg nello spogliatoio delle ragazze durante l'ora di educazione fisica. L'avevo avvertito: o lo dici a Tracey entro una settimana, oppure lo farò io.

«Sta arrivando. Sta cercando parcheggio» rispose.

«Ha passato l'esame?» domandò Meg, sorpresa.

Anch'io ero sorpresa, considerando che era stato bocciato già due volte all'esame per la patente. Quel ragazzo viveva sulle nuvole.

Tracey annuì. «Ormai manchi solo tu, Meg!».

«Lo so, ma non sono ancora sicura. Voglio fare ancora altre guide. Prometto che entro fine ottobre avrò anch'io la patente!» esclamò.

Inevitabilmente, tornai a posare lo sguardo su Dylan, ora intento a esplorare la cavità orale di quella ragazza. 
I suoi baci. Mi mancavano i suoi baci. Chissà se anche a lui mancavano i miei...

Lo vidi sollevare lo sguardo a un certo punto, e puntarlo nella mia direzione. Immediatamente sentii un'intensa fonte di calore dirigersi verso le mie guance e infiammarle. «Ehi, dite che mi sta guardando?» domandai voltandomi di nuovo verso le mie amiche.

Mi accorsi in quel momento che Tracey si era allontanata insieme a Herman, e che eravamo rimaste solo io e Meg.

Teneva il labbro inferiore stretto sotto i denti e la vista aguzzata. «Forse... sì, sì ti sta guardando!» esclamò. Non ne sembrava molto convinta, ma le credetti lo stesso: in fondo era ciò che speravo, ciò che volevo sentire.

Una parte di me si convinse che Dylan stava cercando di attirare la mia attenzione, che voleva soltanto provocarmi. 
Non appena erano ricominciate le lezioni, mi aveva dapprima ignorata, come ci eravamo accordati, fingendo che non ci conoscessimo, ma era da qualche giorno che, invece, si comportava in modo strano. Faceva sempre in modo di passarmi davanti due o più volte nei corridoi, in mensa non staccava gli occhi dal tavolo in cui ero insieme alle mie amiche. 
Forse si era pentito del nostro accordo, e aveva intenzione di provarci seriamente con me.

«Quindi che faccio?» domandai agitata a Meg. Aprì la bocca per rispondere, ma io la precedetti: «Andiamo a ballare vicino a lui!».

La afferrai per un braccio e la trascinai in mezzo alla sala, dove c'erano altre persone che ballavano. Appoggiai entrambe le mani sulle spalle di Meg e cominciai a muovermi a ritmo, lanciando di tanto in tanto delle occhiatine a Dylan. Infatti, si era allontanato dalle labbra di quella ragazza e ora stava ballando esattamente come noi. Sentivo di avere i suoi occhi posati su di me, ma non volevo voltarmi, volevo ignorarlo, fingere di non averlo notato. Continuai a ballare sorridendo, a far oscillare i miei fianchi e muovere il bacino. A un certo punto, tuttavia, non riuscii più a resistere e mi voltai nella sua direzione.

Il mio sorriso si spense nell'accorgermi che se n'era andato. Lo cercai a lungo con lo sguardo, finché non lo trovai appoggiato alla parete, vicino alla porta della cucina, con un bicchiere in mano.

«Andiamo a bere» proposi a Megan.

«Em, lo sai che non bevo» rispose e roteai gli occhi: «Allora fai finta.»

La presi per mano per farmi seguire fino in cucina. «No dai, non ho voglia» protestò. «Preferisco rimanere a ballare. Facciamo che ti aspetto qui fuori» disse, restando a pochi metri dalla cucina.

«D'accordo» mi rassegnai.

Prima di entrare, guardai Dylan negli occhi, ma lui distolse subito lo sguardo e continuò a bere dal suo bicchiere.

A che gioco stava giocando?

Sul tavolo erano presenti diverse bottiglie. Ne scelsi una di tequila e me ne versai un po' in un bicchiere, a mo di shot. La bevvi tutta in un sorso, così me ne versai un altro po'. Poi fu il turno del Malibu, che mischiai con la Coca-Cola. Forse se fossi riuscita a ubriacarmi un po', avrei avuto il coraggio di affrontare finalmente Dylan una volta per tutte. Uscii dalla cucina, con un bicchiere mezzo pieno ancora in mano, ma non trovai più Dylan. Istintivamente lo cercai dove era prima a ballare, vicino al divano, ma non era nemmeno lì. Nemmeno Megan c'era.

In compenso vidi Tracey e Herman seduti una in braccio all'altro su una poltrona. «Ehi, avete visto Megan?» domandai.

«Sì. Un metro e sessantacinque circa, bionda, occhi verdi... sì, insomma, la conosci anche tu» rispose Herman. Roteai gli occhi. «Ora, l'avete vista ora?» chiesi spazientita.

«Non era mica con te?» domandò Tracey, confusa. «Magari è andata in bagno.»

Mi scolai il bicchiere che tenevo in mano e poi lo appoggiai sul tavolino del salotto, prima di dirigermi verso il primo dei tre bagni che c'erano. Conoscevo bene la casa di Dylan, ci avevo passato gran parte dell'estate. Perquisii tutti i bagni, salii anche al piano di sopra, dove c'erano la camera dei genitori di Dylan e lo sgabuzzino, ma di Megan non c'era traccia. Dove diavolo era finita?

L'ultima stanza che rimaneva da controllare era quella di Dylan. L'idea di ritornare lì dentro, mi fece battere forte il cuore. La mia prima volta era stata proprio su quel letto. E anche la sua. Com'era possibile che per lui non fosse contato nulla? Avevamo condiviso tutto in quella stanza. Non era stato solamente sesso.

Sebbene mi tremasse un po' la mano al solo ricordo, abbassai la maniglia della porta e la aprii. E poi li trovai, entrambi. Sia Megan che Dylan. Avvinghiati l'uno all'altra.

No.

No.

Non poteva essere.

«Megan...» mi uscì un solo flebile sussurro. Mi mancava il fiato.

Lei si staccò dalle labbra di Dylan e si alzò dal letto con uno scatto. «No, Em, ti prego...» si avvicinò a me ma mi allontanai prontamente.

«Stammi lontano! Non parlarmi mai più, Megan!» esclamai, le lacrime che cominciavano ad accumularsi nei miei occhi. Attraversai il corridoio e tornai in salotto.

Megan giunse alle mie spalle. «Emily, no, ascolta...»

«Ti ho detto che non devi parlarmi mai più, Megan! Mai più! Vaffanculo, Megan!» esclamai, mentre mille lacrime cominciarono a rigarmi il volto. Si avvicinò a me e tentò di afferrare il mio braccio, ma io mi liberai dalla sua presa in modo brusco. «Lasciami! Non toccarmi!»

«Emily, ti prego... Mi dispiace! Ascoltami, posso spiegarti ogni cosa» disse, piazzandosi davanti a me.

«Cos'altro c'è da spiegare, se non che ti sei trasformata in una puttana?»

Si passò una mano sul viso per asciugarsi le lacrime. Perché diamine piangeva? Ero io a essere stata tradita dalla mia migliore amica, non lei. «Hai ragione, ho sbagliato, però ti prego perdonami. Io non...»

«Basta, Megan! Non voglio sentire nient'altro che provenga dalla tua boccaccia. Tu... tu come hai potuto?»

«Io... io non volevo, te lo giuro! Dylan per me non conta un accidente, non me ne frega niente di lui e non mi piace, lo sai. È stato lui a baciarmi, io...»

Che bella faccia tosta. «Ah, e come vedo tu l'hai rifiutato!» la interruppi prontamente. «Risparmiamelo, Megan. L'hai fatto apposta, per dimostrarmi ancora una volta che tutti i ragazzi preferiscono te. Perché tu sei Megan Sinclair, certo. Devono essere sempre tutti tuoi.»

In fondo era sempre stato sempre così.

«Che cosa stai dicendo? E comunque non è colpa mia se gli piaccio io e non tu. Ma non è importante, perché la nostra amicizia vale più di ogni altra cosa e per me...»

«Sei proprio una stronza» la interruppi di nuovo. «Brava, sbattimelo in faccia! È proprio così che funziona fra amiche, giusto?»

Come diavolo avevo potuto essere sua amica per tutto quel tempo?

«Possiamo almeno andare a parlarne dove nessuno possa sentire o dev'essere tutto di dominio pubblico?» domandò, affievolendo il tono della voce.

«Non me ne frega un cazzo di quello che dici, Megan. E poi penso che tutti meritino di sapere che grandissima stronza sei!»

E poi ecco che le sue parole mi ferirono come se fossi stata trafitta da mille lame. «Lo sai che cosa sei, Emily? Sei soltanto un'insicura in cerca di attenzioni! Non hai autostima, pensi che nessuno possa amarti, ed è per questo che cerchi solo ragazzi a cui non interessi, così da confermare quelle che sono le tue paure. E sei anche una stronza ipocrita: adesso incolpi me, eppure non ti sei fatta problemi quando due anni fa ti sei messa con Ethan, sapendo che avevo una cotta per lui da mesi.»

Non sapevo come ribattere, in fondo aveva ragione. Aveva sempre saputo come mi sentivo nei suoi confronti, e aveva pensato bene di sbattermelo in faccia. Ciò che spaventava di più nel conoscere qualcuno da tanti anni, era essere a conoscenza dei suoi punti deboli, imparare cosa avrebbe potuto ferirla. Lei aveva ferito me. Così decisi di ferirla anch'io. «Il problema non sono le mie insicurezze, Megan, ma il fatto che tu non ti renda conto di come stanno realmente le cose! Tu non piaci a Dylan, non piaci realmente a nessun ragazzo. Credi che ti andrebbero indietro in così tanti se non fosse per il tuo aspetto fisico? Lo sanno tutti a scuola: Tracey è quella intelligente, io quella simpatica, mentre tu sei "la bella". Quindi complimenti, hai appena buttato la nostra amicizia nel cesso per uno che ti vede soltanto come un buco in cui infilare il suo pene!»

Del resto, era ciò che aveva fatto con me d'estate.

Mi allontanai, rifiutandomi di sentire qualsiasi altra cosa uscisse dalla sua bocca.

Andai a rifugiarmi nel bagno al piano di sopra, vicino alla camera dei genitori di Dylan. Mi chiusi a chiave, così da essere sicura che nessuno mi avrebbe disturbata. Mi accovacciai a terra fra la doccia e il water e diedi libero sfogo alle mie lacrime, scoppiando in un pianto sconsolato.

Circa quindici o venti minuti dopo sentii qualcuno bussare alla porta. «Occupato!» urlai, tirando su con il naso.

«Emily, sei tu?»

Sussultai. Era la voce di Dylan.

«Emily, aprimi, voglio parlarti!»

«Vaffanculo, Dylan» risposi. Cercai di dare un tono forte la mia voce, ma stavo così male da non averne la forza e la mia voce si spezzò non appena pronunciai il suo nome.

Tuttavia, alla fine decisi di alzarmi in piedi e aprirgli. Avrei chiuso con lui una volta per tutte. Girai la chiave nella serratura e aprii la porta, prima di uscire dal bagno. Mi trovai Dylan a solo un paio di centimetri e, non appena incrociai i suoi occhi, persi un battito. Gli appoggiai una mano sul petto e lo spintonai, affinché si distanziasse da me.

«Mi dispiace, ok? Io non...»

Lo interruppi: «Ti dispiace? Ti ricordi l'ultima volta che l'abbiamo fatto? Il 30 agosto. Ti è bastato così poco tempo per dimenticarmi e... e per provarci con la mia migliore amica?»

Deglutì e poi si voltò verso le scale, da cui provenivano dei passi. Vedemmo Lucinda Bailey salirle tenendosi per mano con un ragazzo. Ci diede uno sguardo curioso, disorientato. Doveva essere una scena pietosa. Io che piangevo e lui, così come lei, che mi guardava con compassione, anche se in realtà non gliene fregava un cazzo.

Con la stessa rapidità con cui erano saliti, scesero di nuovo le scale, lasciandoci soli.

«Eravamo d'accordo. Una volta a scuola...»

«Lo so, cazzo, lo so! Ma di certo non mi aspettavo di vederti qui a slinguazzarti quella ragazza, prima di fare lo stesso con Megan! Per te non è contato niente quello che c'è stato?» chiesi, con la vista annebbiata dal pianto.

«Più di quello che pensi. Tu sei stata importante per me, davvero, sei stata la prima ragazza con cui l'ho fatto, e non credere che per noi ragazzi non conti niente una cosa del genere. Ciò che c'è stato fra noi non si potrà cancellare, mai. Una parte di me... sì, insomma, resterà sempre legata a te.»

«Allora perché... perché...»

Lasciai la frase in sospeso, e lui afferrò il mio viso fra le sue mani, asciugandomi le lacrime con una carezza. Soltanto quel semplice tocco mi fece andare a fuoco. «Mi dispiace, davvero. Ma ora... ora provo qualcosa per lei e....»

Lo interruppi: «Provi lo stesso che provavi con me?».

Rimase in silenzio un po', prima di rispondere. «Non lo so... davvero non lo so» scrollò le spalle.

Ma io non volevo ancora credere che era finita. Non potevo lasciarlo andare. Non volevo. Sarei stata disposta a tutto pur di averlo ancora con me. Mi alzai in punta di piedi e tentai di baciarlo, ma lui si scostò. «Perché no?» domandai. «Se... se vuoi possiamo continuare come quest'estate, a me non importa...»

Lo afferrai per la cintura dei pantaloni e cominciai a slacciargliela. Mi misi in ginocchio e gli abbassai i boxer, ma lui mi fece rialzare in piedi e si risistemò i pantaloni. «Emily, no» disse serio.

«Perché no? Non ti piaccio più nemmeno per quello? Perché rifiutare? Sai quanti ragazzi vorrebbero essere al tuo posto in questo momento...»

«Non ho alcuna intenzione di approfittarmi di te» mi interruppe.

«Perché no? L'hai fatto per tutta l'estate. Io non... non voglio perderti, quindi non è un problema se...»

«A me piace Megan. Mi piace da impazzire, più di quanto mi piacessi tu. Non è solo attrazione fisica quella che c'è fra noi. L'unico motivo per cui sono venuto a cercarti era per mettere le cose in chiaro, e anche per assumermi la colpa di tutto... Non è stata colpa di Megan, lei tiene a te, sono stato io a...»

Non gli lasciai terminare la frase, gli tirai un sonoro schiaffo sulla guancia. Nonostante questo, non si fermò e riprese a parlare. «Se vuoi odiare qualcuno, ti prego, odia soltanto me. Lei non voleva ferirti, me l'ha detto mille volte che l'amicizia con te era più impo...»

«Basta! Non voglio sentire niente!» lo bloccai, cominciando a colpirlo ripetute volte sul petto.

Non provò nemmeno a fermarmi. Quasi come se sentisse di meritarsele quelle botte, quasi come se volesse soltanto lasciarmi sfogare. Fui io a fermarmi dopo una trentina di secondi, quando cominciai ad avere il fiatone e le forze presero a mancarmi.

«Mi dispiace» ripeté un'ultima volta, facendo per allontanarsi ma io lo attirai nuovamente a me per non lasciarlo andare. Strinsi così forte il suo avambraccio al punto da piantargli le unghia nella pelle e lasciargli dei segni. Infatti fece una piccola smorfia di dolore e, a quel punto, mi rassegnai e lasciai che si allontanasse.

Rimasi immobile per qualche secondo, in mezzo al corridoio, il cuore che mi martellava nel petto. Sembrava quasi stesse per uscirmi dalla cassa toracica. Sperai quasi che accadesse. Desiderai che la mia vita finisse. Ero stufa di stare male per dei ragazzi a cui non importava nulla di me.

Per via del silenzio generale in cui versavo, riuscii a scorgere dei rumori provenire dalla stanza dei genitori di Dylan. In altre circostanze non ci avrei dato molto peso, ma in quel momento avevo bisogno di pensare ad altro.

«Sì, così... ah... sì, ti prego, oh...»

Riconobbi la fastidiosa voce da cornacchia di Olivia, ancora più acuta del normale. Non mi ci volle molto per capire cosa stava facendo. Ma il problema era con chi. Normalmente non l'avrei fatto, ma dopo l'episodio cui avevo assistito appena tre giorni prima, decisi di aprire la porta e verificare chi se la stesse spassando con lei in quel momento.

Rimasi a bocca aperta. «Dio, che schifo! Siete tutti uguali voi uomini!» esclamai, nel confermare i miei timori. Lo stava facendo di nuovo.

Nel sentire la mia voce, Herman sobbalzò, mentre Olivia si nascose sotto le coperte. Peccato fosse troppo tardi. Il moro si infilò le mutande e cercò di rivestirsi il più in fretta possibile, ma io nel frattempo stavo già per avviarmi verso le scale. «Emily, aspetta!» esclamò venendomi dietro. Mi afferrò il polso e mi fece voltare verso di lui. Aveva ancora i capelli spettinati, il rossetto di Olivia sparso su tutto il viso e sul collo, oltre che le scarpe slacciate.

«Non dire una parola di più, sei solo un verme! Ora vado a dire tutto a Tracey!»

Mi afferrò entrambi i polsi stavolta, e mi sbatté contro il muro. «No, tu non dirai niente e guai a te se verrà a saperlo» mi minacciò, riuscendo quasi a farmi paura per il tono serio con cui lo disse.

Mi aspettavo che sarebbe scoppiato a ridere da un momento all'altro, come era solito fare nei pochi momenti in cui era serio, ma non lo fece.

Sollevai il mento. «Lasciami andare.»

«No, finché non mi giurerai che terrai la bocca chiusa.»

Provai una sensazione di inquietudine per via delle sue parole. Non avevo mai visto Herman sotto quella luce. Herman Waldorf era conosciuto da tutti come il ragazzo solare, un po' svampito, innocuo. Ma non c'era niente di innocente nel modo in cui mi stava guardando.

Così decisi di acconsentire, solo per potermi liberare dalla sua presa. «Lo giuro. Ora lasciami.»

Esitò qualche secondo, prima di mollare finalmente la sua presa su di me. Ancora con il cuore in gola, scesi le scale quasi correndo, per sfuggire da lui.

Ne avevo avuto abbastanza di quella dannata festa, così decisi di andarmene. Ma non ce l'avrei mai fatta a guardare negli occhi Tracey, dopo ciò che avevo scoperto. Era stato già abbastanza difficile in quegli ultimi giorni, ma dopo ciò che avevo appena visto (o meglio, rivisto), ero ancora troppo scossa per poter fingere che fosse tutto normale.

Così evitai di andare a cercarla per salutarla, e uscii dall'abitazione di Dylan. Sarei tornata a piedi. Morgan City era la città più noiosa di tutti gli Stati Uniti d'America, pertanto non avrei di certo corso il rischio di incontrare qualche malcapitato. 
Scesi gli scalini della veranda e mi diressi verso la strada, prima di sentire una voce alle mie spalle.

«Ferma lì, Emily.»

La sua voce mi gelò il sangue nelle vene, tanto che ebbi quasi paura a voltarmi, ma alla fine lo feci. Non avevo mai visto Herman così scuro in volto.

Aprii la bocca per parlare, ma non so perché non mi uscì alcun suono. Ero davvero così terrorizzata da non riuscire a parlare? Terrorizzata per cosa, poi?

Mi schiarii la gola. «Me ne sto andando» dissi soltanto.

«Non posso lasciartelo fare» scosse la testa, facendo qualche passo verso di me, mentre io presi a indietreggiare. «Come posso avere la certezza che non dirai niente a Tracey?»

«Da me non saprà niente, ti ho dato la mia parola, no?» dissi, indietreggiando ancora. Oramai eravamo finiti praticamente dietro casa di Dyl, dove c'erano i cassonetti della spazzatura. Non c'era nessuno lì, nessuno che avrebbe potuto aiutarmi. Aiutarmi da cosa, poi? Ero in pericolo?

«Per quanto hai intenzione di continuare così? Se non la ami più, lasciala. Ma non farle questo.»

«Quello che faccio non ti riguarda» rispose secco.

Alzai gli occhi al cielo. Certo che mi riguardava. «È la mia migliore amica, tengo a lei e non voglio vederla soffrire» dissi.

«Ecco perché non devi dire nulla. E mi assicurerò che tu non lo faccia. Mai.»

A quelle parole, mi pietrificai. Da sotto la felpa tirò fuori un coltello. Sgranai gli occhi, che si riempirono di lacrime ancora una volta. «N-no... che... che cosa vuoi f-fare?» balbettai, indietreggiando ancora.

«Rilassati. Non sentirai niente» si avvicinò ancora a me.

Se prima pensavo che volesse solo spaventarmi, dopo quella frase non ne fui più tanto sicura.

Era forse impazzito?

«Herman, c-cosa...»

«Shh» si portò l'indice sulle labbra, mimandomi di stare zitta.

Avrei voluto urlare, scappare, mettermi in salvo. Ma ero talmente in preda al terrore che non riuscivo a muovermi.

Camminò attorno a me, facendomi sentire in trappola. Mantenni lo sguardo basso, seguendo il coltello con gli occhi. Dopo aver fatto un giro completo intorno alla mia figura, si fermò alle mie spalle, avvolgendomi un braccio attorno al collo per impedirmi di muovermi.

«No, no, ti prego... ti prego!» esclamai.

Nel sentirmi piangere e urlare, rise divertito.

«Tu sei... un pazzo» sibilai. «Uno psicopatico» aggiunsi.

A quel punto mi afferrò per i capelli e sbatté la mia testa contro uno dei cassonetti dell'immondizia. Proprio mentre stavo per urlare dal dolore, mi tappò la bocca con la sua mano. «Stai zitta, cazzo, zitta!» ordinò. Poi mi fece sbattere ancora una volta la testa. E un'altra.

Allora ecco che tutto attorno a me prese a girare. Vedevo tutto sbiadito, indefinito, e non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi senza barcollare.

«Mmh, ora mi piaci già di più» sentii dire dal mio aggressore.

«Lasciami... andare» dissi io, intontita, accasciandomi a terra.

«No, non ancora» rispose in tutta tranquillità, come se avesse appena rifiutato una tazza di tè.

Mi tirò su con un violento strattone, e si riposizionò alle mie spalle. Quella volta, però, attorno al mio collo non c'era il suo braccio, bensì quel coltello. Cominciai a respirare in modo affannato. Ogni volta che inspiravo, sentivo la lama gelida venire a contatto con la mia gola.

«Mio nonno mi ha insegnato come cacciare già all'età di dieci anni. Sai, ai suoi tempi era molto peggio, i poveri animali soffrivano davvero. Ma ora è tutto diverso... quelle bestiacce nemmeno se ne accorgono. Ecco, non ho mai provato a farlo sulle persone, ma penso che sia lo stesso. Non ti farò del male, te lo prometto.» Mi piegò il collo di lato e ci soffiò sopra. «O se così non fosse, in ogni caso il danno sarà già fatto.»

Sentii la lama perforarmi la pelle, un taglio netto. Avrei voluto reagire, fare qualcosa, ma avevo perso totalmente il controllo sulle mie facoltà motorie. Così come quelle sensoriali. I suoni cominciarono a farsi sempre più ovattati, la vista diede spazio al buio più totale. Sentii solo l'impatto con il cemento quando caddi a terra, poi non mi accorsi più di nulla.

Solo il vuoto.

Il nulla.

 

   
 
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